martedì 31 luglio 2018

I CITTADINI, PRIMA DELLA CADUTA


Dobbiamo attrezzarci fin da ora per la strenua battaglia che dovremo condurre con tutte le nostre forze contro l’evento più pericoloso di questa fase politica, che potrebbe introdurre danni irreversibili nella nostra comunità italiana e che per questa ragione non si può correggere dopo, ma occorre impedire prima. Non ci riferiamo all’una o all’altra delle proposte economiche e politiche per loro natura opinabili, che ogni maggioranza ha il diritto di avanzare, secondo i propri programmi o “contratti”, e su cui non vogliamo ora discutere, non trattandosi qui di prendere posizione pro o contro il governo. Ci riferiamo invece a una modifica di sistema, quella dell’art. 52 del Codice penale sulla legittima difesa.
Una riforma di questo istituto fu già tentata nella scorsa legislatura quando la Camera approvò a grande maggioranza una maldestra legittimazione dell’uso delle armi in ogni caso di violazione di domicilio (o ufficio, o negozio), quando questo avvenisse  “di notte” o con violenza, minacce o inganno, modifica di cui lo stesso Renzi si pentì per cui il provvedimento fu poi insabbiato al Senato.  Ma poiché la pulsione a estendere la portata della legittima difesa è trasversale alle forze politiche, ora una nuova concezione e promozione di essa viene avanzata dalla Lega di Salvini e dalle altre forze della destra (contrario, questa volta, il PD) ed ha cominciato l’iter legislativo al Senato. Ma al contrario del pasticcio escogitato nella passata legislatura, questa volta l’intenzione è chiara: si tratta di trasformare la legittima difesa da esimente dalla responsabilità di un reato (“non punibile”, secondo la valutazione del giudice) in azione qualificata come diritto, e dunque presunta sempre come legittima salvo prova in contrario.
Non si tratta solo della modifica di una norma, è un cambiamento di cultura e di civiltà.
La forma originaria in cui la legittima difesa  figurava nel nostro Codice fino al 2006, era incredibilmente ispirata a un supremo principio cristiano: non si deve mai sparare o fare del male a nessuno neanche se si è offesi, il farlo si presume come reato, a meno che si sia costretti a farlo “dalla necessità” di difendersi – dice l’art. 52 - “contro il pericolo attuale di una offesa ingiusta, sempre che la difesa sia proporzionata all’offesa”; insomma, per ogni morto ammazzato era comunque obbligatoria l’azione penale. Nel 2006 su impulso del ministro leghista della Giustizia, Castelli, fu aperto un primo squarcio nella norma presupponendosi come proporzionato l’uso di armi legittimamente detenute per difendersi in casi di violazione di domicilio (o negozio o ufficio) quando non vi sia desistenza e vi sia pericolo d’aggressione.
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martedì 24 luglio 2018

SIONISMO SENZA DEMOCRAZIA?


C’è una notizia che è stata quasi nascosta, perché è difficilissimo darla, non sanno come farla accettare dal senso comune, ma è di tale portata da marcare una cesura nella storia che stiamo vivendo. Lo Stato di Israele, almeno nella sua veste ufficiale e giuridica, cambia natura. Non è più lo Stato che unisce democrazia ed ebraicità, come era nel sogno del sionismo, ma è definito come uno Stato-Nazione ebraico, uno Stato del solo popolo ebreo nel quale gli altri, quale che sia il loro numero, sono neutralizzati nella loro dimensione politica, cioè nella loro esistenza reale: non partecipano di ciò che, in democrazia, si chiama autodeterminazione, la quale è riservata al solo popolo ebreo, il solo sovrano. Gli altri sono naturalmente gli Arabi, e in modo specifico i Palestinesi, musulmani o cristiani che siano.
Infatti giovedì 19 luglio il Parlamento israeliano, la Knesset, ha approvato a stretta maggioranza con 62 voti favorevoli e 55 contrari una legge di rango costituzionale che era in gestazione da tempo, la quale fissa in questi termini perentori la natura dello Stato, che finora non si era voluta definire in alcuna Costituzione formale, in base all’idea che la vera Costituzione d’Israele è la Torah (la Scrittura). Per intenderci un primo articolo Cost. del tipo “L’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro. La sovranità appartiene al popolo…” sarebbe stato impensabile per Israele; e infatti, dopo un primo approccio iniziale per il quale furono consultati i libri di Carl Schmitt, il tentativo costituzionale fu abbandonato, come ci ha raccontato a suo tempo Jacob Taubes. Però per il sionismo fondatore che aveva voluto bruciare i tempi dell’Attesa visto il ritardo del Messia, era fuori discussione che dovesse trattarsi di uno Stato democratico. Sicché almeno una correzione è stata introdotta all'ultimo momento nel testo della legge, su richiesta del Presidente di Israele Reuven Rivlin, che in una lettera ai parlamentari aveva espresso il timore che essa potesse “recare danno al popolo ebraico, agli Ebrei nel mondo e allo Stato di Israele”. È stata abolita infatti la norma che permetteva a qualsiasi comunità (ebrea ma anche non ebrea) di costituirsi come comunità identitaria chiusa, su base religiosa o nazionale, con esclusione dal proprio ambito di tutti gli altri (non-ebrei, non-drusi, non ortodossi, ecc), il che rischiava di creare in Israele una rete di apartheid segregati a pelle di leopardo; invece, caduta questa norma, la separazione che viene costituzionalizzata è posta a garanzia dei soli insediamenti ebraici, privando di diritti tutti gli altri.
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mercoledì 18 luglio 2018

LA SCONFITTA DI SALVINI


Salvini è già sconfitto. La sua controrivoluzione è fallita. Il vero proposito di Salvini, la sua vera promessa all’elettorato dell’Italia della paura, non era infatti di centellinare gli immigrati spartendoli tra i vari Paesi europei, ma era di fermarli ai confini del mare e bloccarli nelle loro prigioni arretrate; voleva difendere, come diceva, i cinquecento milioni di europei dall’invasione di questi stranieri, dopo che “a casa loro” li avevamo depredati di tutto.  Non gli è riuscito, e la debolezza delle sue prove di forza (porti chiusi e navi ferme) dimostra che non ci riuscirà, né lui né alcun altro stratega dell’apartheid europeo come lui. Non ci riusciranno per il semplice fatto che i presunti invasori, invece di arrivare con armi e bastoni per forzare le frontiere d’Europa, si fanno salvare da noi. Se giungessero brandendo una spada, come i Goti, gli Unni e gli altri Barbari, o correndo il mare con ben armati vascelli, come fecero i Turchi, sarebbe una festa per i difensori della bianca Europa e i buttafuori del mondo libero: li farebbero fuori tutti, ben addestrati al genocidio come siamo, ma in modo politicamente corretto, con la “guerra giusta” e il diritto internazionale in mano.   Del resto questo l’Occidente si era preparato a fare quando, venuta meno la minaccia del cosacco da est, ha cambiato nemico, ha rinominato l’arabo come nemico,  ha predicato la crociata contro Stati canaglia e terroristi, ha dato alla NATO una competenza militare globale, e ha orgogliosamente proclamato la guerra perpetua, la giustizia infinita e il nuovo secolo americano. Tutto inutile: I nemici vengono con le magliette rosse, per farsi trovare nella notte, i bambini come gemme catarifrangenti  si fanno salvare. A che serve la NATO? Trump non vuole più pagarne nemmeno le spese. L’assurdo (o la beffa?) è che, sgominate le navi delle ONG, le navi militari da intercettare perché piene di nemici e diffidate dall’avvicinarsi ai nostri porti e alle coste, sono ora quelle della Marina militare italiana.
La controrivoluzione volta alla conservazione e al ripristino del vecchio ordine dell’Europa sovrana, sta in realtà facendo esplodere le contraddizioni del sistema. Salvini con i profughi, la May con la Brexit, Trump con i dazi, i Cinquestelle con il lavoro stanno mostrando che il re è nudo. Quell’ordine che è stato instaurato dopo la fine della guerra fredda si è rivelato del tutto sbagliato e ora la brutalità dei “populismi”  lacerando  le vesti che lo ricoprivano, senza poter fornirgliene di nuove, mostra tutta la violenza di un sistema non più sostenibile, che va profondamente mutato.
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martedì 3 luglio 2018

Non è l'Europa


C'è un  appello ineludibile del missionario Alex Zanotelli a ricordarsi dell'Africa, ad aprire gli occhi sulla disperazione dell'Africa, a squarciare la cortina di silenzio che nasconde il dolore del continente che noi abbiamo depredato e che l'Europa vorrebbe ora trasformare in un immenso campo di detenzione in cui sigillare e stremare i suoi abitanti perché non si azzardino a passare il mare per venire a disturbare i sonni delle fratricide borghesie europee.
L'Europa ha consumato il suo proprio rinnegamento, ha proclamato a gran voce ciò che già era senza confessarlo: un tempio di cambiavalute chiuso alle genti e presidiato alle porte da guardiani armati e buttafuori governativi.
Questo è stato alla fine il risultato dell'iniziativa brutale di Salvini, fino al paradosso che mentre egli  chiedeva la redistribuzione in Europa dei migranti arrivati in Italia, nella sua stessa logica, in nome della sua stessa cultura egoistica del "verboten" e dello scarto, è stato chiesto all'Italia di riprendersi i profughi che dall'Italia erano riusciti a passare in Germania o in altri Paesi. È la perenne lezione della violenza: quando si usa violenza c'è sempre una violenza più forte e più incisiva che prevale.
L'Europa, chiamata a pronunziarsi sulla rivoluzione migratoria dalla forte iniziativa italiana, ha scelto, senza se e senza ma, la controrivoluzione, da Macron a Seehofer a Salvini ai Paesi di Visegrad. Frontiere chiuse e avviso ai naviganti di lasciar perdere in mare i naufraghi (anche i bambini dei papà, come direbbe Salvini) o di destinarli alle motovedette penitenziarie libiche. Nello stesso tempo l'Europa rimetteva a intese volontarie tra i singoli Paesi un'eventuale ricollocazione dei profughi tra loro. In quell'istante nel vertice di Bruxelles finiva l'Unione Europea e restava un'unione intergovernativa europea, singoli Stati sovrani correlati da intese e trattati tra loro. Finiva l'Europa ma restava l'euro: lui, l'unico sovrano. E da questo momento in poi il problema non ê più quello di uscire dall'euro, ma di farvi entrare l'Europa.
Si è avverato così ciò che era stato predetto da molti, e in particolare tra noi da  Luigi Ferrajoli: un'unione monetaria senza una democrazia politica è destinata a fallire.
Ma l'Europa che chiude porti e frontiere, che fa la controrivoluzione con campi di espulsione e di detenzione (di "ancoraggio"!) dentro e fuori i confini del proprio territorio, è veramente l'Europa, è cioè quella "idea d'Europa" che corrisponde all'immaginario di un italiano, di un francese, di un berlinese quando sente parlare d'Europa?
Noi, quando diciamo Europa, inevitabilmente pensiamo alla "piccola Europa", quella di Altiero Spinelli, di De Gasperi, Schumann, Spaak, Adenauer, che nacque sulla spinta ideale del superamento dei conflitti culminati nella seconda guerra mondiale. Era un'Europa figlia della Resistenza e dell'antifascismo, aveva le stesse origini della Costituzione italiana, per questo le due andavano d'accordo. Essa escludeva l'Est, nata com'era a ridosso della cortina di ferro, era parte integrante della NATO, incorporata nel sistema Occidente. Noi ne lamentavamo la ristrettezza e il settarismo atlantico, ma le culture erano omogenee, le classi politiche di governo pensavano allo stesso modo.
L'Europa dei 28 ha invece una tutt'altra origine, nasce dal capitalismo vincente che si è proclamato globale alla caduta del Muro, si è europeizzato a Maastricht e con Prodi ha integrato nell'Unione Europea e nel sistema Occidente i Paesi dell'Est, precipitosamente sottratti all'influenza russa (intesa come ex-sovietica). Questa Europa, figlia di un'altra storia, non ha parentele con la Costituzione italiana, e si vede. Non è che da noi ê venuto meno l'europeismo, è l'Europa che non si trova più.
A questo punto deve essere chiaro che se la partita politica è importante, quella culturale lo è ancora di più. Perciò il magistero del governo è pericoloso, e gli eventi seguiti al 4 marzo ne portano la responsabilità. Ora infatti tutto deve essere cominciato di nuovo e la cultura che abbiamo perduto o stiamo perdendo, quella che un tempo fu l'anima dell'Europa e anche nostra, dovrà essere il primo scalino per salire a una nuova cultura, a un'anima più dilatata e fraterna.

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