In balia di
armi, denaro e potenti
Ahi serva
Europa
“Ahi serva
Italia, di dolore ostello…”. Quando Dante scriveva queste parole l’Italia era
un faro di civiltà, un giardino di bellezza, la culla del pensiero. Però non
sapeva leggere i segni dei tempi, era in balia dei potenti, tradiva le sue
origini e non riusciva a stare senza guerra.
Questo si
potrebbe dire oggi dell’Europa, serva delle armi e del denaro, chiusa nel suo
egoismo, dimentica dei suoi ideali, sovversiva delle ragioni stesse per cui è
nata. Era nata per chiudere con le guerre, per togliere le dogane al carbone e
all’acciaio al fine di costruire, e non ai cannoni e ai carri armati al fine di
distruggere, era nata per abbracciare i suoi popoli e farsi amica e accogliente
a quelli di altre comunità e perfino era decisa a fare rinunzie alla sua sovranità non per farsi serva di nessuno
bensì per contribuire alla pace e alla giustizia tra le nazioni. E prima ancora
di Spinelli e di Spaak, di Schumann e di Monnet, di Ursula Hirschmann e Simone
Weil, di Adenauer e di De Gasperi, l’”idea di Europa” era cresciuta lungo un millennio,
come l’avevano illustrata Erich Przywara e Friedrich Heer, tanto cari a papa
Francesco, e come aveva ispirato le lettere dei condannati antifascisti
(l’identità cancellata da Giorgia Meloni) della Resistenza europea.
Ma non solo:
l’Europa non capisce nemmeno quello che, se mossi da probità professionale, le
stanno dicendo gli esperti di geopolitica: che il suo vero “competitore” sono
gli Stati Uniti, che per averla vassalla sono interessati a tenerla in guerra
senza fine, vogliono dominarla col loro gas e i loro prodotti più avanzati, che
non per niente hanno fatto saltare l’oleodotto che univa la Russia al resto
dell’Europa. E non c’è nemmeno bisogno di particolari doti interpretative:
l’hanno scritto gli Stati Uniti nella loro “Strategia della sicurezza
nazionale” che la loro sicurezza, la loro difesa e l’obiettivo della loro bulimia militare stanno nel fatto che non vi sia alcuna
potenza al mondo che non solo non superi, ma “nemmeno eguagli” la potenza
americana. E se c’è una potenza che potrebbe osare eguagliarla non è la Russia,
data già per disfatta, né la Cina, designata come suprema sfida del futuro, ma
è l’Europa che, se facesse una politica meno suicida, potrebbe già ora
competere economicamente e grazie alla proiezione della sua cultura, con
l’egemonia degli Stati Uniti; ciò che potrebbe e dovrebbe fare proprio restando
loro amica ed alleata per costruire insieme “un mondo libero, aperto, prospero
e sicuro”, come essi lo vogliono, aiutandoli a evitare gli errori, come quello
che fanno, e che facevano ben prima dei crimini di Putin, col volere la fine
della Russia.
Certo non è alzando
l’età di pensione e gettando un Paese intero in una lotta sociale ad oltranza,
non è stando appesi alle labbra e al “Crimea o morte” di Zelenski, non è dicendo
“nazione” per non dire “fascismo”, né incentivando le fabbriche a stipulare
contratti pluriennali per la costruzione
di armi che avranno bisogno di altrettanti anni per essere consumate sui campi
di battaglia, sulle città e sui famosi
vecchi e bambini costretti a morire anche loro in guerra, non è con
queste scelte che l’Europa potrà ritrovare la sua dignità, la nobiltà delle sue
origini, gli ideali che l’hanno spinta ad unirsi. È per quegli ideali, non per essere
“provincia” di un Impero che l’Europa è nata, con la vocazione ad attraversare
il Mediterraneo e a guardare a Sud, a Israele alla Palestina e al mondo arabo,
ad Est, alla Russia e alla Turchia, e ad Ovest, non solo a un’America sola, ma
a tutte e due; e non è togliendo ai suoi popoli la loro tutela sociale che l’Europa
unita sarà in grado di prevalere, politicamente e culturalmente, sui
sovranismi. Ma allora quale politica dovremmo fare? E quanto dobbiamo aspettare
per vedere arrivare qui una vera Schlein, non il dominio del passato ma il
coraggio del cambiamento?
Articolo
pubblicato su Il fatto quotidiano del
29 marzo 2023