giovedì 27 marzo 2014

Divorzio e nuove nozze _ GESÙ E LA DONNA DAI CINQUE MARITI


di  Raniero La  Valle
Della comunione ai cattolici che dopo un divorzio vivono un secondo matrimonio, ormai si discute in tutta la Chiesa. La decisione sarà presa dal Sinodo dei vescovi, ma è adesso che se ne stanno ponendo le premesse dopo le caute aperture del Papa e l’ipotesi fatta al Concistoro dal cardinale Kasper,  di una riammissione all’eucaristia dei divorziati risposati dopo un percorso penitenziale, sulla scia della Chiesa antica e in sintonia con la Chiesa ortodossa orientale.
Al di là della soluzione proposta, l’approccio del cardinale Kasper è di straordinario valore: da un lato perché dalla dottrina dell’indissolubilità oggi vigente  egli torna alla fonte da cui è scaturita, cioè al Vangelo che “non è una legge scritta ma è la grazia dello Spirito Santo” (lo diceva pure san Tommaso), e dall’altro perché mette in guardia rispetto a una prassi ecclesiale che a partire dalla negazione dell’eucaristia ai genitori divorziati, rischia di separare dai sacramenti e dalla fede i loro figli, così che “perderemo anche la prossima generazione, e forse pure quella dopo”.
Durissimo però è il fuoco di sbarramento già lanciato da quanti si oppongono ad ogni cambiamento della disciplina ecclesiastica in materia, che a loro parere la Chiesa stessa non avrebbe il potere di modificare; e tra i più agguerriti difensori di tale ortodossia non ci sono solo prelati credenti, ma anche atei devoti che, come Giuliano Ferrara, si proclamano non credenti che vogliono vivere in un mondo di credenti, ritenuto molto più funzionale per loro.
Anche per la pressione di questi strumentalismi esterni, il dibattito ecclesiale rischia di polarizzarsi su posizioni radicalmente contrapposte che non rendono onore all’oggetto del contendere, quando l’oggetto del contendere comprende beni preziosissimi che sono cari ad ambedue le parti in contrasto tra loro, e cioè il significato dell’eucaristia, l’accoglimento e la retta interpretazione delle parole di Gesù, la capacità risanatrice e salvifica della Chiesa, la misericordia e la tenerezza di Dio. C’è il rischio che per difendere la propria tesi si rovesci il senso delle cose, che ad esempio un dono di Dio diventi un giogo, o che una scelta fatta per amore di Dio sia imputata a peccato, o che il primato della coscienza degeneri in anomia.
Continua...

martedì 18 marzo 2014

QUESTO PAPA PIACE TROPPO?

Discorso tenuto alla DOZZA, Bologna, il 16 marzo 2014

Evangelii Gaudium: Una regola francescana per l’evangelizzazione
di Raniero La Valle 

Papa Francesco ci ha avvertito: non bisogna fare l’esaltazione del Papa. Lo ha detto nell’intervista al direttore del Corriere della Sera (5 marzo 2014): non mi piace “una certa mitologia di papa Francesco;  Sigmund Freud diceva, se non sbaglio, che in ogni idealizzazione c’è un’aggressione”.
Questa lucidità del Papa è impressionante: in effetti l’esaltazione incondizionata è un ingrediente della ideologia sacrificale, che finisce nel capro espiatorio. Questa è una cosa che ha spiegato René Girard, l’antropologo che ha letto il Vangelo come lo smascheramento dell’ideologia del sacrificio: nella esaltazione e nel rito di incoronazione del re, come nell’acclamazione del messia, c’è un omicidio differito, c’è la preparazione della vittima. Il Papa, che ha avviato un difficile e contrastato processo di riforma della Chiesa, lo sa; in certi ambienti, come già accadde a papa Giovanni, egli è oggetto di una sorda ostilità; Giuliano Ferrara, parlando insieme ad altri e anche per molti che tacciono, ha addirittura scritto un libro: “Questo Papa piace troppo”. A loro invece non piace e ne farebbero volentieri a meno. E la ragione è che questo Papa non vuole “lasciare le cose come stanno”, come ha scritto nella Evangelii Gaudium (al n. 25);  in modo più preciso, due cose egli non vuole lasciare come stanno: una è la Chiesa, che, così come stava, non produce Vangelo, ma carrierismi, malinconie, facce da funerale, cattive finanze e anche, nei seminari, “piccoli mostri”, come ha spiegato ai Superiori generali (Civiltà Cattolica, 3 gennaio 2014); e l’altra è il mondo che, così come sta, è in ginocchio davanti al denaro, produce morte ed esclusione e ribalta il precetto universale dell’amore nell’ideologia dell’indifferenza.

Non bilanci

Quindi non si deve fare nessuna esaltazione incondizionata del Papa; ma neppure si possono fare già dei bilanci, dopo il primo anno di pontificato, perché in realtà questo pontificato ancora non si è rivelato. Come dice la Dei Verbum del Concilio, al n. 2, l’ “economia della Rivelazione comprende eventi e parole intimamente connessi”, quindi bisogna guardare agli eventi e alle parole che rivelano il senso di questo pontificato; però è ancora troppo presto, di parole ce ne sono già molte ma di eventi ce ne sono ancora troppo pochi; in questo senso il pontificato di Francesco deve andare ancora a regime.
Continua...

giovedì 13 marzo 2014

Verso le elezioni di maggio


La federazione europea c’è, ora ci vuole la democrazia
 di Raniero La Valle

Potrebbe essere uno sterile esercizio cercare di fare previsioni su quello che sarà l’esito delle prossime elezioni europee, perché le elezioni non sono un fattore determinante del futuro europeo. Lo sarebbero se le istituzioni europee fossero istituzioni democratiche, perché allora il voto degli elettori deciderebbe del governo e della politica, come avviene nelle democrazie e come avviene ancora da noi. Ma le istituzioni europee non sono democratiche, non c’è una Costituzione europea, ci sono solo dei trattati internazionali fatti dai governi su misura dei mercati, e con il voto di maggio non si potrà nemmeno decidere se a fare il presidente della Commissione dovrà essere il tedesco socialdemocratico Schulz o il greco di sinistra Tsipras, perché pur tenendo conto dei risultati elettorali e delle preferenze del Parlamento di Bruxelles, a decidere su chi comanda in Europa resteranno i governi, e naturalmente i più forti tra loro.
Certo, sarà interessante vedere che seguito potrà avere la nuova lista di sinistra “L’Altra Europa” capeggiata da Tsipras, nel momento in cui quella che fu la sinistra italiana è dispersa tra l’elettorato grillino, ciò che resta del PD catturato nell’avventura personalista di Renzi, l’ex sinistra democristiana rottamata nel centrosinistra e le varie anime della cosiddetta sinistra alternativa. I sondaggi accreditano la lista di Tsipras di 5 o 6 deputati eletti, ma questa lista è viziata da un peccato d’origine, che è la presunta contrapposizione tra una società civile, che sarebbe pura, e la società politica dei partiti che sarebbe contaminata e esecranda. Infatti la lista è stata promossa da intellettuali, con al centro il nome di Barbara Spinelli; ma essi hanno decretato che i partiti e i loro dirigenti non ci dovevano entrare, e quando questo criterio di purità rituale è stato violato, sono cominciati i litigi e Paolo Flores D’Arcais e Andrea Camilleri, che erano tra i padri nobili dell’iniziativa, si sono defilati e hanno tolto la loro garanzia al prodotto.
Continua...

domenica 9 marzo 2014

L’INDISSOLUBILITÀ TRA UNIVERSO MASCHILE E FEMMINILE


  Pubblichiamo il discorso tenuto in occasione dell’8 marzo alla Casa delle Donne di Roma da Raniero La Valle, a proposito del libro di Marcella Delle Donne, “Voce donna, femmina dell’uomo” (Edizioni Albatros, 2013)

Abbiamo tra le mani un libro, un piccolo grande libro.
Piccolo perché sono 96 pagine, neanche scritte tutte. Grande perché non sai che libro è, e intanto ci vuole una densissima prefazione di un’antropologa, Alessandra Broccolini, per cominciare a capire di che libro si tratta e quali problemi ci pone.
Un libro di storie
Intanto è un libro di storie. Storie di donne. Ma qui c’è una prima sorpresa. Perché subito ti accorgi che non è solo storia di donne, ma inevitabilmente è storia anche di uomini. E’ vero, a scandire tutti i racconti ci sono nomi di donna – Fabiana, la fanciulla bruciata, Amina, la vittima innocente del Darfur, Fatima, la musulmana innamorata, Carmelina, la fuggiasca pugliese suicida, Giuseppina, la ribelle antimafia dell’Aspromonte, Sonia, la primaria dell’ospedale multietnico di Sarajevo, Jole, la pittrice mancata, Fiore, l’italiana di patria tedesca e con una zingara come samaritana, e infine c’è la stessa Marcella, combattuta tra l’istante e l’eterno -; ma ecco dietro i nomi di donna ci sono sempre i nomi dell’uomo, David, il figlio della mafia, Pietro, l’illuminato volterriano, Berlusconi, il cavaliere orgiastico, Peppe il pittore infedele, Elio, il piccolo contadino divenuto ingegnere, Ercole, l’agricoltore che mieteva il grano vicino a San Pancrazio, quando Roma era ancora in campagna.
Poi ti accorgi che in queste storie dove sempre serpeggia la violenza, non sempre è l’uomo il nemico delle donne; spesso invece altre donne sono nemiche delle donne e come nemiche ci sono anche comunità intere; nel caso degli aborti selettivi a danno delle bambine, misogine – quando non costrette – sono anche le mancate madri; Amina, violentata presso la fonte, subisce l’ostracismo ed è condannato da tutto il villaggio, maschile e femminile; di Carmelina, abbattuta sulla via della fuga dalla famiglia e violata dagli stupratori, dice il vicinato che se l’è andata a cercare, la gente sussurra, si scuotono le teste, non solo quelle virili; Fiore subisce il diktat materno che le stronca la vocazione, le cambia la vita.
Naturalmente c’è la ragione di questo, è la cultura patriarcale interiorizzata anche dalle donne; ma questo basta a dire che per cambiare la società la lotta non è di un genere contro l’altro genere, ma è di tutta la specie; ed è una lotta anche dentro lo stesso genere: infatti come gli uomini obiettori di coscienza si oppongono al potere maschilista della guerra, così le donne in nero si oppongono alle donne in grigioverde o in mimetica del loro esercito che partecipano alla repressione.
E qui c’è il primo pregio di questo libro, che essendo un libro di storie, non è il libro di una ideologia, fosse pure un’ideologia femminista; perché ci sono più cose e più ricchezze nelle storie, di quante non possano essere racchiuse nelle ideologie. E da qui viene una prima avvertenza e cioè che il destino del femminismo non sta nell’elaborare la separazione conflittuale tra i sessi, ma nel rendere veramente umano il loro intreccio.
Continua...