martedì 29 agosto 2023

PACE, TERRA E DIGNITÀ


Quello che segue è l’intervento che Raniero La Valle, a nome suo e di Michele Santoro, ha pronunciato all’assemblea “E se spuntasse un Arcobaleno?” tenutasi il 26 agosto 2023  alla Versiliana di Marina di Pietrasanta.

Prima di tutto vorrei ringraziare Michele Santoro che con la sua straordinaria capacità di convocazione e lettura degli eventi, ci ha riunito in questa grande assemblea. Siamo qui  per dare voce a un sogno, un sogno comune, suo e mio, e credo anche vostro, il sogno che finalmente appaia un Arcobaleno.  L’Arcobaleno è un simbolo potente, perché unisce la terra col cielo. Sul cielo noi non abbiano giurisdizione, ma sulla Terra sì; e sulla terra che cosa vorremmo che questo Arcobaleno segnasse e portasse? Vorremmo tre cose, prima di tutto la Pace; la Pace non ha nulla al di sopra di sé, la pace è sovrana, la pace non ha scambi da fare con alcuna altra cosa al mondo, è la condizione di tutto, quella per la quale viviamo, speriamo ed amiamo. E la seconda cosa è proprio la Terra, questa Terra che ci stanno togliendo da sotto i piedi, questa terra infuocata, questa Terra dove si rompono le acque, questa Terra dove si accendono i fuochi, dove bruciano le foreste, dove finisce l’ossigeno, questa Terra che è la nostra madre, la dobbiamo recuperare, difendere, salvare. E la terza cosa è la Dignità, la Dignità delle persone che l’hanno perduta, a cui non viene riconosciuta. Pensate solamente ai migranti, non solo sono abbandonati al mare, ma prima ancora di essere lasciati al naufragio e alla morte sono negati nella loro dignità, vengono scambiati per denaro, si va a Tunisi a dire: “quanti soldi volete per non fare arrivare i migranti da noi?”. Allora queste tre cose, la Pace, la Terra e la Dignità sono le cose che noi vorremmo a questo Arcobaleno chiedere, perché si riversino qui sulla Terra. L’Arcobaleno è anche un segno polivalente, perché l’Arcobaleno può sorgere in qualunque punto del cielo. Noi vorremmo che sorgesse qui in Italia, in Occidente, dove giacciono i nostri valori, ma può sorgere anche altrove; io ricordo, nel 1987, avevamo una rivista che si chiamava “Bozze”, e facemmo un titolo così: se la Pace viene dall’Est. Allora erano altri tempi, c’era Gorbaciov, la Russia si chiamava in un altro modo, però in quel momento c’era la guerra atomica, c’era il pericolo dell’ecatombe nucleare, ma da lì venne la proposta di “un mondo senza armi nucleari e non violento”. E quindi l’Arcobaleno può sorgere oltreoceano, può sorgere qui da noi, può sorgere nel Sud del mondo, o può sorgere all’Est.

E allora per realizzare questo sogno, Santoro ed io, insieme, facciamo un appello. Non lo facciamo solo ai pacifisti, non è roba di pacifismo; noi abbiamo molta gratitudine per i pacifisti che hanno tenuto alta la fiamma della Pace in questi anni di guerre e di guerre. Però questo appello va al di là dei pacifisti. Noi facciamo un

APPELLO

Ai Pacifici, che sono una moltitudine. Ai figli di Dio che prendono la Terra per madre, Ai resistenti perché nessun volto sia oltraggiato e la Dignità sia riconosciuta a tutte le creature,  Agli eredi di milioni di uomini e donne che hanno lottato per il lavoro, per l’emancipazione e per la libertà dal dominio pubblico e privato, A quanti si ribellano al sacrificio – c’è questa ideologia del sacrificio – ci rivolgiamo a quanti si ribellano al sacrificio degli uni per il tornaconto degli altri. Ai giovani che abbiamo perduto, a cui non abbiamo saputo garantire il futuro.

È questo un appello che affidiamo agli organizzati e ai disorganizzati,  ai militanti di tutti i partiti, agli elettori di tutte le liste e agli assenti dalle urne, agli uomini e donne di buona volontà e a quelli di deluse speranze, a quanti godono di buona fama e a chi soffre di  una cattiva reputazione, agli inclusi e agli scartati .

Noi ci rivolgiamo a Voi non perché siamo da più di voi, ma perché siamo Voi.

Noi vogliamo dare una rappresentanza a  tre soggetti ideali che ancora non l’hanno o l’hanno perduta, a tre  beni comuni  che tutti dovrebbero curare e difendere  in questi tempi di ferro, tre beni comuni che sono il “minimo sindacale” o il “minimo politico” da rivendicare per tutti:  Anzitutto la Pace, da cui tutto dipende, nella quale viviamo, speriamo e amiamo, una pace da istituire come ordinamento originario e sovrano come lo è stata finora la guerra; in secondo luogo la Terra, da salvare come madre comune di tutti;  e infine la Dignità da rispettare di ogni creatura.

Quanto alla PACE, tutti dicono di volere la pace nel mondo, ma questa non si può nemmeno pensare se prima non finisce questa guerra in Europa, dunque è una seconda pace, ed è una bugia quella di chi dice di volere la seconda pace se non vuole e impedisce la prima.

Noi sappiamo invece che LA PACE DEL MONDO è politica, imperfetta e sempre a rischio. Essa è assenza di violenza delle armi e di pratiche di guerra, vuol dire non  rapporti antagonistici né sfide militari o sanzioni genocide tra gli Stati, implica prossimità e soccorso  nelle situazioni di distretta e di massimo rischio a tutti i popoli.

E sappiamo che l’antagonista alla pace non è semplicemente la guerra, ma è il sistema di guerra che ormai è diventato il vero sovrano e “padre di tutti”, tanto che comanda ogni cosa, pervade l’economia e domina la politica anche quando la guerra non c’è o non è dichiarata. Noi infatti siamo in guerra, ma avete forse sentito che le Camere abbiano deliberato lo stato di guerra, secondo l’art. 78 della Costituzione? E forse Mattarella ha dichiarato lo stato di guerra, secondo l’art. 87 della Costituzione? E intanto la guerra d’Ucraina non riesce a finire, benché in essa entrambi i nemici già ne siano allo stesso tempo vincitori e sconfitti. Una vittoria l’ha avuta infatti l’Ucraina che è diventata la star del mondo, è stata adottata dalla NATO e, pur tributaria dell’Occidente, non ha perduto la sua sovranità. Ma ha vinto pure la Russia perché ha fronteggiato la NATO, non è stata ridotta alla condizione di paria, come Biden voleva, né è stata espulsa dal consorzio mondiale.

Tuttavia  la guerra ha anche inflitto alla Russia, all’Ucraina e all’America una severa sconfitta. Alla Russia perché con l’aggressione ha compromesso  il suo onore. All’Ucraina perché chi, governandola, la doveva difendere l’ha gettata in una fornace di fuoco ardente, le famiglie sono divise perché gli uomini sono trattenuti per combattere mentre in tutti i 72 distretti di reclutamento, come è stato rivelato,  la corruzione ha permesso a molti di sottrarsi alle armi e la controffensiva ucraina è fallita.  Ma sconfitta è stata anche l’America perché non ha raggiunto i suoi scopi, ha profuso miliardi che peseranno sul suo debito, mentre viene messo in gioco il monopolio del dollaro negli scambi  mondiali, la sua vera ricchezza, né essa potrà conseguire quel dominio globale che si riprometteva debellando la Russia per poi far guerra alla Cina. E a pagare le spese della guerra siamo anche noi, i veri corrotti e sconfitti nel giudicarla e darne conto.

Ma se già sono arrivare vittorie e sconfitte,  perché questa guerra non finisce? Non finisce perché la guerra d’Ucraina, così ben piantata nel cuore dell’Europa per rialzare la vecchia cortina sul falso confine tra Occidente ed Oriente, è funzionale o addirittura necessaria al sistema di guerra, e perciò gli stessi negoziati sono stati proibiti.

Dunque, prima di tutto la Pace. Il secondo bene da salvare è la TERRA. La terra è in pericolo, essa non è un patrimonio da sfruttare, un ecosistema da aggredire, ma la casa comune da custodire, da tornare a rendere abitabile per tutte le creature, da arricchire con i frutti del nostro lavoro e le opere del nostro ingegno. Essa è  oggi in attesa di una nuova nascita e soffre le doglie del parto.

Infine, il terzo assillo è LA DIGNITÀ, degli uomini, delle donne e di tutte le creature. La dignità da difendere è quella della libertà e della ragione, del lavoro e del tenore di vita, la dignità del migrante per diritto d’asilo e del profugo per ragioni economiche, del cittadino e dello straniero, dell’imputato e del carcerato, dell’affamato e del povero, del malato e del morente, della donna e dell’uomo e, nel loro ordine, di ogni altra creatura.

Dunque abbiamo tre beni da salvare, come i “tria bona” di cui parlano i monaci di Camaldoli, lì dove qualche giorno fa è andato il presidente della Repubblica per ricordare il “codice di Camaldoli”. Ma prima di tutto noi vogliamo la pace  e ciò che è oltre la pace, e lo chiediamo a chi gestisce il potere, anche ai partiti. Noi non neghiamo rispetto e stima ai partiti e alle loro personalità più eminenti, ma sappiamo che essi non possono affrontare la totalità delle sfide e che in quanto partiti non sono tali da farsi carico di tutte le parti della realtà.

Perciò senza ignorare i partiti, prendiamo partito. Il nostro è un PARTITO PRESO per la pace, la Terra e la dignità, e a queste vogliamo dare una rappresentanza, una presenza, in tutte le sedi.

Non aspiriamo alla stanza dei bottoni, ma la vorremmo più aperta e trasparente, non ci affascinano i Palazzi ma i Parlamenti. Vorremmo una scuola che non trasformi i ragazzi in capitale umano, in merce nel mercato del lavoro, in pezzi di ricambio per il mondo così com’è[1], ma in padroni della parola, coscienti e cittadini. Amiamo i valori dell’Europa e dell’Occidente ma congiunti a quelli di ogni altra tradizione e visione,  non pretendiamo un mondo a nostra misura, tanto meno uniformato al modello di “democrazia, libertà e libera impresa”, che si è voluto esportare con le guerre umanitarie e per procura, consacrando così l’”economia che uccide” e la guerra che è incompatibile con la democrazia e che anche prima del nucleare devasta la Terra.  Non vogliamo il “decennio di competizione strategica” progettato in America fino alla “sfida culminante” con la Cina. Pensiamo a una comunità internazionale placata e garantita da un costituzionalismo mondiale. Resistiamo al dominio e rifiutiamo la lotta per l’egemonia. Nei confronti di quanti oggi lasciamo in balia del mare e che noi, da soli o con l’Unione Europea,  respingiamo o ”ricollochiamo” nei lager e nei deserti, non è alla “sostituzione etnica” che dovremmo imprecare, ma è piuttosto alla sostituzione etica della nostra idea di confini, di identità e di supremazia che dovremmo provvedere.

 

Il nostro è dunque un appello per dare vita a una grande

Assemblea permanente

il cui obiettivo sia una politica che prenda in mano il mondo non per farne un impero delle armi e del denaro ma per preservarlo e fare sì che la natura sia salva e che la storia continui.

un’Assemblea permanente per rovesciare il corso delle cose presentI e preparare un altro avvenire per l’Italia e per l’ Europa.

un’Assemblea in cui tutti parlino e tutti ascoltino, un’Assemblea che mandi suoi rappresentanti in tutti i luoghi delle decisioni, che partecipi a tutte le elezioni, che abbia eco nelle università, nelle scuole, nei palazzi del potere, e susciti nuovi pensieri e progetti alternativi così nelle riunioni dei partiti come perfino nell’Assemblea dell’ONU.

Si avvicinano le elezioni europee e risuona per l’Europa la domanda gridata da papa Francesco: “Dove vai Europa?”. Essa ha tradito le ragioni della sua unione abbandonando gli ideali per cui è nata, che è il patrimonio di quanti hanno resistito all’idea di Europa voluta da Hitler, fino al sacrificio dei maquis in Francia, dei partigiani in Italia, dei ghigliottinati e impiccati in Austria e in Germania.

È materia di discussione se e come questo soggetto politico nascente dovrà avere un suo ruolo nel confronto elettorale, in ogni caso lo dovrebbe fare non  vivendo le elezioni come una competizione all’ultimo voto, nella consueta logica dello scontro tra amico e nemico. Perché non dovrebbe essere possibile nella competizione elettorale muoversi come  Alexander Langer chiedeva per il confronto politico,  in modo “più lento, più profondo, più dolce”?  la si dovrebbe affrontare in effetti in modo inclusivo, cercando tutte le convergenze appropriate e avendo per obiettivo il cambiamento  dell’Europa, perché si faccia protagonista dello stabilimento della pace sulla Terra.

Questo cambiamento implica anche l’aggiornamento delle culture e dei linguaggi, l’abbandono degli stereotipi e delle parole  usurate, Bisognerà rovesciare le priorità, per essere credibili, bisognerà dire non “prima Noi” ma “prima gli ultimi”, perché se si salvano gli ultimi si salvano anche i primi, bisognerà dire che ogni straniero è cittadino,  che ogni patria straniera è nostra patria, e ogni patria è straniera. E dovremmo operare perché tutto ciò si faccia ordinamento con le sue Costituzioni, le sue leggi, le sue garanzie e le sue giurisdizioni per tutta la terra.

Infine vorrei citare un altro sogno, di David Maria Turoldo, un grande poeta e amico nostro, traendolo da una sua poesia dedicata a Rigoberta Menchù, un’india del Guatemala  che ha lottato per i diritti del suo popolo maya e delle altre minoranze oppresse, e per questo ha ricevuto nel 1992 il Premio Nobel per la pace. Rigoberta aveva raccontato questa storia in un libro intitolato “Mi Chiamo Rigoberta Menchù” e padre Turoldo le aveva dedicato una ballata dallo stesso titolo, prendendola a simbolo del riscatto  dei poveri e della lotta per la pace.  Io vorrei citare questa ballata cambiando semplicemente il nome di Rigoberta Menchù nel nome di Alan Kurdi, il bambino siriano di tre anni con la maglietta rossa, di etnia curda, che fu  trovato morto sulla spiaggia di Bodrum, in Turchia, dopo un naufragio che almeno quella volta commosse il mondo, un gommone che fu travolto e annegarono in molti, anche un suo fratello e la  mamma..  Questa famiglia, fuggita dalla guerra in Siria, non aveva ottenuto di poter emigrare in Canada, e per rifugiarsi in Europa aveva osato un tragico passaggio in mare; dunque il piccolo Alan con la maglietta rossa è un simbolo di tutti e tre i beni che abbiamo perduto o stiamo perdendo: la pace, la Terra, e la dignità delle persone, la dignità sia di quanti sono rifiutati e diventano residui umani nel mare, come pane spezzato che noi abbandoniamo ai pesci dicendo: “prendete e mangiate”, sia di chi li respinge e li scambia per denaro

Leggo da padre Turoldo:

Gente, uomini che non avete importanza

voi giovani che non sapete che fare

in cosa credere

anche voi ragazzi e ragazze di tutte le città

avanti che diciate

tutti  “non c’è  niente, non c’è niente

da fare, il Palazzo non farà mai

una crepa!”  ecco, non ridete

e neppure pensate che sia un delirio: invece

è un sogno, un lucido

e consapevole sogno

reale e possibile!

Prima leggete “Mi chiamo

Rigoberta Menchù”

(e qui possiamo dire mi chiamo Alan Kurdi). Poi

andate in giro per tutte le strade

portando solo la scritta “Mi chiamo

Alan Kurdi” o dicendo a tutti

appena questo, “Mi chiamo Alan”

tutti con cartelli alzati, a voce

a piena voce tutti a dire

per tutte le strade e sotto tutti

i Palazzi e le Case Bianche del mondo

e le Cattedrali e gli Episcopi

tutti a dire solo questo “Mi chiamo

Alan Kurdi”, appena

uno, prima, poi due, poi cinque

e cento e mille e migliaia

a gruppi, in coro, a gran voce

da riempire le piazze, da uccidere

ogni altro fragore e poi

Il silenzio, un grande

Improvviso silenzio che faccia

paura! E il grido dopo, da solo,

come un boato: “Mi chiamo

Alan Kurdi!”. Un boato

che mandi in frantumi almeno

i vetri del Palazzo, un urlo

che sovrasti perfino le voci

di tutti i predicatori. Così

 

A uno a uno, e insieme, a ondate

Ritmando solo il suo nome\

“Mi chiamo Alan Kurdi”

Insieme, tutti, cantando

quasi fosse una cascata di acque

un fiume fresco di suoni e acque

a lavare ogni immondizia

e ristorarci di ogni avvilimento

e che doni a tutti la gioia

dei mattini che sorgono, la gioia

alla terra di essere terra

e di fiorire ancora.

[1] http://www.costituenteterra.it/attualita-di-don-milani/

Continua...

mercoledì 16 agosto 2023

 EUROPA TERRA METICCIA

 


Negli ultimi giorni si sono moltiplicati i naufragi e gli approdi dell’ormai immenso popolo dei migranti, vittima del nostro genocidio. In un naufragio a Lampedusa ci sono stati 41 morti, al largo di Marettimo 2 morti e due “dispersi”, cioè annegati, nei pressi della Tunisia, a Sidi Mansour, 18 morti, altri 12 al largo di Sfax e un naufragio anche nella Manica, con 6 vittime che i francesi hanno sepolto a Calais. Il cimitero del mare: ma un cimitero ancora più grande, ha detto papa Francesco tornando da Lisbona, è il Nordafrica, dove prima dei naufragi,  i profughi finiscono nei  lager. Ormai flottiglie intere attraversano il Mediterraneo, perfino la Guardia costiera, nonostante Salvini, è costretta a chiedere aiuto alle navi umanitarie altrimenti sequestrate o mandate dal governo in porti lontani.

Sempre più si avvicina una situazione per la quale saranno possibili solo due scelte: una, la più facile e perversa, mandare la flotta , secondo la prima idea di Giorgia Meloni, per difendere i confini marittimi sul “Mare nostrum” come diceva il fascismo ora tornato di moda; e la seconda, la più difficile ma virtuosa e aperta alle speranze del domani, è quella di far mancare il mare sotto i piedi ai trafficanti, e aprire i porti e i confini, e riconoscere il diritto universale di migrare (lo ius migrandi per la prima volta teorizzato da Francisco de Vitoria una volta “scoperta” l’America). La scelta politica di domani dovrà essere dunque di fare arrivare i profughi, i richiedenti asilo, i fuggiaschi per le guerre la fame ed il clima, o anche semplicemente i migranti in cerca di un nuovo mondo, con le navi di linea, gli aerei di ogni compagnia, i bus, le macchine e ogni altro vettore palese e legale.

Allora sì, che si dovrà organizzare l’accoglienza, e dovranno cambiare molte cose, nei nostri stessi modi di vita, nell’incontro con gli altri.  Ma, come diceva De Gaulle, che pure si può considerare un  cultore della nazione, “l’avvenire è nel meticciato”; come ricordava Senghor “tutte le grandi civiltà sono state civiltà di meticciato” e, come scriveva già nel 1999 il teologo francese Jacques Audinet nel suo libro “Le temps du métissage”  (in italiano Ed. Queriniana), “Guardare in faccia il meticciato promette all’Europa di intraprendere un immenso mutamento di mentalità: la fine della sua egemonia politica ma ancor più intellettuale e culturale. In positivo, dire la novità di quanto sta accadendo sul suo suolo, la trasformazione delle identità, delle relazioni. Insomma il proseguimento di ciò che l’Europa ha sempre fatto e di ciò che ha fatto l’Europa, ma che curiosamente gli ultimi secoli hanno occultato. L’Europa terra meticcia. Il tema comincia a imporsi. Terra di mescolanze, sicuramente. La Francia in particolare si è costituita attraverso un apporto costante e un’interpenetrazione di vari popoli. Ma allora, perché mascherarlo, o cercare di dimenticarlo?”

Continua...