L’Italia
è bella. Ce ne siamo resi conto al ricevere una lettera da un prete libanese,
padre Abdo Raad, che non potendo far ritorno al suo Paese è rimasto bloccato in
Italia , ma si dice “fiero” di esserci, e ne tesse le lodi perfino in modo
eccessivo, mostrando in che modo si è realizzato il “prima gli Italiani”, nel
fatto che contro tutto il pensiero dominante, e perciò evidentemente non
“unico”, essi hanno scelto tra tutte le cose la vita, e la vita degli altri, e
non per ideologia, come nelle campagne antiabortiste, ma per amore.
Questo
infatti è ciò che l’Italia sta insegnando al mondo, non perché sale in
cattedra, ma semplicemente con l’esserci.
E
allora si vede come l’Italia è bella.
Le
sue città non sono mai state così belle. Non solo perché i pesci, come dicono,
sono tornati a nuotare nei canali di Venezia. Ma perché quelle piazze vuote,
quelle strade deserte, quei monumenti che sembrano bastare a se stessi, anche
se non più fruiti dai turisti, non mostrano un vuoto, ma un’attesa struggente
di essere di nuovo vissuti, una maestà sconosciuta, un’eloquenza che in tutti i
modi e con molti segni dichiara il dolore di tanto silenzio.
È
bella l’Italia perché, pur nel cosiddetto “distanziamento sociale” (almeno un
metro, un metro e mezzo!), mostra come siano forti i suoi legami sociali,
autismo e individualismo non sono vincitori. Uno straordinario darsi degli uni
agli altri si sperimenta nelle corsie, nelle sale di rianimazione, nelle “prime
linee”, così come nei lavori necessari, nella comunicazione incessante, nel
volontariato, nelle mille diaconie e negli incensibili e inopinati ministeri.
Ha ricordato il vescovo di Bergamo che ogni cristiano, grazie al battesimo, può
essere portatore di benedizione: un padre può benedire i figli, i nonni possono
benedire i nipoti; ma allora anche medici e infermieri, fossero pure non
credenti, “quando vedono morire gente da sola, ha detto il vescovo, se
percepissero un desiderio, potrebbero con le loro mani offrire anche la
benedizione di Dio”; e così avviene.
È
bella l’Italia perché nel massimo del dominio della legge, del divieto, dei
limiti imposti e accettati, manifesta un massimo di democrazia. Non è vero che
la democrazia rappresentativa non può essere “governante”, che ha bisogno di
correzioni autoritarie e presidenzialiste, di strette gerarchiche, di poteri
usurpati (“i pieni poteri!”). La democrazia funziona, il consenso non è mai
stato così alto. Certo l’esperienza di questo “stato d’eccezione” è nuova, nemmeno le
Costituzioni l’avevano prevista e normata. Ma proprio in questo si rivela la
superiorità di uno Stato costituzionale sui regimi senza Costituzione. Perfino
in ciò che ancora non dice, la Costituzione ci tutela, ci fa figli della
libertà, ci fa responsabili, solidali. Certo il sistema costituzionale andrà
aggiornato, nuove norme dovranno garantirci per il futuro, e ancora di più
dovremo batterci per una Costituzione mondiale; ma intanto la democrazia c’è e
respira, le opposizioni danno di gomito per farsi vedere, dopo aver sbagliato
su tutto, ma in realtà non hanno altro da dire, finché anch’esse non
cambieranno.
L’Italia è bella perché al momento della prova si è fatta sorprendere con
gli uomini giusti al posto giusto. Ed è come se i ruoli si fossero arricchiti,
e addirittura rovesciati. Prendete il vescovo di Roma, il papa. Certo, non è
solo per l’Italia; ma intanto è qui che soffre per il mondo. Ed è uno
spettacolo straordinario vederlo profeta e guida dei “non messalizzanti”, come
i sociologi erano abituati a chiamare i non credenti e non praticanti. Oggi i
non messalizzanti sono tutti, o quasi tutti, e allora quella Messa quotidiana
del papa dall’inedito eremo di Santa Marta è diventata la Messa sul mondo, e
perfino la Televisione italiana la trasmette, compreso il lungo silenzio finale,
e ne fornisce il segnale ad altre emittenti. Ma il papa non approfitta di una
udienza così allargata per imporre la sua parola; mercoledì, infatti, nel
giorno dell’annuncio a Maria, la sua omelia non è stata altro che rileggere una
seconda volta quel passo del vangelo di Luca. Vi basti il Vangelo, “sine
glossa”, diceva l’altro Francesco. Ma qui una “glossa”, folgorante, da parte
del papa, c’è stata: ha detto che Luca di quell’ “annunciazione” non aveva
potuto saperlo che dalla Vergine stessa; perciò quel Vangelo non è la cronaca
di un evento che non ha avuto testimoni, ma è il racconto di Maria, la sua
autobiografia più segreta, è la parola di una donna che rivela un mistero, ciò
da cui ha avuto inizio la fede nell’incarnazione e ha preso avvio il cambiamento
del mondo. Dunque tutto l’evento decisivo della storia è accaduto tra due
testimonianze di donne: Maria, col concepimento, la Maddalena con la resurrezione.
“Sulla tua parola…”. E le donne erano inaffidabili!
E prendete il presidente della Repubblica: il suo ruolo è di presiedere
ai “cittadini”, ma si preoccupa di tutti. Chi sono più i cittadini dinanzi
all’universalismo del virus, e alla comune risposta che bisogna dargli oltre
ogni frontiera? Davvero la cittadinanza è l’ultima discriminazione che deve
cadere. E Mattarella scrive al presidente tedesco augurandosi che l’esperienza
italiana serva alla Germania e agli altri Paesi, perché ne sia alleviata la
prova. E noi stessi riceviamo l’aiuto, non dall’Olanda, o dai più ricchi Paesi
europei che sono troppo affezionati al denaro e al rigore, ma dalla Cina, da
Cuba, dalla Russia, i nostri da noi dichiarati nemici di un tempo.
E guardate Conte: non lo volevano prendere sul serio, lo dileggiavano
come un travicello in altre mani. Ma quando le altre mani sono venute meno,
sono rimaste e si sono levate le sue, e governa con fermezza nella tempesta, ma
anche con tenerezza ed equità; non ha una sua parte a cui badare, ma tutte le
attraversa, come il samaritano, senza iattanza, formato com’è alla scuola del
cardinale Silvestrini. Per questo i grandi poteri lo vogliono cambiare con
Draghi, come se non si fosse già fatta l’esperienza di Monti.
E dei ministri prendete quello della forza più piccola, quel ministro
della sanità che sembra essere nato per pensare alla salute di tutti.
È bella l’Italia perché mentre molti dicono che dopo saremo “migliori di
prima”, è adesso che ci scopriamo migliori di quanto pensassimo. Sul futuro non
ci potremmo giurare, altre volte dopo le tragedie ci sono state regressioni,
cecità e odiose restaurazioni. Già adesso del resto si fa forte un mondo che è
duro a morire. Basti pensare alla pretesa che mentre tutto chiude, resti attiva
la filiera dell’aerospazio e della difesa: una bella caduta di credibilità e
sensatezza di un governo altrimenti apprezzabile. È come se non si potesse
decidere di smettere la produzione di armi per guerre non metaforiche, come
quella del virus, ma guerre reali, presenti e future, al servizio delle quali si
spendono oggi nel mondo 5 miliardi di dollari al giorno La verità è che il
tempo di cambiare è questo, non quello futuro, e il futuro dipende dalle scelte
che oggi facciamo. Non bisogna chiedersi che cosa faremo e come saremo “dopo
Coronavirus”, ma che cosa facciamo e siamo “durante Coronavirus”. Il tempo è venuto
ed è questo.
È bella l’Italia, perché proprio qui si è potuto vedere attraverso le
dolenti statistiche di ogni giorno, che le donne resistono al virus molto più
degli uomini, ne sono colpite due donne contro otto uomini. È una scienziata
che ne ha fatto una notizia, la virologa Ilaria Capua. Non sanno spiegarsi il
perché, e invece forse è chiaro: perché toccherà a loro ridare ricchezza alla
vita, ripartire dal profondo, dire di sì al far dono alla terra dei “nati da
donna”.