giovedì 22 dicembre 2022

CHE GUERRA  E' 

 Zelenski non è Churchill e  Churchill non andava in giro vestito da soldato, ma come Churchill andò nel 1941 nella baia di Terranova per invocare l’intervento di Roosevelt  nella II guerra mondiale, così ora Zelensky è andato in America per chiedere a Biden e al Congresso – che lo ha festosamente accolto – il pieno coinvolgimento degli Stati Uniti nella sua guerra personale contro la Russia. Ne ha avuto piena assicurazione, in pensieri opere ed armi, ma con l’esclusione dei dolori e del sangue lasciati al patimento del solo popolo ucraino.  Questo è il prezzo della vittoria, se a tutti i costi la si vuole invece che la pace; questa la vorrebbero i popoli ma purtroppo non gli Stati e le loro organizzazioni collettive, militari, politiche  e giuridiche.

Se guerra è,  sotto mentite spoglie essa è già una guerra mondiale. È importante allora riconoscerla. È la stessa guerra che è stata combattuta nelle forme della guerra fredda nei decenni intercorsi tra la vittoria antifascista del 1945 e la rimozione del muro di Berlino nel 1989, e anche  il Nemico è lo stesso, benché  non più con la motivazione del comunismo, mentre il Muro, non più di pietra, non ci divide  meno di allora.  Per una residua saggezza delle classi dirigenti dell’epoca e la resistenza dei movimenti popolari allora si evitò che la guerra fredda precipitasse in una guerra totale. Oggi non si vedono precauzioni  che vengano assunte contro questa eventualità. È possibile però che la guerra sia stata assicurata e resa libera all’esercizio da un accordo stabilito tra i Servizi segreti per cui non si giunga fino all’uso delle armi nucleari. Così racchiuso nel segreto il futuro non può essere controllato da noi  mentre la politica è irrisa, il diritto impotente e la democrazia è sospesa. Dal canto suo l’Europa è distratta dalla corruzione, e l’Italia promuove la caccia ai cinghiali nelle ZTL.
In tale situazione ognuno deve prendere le sue responsabilità e decidere in che cosa deve sperare.
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mercoledì 16 novembre 2022

 LA LEZIONE


Naturalmente si può ammettere che il missile ucraino che ha colpito la Polonia, Paese la cui protezione è garantita dalla totalità degli armamenti convenzionali e nucleari di tutti i Paesi della NATO, non sia stato lanciato da Kiev per provocare una indignazione universale contro la perfida Russia (come peraltro è avvenuto), né per suscitare una ritorsione militare e politica contro di essa, né per bloccare i timidi tentativi americani di forzare Zelensky alla trattativa per un “cessate il fuoco”, ma che, come ha detto Erdogan a Bali, sia stato lanciato “per un errore tecnico”. Dunque nessuna volontà perversa, tutti possono sbagliare, tutti sono innocenti.
Resta il fatto che per molte ore l’ipotesi o addirittura l’opzione di una guerra mondiale nucleare è stata sui tavoli delle Cancellerie, dei Consigli di guerra, dei Comitati di difesa, dei Quartieri generali, dell’intera schiera dei Capi del mondo riuniti per tutt’altri motivi a Bali, oltre che essere avanzata nelle tifoserie dei nostri giornali e TV. Se questo fosse accaduto, sarebbe avvenuto contro l’intenzione, le previsioni e la volontà di tutti, perché tutti dicono, e con grandissima probabilità ne sono convinti, che una tale guerra non si deve fare. Tutti tranne uno, Zelensky, che addirittura voleva sciogliere l’ONU, perché di ostacolo a una guerra mondiale fatta ad uso dell’Ucraina. In ogni caso egli ci prova in altri modi: non per errore pone dieci condizioni impossibili come pregiudiziali a un negoziato con la Russia; né per errore si presenta a Kherson come “il condottiero” (Corriere della Sera) che si fa tributare il trionfo per la ritirata dei Russi dalla città, e con i soldati celebra le “vittorie sul campo grazie alle armi dell’Occidente e pagate col sangue ucraino”, con la mano sul petto e gli occhi alla bandiera, salendo, come diceva Joseph De Maistre, “su un mucchio di cadaveri da cui si vede più lontano”: 100.000 Ucraini, 100.000 Russi che sono i morti in questa guerra fin qui, e centinaia di migliaia di famiglie devastate; mentre altrettante e altrettanti ce ne saranno nei prossimi mesi, se questi saranno come quelli che abbiamo gestito finora. “Una inutile strage” secondo il lessico di un Papa come Benedetto XV, “fuori della ragione”, secondo il lessico di un Papa come Giovanni XXIII, “una sconfitta di fronte alle forze del male”, nel lessico di Papa Francesco, “una vittoria di David contro Golia” e “l’odio per l’invasore che non si placherà” nel lessico del Corriere della Sera.
Ce n’è abbastanza per dire che a una situazione parossistica come questa, capace di portarci per un errore alla fine del mondo, occorrerebbe porre al più presto rimedio.
Tutto ciò però oltre che farci misurare la portata etica della nostra delittuosa partecipazione, armi e bagagli, a tale assassinio di massa, si presta a una lettura geopolitica degli eventi come quella che si trova nelle riviste bene informate, e ci fornisce una lezione.
La lettura è che questa guerra europea, come tutte le guerre europee a cominciare dalla prima guerra mondiale e fino alla guerra della NATO per il Kosovo, in realtà ha come posta in gioco il potere mondiale: le guerre che si combattono in Europa non sono mai solamente delle guerre europee. Questa è in effetti solo un episodio, dislocato nella “martoriata Ucraina” (Francesco), della lunga partita che si è aperta con l’evento del 9 novembre 1989 di cui nel recente anniversario si sono impadroniti la nostra presidente del Consiglio e l’ignaro (di politica e storia) ministro della ex Pubblica Istruzione: la rimozione del muro di Berlino. La partita che allora si aprì non fu, come avevamo sperato, quella per instaurare un ordine non più nucleare e diarchico ma pluralistico e pacifico, ma quella per istituire un sovrano universale di un mondo ormai globalizzato e obbediente al modello unificato di “Libertà Democrazia e Libera Impresa”. Gli Stati Uniti avanzarono la pretesa di essere loro questo sovrano e l’hanno teorizzato nella loro “Strategia della sicurezza nazionale degli Stati Uniti”, “sicurezza” che venne ufficialmente identificata col governo del mondo. L’investimento americano a questo fine, (“nessuno deve avere una forza non solo superiore, ma nemmeno pari a quella degli Stati Uniti”), è di quasi 1000 miliardi di dollari l’anno per gli armamenti. Noi come Europa, divenuta area “euro-atlantica”, siamo chiamati a partecipare a questa sovranità, traendone vantaggio, al prezzo della perduta identità e del rinnovato rischio nucleare.
La lezione che ora si può trarre dalla guerra in corso, che tiene in scacco la Russia e dovrebbe intimidire la Cina, è che questo processo verso il dominio mondiale di una sola grande Potenza non si può fermare con la guerra. Esso pertanto deve essere fermato in un altro modo: con la politica, l’economia, le culture, il diritto, le fedi.
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