martedì 22 dicembre 2015

Vangelo e Costituzione

di Raniero La Valle

(all'Abbazia di Monteveglio il 19 dicembre 2015 nella liturgia in morte di Sandro Baldini)

Le morti non sono tutte eguali. Ogni morte ha il suo codice di lettura. Sandro stesso ci ha dato la chiave di lettura per capire la sua. Se quella di don Dossetti, che lui aveva accompagnato come medico con grande amore, era stata una morte attesa con “fervore”, la sua sarebbe stata una morte con dolcezza. Me l’ha detto quando, informandomi qualche mese fa della sua malattia, mi spiegò come si sentisse tranquillo, perché come il guerriero del salmo 127 aveva la sua faretra piena di frecce, che erano i suoi figli, e perciò non aveva da temere quando, come dice il salmo, sarebbe venuto “alla porta a trattare con i propri nemici”.
La trattativa col nemico era la trattativa con la morte, ma lui sapeva che quel nemico sarebbe stato solo provvisoriamente vittorioso perché, uomo della Parola, aveva appreso dalla lettera ai cristiani di Corinto che quel nemico, sia pure per ultimo, sarebbe stato sconfitto. E intanto lui l’avrebbe affrontato con dolcezza e con la gioiosa sicurezza di avere molte frecce al suo arco, non solo gli undici figli, ma l’amatissima moglie, i diciannove meravigliosi nipoti, gli amici.
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giovedì 17 dicembre 2015

LA MORTE DI SANDRO BALDINI


E’ morto stamattina, giovedì 17 dicembre, nell’ospedale di Bazzano che per tanti anni aveva diretto e dove con immenso amore aveva curato don Giuseppe Dossetti, Sandro Baldini, presidente dell’Associazione “Salviamo la Costituzione” di Bologna. I Comitati Dossetti per la Costituzione lo salutano con fervido affetto, ne ricordano la lezione umana, religiosa e politica e si impegnano a continuarne l’opera per salvare la Costituzione.

(r.l.v.) Quando, qualche mese fa, Sandro Baldini mi informò della sua malattia, citò, come credo abbia fatto con altri, il salmo 127, nel versetto che dice “Come frecce in mano a un guerriero sono i figli avuti in giovinezza. Beato l’uomo che ne ha piena la faretra; non dovrà vergognarsi quando verrà alla porta a trattare con i propri nemici”.
E’ evidente che si tratta di un salmo che gli era familiare, perciò è bene ora leggerlo per intero:

SALMO 127      
   
   Canto delle salite. Di Salomone

          Se il Signore non costruisce la casa

          Invano si affaticano i costruttori.

          Se il Signore non vigila sulla città

          Invano veglia la sentinella.

           Invano vi alzate di buon mattino

           e tardi andate a riposare,
voi che mangiate un pane di fatica:
al suo prediletto egli lo darà nel sonno.
3Ecco, eredità del Signore sono i figli,
è sua ricompensa il frutto del grembo.
Come frecce in mano a un guerriero
sono i figli avuti in giovinezza.
Beato l'uomo che ne ha piena la faretra:
non dovrà vergognarsi quando verrà alla porta
a trattare con i propri nemici.

Da questo salmo risulta chiaramente in che cosa e in chi Sandro Baldini aveva fiducia, e certamente qui, nell’abbandono in Dio, c’è tutto il senso della sua vita e l’impronta della sua lunga consuetudine con don Giuseppe Dossetti. Questo non vuol dire che la sentinella non dovesse vegliare sulla città, né che il costruttore non debba ben costruire la casa, né che egli non si alzasse di buon mattino e non faticasse per il pane. Anzi il titolo per cui lo ricordiamo qui è per essere stato una straordinaria sentinella che ha vigilato sulla città, che insieme a Dossetti si è accorto del pericolo mortale che incombeva su di essa per il minacciato stravolgimento della Costituzione, e dopo essere stato con Dossetti tra i primi promotori e animatori dei Comitati per la Costituzione, ha continuato senza sosta a lavorare per avvertire tutti del pericolo che, invece di essere sventato dopo il vittorioso referendum del 2006, è diventato in seguito ancora più insidioso e incombente, fino alla gravissima situazione di oggi. È questa la battaglia che egli ha condotto fino all’ultimo come presidente dell’Associazione “Salviamo la Costituzione” di Bologna, e tra le sue ultime preoccupazioni c’è stato che si avviasse anche a Bologna il “Comitato per il No” nel previsto futuro referendum contro la riforma costituzionale Renzi-Boschi; ed è stato grandemente consolato dalla notizia che esso fosse stato felicemente costituito.

La durezza della battaglia in corso, a cui con tanto impegno partecipava, non gli ha mai tolto però la dolcezza del suo tratto e del suo rapporto con gli altri, la serenità e la benevolenza, e anzi la misericordia, della sua testimonianza di vita. Non sentiva nessuno come nemico. Se citava come suo il salmo 124 che allude al rude incontro col nemico, è perché per lui il nemico altro non era che “l’ultimo nemico” che sarà sconfitto, la morte, secondo la promessa cristiana; ma lui non aveva avuto altri nemici prima di questo, che ora con lucidità sentiva arrivare senza tuttavia opporgli alcuna resistenza o protesta, se non la sicurezza gioiosa che gli veniva dall’avere la faretra piena della moglie e dei figli. Era questa, insieme all’affetto degli amici, la sua risorsa nella difficile trattativa che era alla porta, era questo che lo lasciava tranquillo, che non lo metteva in ansia al dover affrontare l’esigente nemico, di cui sapeva effimera la vittoria.    
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domenica 13 dicembre 2015

LA SVOLTA DI PAPA FRANCESCO


di Raniero la Valle

Discorso tenuto il 10 dicembre 2015 alla Fondazione Stensen di Firenze

Si parla della svolta di papa Francesco. Ma dal primo di dicembre a Bangui, e dall’8 dicembre a Roma non è più la svolta di papa Francesco; è la svolta di tutta la Chiesa che in Africa come in Occidente spalanca tutte le porte e dice: queste sono porte sante, tutte le porte sono sante, anche quelle delle case, delle carceri, e di ogni persona umana, se attraverso di esse passa la misericordia.
Dunque che svolta è?
1.     Anzitutto è la svolta della Chiesa cattolica romana, cominciata col Concilio che papa Francesco ha tirato fuori dagli scogli in cui si era incagliato nel conflitto delle interpretazioni, e ha riconosciuto non solo come un cofanetto di documenti, ma come un evento, come aveva sempre sostenuto la cosiddetta “scuola di Bologna”, i Dossetti, i Lercaro, gli Alberigo.
Ha detto infatti il papa in tutta la solennità di Piazza san Pietro nella messa di apertura dell’Anno Santo: “In primo luogo il Concilio è stato un incontro. Un vero incontro tra la Chiesa e gli uomini del nostro tempo. Un incontro segnato dalla forza dello Spirito che spingeva la sua Chiesa ad uscire dalle secche che per molti anni l’avevano chiusa in se stessa”. “In primo luogo” il Concilio è stato questo, ha detto il papa. E perciò solo in secondo luogo il Concilio può essere ricordato “per la ricchezza dei documenti prodotti che fino ai nostri giorni permettono di verificare il grande progresso compiuto nella fede”. I documenti di cui parla il papa sono i testi che enunciano la fede del Concilio, e nello stesso tempo mostrano come la fede non sia una merce che sta in “deposito”, nel deposito della fede, ma progredisce, anzi compie nel tempo un “grande progresso”.
Quali erano le secche in cui prima del Concilio la Chiesa era rimasta rinchiusa? L’aveva già detto il papa nella Bolla di indizione dell’Anno Santo, Misercordiae vultus, l’11 aprile. Erano “le muraglie che per troppo tempo avevano rinchiuso la Chiesa in una cittadella privilegiata”. Il Concilio è l’evento che abbatte quelle muraglie, e quel muro è il primo muro abbattuto nel Novecento. Ne cadranno altri, ma quello della Chiesa costantiniana è stato il primo.
Per la Chiesa, diceva la Bolla, “iniziava un nuovo percorso della sua storia. I Padri riuniti nel Concilio avevano percepito forte, come un vero soffio dello Spirito, l’esigenza di parlare di Dio agli uomini del loro tempo in un modo più comprensibile”. Abbattuto il muro “era giunto il tempo di annunciare il Vangelo in modo nuovo”. La vera novità del Concilio dunque, non era la riforma della Chiesa, era il Vangelo “reinvestigato” ed “enunciato” in modo nuovo.
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mercoledì 9 dicembre 2015

UN PAPA VENUTO PRIMA DELLA FINE DEL MONDO

di Raniero la Valle

Discorso tenuto il 5 dicembre 2015 all’Università di Lecce, su invito della Fondazione Tonino Bello di Alessano.

Vorrei partire da una frase detta da papa Francesco ai giornalisti nel viaggio in aereo di ritorno dall’Africa, il 30 novembre scorso.
Bisogna stare molto attenti ai viaggi di papa Francesco. Le cose più importanti spesso avvengono nei viaggi, e negli incontri con i giornalisti negli aerei del ritorno si può trovare una sorta di evangelizzazione globale.
Del resto il suo pontificato stesso è un viaggio. Per lui la Chiesa è una Chiesa che cammina. Per questo lui deve portare le scarpe nere. Senza le scarpe non si può stare davanti al gregge, e tanto meno in mezzo o dietro al gregge, come il pastore deve fare perché “il gregge ha il fiuto per trovare nuove strade”.
L’immagine di Chiesa di papa Francesco è quella di un popolo in cammino. Perfino il Sinodo, che uno immaginerebbe come una assemblea di uomini seduti, il papa spiega che è “un camminare insieme”, come dice la parola greca; è un fare esodo, uomini e donne insieme, e non solo i ricchi ma anche i poveri. Anzi proprio i poveri sono stati invitati a sedere dove prima sedevano vescovi e cardinali, nell’aula del “Vecchio Sinodo”, quando papa Francesco il 28 ottobre del 2014 invitò i rappresentanti dei Movimenti popolari di tutto il mondo in Vaticano, per avanzare la loro sacrosanta rivendicazione a “terra, casa e lavoro”.
Il papa che cammina per le strade del mondo è il contrario del papa che, come “santo prigioniero” se ne è stato chiuso per quasi un secolo in Vaticano, indispettito perché gli avevano portato via il potere temporale, con la sola eccezione di papa Pacelli che scese un momento nel quartiere di san Lorenzo devastato dal bombardamento americano durante la guerra; e la Chiesa in uscita, ospedale da campo nel tormento delle periferie, è il contrario della Chiesa degli apostoli chiusa nel Cenacolo dopo la morte di Gesù “per paura dei Giudei”. E’ meglio una Chiesa “incidentata”, dice papa Francesco, che una Chiesa che se ne sta al sicuro, dove non succede niente, e lo Spirito Santo invece di soffiare chissà dove sta. 

Che cosa è andato a fare in Africa

Dunque partiamo, per questa riflessione che dobbiamo fare, dal viaggio in Africa (25-30 novembre 2015). Che cosa è andato a fare?
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mercoledì 25 novembre 2015

Dove sono i leoni


da Il Manifesto di Raniero La Valle

Il papa va a Bangui ad aprire l’anno santo della misericordia e siccome le grandi idee hanno bisogno di simboli concreti il papa, per significare l’ingresso in questo anno di misericordia, aprirà una porta. Ma per lo stupore di tutte le generazioni che si sono succedute dal giubileo di Bonifacio VIII ad oggi, la porta che aprirà non sarà la porta “santa” della basilica di san Pietro, ma la porta della cattedrale di Bangui, il posto, ai nostri appannati occhi occidentali, più povero, più derelitto e più pericoloso della terra.
Ma si tratta non solo di cominciare un anno di misericordia. Che ce ne facciamo di un anno solo in cui ritorni la pietà? Quello che il papa vuol fare, da quando ha messo piede sulla soglia di Pietro, è di aprire un’età della misericordia, cioè di prendere atto che un’epoca è finita e un’altra deve cominciare. Perché, come accadde dopo l’altra guerra mondiale e la Shoà, e Hiroshima e Nagasaki, abbiamo toccato con mano che senza misericordia il mondo non può continuare, anzi, come ha detto in termini laici papa Francesco all’assemblea generale dell’ONU, è compromesso “il diritto all’esistenza della stessa natura umana”. Il diritto!
Di fronte alla gravità di questo compito, si vede tutta la futilità di quelli che dicono che, per via del terrorismo, il papa dovrebbe rinunziare ad andare in Africa (“dove sono i leoni” come dicevano senza curarsi di riconoscere alcun altra identità le antiche carte geografiche europee) e addirittura dovrebbe revocare l’indizione del giubileo, per non dare altri grattacapi al povero Alfano.
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martedì 24 novembre 2015

GUERRA E TERRORISMO _ NON È TROPPO TARDI


di Raniero La Valle

La cintura esplosiva con cui qualsiasi jihadista può immolarsi causando una distruzione di massa in qualsiasi punto di Parigi o del mondo, ridicolizza tutta la potenza degli apparati militari che nella loro logica assassina hanno raggiunto la perfezione dotandosi delle bombe nucleari. Allo stesso modo l’arma bianca con cui qualsiasi palestinese può uccidere qualsiasi israeliano dopo sessant’anni di umiliata oppressione, rende inutile tutta la forza militare di Tsahal, l’esercito di Tel Aviv. Questo vuol dire che la potenza degli eserciti dei moderni Faraoni nel momento in cui ha raggiunto la sua massima capacità letale, non serve più a niente, non serve alla governabilità del mondo, l’unica vera governabilità che avremmo bisogno di istituire.
Quella potenza oscena degli eserciti forniti di atomica ha potuto ultimamente, nel Novecento, servire a evitare la guerra tra i due blocchi mediante l’equilibrio del terrore, ma non ci può fare niente quando il modello della politica come guerra e come scontro tra amico e nemico ha liquidato ogni equilibrio ed ha raggiunto la massima asimmetria, avendo da una parte il kamikaze nella metropolitana, dall’altra la bomba atomica sul drone impunito nei cieli. Questo significa però che quando i milioni di dannati della terra, per la collera dell’esclusione e delle ingiustizie subite si metteranno la cintura esplosiva o brandiranno il coltello, sarà la rovina.
Ne discendono moltissime cose, e gli attentati di Parigi e il delirio mediatico che ne è seguito ce le hanno fatte vedere.

Le armi fuori commercio

La prima di queste è che il commercio delle armi deve essere assolutamente bandito. Niente vendita di armi vuol dire niente ISIS (le armi, le mine, i carri e perfino le cinture esplosive e i coltelli dei tagliagola, glieli abbiamo forniti noi; all’origine ci sono sempre industrie e politiche del mondo ricco).
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mercoledì 18 novembre 2015

LA DEMOCRAZIA CAMBIA O PRECIPITA?


di Raniero La Valle 

            E’ risaputo, e non contestato da nessuno, che la Costituzione Italiana è il risultato eccellente dell’incontro di tre culture, messe a confronto e proiettate ad un progetto comune dal reagente della guerra, dell’antifascismo e della resistenza; ognuna di queste tre culture, la comunista, la liberale, la cattolica ha dato un’impronta di valore inestimabile alla Costituzione e quindi alla Repubblica: basti ricordare, per la cultura comunista, quel principio di realtà, quella cura delle persone concrete, che portò la più giovane deputata partigiana, Teresa Mattei, a fare inserire quel “di fatto”  nell’art. 3 della Carta, che richiamava agli ostacoli non solo di principio, ma di fatto, economici e sociali, che impediscono il pieno sviluppo della persona umana e che toccava alla Repubblica rimuovere. . E per i liberali basti evocare l’impronta di Calamandrei, e per i socialisti di Lelio Basso.
            Ma qui vorrei ricordare la portata e il valore dell’innesto nella Costituzione del ’47 della cultura cattolica, senza per questo sminuire le altre. Di certo si è trattato del contributo più alto che i cittadini di tradizione cattolica hanno dato alla società civile nel Novecento: più alto dell’invenzione del partito aconfessionale di massa di Sturzo, più alto dell’intransigentismo che ha portato il popolo cattolico a lottare contro l’inequità sociale dei clerico-moderati e del feudalesimo liberale, perfino più alto della partecipazione cattolica alla resistenza antifascista.

Il miracolo del cattolicesimo laico

La Costituzione è stata infatti il miracolo del cattolicesimo laico del Novecento, il primo segno dei tempi che ha fatto irruzione nella storia italiana dopo le tenebre della Questione Romana e la tragedia della seconda guerra mondiale. La cultura cattolica che ha innervato la Costituzione ha anticipato di vent’anni le tre grandi riconciliazioni della Chiesa con l’età moderna che sono state proclamate dal Concilio: la riconciliazione con la scienza moderna, che in Costituzione figura all’articolo 33 con la solenne affermazione della libertà di ricerca e insegnamento e all’articolo 34 con l’istruzione e il diritto allo studio per tutti, senza cui non esiste la “buona scuola”; la riconciliazione con lo Stato laico moderno, che in Costituzione è la Repubblica democratica dei diritti, la scuola pubblica, e quella privata “senza oneri per lo Stato”, e la riconciliazione con la libertà di coscienza e il pluralismo religioso, che è in Costituzione all’articolo 19 con la libertà religiosa e all’articolo 8 con l’eguale libertà e le intese assicurate a tutte le confessioni, diverse dalla cattolica.
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venerdì 30 ottobre 2015

“POLITICA, ECONOMIA E AMBIENTE NEL PENSIERO DI PAPA FRANCESCO”


RANIERO LA VALLE

Brindisi 15 OTTOBRE 2015 (Palazzo Nervegna)
Ci mettiamo nel contesto di quello che sta accadendo per capire in che modo le cose di cui parliamo hanno rilevanza rispetto alla situazione in cui ci troviamo. Cito due contesti per la nostra riunione di stasera.

 Il primo contesto: la perdita della Costituzione

Ieri l’Italia ha perduto la sua Costituzione.  L’ha perduta, con il voto del Senato del 13 ottobre che ha approvato in prima lettura la nuova Carta  Dico che l’ha perduta perché il tema della riforma non era affatto quello di cui unicamente si è parlato, cioè la questione del Senato. Il tema era il rapporto della democrazia con il potere. La modifica che è stata introdotta consiste nella sostituzione della Costituzione del ’47 con una nuova Costituzione.  Infatti sostituire tutta la seconda parte della Carta vuol dire che la Costituzione del ‘47 finisce qui. Ci sarà un’altra Costituzione che è ispirata a dei principi ben identificabili e molto precisi. Essi corrispondono alla richiesta che è venuta alla nostra democrazia di modificare i principi, di abolire le conquiste, gli ideali che hanno animato le Costituzioni del dopoguerra: quelle Costituzioni cioè che sono state scritte dopo l’esperienza terribile del fascismo e del nazismo. La nuova Costituzione è fatta per dare più poteri al potere. Questa richiesta fu formalizzata nel 2013 in un documento della GP Morgan, che è una banca di affari americana, espressione del capitalismo finanziario di oggi. Questa banca in nome del capitalismo vincente, affermava che le Costituzioni post-fasciste, espressioni di un nuovo costituzionalismo democratico, erano influenzate dalle idee socialiste. Esse pertanto dovevano essere criticate e corrette per almeno quattro difetti che così erano enunciati: a) queste Costituzioni comportavano una debolezza  degli esecutivi nei confronti dei Parlamenti; b) queste Costituzioni davano un’eccessiva capacità di decisione alle Regioni nei confronti dello Stato, cioè davano poteri alle popolazioni locali nei confronti del potere centrale; c) queste Costituzioni tutelavano  il diritto del lavoro; d) queste Costituzioni consentivano che si potesse protestare quando il potere faceva qualche cosa che veniva giudicato non positivo. Ebbene, tutte e quattro queste impugnazioni sono state accolte nella riforma della Costituzione italiana che è in corso d’opera..
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martedì 27 ottobre 2015

LA CHIESA È NUOVA



Il Sinodo dei vescovi si conclude aprendo alla misericordia e prefigurando la conversione del papato in una chiesa sinodale
  
Sorpresa! Per quella novità che viene dallo Spirito, tanto cara a papa Francesco, o forse per le astuzie della storia, la vera questione che ha dominato il Sinodo non è stata la famiglia ma la riforma del papato, e perciò della Chiesa. E mentre sul primo tema la minoranza immobilista si è presentata ben agguerrita e in rimonta rispetto alla precedente fase sinodale, sulla riapertura della questione del primato e della figura della Chiesa si è trovata spiazzata, in conflitto con se stessa e soccombente.
Il risultato è stato straordinario sia sotto il primo che sotto il secondo profilo. Quanto al primo, la famiglia e la coppia umana, assunte nella molteplicità delle loro situazioni, non sono state destinatarie di lusinghe e condanne, com’era fino ad ora, ma solo di misericordia: i divorziati risposati non sono più considerati pubblici peccatori, ma «sono battezzati, sono fratelli e sorelle, lo Spirito Santo riversa in loro doni e carismi per il bene di tutti» e si vedrà come «possano essere superate» le diverse «forme di esclusione» di cui oggi sono gravati, in ambito liturgico e in ogni altra dimensione ecclesiale; non è vero, come dicono gli antipapa, che la comunione non è stata nemmeno nominata, lo è stata invece nella forma della negazione della negazione: «non sono scomunicati», dunque avranno l’eucarestia. E quanto alla pillola anticoncezionale, l’Humanae vitae di Paolo VI viene citata in tutte le sue sagge motivazioni ma la sua proibizione dei mezzi ««non naturali»per la paternità responsabile viene lasciata cadere, e di fatto abrogata. Come aveva scritto papa Francesco nel suo programma Evangelii Gaudium, «ci sono norme o precetti ecclesiali che possono essere stati mol­to efficaci in altre epoche, ma che non hanno più la stessa forza educativa come canali di vita. San Tommaso d’Aquino sottolineava che i precetti dati da Cristo e dagli Apostoli al popolo di Dio “sono pochissimi”. Citando sant’Agostino, no­tava che i precetti aggiunti dalla Chiesa posterior­mente si devono esigere con moderazione “per non appesantire la vita ai fedeli” e trasformare la nostra religione in una schiavitù, quando “la misericordia di Dio ha voluto che fosse libera”». Perciò il papa ricordava «ai sacerdoti che il confessionale non dev’essere una sala di tortura bensì il luo­go della misericordia del Signore che ci stimola a fare il bene possibile» (EG n. 43, 44).
Quanto alla riforma del papato e della Chiesa, la regola da onorare è che nella Chiesa «nessuno può essere “elevato” al di sopra degli altri» e la novità è che essa è sì una piramide, come è stata rappresentata finora ma, ha detto Francesco, è «una piramide capovolta, il vertice si trova al di sotto della sua base», dove il «vertice» non è solo il papa, ma è anche il Sinodo, è il governo collegiale della Chiesa universale; e il  principio è che rispetto all’astrattezza delle dottrine e delle norme è il discernimento che guida le scelte dei pastori e dei fedeli, e la decisione sulla scelta morale da fare nella situazione data non si prende a Roma, ma nel profondo della coscienza di ciascuno in cui Dio dimora come in un tempio. Ecco una Chiesa in cui è bello vivere.
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mercoledì 21 ottobre 2015

PERCHE’ BLINDARE IL POTERE?


di Raniero La Valle

C’è una domanda che il papa fa nella “Laudato sì”, ed è una delle ragioni per cui egli oggi è così duramente combattuto nel Sinodo e fuori: “Perché si vuole mantenere oggi un potere che sarà ricordato per la sua incapacità di intervenire quando era necessario ed urgente farlo?” (L.S. n. 57).
Il potere incapace, immeritevole di essere mantenuto, è quello che non cura la casa comune e che la gestisce con un’ “economia che uccide”; e la casa comune nel pensiero di papa Francesco non è solo la Terra, ma comprende anche gli uomini, le donne, i poveri, i popoli.
Che questo potere sia invece perpetuato, rafforzato e liberato dai limiti e dalle garanzie statuite dalle Costituzioni postfasciste, fu chiesto dal capitale finanziario e in particolare dalla finanziaria JP Morgan già il 28 maggio 2013. Essa si lamentava di queste Costituzioni “influenzate  dalle idee socialiste”, e indicava delle caratteristiche dei sistemi che ne derivavano che dovevano essere cambiate. E le caratteristiche erano le seguenti: “esecutivi deboli nei confronti dei parlamenti, poteri centrali deboli nei confronti delle regioni, tutele costituzionali dei diritti dei lavoratori” nonché “la licenza di protestare se sono proposte modifiche sgradite dello status quo”. Era questo che turbava la banca americana e anche oggi la richiesta che sale dall’attuale sistema economico-sociale è quella di blindare i poteri esistenti perché tutto possa continuare com’è e non ci siano ideali avveniristici a turbare i sonni degli gnomi della finanza.
Questa richiesta è stata esaudita “in fretta”, come è di moda oggi in Italia, il 13 ottobre scorso con il voto del Senato sulla riforma costituzionale. Sicché si può dire che salvo sorprese nella seconda lettura parlamentare e la vittoria del NO nel successivo referendum popolare, quella Costituzione promulgata nel 1947 e sgradita alla finanza, in Italia non esiste più.
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sabato 17 ottobre 2015

L’ANNUNCIO DEL REGNO DI UN DIO NONVIOLENTO


Discorso di Raniero La Valle tenuto a Zugliano del Friuli  il 12 settembre 2015  per la presentazione del libro: “Chi sono io, Francesco?”

Le novità di papa Bergoglio.
Novità del papato = riforma della Chiesa
Riforma della Chiesa: cambia il suo modo di pensare se stessa e di pensare il mondo. Dunque la cifra diventa quella del cambiamento. Il papa lo dice ai movimenti popolari che incontra in America Latina a Santa Cruz de la Sierra in Bolivia il 9 luglio 2015: una cosa è certa, ci vuole il cambiamento.
Il primo cambiamento riguarda l’immagine stessa di Dio.
Quali sono gli stereotipi del nostro modo di pensare Dio?
Il primo è quello di considerarlo tremendum e fascinans, secondo la teorizzazione fattane da Rudolf Otto all’inizio del Novecento nel libro “Il sacro”.
L’altro stereotipo è quello del Dio vindice, che punisce ed esalta, spietato e misericordioso. Stereotipi veicolati dalla nostra massima cultura: Dante, Inferno Purgatorio Paradiso (tutte visioni antropomorfiche), Michelangelo (Cappella Sistina), il Dio tremendo nel giudizio e grazia per gli eletti Il Dio tremendo, vendicatore, spietato, giudice, si può riassumere nel Dio violento, nella violenza di Dio. Su questa icona di Dio si è costruito l’Occidente a partire dalle tre religioni monoteiste.
Questo Dio non persuade oggi, perché nel nome del Dio violento si sacrifica l’uomo (dalla croce alle teste tagliate dai jihadisti sulla riva) e si distrugge la terra (perché anche la terra patisce violenza ed è la grande esclusa dal vangelo della globalizzazione; come dice la “Laudato sì” la violenza  che c’è nel cuore umano si manifesta anche nei sintomi di malattia (nelle ferite) che avvertiamo nel suolo, nell’acqua, nell’aria e negli esseri viventi (n. 2).
Allora due sono i casi: o si ricorre all’allegoria del Dio che si converte (dice la Bibbia: Dio si pentì del male che aveva detto di fare e non lo fece, e Ninive fu salva, Gn. 3, 10) oppure noi lo comprendiamo meglio e di conseguenza annunciamo un Dio diverso. Come ha detto papa Giovanni sul letto di morte: “non è il Vangelo che cambia siamo noi che cominciamo a comprenderlo meglio”.
Il cambiamento operato da Francesco è di annunciare un Dio altro rispetto a quello degli stereotipi umani. Dove lo trova, con quale autorità? In Dio stesso, nella Scrittura. Ma come legge la Scrittura? E’ gesuita, e la legge come Gesù la leggeva nella sinagoga di Nazareth. La sinagoga di Nazareth in cui Gesù leggeva la Scrittura “secondo il suo solito” come dice il Vangelo, è come Santa Marta in cui papa Francesco legge la Scrittura ogni mattina nella messa “secondo il suo solito”. Gesù legge Isaia 61 nella sinagoga.
Il cap. 61 di Isaia dice così:

      Lo Spirito del Signore Dio è su di me
perché il Signore mi ha consacrato con l’unzione;
mi ha mandato a portare il lieto annunzio ai poveri,
a fasciare le piaghe dei cuori spezzati [l’ospedale da campo!]
a proclamare la libertà degli schiavi
la scarcerazione dei prigionieri
      a promulgare l’anno di misericordia del Signore.
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venerdì 2 ottobre 2015

CHI TRADISCE CHI

Palermo, 23 settembre 2015 
«Gesù disse ai Dodici: “ uno di voi mi tradirà”», Mc. 14,18-19
Discorso tenuto alla settimana alfonsiana di Palermo il 23 settembre 2015
           
Il tema del tradimento di Gesù è un tema molto delicato, che va maneggiato con prudenza, perché usarlo senza discernimento può produrre conseguenze devastanti, come le produsse l’accusa di deicidio. L’accusa di aver tradito Gesù è molto prossima all’accusa di deicidio, e l’asserito tradimento di Dio legittima gli zelanti a prendere le difese di Dio, a mettersi al posto di Dio per vendicarlo, e ciò è bastato storicamente a riempire il mondo di violenza. Le religioni e le Chiese lo hanno fatto molte volte; il fanatismo che si pretende islamico lo sta facendo anche adesso. Ma non c’è neanche bisogno di essere credenti per difendere Dio e farsi vindici di lui: gli atei devoti si stracciano le vesti in nome di un Dio in cui non credono, il fascista ungherese che manda i poliziotti e i cani a fermare l’esodo dei profughi, lo fa in nome di un’Europa che “non può non dirsi cristiana” e che perciò vuole bianca, pura e spietata.
            Bisogna stare attenti nell’usare la categoria del tradimento perché ci sono molti pretesi tradimenti che non lo sono affatto. Quello che gli uni soffrono come tradimento, può essere invece una prova di lungimiranza, o anche di misericordia e di amore. Quando cinque cardinali, contrastando le intenzioni del papa sulla comunione ai divorziati risposati scrivono un libro intitolato: “permanere nella verità di Cristo”, di fatto accusano il papa di tradire il Cristo e la sua verità.

La reazione di Paolo VI

            Ma se un papa può essere vittima di un’accusa di tradimento della fede e del suo stesso ministero, un papa può anche perdere un po’ il senso della misura e accusare di tradimento i suoi figli, quando sono figli che aprono nuove strade, come è successo  a Paolo VI quando gli è venuto a mancare il coraggio di proseguire sulla via del Concilio.
            E’ accaduto nel 1976.
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martedì 29 settembre 2015

I POVERI PARLANO ALL’ONU

di Raniero La Valle 

Terra, casa, lavoro, il “minimo assoluto” che deve essere assicurato a tutti: questa è l’esigenza fondamentale che il papa è andato a piantare il 25 settembre scorso nel cuore dell’assemblea delle Nazioni Unite. Che il mondo, che le Nazioni si misurino su questo, che a ciò si rivolgano diritto, politica ed economia, ha invocato papa Francesco.
Ma questa richiesta non è venuta prima di tutto da lui. Era stata già prima formulata dai poveri che avevano scelto terra casa e lavoro come parole d’ordine per l’incontro mondiale dei movimenti popolari che si era tenuto in Vaticano nell’ottobre 2014 nell’aula del Vecchio Sinodo. Papa Francesco li aveva invitati per mostrare alla Chiesa e ai popoli “un grande segno”, e cioè che “i poveri non solo subiscono l’ingiustizia, ma lottano contro di essa”, e per incoraggiarli a continuare questa lotta: “Avete i piedi nel fango e le mani nella carne. Odorate di quartiere, di popolo, di lotta! Vogliamo che si ascolti la vostra voce che in generale si ascolta poco. Forse perché disturba, forse perché il vostro grido infastidisce, forse perché si ha paura del cambiamento che voi esigete”.  E offrendo la sua voce come eco alla loro, Francesco aveva fatto sue quelle parole d’ordine, ciò che non voleva dire che “il papa è comunista”, perché “l’amore per i poveri è al centro del Vangelo”
Terra casa e lavoro diventavano così parole del papa perché, diceva, “quello per cui lottate sono diritti sacri”.

Il grido degli esclusi

Ma, come accade per quelle dei poveri, neanche le parole del papa furono allora ascoltate: meglio ignorarle che dover discutere se il papa fosse comunista. E allora Francesco ci tornò in un secondo incontro con i movimenti popolari, questa volta a Santa Cruz de la Sierra, in Bolivia, il 9 luglio scorso, e disse loro: “La Bibbia ci ricorda che Dio ascolta il grido del suo popolo e anch’io desidero unire la mia voce alla vostra: le famose “tre t”: terra, casa, lavoro (in spagnolo: tierra, techo, trabajo) per tutti i nostri fratelli e sorelle. L’ho detto e lo ripeto: sono diritti sacri. Vale la pena, vale la pena di lottare per essi. Che il grido degli esclusi si oda in America Latina, e in tutta la terra”. E aggiunse che c’era poco tempo, perché “sembra che il tempo stia per finire” quando non solo ci combattiamo tra noi, ma siamo giunti ad accanirci contro la nostra casa.
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lunedì 24 agosto 2015

IL DIO CON CUI STO


Raniero La Valle

Discorso tenuto ad Assisi il 21 agosto 2015 al 73° Corso di studi cristiani sul tema “Responsabili dell’immagine di Dio”.

Mi era stato chiesto di raccontare “Il Dio in cui credo, il Dio in cui non credo”. Ma questo voleva dire aprire l’armadio di tutte le definizioni di Dio, di tutte le fantasie su Dio, e scegliere fior da fiore, per ricostruire il Dio che mi piace, ed escludere i connotati del Dio che non mi piace. Ma chi sono io per fare questa cernita?
Invece vi parlerò del Dio con cui sto. E’ chiaro che c’è un rapporto tra il Dio in cui si crede e il Dio con cui si sta. Ma non sempre coincidono. Se si crede in un Dio che sulla croce apre le braccia a tutti e poi in nome di Dio si mettono sul rogo gli eretici, è chiaro che non si tratta dello stesso Dio. Il boia sta con un altro Dio.
La storia è piena delle macerie provocate dal contrasto tra la fede creduta e le opere compiute in suo nome. Tutta la storia del popolo di Israele nell’Antico Testamento è attraversata da questa tragedia. Il Dio dei profeti non è il Dio nel cui nome le città cananee erano votate allo sterminio.
E oggi il dramma storico è tale e così tragico l’abuso per cui Dio viene innalzato sulle picche degli assassini, con la testa dei decapitati in suo nome, che la salvezza non viene se ci mettiamo a discutere sulle nostre diverse  professioni di fede,  ma se il Dio con cui decidiamo di stare non è il Dio della morte ma il Dio della vita, non è il Dio che fa uccidere gli infedeli ma è il Dio nel quale non c’è il nemico.
Il male più grande viene da chi sta con un Dio sbagliato, che corrisponda o no al Dio in cui dice di credere.
Ma c’è anche il problema di chi segue come se fosse un Dio qualcuno o qualcosa che sa benissimo non essere un Dio.
Quelli ad esempio che stanno col Dio denaro sanno benissimo che quello non è un Dio, ma un idolo; però ci stanno lo stesso, perché se non fosse un idolo non potrebbero offrirgli sacrifici umani, come fanno gli Stati che chiudono le porte dell’Europa provocando l’eccidio di migliaia di profughi o come hanno fatto i potentati europei, a cominciare dal nostro governo. dandogli la Grecia in sacrificio
Sono questi i motivi per cui preferisco parlare del Dio con cui sto.
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sabato 8 agosto 2015

Il nome della cosa

di Raniero La Valle - da Il Manifesto, 8-8-2015
Papa Fran­ce­sco aveva già detto, dopo un’ennesima strage di migranti al largo di Lam­pe­dusa: «È una ver­go­gna». Que­sta ver­go­gna non ha fatto che ripe­tersi, per mesi, e c’è anche qual­cuno che si ral­le­gra per­ché l’Europa adesso mostre­rebbe un po’ più di sen­si­bi­lità, c’è per­fino una nave irlan­dese che par­te­cipa alle ope­ra­zioni di tumu­la­zione nel Medi­ter­ra­neo di cen­ti­naia e cen­ti­naia di pro­fu­ghi, men­tre una parte ne salva.
Intanto la Fran­cia sigilla la fron­tiera di Ven­ti­mi­glia, l’Inghilterra sta­bi­li­sce una linea Magi­not all’ingresso dell’Eurotunnel della Manica, l’Ungheria alza un muro e l’Italia è tutta con­tenta per­ché ha posto fine all’unica cosa buona che era riu­scita a fare, l’operazione «Mare Nostrum», ed è rien­trata nei ran­ghi dell’Europa per­ché sia chiaro che la vita negata ai pro­fu­ghi non è una scelta solo dell’Italia, ma è un sacri­fi­cio col­let­tivo che tutta l’Europa offre a se stessa avendo ces­sato di essere umana.
Ed ecco che il papa Fran­ce­sco dà il nome alla cosa: respin­gere i pro­fu­ghi è guerra, e cac­ciare via da un Paese, da un porto, da una sponda i migranti abban­do­nati al mare, è vio­lenza omicida.
Lo dice nell’anniversario del delitto fon­da­tore di que­sta fase della moder­nità, lo dice nei giorni di Hiro­shima e Nagasaki.
Quando aveva denun­ciato che la guerra mon­diale non era finita, per­ché nella glo­ba­liz­za­zione si sta com­bat­tendo una guerra mon­diale «a pezzi», era sem­brato che par­lasse per meta­fore; ma oggi mette le cose in chiaro: la guerra è que­sta, i garan­titi con­tro i dispe­rati, un mondo che voleva abo­lire le fron­tiere e ne ha alzate altre più spie­tate e inva­li­ca­bili, con­tro un’umanità senza patria né asilo che invano cerca salvezza.
E se è una guerra, una guerra non dichia­rata e non tute­lata da alcun diritto, nem­meno uma­ni­ta­rio, gli atti che vi si com­piono sono cri­mini di guerra. E que­sto vale per le vit­time in fuga dalla Bir­ma­nia nell’Oceano Indiano, a cui il papa spe­ci­fi­ca­mente si rife­riva, e vale per le vit­time che non rie­scono ad attra­ver­sare senza soc­com­bere la fossa comune del Mediterraneo.
Sono mesi e mesi che i siti non­vio­lenti, paci­fi­sti, o sem­pli­ce­mente umani, denun­ciano que­sti delitti per­pe­trati dai governi euro­pei, com­preso il nostro, sol­le­ci­tano appelli e firme dei cit­ta­dini per­ché ci si risolva a dare l’unica solu­zione vera al pro­blema, che è quella di aprire le fron­tiere, rico­no­scere l’antico diritto umano uni­ver­sale di migrare, per­met­tere ai pro­fu­ghi e ai fug­gia­schi di viag­giare al sicuro su treni, navi e aerei di linea. E sono mesi che siti nostal­gici e inte­gra­li­sti, invi­diosi di papa Fran­ce­sco, cer­cano di scre­di­tarlo lamen­tan­done la popo­la­rità, e ral­le­gran­dosi se quando parla ai poveri e ai movi­menti popo­lari, come ha fatto in Boli­via, il mondo per bene con i suoi media nean­che lo ascolta.
La verità è che papa Fran­ce­sco è l’unico che oggi ha parole all’altezza del dramma sto­rico che stiamo vivendo. Gli scar­tati della terra sono i veri sog­getti sto­rici attorno a cui si deve costruire la nuova con­vi­venza, sono il ful­cro dell’umanità di domani. E la giu­sti­zia e il diritto devono garan­tire la «casa comune» e tutti i suoi abi­tanti, a comin­ciare dal diritto a vivere, a pren­dere terra, a ripo­sarsi sotto qual­siasi sole. Que­sto dice il papa, e non è una cosa impos­si­bile, è solo una cosa non ancora avvenuta.
Raniero La Valle 


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mercoledì 1 luglio 2015

Non in nome dell'Italia

Raniero La Valle e Luigi Ferrajoli dei Comitati Dossetti per la Costituzione, Cesare Antetomaso e Fabio Marcelli dell’Associazione Giuristi Democratici, Domenico Gallo del Coordinamento per la Democrazia costituzionale, Alfiero Grandi dell’Associazione per il rinnovamento della sinistra, si rivolgono a tutti i soggetti e le reti che hanno ascolto tra i cittadini perché con tutte le motivazioni opportune promuovano una raccolta di firme per chiedere al governo e al Parlamento che l’Italia condoni alla Grecia la parte di debito di sua spettanza, a titolo di solidarietá tra democrazie e popoli europei, anche in ricordo delle sofferenze che ad essa abbiamo procurato quando con i nostri alleati tedeschi volevamo “spezzare le reni alla Grecia”. Continua...

martedì 30 giugno 2015

Solidarietà alla Grecia dei Comitati Dossetti per la Costituzione


I Comitati Dossetti per la Costituzione hanno diffuso la seguente dichiarazione del loro Presidente Raniero La Valle:

Come presidente dei Comitati Dossetti per la Costituzione penso di interpretare in queste ore il sentimento di una gran numero di cittadini non disposti a barattare la democrazia col governo irresponsabile del denaro, per indirizzare ai Greci un messaggio di ammirazione e di incoraggiamento per la loro scelta di affidare la decisione del loro futuro non a despoti e funzionari ma a una limpida espressione della volontà popolare; per ringraziare la Grecia dell'antico dono della democrazia, giustamente da lei rivendicata oggi come il vero valore irreversibile dell'Europa e dei popoli europei; e per esprimere il più vivo rammarico per la posizione assunta dall'Italia che senza il controllo di alcun dibattito parlamentare e pubblico ha fatto propria la decisione assunta a Berlino Francoforte e Bruxelles di condannare la Grecia, senza capire ciò facendo, di condannare anche se stessa. 
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venerdì 19 giugno 2015

LAUDATO SI' - NON A SPESE DEI POVERI E DELLA TERRA


 di Raniero La Valle - Il manifesto, 19 giugno 2015
C’è un debito estero dei Paesi poveri che non viene con­do­nato, e anzi si è tra­sfor­mato in uno stru­mento di con­trollo mediante cui i Paesi ric­chi con­ti­nuano a depre­dare e a tenere sotto scacco i Paesi impo­ve­riti, dice il papa (e la Gre­cia è lì a testi­mo­niare per lui). Ma il “debito eco­lo­gico” che il Nord ricco e dis­si­pa­tore ha con­tratto nel tempo e soprat­tutto negli ultimi due secoli nei con­fronti del Sud che è stato spo­gliato, nei con­fronti dei poveri cui è negata per­fino l’acqua per bere e nei con­fronti dell’intero pia­neta avviato sem­pre più rapi­da­mente al disa­stro eco­lo­gico, all’inabissamento delle città costiere, alla deva­sta­zione delle bio­di­ver­sità, non viene pagato, dice il papa ( e non c’è Troika o Euro­zona o Banca Mon­diale che muova un dito per esigerlo).
La denun­cia del papa («il mio appello», dice Fran­ce­sco) non è gene­rica e rituale, come quella di una certa eco­lo­gia “super­fi­ciale ed appa­rente” che si limita a dram­ma­tiz­zare alcuni segni visi­bili di inqui­na­mento e di degrado e magari si lan­cia nei nuovi affari dell’economia “verde”, ma è estre­ma­mente cir­co­stan­ziata e pre­cisa: essa arriva a lamen­tare che la deser­ti­fi­ca­zione delle terre del Sud cau­sata dal vec­chio colo­nia­li­smo e dalle nuove mul­ti­na­zio­nali, pro­vo­cando migra­zioni di ani­mali e vege­tali neces­sari al nutri­mento, costringe all’esodo anche le popo­la­zioni ivi resi­denti; e que­sti migranti, in quanto vit­time non di per­se­cu­zioni e guerre ma di una mise­ria aggra­vata dal degrado ambien­tale, non sono rico­no­sciuti e accolti come rifu­giati, ma sbat­tuti sugli sco­gli di Ven­ti­mi­glia o al di là di muri che il mondo anche da poco appro­dato al pri­vi­le­gio si affretta ad alzare, come sta facendo l’Ungheria. L’«appello» del papa giunge poi fino ad accu­sare che lo sfrut­ta­mento delle risorse dei Paesi colo­niz­zati o abu­sati è stato tale che dalle loro miniere d’oro e di rame sono state pre­le­vate le ric­chezze e in cam­bio si è lasciato loro l’inquinamento da mer­cu­rio e da dios­sido di zolfo ser­viti per l’estrazione.
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mercoledì 17 giugno 2015

LA CAVALCATA È FINITA


Dalla sconfitta di Renzi un monito per la democrazia di Raniero La Valle 
pubblicato sul n° 13 del 1 luglio 2015 di Rocca, Rivista della Pro Civitate Christiana di Assisi

Con le elezioni del 31 maggio è finita la cavalcata di Matteo Renzi. Non si sa quando scenderà da cavallo, ma la cavalcata è finita perché le elezioni regionali (che sono più che mai politiche) hanno mostrato che la prateria non c’è.
La prateria sarebbe lo spazio sconfinato, vuoto della destra, che è comparso nelle visioni dei leaders della ex-sinistra dopo la soppressione del PCI. Irrompere su quella prateria avrebbe dovuto permettere loro di ereditare stabilmente il potere della Repubblica, prima con la “gioiosa macchina di guerra” di Occhetto, poi con il partito “a vocazione maggioritaria” di Veltroni, infine con il “partito della Nazione” di Renzi. Le legge elettorali via via architettate come le più idonee a rendere inoppugnabile il potere, erano concepite o fatte proprie a tale scopo.
Questo vecchio progetto è stato ancora una volta sconfitto.
L’ideologia visionaria di un partito “progressista” o “di sinistra moderata” o “democratico”che si insediasse pressoché solo al potere e potesse elettoralmente dilagare in uno spazio politico sostanzialmente privo di oppositori credibili o comunque vincenti, era basata su un errore teorico e su un principio di irrealtà.
L’errore teorico era che una parte che si immagina come tutto o pretende di farsi tutto, non è più democrazia. Il principio di irrealtà consisteva nel non vedere che in Italia la destra è un fenomeno strutturale e, almeno da Facta in poi, maggioritaria, e per la sua potenza capace di imporre al Paese le scelte più nefaste, dalle leggi razziali alla guerra, dal piano di rinascita malriuscito della P2 al Jobs Act, dall’idea di bombardare i barconi agognati dai profughi alla chiusura delle frontiere regionali annunciata dai vecchi e nuovi “governatori” del Nord.
Questa prevalenza della destra in Italia, strutturale finché il senso comune dominante non sarà sostituito da un’altra cultura, non vuole affatto dire che la sinistra, o la parte più democratica del Paese, non possa governare. Ma lo può fare in forza di una “egemonia”, termine tecnico che vuol dire semplicemente riuscire a far passare ideali più alti, progetti più giusti, e a farsi seguire anche da portatori di altre culture e altre visioni politiche, per la costruzione di una società più solidale ed umana.
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martedì 16 giugno 2015

La gioia di poter tornare a credere


DAL CONCILIO ALLA CHIESA DI FRANCESCO 

Pubblichiamo il testo della relazione tenuta da Raniero La Valle il 6 giugno 2015 al Convento San Domenico di Pistoia per il ciclo di incontri di Koinonia–forum.

Per un giudizio globale dell’attuale pontificato fino a questo momento, mi pare si possa dire, sviluppando l’analisi già avviata nel libro: “Chi sono io Francesco?”[1], che papa Francesco ha fatto una scelta strategica, di cui ci sono tre indizi (e tre indizi bastano a fare una prova).
Il primo è la scelta del nome di Francesco, che egli ha adottato durante il Conclave per rispondere alla raccomandazione del cardinale Hummes: “Ricordati dei poveri”, ma che poi egli ha spiegato associando il nome di Francesco d’Assisi a una opzione di evangelismo puro.
Il secondo è la scelta di abitare a Santa Marta, il che vuol dire celebrare ogni mattina la messa non in segreto a palazzo, ma col popolo in una vera assemblea, e a questa assemblea ogni giorno, per sette giorni alla settimana e 365 giorni all’anno aprire il Vangelo e commentarlo, dichiarando perciò continuamente i criteri che determinano la sua quotidiana azione pontificale.
Il terzo è la Evangelii Gaudium, che è una sorta di Regola della Chiesa universale in cui il Vangelo è assunto come ragione del suo esistere e della sua missione.
La scelta strategica, svelata da questi tre indizi, è quella di tornare ai nastri di partenza, di tornare  cioè a Gesù e al suo annuncio, cioè al suo Vangelo, che precede la Chiesa e dice a tutti gli uomini che il Regno è vicino. Ciò vuol dire che il contenuto proprio dell’annuncio è il Regno, non la Chiesa; Se l’esegeta cattolico Alfred Loisy diceva icasticamente nel suo libretto “L’Evangile et l’Eglise”, nel 1902, “Gesù annunciava il regno ed è la Chiesa che è venuta”[2], papa Francesco prova a rifare il cammino. Gesù annuncia il regno e dunque il problema anche oggi per chi lo segue è quello del regno. La Chiesa visibile ne è “il segno e lo strumento”, non è la realtà del regno (perciò può essere paragonata a un ospedale da campo). E se la caratteristica del regno è di essere già e non ancora, la Chiesa visibile non è questo già; il già è quel tanto del regno che è già presente nel mondo ed è svelato dai “segni dei tempi”; dunque, ad esempio, per stare ai segni dei tempi della “Pacem in terris” il “già” del regno sono i lavoratori che si emancipano, le donne che acquistano dignità di persone, i popoli che si liberano, il diritto che si instaura, le Costituzioni che presidiano i diritti fondamentali degli esseri umani, l’ONU che realizza in germe una comunità di popoli, e la guerra che dagli uomini stessi viene  bollata come “aliena dalla ragione”. I segni avversi che indicano l’assenza o l’allontanarsi del regno sono per contro, secondo la lettura di papa Francesco, la società dell’esclusione, l’umanità scartata, l’economia che uccide, il denaro che governa invece di servire, il lavoro alienato e precario, i giovani disoccupati e così via.
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giovedì 11 giugno 2015

Per un’umanità indivisa


Quale risposta alla tragedia dei migranti e dei profughi.

Articolo di Raniero La Valle pubblicato sulla rivista “Presbyteri” del maggio 2015.        

Se prendessimo sul serio i principi suggeriti da papa Francesco nella “Evangelii Gaudium” per costruire una vera comunità umana – il tempo è superiore allo spazio, l’unità prevale sul conflitto, la realtà è più importante dell’idea, il tutto è superiore alla parte – avremmo i criteri supremi per trovare soluzione ai problemi più angosciosi dell’attuale momento storico. Qui affronteremo un solo problema: un problema però nel quale vengono a scadenza tutte le contraddizioni che non abbiamo risolto e vengono in gioco tutte le nostre convinzioni e la nostra fede. È  il problema delle grandi migrazioni in corso nel mondo, cioè del passaggio da un’umanità dai mille destini contrapposti a un umanità con un destino comune; e naturalmente dovremo vedere come questo problema così universale, si concretizza e drammatizza in Italia e in Europa.

Le dimensioni del problema

Intanto bisogna rendersi conto di quale sia la sua portata in termini di numeri: i numeri delle grandi migrazioni, che dall’Africa riempiono il Mediterraneo di naufraghi ed annegati, (ormai a 900, 1000 alla volta per ogni barcone affondato),  i numeri dei grandi esodi che attraverso la Turchia, i Balcani, le enclaves spagnole in Marocco e di qui in Spagna, passano per vie di terra nei Paesi europei del Nord, i numeri delle grandi trasmigrazioni dal Messico verso gli Stati Uniti o da una parte all’altra dell’Asia: erranti tutti sospinti da guerre, violenze religiose, economiche politiche, fame, miseria e oppressione. E sono tutti numeri di genocidi ormai diffusi (interi nuclei familiari distrutti, etnie, popoli, comunità perseguitate per cause religiose, vittime di pulizie etniche, reduci da malversazioni, abusi sessuali o torture).
            Secondo il rapporto annuale 2015 pubblicato il 23 aprile scorso dal Centro Astalli, che è il servizio italiano dei Gesuiti per i rifugiati (operante a Roma, Palermo, Catania, Trento, Vicenza, Napoli, Milano, Padova) per la prima volta dalla seconda guerra mondiale le persone costrette alla fuga nel mondo hanno superato largamente la soglia dei 50 milioni (a metà del 2014 se ne registravano già 56,7). L’aggravarsi delle crisi nel Medio Oriente e in Africa, dopo la comparsa del cosiddetto “Stato Islamico” in Iraq e in Siria, hanno fatto crescere il numero delle persone che cercano protezione in Europa. Nel 2014, con un incremento del 277% sul 2013, in Italia sono arrivati 170.757 migranti via mare (39.651 solo dalla Siria, 33.559 dall’Eritrea) ma la maggior parte  si sono dispersi negli altri Paesi europei. Però non esiste nessun programma di integrazione dei profughi nel contesto europeo e per moltissimi la permanenza nei centri di accoglienza e detenzione è senza fine.
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martedì 12 maggio 2015

GIOIA E SPERANZA, MISERICORDIA E LOTTA


A CINQUANTA ANNI DALLA GAUDIUM ET SPES

Relazione di Raniero La Valle all’Assemblea di “Chiesa di tutti Chiesa dei poveri”

Roma, 9 maggio 2015

 Cari Amici,
quando tre anni fa abbiamo cominciato i nostri incontri per celebrare i 50 anni dal Concilio, e abbiamo previsto di giungere a parlare della Gaudium et Spes, abbiamo corso un grosso rischio. Perché se nel frattempo non fosse successo niente, se non fosse arrivato papa Francesco, oggi avremmo rischiato di fare dell’archeologia.
Avremmo parlato di un documento ormai vecchio, obsoleto, che non era piaciuto neanche allora ai migliori protagonisti del Concilio, per una sua certa dipendenza mondana, per un suo ottimismo della volontà che sembrava non fondato ed ingenuo, per un suo evangelismo debole e per la mancanza di un’intelligenza messianica; un documento che aveva condannato la guerra totale ma non aveva messo al bando l’atomica, che aveva accondisceso alla deterrenza e relegato in una nota a piè di pagina la Pacem in terris, che si era accorto dell’amore umano tra i coniugi ma poi aveva lasciato al papa di decidere come dovessero farlo; e mentre il nostro movimento aveva preso il nome della Chiesa dei poveri, i poveri nella Chiesa oggi starebbero ancora nelle catacombe, come dalle catacombe era uscito il “patto” dei vescovi più conciliari sulla povertà della Chiesa; i poveri sarebbero nelle catacombe e non si riunirebbero invece in Vaticano nell’aula del “vecchio Sinodo”, non si farebbero il bagno e la barba sotto il colonnato di san Pietro, non andrebbero al concerto ai primi posti nell’aula Paolo VI e non sarebbero invitati a visitare la cappella Sistina, dato che anch’essi hanno diritto non solo al pane ma anche alla bellezza.

Il rischio dell’archiviazione del Concilio

E se ancora fossimo nel deserto in cui eravamo tre anni fa, il Concilio stesso sarebbe oggi dilaniato tra le diverse ermeneutiche, sarebbe rimosso come un “non-evento”, sarebbe esorcizzato perché, come aveva detto Paolo VI, attraverso le sue fessure il fumo di Satana era penetrato nel tempio di Dio, e infine sarebbe sostituito dal Catechismo della Chiesa cattolica del 1992, che secondo il cardinale Levada e  Benedetto XVI doveva essere assunto come la vera ricezione del Concilio nell’anno della fede 2012; e talmente il Vaticano II avrebbe dovuto essere considerato ormai chiuso e archiviato che alcuni tra noi avevano pensato che ci volesse un Vaticano III.
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lunedì 30 marzo 2015

Costituzione di destra e questione cattolica


di Raniero La Valle

Da Coscienza, rivista del MEIC (movimento ecclesiale di Impegno Culturale), aprile 2015

La nuova Costituzione di destra della Repubblica italiana è stata provvisoriamente approvata dalla Camera dei Deputati il 10 marzo scorso, e ancora non si sa perché.
Dicesi “la nuova Costituzione” perché al di là dell’alto numero degli articoli modificati (più di 50), è l’intera figura della Repubblica che viene cambiata. È ciò che sostengono Bersani, Rosi Bindi e gli esponenti della minoranza del PD, che pure l’hanno votata; ed è ciò che risulta dal passaggio, per nulla secondario, dal bicameralismo al monocameralismo e dal cambiamento di verso del circuito della fiducia, che non correrà più in senso orario dal Parlamento al governo, ma in senso inverso fluirà dal capo del governo al Parlamento, ovvero ai parlamentari che, grazie alla legge elettorale in gestazione, saranno scelti da lui.
Dicesi “di destra” perché nella tradizione linguistica e storica ciò che profitta alla discrezionalità e alla perpetuazione del potere è chiamato di destra, e ciò che profitta alla sovranità popolare e all’equilibrio e sindacabilità dei poteri è chiamato democratico se non di sinistra; e dicesi “di destra” perché la nuova Costituzione è stata scritta di concerto dal governo e dalla destra  parlamentare, anche se il 10 marzo per una ripicca politica questa non l’ha votata.
Dicesi “provvisoriamente” perché se i suoi fautori considerano di averla messa per “il 90 per cento in cassaforte” (Ceccanti su Avvenire dell’11 marzo), non è affatto detto che il processo trasformatore continui il suo corso fino alla fine (legato com’è alle sorti del governo: simul stabunt et simul cadent) e non è detto che in ultima istanza esso non sia bloccato dal voto popolare nel referendum, come già avvenne nel 2006 con il rifiuto popolare della Costituzione di Berlusconi.
Dicesi “non si sa perché” in quanto, a parte Renzi, di cui è evidente l’interesse politico immediato e che del resto non ha votato non facendo parte del Parlamento, non è chiara la logica degli altri, essendo le ragioni per cui hanno votato a favore o contro la riforma molto diverse dalle ragioni che dovrebbero presiedere a un voto sulla Costituzione.
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venerdì 20 marzo 2015

E PER IL MONDO, MISERICORDIA

di Raniero La Valle

        Come Giovanni XXIII spiazzò tutti quando nel giorno in cui si doveva concludere la settimana di preghiera per l’unità dei cristiani convocò il Concilio Vaticano II, così Francesco ha spiazzato tutti quando nel giorno in cui si doveva celebrare il secondo anniversario dall’inizio del suo pontificato, ha indetto un Giubileo straordinario a partire dall’8 dicembre.
In verità non solo c’è  tra i due eventi una perfetta simmetria, ma il secondo fa seguito al primo con perfetta puntualità. Il Concilio è finito l’8 dicembre 1965, e dopo cinquant’anni di traversata nel deserto, l’8 dicembre 2015 esattamente dallo stesso punto esso riparte con il Giubileo della misericordia. Il litigio sulle ermeneutiche di continuità o di rottura è finito: sì, quelle ermeneutiche del Concilio ci sono, ha detto papa Francesco nell’intervista alla Civiltà Cattolica cinque mesi dopo l’elezione, “tuttavia una cosa è chiara: la dinamica di lettura del Vangelo attualizzata nell’oggi, che è stata propria del Concilio è assolutamente irreversibile”. E in queste parole del papa c’era non solo la rivalutazione del Concilio, le cui conseguenze nella vita della Chiesa avevano tanto turbato i suoi predecessori, ma c’era anche l’individuazione di quello che era stato il vero cuore e il vero comandamento lasciato dal Concilio: non la riforma della Chiesa, ma la attualizzazione del Vangelo nell’oggi, cioè il rinnovamento dell’annuncio di fede.
Altro che Concilio “non dottrinale”, “non dogmatico”: la novità del Concilio era stata proprio il ripensamento e la riproposizione della dottrina e del dogma “in quel modo che i nostri tempi richiedono”, come aveva perorato papa Giovanni nel discorso di apertura dei lavori conciliari. Così, per papa Francesco, continuare il Concilio, riprenderlo dal punto in cui era stato interrotto, non vuol dire principalmente portare avanti la riforma del collegio dei vescovi, presentare meglio il papato, la Chiesa, la Curia, “l’ultima delle Corti europee” (anche se sono tutte riforme da fare) ma presentare meglio il volto di Dio, formulare meglio il messaggio, e annunciare Dio, non annunciare la Chiesa. Perché la vera domanda che dalle profondità del Vangelo il Signore rivolge al mondo uscito dalla modernità, non è se al suo ritorno troverà ancora le religioni o le Chiese sulla terra, ma se al suo ritorno troverà ancora la fede.
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lunedì 16 marzo 2015

Che vuol dire misericordia


di  Raniero La Valle da Il Manifesto 15/03/2015

Ci sono delle cose che papa Bergoglio ha detto fin dal principio, che sul momento non vennero capite, ma si sono capite dopo, o si stanno comprendendo solo ora.
Per esempio quando, presentandosi la prima sera al popolo sul balcone di san Pietro aveva detto: “adesso vi benedico, ma prima chiedo a voi di benedirmi” non si poteva capire, come adesso invece è chiaro, che lì c’era già l’idea di una riforma del papato: il papa non solo rientrava tra i vescovi, come aveva detto il Concilio Vaticano II, ma tornava in mezzo al popolo come uno dei fedeli, come un pastore che non solo sta in testa al gregge, ma anche sta in mezzo e dietro al gregge, perché le pecore hanno il fiuto per capire la strada e per indicare il cammino. E così il gregge diventava un popolo, e il papa si riconosceva ministro di questo popolo, insieme agli altri ministri e primo tra loro, un papa non solo uscito dal conclave ma papa benedetto dal popolo.
Un’altra cosa che non si era capita era quella parola “misericordiare”, che non esiste né in italiano né in spagnolo e che il papa usava come un neologismo, tratto dal suo motto episcopale, per definire il suo compito. Sicché alla domanda: “chi è Francesco?”, “che cosa è venuto a fare?” che risuona anche in un mio libro uscito ora per “Ponte alle grazie”, la risposta era: “sono venuto a misericordiare”.
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venerdì 13 marzo 2015


PAPA BERGOGLIO E LE "COSE MAI VISTE" 
di Alberto Bobbio, Famiglia Cristiana 11/03/2015  «Tutto è cominciato», dice lo studioso, «con quell’inchino la sera dell’elezione...». Il racconto di Raniero La Valle, parlamentare della Sinistra indipendente per 16 anni e prima direttore dell’Avvenire d’Italia di Bologna


Premette subito nel sottotitolo del suo libro:Cronache di cose mai visteRaniero La Valle, parlamentare della Sinistra indipendente per 16 anni e prima direttore dell’Avvenire d’Italia di Bologna, uno dei due quotidiani cattolici insieme all’Italia di Milano da cui nacque per volere di Paolo VI il quotidiano Avvenire, ha raccontato il concilio Vaticano II a chi non sapeva il latino. E ora si cimenta nell’ultimo suo libro, Chi sono io, Francesco?, edito da Ponte alle Grazie, con la Chiesa di papa Francesco dopo due anni di pontificato.

- Perché cronache di cose mai viste?

 «Perché la sera del 13 marzo quando il nuovo Papa si è affacciato sulla piazza e ha detto buonasera, e prima ancora di dare la benedizione si è inchinato chiedendo la benedizione del popolo, s’è capito che una lunga attesa era giunta forse alla  ne e qualcosa di veramente nuovo stava per accadere».

- Chi è Francesco? 
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venerdì 27 febbraio 2015

La Valle e il Papa argentino, “venuto a riaprire la questione di Dio” di Umberto Folena


da Avvenire 26.02.2015
Che cosa è venuto a fare papa Francesco? Qual è il senso del suo pontificato? Nella gara tra vaticanisti e cultori di cose religiose ad arrivare primi, con instant book e librini fondati su una velocità pari alla caducità, Raniero La Valle giunge ben ultimo, ma con un testo tra i più pensati e dal respiro ampio (Chi sono io, Francesco? Cronache di cose mai viste, Ponte alle Grazie, 204 pagine, 15 euro, da oggi in libreria). E di cose il giornalista di lungo corso La Valle, giunto alla soglia degli 84 anni, ne ha viste parecchie. Ha raccontato il Concilio sull'Avvenire d'Italia, di cui fu giovane direttore. È stato parlamentare per la Sinistra indipendente. Ha scritto libri e diretto riviste. Ha combattuto la battaglia nonviolenta per la pace. Ha girato il mondo. Continuando comunque a "raccontare il Concilio", la sua stella polare o, se preferite, la sua magnifica ossessione. Il Concilio interrotto, secondo lui mai davvero attuato perché mai davvero amato da chi invece avrebbe dovuto amarlo.
Poi arriva il Papa argentino e sulla sua "rivoluzione" grandinano parole, applausi, elogi, qualche fischio, alcuni distinguo. Ma qual è davvero la sua novità, oltre le scarpe nere e il suo ostinato voler risiedere a Santa Marta disertando le sacre stanze del palazzo apostolico? Oltre ai suoi modi inusuali, le sue metafore ardite che mandano in confusione traduttori ed esegeti? La Valle procede in modo sistematico, da analista rigoroso che ha sì una tesi da dimostrare, ma per dimostrarla non ha bisogno di trucchi e inganni. Magari illumina aspetti della personalità e delle azioni di Francesco lasciandone nella penombra altri. Ma la sua tesi è degna di nota e vale, da qui in poi, di essere presa in considerazione. Il Papa che di sé dice: «Non sono venuto a giudicare» è venuto a dirci «chi è Dio», a «riaprire la questione di Dio». Un Dio troppo spesso travisato, manipolato, oscurato. Lo stesso cambio di passo del Concilio riguarda Dio. Un Dio per il quale valga il verbo, intraducibile, primerear, ossia "Dio viene prima", ci precede. E un Papa che viene - altro verbo intraducibile - a misericordiare, ossia a "guardare con amore", senza affannarsi a giudicare. Scrive La Valle: «Non basta la riforma della Chiesa per rinnovare la faccia della terra, ci vuole un nuovo annuncio di Dio». La soglia della prima missione affidata dal Conclave a Bergoglio si sposta più avanti. La Chiesa va riformata sì, ma affinché possa veramente mostrare Dio. A chi? A un «popolo di Dio» che La Valle allarga, oltre i battezzati, oltre la Chiesa, fino all'umanità intera.
Ma è anche un Papa che, mostrando il volto di Dio, svela quello dei poteri: «Il mondo è nudo», sembra dire il Papa-bambino capace di chiamare con il suo nome la «società dell'esclusione», fino a indurre, alla vigilia del Natale scorso, il Corriere della sera a muovere contro di lui: non tanto per porsi in generosa sintonia con il «cattolico medio», ma per la condanna radicale e reiterata da parte di Bergoglio dell'attuale sistema economico-sociale. E c'è un precedente: lo stesso quotidiano «aveva scatenato Indro Montanelli», poi pentito, contro Giovanni XXIII ai tempi del Concilio ...
Ci sono tutti i La Valle. Il credente tenacemente schierato a sinistra, con le Comunità di base e con "Noi siamo Chiesa". Il pacifista di tante battaglie. L’anticapitalista rimasto tale anche a marxismo tramontato. C'è, ma senza le punte polemiche che pure sarebbe logico attendersi e senza togliersi i sassi dalle scarpe (solo qualcuno, piccolo). Come se il tempo lo avesse "asciugato" . Piaccia o non piaccia, il suo libro su Francesco merita la lettura.

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martedì 24 febbraio 2015

Chi sono io, Francesco? Cronache di cose mai viste

Esce giovedì 26 febbraio in libreria un libro dal titolo "Chi sono io Francesco?", nel quale si cerca di capire qual è la vera novità di questo papa, vista non tanto come una novità  nella Chiesa quanto nello stesso annuncio cristiano

Per mille anni, a partire dalla "rivoluzione papale" di Gregorio VII, i papi si sono rivolti al mondo dicendo: "lei non sa chi sono io", intendendo dominare "su re e regni", dettare i pensieri dei cuori e determinare le scelte anche più segrete degli uomini e dei fedeli. Ora c'è la rivoluzione papale di papa Francesco che dice: "chi sono io?", chi sono io per giudicare, per condannare, per escludere dalla comunione sostituendomi a Dio? E perciò come san Francesco si spoglia degli abiti del dominio e degli orpelli del potere, apre le porte, va a cercare gli esclusi, sconfessa i violenti, vuole che il denaro non sia signore ma servo, tira fuori il Concilio dopo 50 anni di morfina e annuncia un mondo dove "buonasera" vuol dire davvero buona sera. E così facendo svela il vero desiderio di Dio. Questo libro racconta questa novità vista da vicino, da Roma, dove dopo due anni di pontificato, si è appena agli inizi.
  
Collana Saggi
Pagine 224 
ISBN-13 9788868332792
Prezzo € 14,00


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