martedì 8 gennaio 2013

CHE FARANNO I CATTOLICI?


di Raniero La Valle

Che faranno i cattolici? Alle elezioni, s’intende. La domanda è malissimo posta. I cattolici hanno cessato da tempo di essere una categoria politica ed elettorale. Nemmeno Luigi Sturzo, che fondò un partito apposta per loro, li chiamò in causa in quanto tali. Un partito è una parte in lotta con altre parti, disse, la Chiesa invece è di tutti. Nel dar vita al Partito popolare egli non volle pertanto creare la categoria dell’elettorato cattolico, bensì, per il bene del Paese, rimediare a una esclusione dei cattolici dall’elettorato che era stata decretata dal papa in  persona per protesta contro l’Italia che si era presa lo Stato pontificio. 
Il concetto di elettorato cattolico fu invece introdotto dalla gerarchia ecclesiastica dopo il fascismo, a supporto della Democrazia Cristiana, in base al principio allora ritenuto non negoziabile dell’unità politica dei cattolici. Ciononostante la DC operò con una certa autonomia, appellandosi alla Costituzione e alla pretesa “aconfessionalità” del partito confessionale. Però quando Fanfani tentò di essere eletto presidente della Repubblica al posto di Leone, la Chiesa lo richiamò alla disciplina di partito, pretese che all’unità degli elettori cattolici corrispondesse l’unità degli eletti, e così grazie alla Santa Sede fu eletto Saragat, il primo presidente della Repubblica di nome socialista.
L’unità politica dei cattolici si dissolse poi in base a due fattori. Il primo fu che il Concilio aveva inteso chiudere la stagione del temporalismo ecclesiastico e aveva proclamato la libertà religiosa di credenti e non credenti; e se dalla Chiesa era riconosciuta la libertà religiosa, tanto più doveva essere riconosciuta la libertà
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