L’ENIGMA? I POVERI
Il sito “ChiesadituttiChiesadeipoveri” ha pubblicato
una recensione critica, per quanto assai gentile, di Vittorio Bellavite,
coordinatore di “Noi siamo Chiesa”, a un libro di Massimo Franco che dà per
consumata nell’insuccesso la cosiddetta “parabola” del pontificato di
Bergoglio.
Come nota la
recensione, più che di un libro, di cui si riconosce peraltro la ricca
informazione, si tratta di un’operazione editoriale e culturale di grande
portata che il “Corriere della Sera”, giornale a cui Massimo Franco appartiene,
ha compiuto distribuendo il libro insieme al quotidiano nelle edicole e
cercando di far passare nel pubblico l’idea inquietante di un “enigma
Bergoglio”, come ai tempi di papa
Giovanni XXIII si parlò, ma con ben diversa intenzione, di un “mistero
Roncalli”.
Il nostro
riferimento a papa Roncalli non è
casuale, perché anche nei confronti di quel papa il “Corriere della Sera” si
produsse in un’azione demolitoria, che quella volta fu affidata a un altro
giornalista di rango, Indro Montanelli, che si prestò a dar voce alle posizioni
antigiovannee della Curia di allora, anche se poi scrisse di essersene pentito.
Resta da
chiedersi che cosa ci sia di così grave, nell’uno e nell’altro, il Roncalli
della “Pacem in Terris” e il Bergoglio della “Fratelli tutti”, per cui un
giornale “moderato” (inteso come virtù) e generalmente conosciuto come fautore
di legge e ordine, attacchi, fino a desiderarne la caduta, due papi così
popolari per la loro bontà e mitezza. Non deve trattarsi di un allarme
suscitato dalla loro insistenza sulla Trinità, rimessa al centro del messaggio
cristiano, perché è improbabile che osservatori esterni che non entrano nella
logica di ciò che giudicano, colgano la portata rivoluzionaria di una fede
inclusiva che ricapitola tutto nella
misericordia del Padre. E allora perché?
La domanda
potrebbe essere trasferita dal giornale alla borghesia, lombarda o padana, che
esso rappresenta o pensa di interpretare. Che è come chiedersi perché ce
l’hanno con papi come Roncalli e Bergoglio quel genere di personaggi che un
mitico polemista dell’”Unità”, Fortebraccio, chiamava “Lorsignori”, o quei
prepotenti tanto numerosi da non poterli chiamare per nome, che a Milano
discendono in linea retta da quell’ Innominato, non ancora convertito,
raccontato dal Manzoni.
Che cosa
hanno in comune di sgradevole, per
questi signori, questi due papi (e solo loro, gli altri “santi subito!”)? Quello che hanno in comune è che sono dalla
parte dei poveri. Papa Giovanni aprì il Concilio dicendo di volere una “Chiesa
di tutti e soprattutto dei poveri”: e ha ragione di ricordarlo il sito che
proprio da questo ha preso il suo nome. E Francesco ha aperto il suo
pontificato dicendo: “Ah, come vorrei una Chiesa povera e per i poveri!”. Non
la vuole affatto invece quella piccola borghesia minuta,
formalista, credente della domenica, sparsa un po' ovunque in Italia, che si
sente anch'essa minacciata nelle sue piuttosto recenti conquiste economiche e
sociali dai poveri, soprattutto dai poveri non italiani.
La conferma,
che di questo si tratta, viene da un altro giornale che su papa Francesco ha un diverso
atteggiamento, “La Repubblica”, che ieri, sabato 14 novembre, riferendo di un
sondaggio di Demos secondo il quale tra il 2016 e il 2018 la popolarità di
Francesco sarebbe leggermente diminuita, dall’82 al 72 per cento, ne
attribuisce la causa al sostegno dichiarato e ripetuto di Francesco a favore
dei “poveri del mondo”, in particolare gli
immigrati che varcano i nostri
confini.
Dunque
questa è la soluzione dell’ “enigma”: papa Francesco, come già papa Giovanni,
non piace alla borghesia perché. a dover scegliere, essi scelgono la parte dei
poveri.