giovedì 31 gennaio 2019

IL TIRANTE CHE NON TIENE




“Ci sarà pure un giudice a Berlino!”, gridava il mugnaio di Potsdam contro il giudice locale che non gli aveva reso giustizia nei confronti del barone che gli aveva deviato le acque dal suo mulino, fonte della sua vita. “C’è una giustizia e io la troverò”, urlava la vedova di “Delitto e castigo” cacciata sulla strada, con gli orfani, il giorno del funerale di suo marito: “Possibile che non ci sia giustizia? Chi devi difendere se non noi derelitti? Ma ora vedremo! Ci sono al mondo dei tribunali, c’è una giustizia, e io la troverò”, giura la poveretta. “Ma che gente è la tua?”, dicono alla regina di Cartagine i marinai naufraghi dell’“Eneide”: “Che barbaro costume ci impedisce di scendere a terra e di fermarci sulla spiaggia? Lasciaci trarre a riva la flotta sconquassata dai venti, aggiustarla con travi tagliate dalle selve, fabbricarvi dei remi, per poi salpare lieti verso l’Italia e il Lazio”; e fu perché Didone aprì quel porto ai profughi che nacque poi l’Europa.

Ma oggi non c’è un giudice a Strasburgo. O meglio c’è una Corte europea dei Diritti Umani che non ha accolto la richiesta dei naufraghi della Sea Watch di essere sbarcati, uomini, donne e 15 minori, ma ha chiesto al nostro governo di dar loro cibo, acqua e cure mediche, insomma “i generi di prima necessità”, come se avere un tetto sulla testa e una terra sotto i piedi non fosse una prima necessità per ogni essere umano. Che mangino pure, ma in coperta, sotto i venti e le tempeste. Questo ha detto il giudice europeo, che in ciò fa corpo con i governi e con tutta l’Europa che i naufraghi, i profughi, i richiedenti asilo non li vogliono nemmeno vedere, e se li vedono gli negano perfino il nome all’anagrafe; e si sono dovuti mettere in 7 per spartirsi 47 migranti, uno ogni 15 milioni di europei, perché la nave potesse alfine prendere terra a Catania. “Un giorno vergognoso per l’Europa”, ha detto il presidente della ONG Sea Watch: "i diritti umani non dovrebbero essere negoziati, e gli esseri umani non dovrebbero essere contrattati",

È questa la linea della fermezza con variante umanitaria: l’ha spiegata in TV nella mezz’ora di Lucia Annunziata il presidente del Parlamento europeo Tajani, leader in pectore di Forza Italia; ma la linea della fermezza in salsa umanitaria è quella che ha decretato il delitto di Stato dell’uccisione di Moro e travolto la “prima Repubblica”.  

Eppure che un tetto, una terra e un lavoro sia il minimo che serve a fare la dignità di un essere umano lo ha proclamato, ogni volta che ha incontrato i Movimenti Popolari, il papa Francesco, l’unico ormai che riscatta la coscienza dell’Europa e degli Stati dal precipizio di spietatezza in cui sono caduti.

Ma la spietatezza è anche il punto debole su cui è destinato a franare l’attuale sistema di potere dell’Europa e degli Stati europei. Politiche anche severe sull’economia e sull’immigrazione possono essere accettate e perfino produrre consenso, ma la spietatezza no, la spietatezza non paga, la spietatezza non ha guadagnato ancora la maggioranza dei consensi. Sulla spietatezza i governi possono essere combattuti, possono essere sconfitti, possono cadere. Si tratta di trovare gli strumenti per chiamare in giudizio la spietatezza, che è anche un’empietà; l’ordinamento li offre, se non sarà un giudice sarà un Parlamento, una parte della stessa maggioranza, sarà un elettorato, sarà un popolo, ma alla fine la spietatezza sarà sconfitta. È quello il tirante che non tiene, che innesca la rovina di tutta la costruzione di governo e di potere, come il tirante strappato del ponte Morandi a Genova.
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martedì 22 gennaio 2019

LA SCELTA


Sabato scorso c’è stato a Milano, al Palazzo Reale, un convegno promosso dall’associazione “Laudato Sì”, di Mario Agostinelli e don Virginio Colmegna, sul tema della salvezza della Terra, in sintonia con le istanze dell’enciclica di papa Francesco. Il pericolo in effetti c’è ed è  imminente: un riscaldamento di due gradi della temperatura globale non potrebbe essere sopportato dall’ecosistema. Nel colloquio sono confluite molte esperienze e lotte e proposte, e il suo esito è stato confortante, perché sono state chiare le diagnosi, e sono stati indicati gli strumenti e i rimedi per salvare dall’olocausto ecologico la terra e tutti quelli che vivono in essa. Il contributo portato al dibattito da “Chiesa di tutti Chiesa dei poveri” è stato di dire che però questo sarà possibile, a condizione che prima facciamo un’altra cosa, che è di fondare un’unica società umana.
Ci vorrà  la politica, il diritto, l’economia, ma prima ancora ciò dovrà essere oggetto di una grande decisione antropologica. Non è affatto scontato infatti che l’umanità sia una, e che gli uomini e le donne siano eguali tra loro. Per molti secoli questa verità è stata negata e si è invece teorizzata una diseguaglianza per natura tra gli esseri umani; la storia della diseguaglianza è una storia dolorosissima di signori e servi, schiavi e liberi, popoli eletti e scartati, donne appropriate e negate, razze e caste, predazioni e genocidi. Si dovette arrivare al Novecento perché l’unità umana  e l’eguaglianza delle persone e delle nazioni grandi e piccole (come dice lo Statuto dell’ONU), fossero alfine riconosciute dalla cultura e proclamate nelle grandi Carte dei diritti e delle libertà fondamentali, anche se poi non attuate.
Esse però sono oggi di nuovo negate in via di principio, ripudiate dalla politica e frantumate dal sistema economico; e il genocidio del popolo dei migranti è oggi perpetrato da tutti noi.
Questo vuol dire, come abbiamo scritto l’altra volta, che occorre tornare ai nastri di partenza, dobbiamo decidere di nuovo ciò che vogliamo essere, se una società di eguali o una società di ammessi e scartati.
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venerdì 11 gennaio 2019

AI NASTRI DI PARTENZA


Lo sblocco della prigionia sul mare inflitta ai migranti salvati dalla Sea Watch (ma il loro calvario è solo all’inizio) almeno una buona notizia l’arreca: sarà per l’appello lanciato domenica all’Angelus da papa Francesco, sarà per l’offerta della Chiesa valdese, sarà per l’imprevista vampata umanitaria del premier Conte, in ogni caso una decina di naufraghi, uomini donne e bambini, passeranno oltre i porti chiusi di Salvini ed entreranno in Italia. La buona notizia è che il cuore di pietra, quando è troppo esposto alla pubblica visione, non regge: perfino i governanti se ne vergognano, italiani ed europei, e devono mostrare almeno un lembo del loro cuore di carne. Così una manciata di profughi, centellinati tra una decina di Paesi, entra ancora questa volta nel paradiso europeo.
Ma la cattiva notizia è che questo ennesimo caso d’eccezione non fa che confermare la regola dell’esclusione e del rifiuto, la regola dello scarto: i salvati e i sommersi, ma si potrebbe anche dire i predatori e i predati.
I primi, quelli che oggi sono forti, non si contentano più di chiudere porti e frontiere, di schierare cani ringhiosi e doganieri, tornano ad alzare muri e cortine. Ormai c’è un muro che corre per migliaia di chilometri non a dividere Est ed Ovest, ma a barricare il Nord contro il Sud, a cominciare dal muro col Messico, che Trump è pronto a costruirsi anche da solo, e che spacca in due l’America. E qui da noi abbiamo il muro steso attraverso il Mediterraneo, da Gibilterra ad Efeso, il muro tra Israele e i Territori ancora non del tutto Occupati, che sega la Terra santa a Betlemme, il muro che, alto otto metri, divide in separate corsie la strada 4370, tra Gerusalemme e Gerico, in modo che da un lato corrano le macchine ebree e dall’altro quelle palestinesi, il muro finanziato dalla Gran Bretagna che sarà costruito lungo l’autostrada che mena al porto di Calais, per impedire l’imbarco dei clandestini, e il muro fitto di menzogne, di eserciti invasori e di false guerre civili che il Nordatlantico ha costruito negli anni e ancora munisce per predare il cobalto in Congo e il petrolio in Medio Oriente, gettando al macero Africa, Siria, Iraq e le altre perle della civiltà antica; e vedremo come andrà a finire in Asia.
Il Nord contro il Sud. Ma chi salverà il Nord da se stesso? Forse un giorno il Sud lo salverà.
Per ora sembra che il mondo sia tornato ai nastri di partenza: il forte vince, il debole soccombe. È la legge dell’evoluzione scoperta da Darwin: c’è una lotta per la vita, nella quale sono preservate “le razze favorite”, i soggetti più atti a sopravvivere, e i più deboli e malriusciti devono invece soccombere. Ma questo riguardava le leggi di natura: non la cultura, non la storia. E invece questo principio è stato trasposto nella politica, nel diritto, nella filosofia; la modernità se ne è imbevuta, fino alla formulazione di Spencer: “se gli uomini sono realmente in grado di vivere, essi vivono, ed è giusto che vivano: Se non sono realmente in grado di vivere essi muoiono ed è giusto che muoiano”; e su questo principio è stato costruito il capitalismo selvaggio, il suo vangelo: la competizione, la concorrenza, la moneta buona che scaccia quella cattiva, il darwinismo sociale.
È gloria dell’Occidente, a partire dal Sud del mondo, avere immesso nella storia il principio alternativo: il potere del re che compensa l’impotenza dei deboli, fin dai codici di Ur e di Hammurabi, la beatitudine dei poveri predicata da Gesù, le cose deboli che confondono le forti di san Paolo, fino alle rivoluzioni moderne, alle Carte dei diritti, al costituzionalismo post-bellico, ai grandi messaggi di eguaglianza e di liberazione, da Gandhi a Mandela alle teologie in contesto nero e latino-americano, fino al rovesciamento della retribuzione divina in misericordia di un uomo del Sud come papa Bergoglio. 
La novità consiste nel fatto che questo principio alternativo è oggi diffamato e negato in via di principio, e questa negazione pretende di farsi maggioranza, di diventare pensiero comune e prassi di governo al di qua dei muri che si stanno erigendo per affermare il  “prima noi”, ossia “solo noi”. C’è un’impressionante intervista rilasciata in questi giorni da un esponente di questo nuovo, e tuttavia vecchissimo pensiero, un membro del Consiglio d’Amministrazione della RAI, designato dai Fratelli d’Italia, Giampaolo Rossi, un sintomo autorevole perciò di che cosa c’è oggi al centro della comunicazione. Dice Rossi che “uno dei tratti del nostro tempo è la fine irreversibile dei due principali dogmi ideologici della sinistra mondiale che hanno dominato il dibattito culturale e l’immaginario simbolico di milioni di persone per circa un secolo. I due dogmi sono: progresso e uguaglianza. Ma già Ernst Jünger, una delle più lucide intelligenze del ‘900, in un suo scritto ricordava che 'gli uomini sono fratelli ma non eguali'.” Ciò vuol dire che anche nel voto si potrebbe contare più o meno secondo il livello d’istruzione, come una volta in  ragione del censo. E che il progresso va tolto come speranza dei poveri. E che infierire sui migranti sarebbe una cosa di sinistra perché, come ci viene spiegato,  le migrazioni non sono un fenomeno storico a cui dare risposta, ma un complotto dei nemici dell’Occidente per scardinarne i valori e fornire manodopera a basso costo ai padroni del vapore.
Questo vuol dire essere tornati ai nastri di partenza, è come se di nuovo dovessimo decidere se gli uomini e le donne, sono eguali e se la storia non è finita.  È questa la grande sfida, la posta in gioco, la grande responsabilità delle nuove generazioni. 
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venerdì 4 gennaio 2019

TRAPIANTI


Lo scontro sul cuore dello Stato si è fatto durissimo, quello che si sta decidendo è se a settant’anni dal parto doloroso da cui è nato, il nostro Stato debba mantenere un cuore di carne o trapiantarsi un cuore di pietra. Si potrebbe definire uno scontro sull’identità: infatti porti chiusi od aperti, bambini discriminati fin dall’asilo, stranieri gettati nel gorgo perché “solo gli italiani”, non sono un cambio di politica, sono un cambio dell’Essere. È singolare come tutto si rovesci. Il governo populista insorge contro i Sindaci del popolo, il Paese che voleva dare una lezione all’Europa si fa lacché dell’Europa sigillandone i confini meridionali  e armandone sul mare l’apartheid, il ministero della sicurezza pubblica si fa portatore della massima insicurezza promettendo la pacchia ai fabbricanti e venditori di armi, gettando i richiedenti asilo nella clandestinità, rompendo la legge dell’universalità della salute, per cui se una parte della popolazione non è curata anche l’altra si ammala, e accumula sulla testa dei cittadini e di quelli futuri la minaccia di un odio straniero e di incontrollabili sentimenti di vendetta di quanti porteranno nelle loro carni la memoria del rifiuto e delle persecuzioni subite nel nostro mare e nei nostri lager e centri d’identificazione ed espulsione. Come ha scritto la segretaria di Magistratura Democratica, Mariarosaria Guglielmi, "dobbiamo essere consapevoli che il nostro Paese sta rinnegando se stesso, la sua storia di accoglienza, l'orgoglio per le vite salvate dalla più grande azione di soccorso umanitario compiuta nel Mediterraneo rappresentata dall'operazione Mare Nostrum”.

Però la Repubblica non è perduta: essa, come dice la Costituzione all’art. 114, non è costituita solo dallo Stato, ma “dai Comuni, dalle Province, dalle Città metropolitane, dalle Regioni e dallo Stato”. E Stato sono anche i cittadini pronti all’accoglienza, e Stato è anche la Costituzione che, come ha sancito una celebre sentenza della Corte Costituzionale del 1991, è fondata sulla “coscienza individuale”, che  è “la base spirituale-culturale e il fondamento di valore etico-giuridico” dei diritti inviolabili e delle libertà fondamentali dell’uomo, e quindi non solo ammette l’obiezione di coscienza ma, rispetto a leggi non umane, ne esige l’inosservanza.
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