giovedì 25 aprile 2013

Il partito senza le due culture


di Raniero La Valle
Quale Partito Democratico è precipitato nella Caporetto delle elezioni presidenziali? Questa domanda suppone che di Partito Democratico possa essercene un altro.
Il partito che ha subito la rotta di Montecitorio è quello che, pur essendo passato attraverso diverse metamorfosi e diversi fondatori e dirigenti, potremmo identificare come il partito veltroniano. Esso deriva da due vizi di origine, uno ideologico, l’altro politico.
Quello ideologico è consistito nella pretesa di unire due culture, quella comunista e quella cattolica, negando tutte e due.
L’incontro tra cultura comunista e cultura cattolica era passato attraverso diverse tappe, tutte di rilevante spessore. La prima era stata la “Pacem in terris” di Giovanni XXIII, che attraverso la distinzione tra l’errore e l’errante aveva dato legittimità al dialogo. La seconda era stata il confronto, condotto ai massimi livelli ecclesiastici, tra l’antropologia marxista e quella cristiana nei famosi incontri internazionali della Paulus Gesellschaft. La terza era stata quando Berlinguer, nel suo lungo viaggio verso l’incontro con la DC e altri partiti anticomunisti, a chi gli chiedeva in che cosa consistesse per lui una società socialista in Italia, affermava che essa sarebbe consistita in una piena attuazione della Costituzione repubblicana. La quarta fu quando Moro, nel suo discorso di Bari, sviluppando la “strategia dell’attenzione”, disse che si doveva andare a vedere in che cosa consistessero gli “elementi di socialismo” che il PCI voleva introdurre nella struttura sociale ed economica italiana.
Ci si fermò con l’assassinio di Moro. Poi, quando cadde il famoso Muro i dirigenti comunisti soppressero il problema annunciando sull’Unità a tutta pagina “la fine del comunismo”, sciolsero il partito comunista e, uscendo dalla storica lotta tra capitalismo e socialismo, cercarono di passare dal campo dei vinti a quello dei vincitori.
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venerdì 12 aprile 2013

Riforma del Papato di Raniero La Valle




Il metodo che abbiamo scelto per partecipare alle celebrazioni dei 50 anni dal Concilio Vaticano II si è rivelato molto fruttuoso: esso consiste non nel ricordare, ma in un capire differito; non ridare  colore a immagini sfocate ma capire oggi, nella nuova situazione della Chiesa e del mondo, ciò che pur c’era nell’evento del Concilio, ma che allora non capimmo, cose che allora erano rimaste nascoste perfino ai suoi principali protagonisti. Una cosa di cui allora nessuno si accorse fu che nella “Pacem in terris”  di papa Giovanni, suo estremo magistero prima della  morte, non  solo c’era una  grande novità teologica e antropologica, ma c’era in nuce la riforma del papato e perciò della Chiesa.
E’ questa la conclusione a cui è giunta la grande assemblea ecclesiale intitolata alla “Chiesadituttichiesadeipoveri” che si è tenuta il 6 aprile a Roma e ormai già per la seconda volta in un anno.
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Conclusioni di Raniero La Valle all'assemblea ecclesiale di Roma del 06 aprile scorso nel cinquantesimo anniversario della "Pacem in Terris"




Cari amici, abbiamo fatto in questa felice giornata un piccolo monumento alla “Pacem in terris”. Ne abbiamo analizzato molto in profondità teologia ed antropologia, abbiamo visto cioè che cosa essa vuol dire per la comprensione di Dio e per la comprensione dell’uomo, che poi vuol dire per la comprensione del cristianesimo che è l’unica religione nella quale Dio si trova nell’uomo e l’uomo non si trova che in Dio.
Giunti alle conclusioni, io vorrei parlare non tanto delle cose che abbiamo detto, ma di noi che le abbiamo dette, e più precisamente del sentimento che ci accomuna, del sentimento con il quale e a causa del quale abbiamo ripreso in mano, dopo cinquant’anni, la “Pacem in Terris”, ma che può essere anche il sentimento dei giovani che la prendessero ora in mano per la prima volta.
Questo sentimento è la meraviglia. La meraviglia sta nel fatto che l’enciclica ci ha detto qualcosa che mai avremmo pensato di sentir dire dalla Chiesa preconciliare: e nell’aprile del 1963, la Chiesa era ancora la Chiesa preconciliare, il Concilio sarebbe esploso dopo. Questa meraviglia però vale anche rispetto alla Chiesa di oggi, che con l’ordinario militare e i cappellani militari fa ancora parte delle Forze Armate.

“Noi siamo meravigliati”

Perciò questa enciclica avrebbe potuto piuttosto chiamarsi: “Mirari nos”. Noi siamo meravigliati. E tanto più potrebbe chiamarsi così perché essa si poneva come un rovesciamento radicale e simmetrico di un’altra enciclica, vecchia di oltre un secolo, che si chiamava “Mirari vos”, che voleva dire “voi non siete meravigliati”.  Era l’enciclica del 15 aprile 1832 in cui Gregorio XVI rifiutava la modernità, poneva la religione come fondamento e sgabello del potere politico dei Regni, dei Principi e di ogni altra dominazione, era l’enciclica in cui veniva condannato l’indifferentismo in quanto accusato di rispettare tutte le religioni, erano bollate come “un delirio” la libertà religiosa e la libertà di coscienza, era esecrata la libertà di stampa, esorcizzata “la mortifera peste dei libri” ed erano messi al bando i sediziosi che “con infamissime trame” mancavano di fede, cioè resistevano, ai Principi e si sforzavano di cacciarli dal trono. E questa enciclica non solo metteva sotto accusa i liberali infedeli, ma anche i cattolici liberali, a cominciare da Lamennais e dal suo giornale L’Avenir.
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