Soldati per
denaro, la guerra come prodotto
C’è stato un
ammutinamento in Russia della milizia privata detta “Wagner” e tutto il mondo
ha tenuto il fiato sospeso. E se il Paese sprofonda nell’anarchia? E se le armi
nucleari finiscono in mani irresponsabili? Ma questa improvvisa variante della guerra in Ucraina è durata
solo un giorno, perché il sistema in Russia si è rivelato ben più solido di
quanto in Occidente si scrivesse o si
sperasse, e i ribelli si sono pentiti e hanno pensato bene di “non spargere
sangue russo”. Sicché la ribellione
della Wagner si è conclusa in negativo
per il soldataccio Prigozhin e per i Servizi occidentali che, se pur era vera la vanteria che sapessero tutto già prima,
non hanno saputo come muoversi e che
fare; si è risolta invece in positivo
per Putin che avrebbe potuto fermare a cannonate il convoglio mercenario sull’autostrada
per Mosca, e ha invece ben calcolato i rischi preferendo la soluzione politica
(con i terroristi dunque si tratta!) ed evitando la guerra civile. Contro le affrettate
profezie di un collasso della Russia e di una sua débacle militare,
la controffensiva ucraina non ha tratto dalla crisi alcun vantaggio e la
guerra è continuata tale e quale.
Piuttosto
l’avventura della Wagner ha acceso i riflettori sulla piaga degli eserciti mercenari
e dei “contractors” che hanno
sostituito gli eserciti di leva. Il pacifismo in Occidente ha salutato
come una sua vittoria la rinunzia degli Stati alla coscrizione obbligatoria, ma
in realtà è stata la vittoria dei guerrafondai che, scottati dall’esperienza
del Vietnam (le cartoline precetto bruciate nei campus universitari) e dalla legittimazione dell’obiezione di
coscienza, hanno realizzato che non potevano più fidarsi dell’esercito di popolo e del suo gratuito
amore per la Patria e hanno optato per la prostituzione alla guerra e l’acquisto
delle prestazioni militari per denaro. In tal modo sempre più alla guerra sono
venuti meno gli alibi ideali (e i comportamenti sognati dalle Convenzioni di
Ginevra) e sempre più essa si è
resa intrinseca
al denaro. Come tutta la realtà assoggettata dal capitalismo alla legge della
cosa, la guerra è diventata un prodotto, e gli uomini e le donne alle armi sono
diventati il producibile, non solo a profitto delle industrie e del mercato
delle armi, ma anche in funzione delle guerre da combattere e del bottino e dei
morti da scambiare tra le parti in conflitto. Sarebbe proprio questo oggi il punto
d’arrivo del Nomos, del diritto, che secondo Carl Schmitt sarebbe sorto in
origine sottoponendo tutta la realtà a
una legge di appropriazione, divisione,
produzione, instaurando il dominio
delle cose, e del prodotto, sull’uomo.
In tal modo
il sistema di dominio e di guerra a cui, a partire dal grande evento politico
della rimozione del muro di Berlino, è stato conformato l’ordine
internazionale e resa schiava la stessa
condizione umana sulla Terra (ricordiamo il ministro che durante la guerra del
Golfo spiegò alla Camera che ormai non si poteva più distinguere il tempo di
guerra dal tempo di pace), si è istituzionalizzato e dotato di tutte le
garanzie per non essere messo in discussione e contestato in democrazia sulle
singole guerre da fare.
Paradossalmente
se oggi si vuole lottare per la pace e il ripudio del sistema di
guerra, bisognerebbe lottare per il ripristino del servizio militare
obbligatorio, tale però da essere finalizzato alla creazione di eserciti atti a difendere, e non solo con le armi, non semplicemente “la Patria”, ma molti beni
comuni di cui constano le Patrie; e
potrebbero queste Forze Armate non essere sempre con le armi al piede, come fu
per la missione militare italiana che
alla caduta di Hoxha si recò senza armi in soccorso all’Albania e non per caso
fu chiamata “Pellicano”. E con la
coscrizione obbligatoria potrebbe perfino tornare l’obiezione di coscienza a
cui in Italia, unico Paese al mondo, la legge riformata che fu elaborata in
Parlamento dal Gruppo Interparlamentare (e interpartitico) per la Pace (GIP) diede
il nome, in positivo, di “obbedienza alla coscienza”.