di Raniero La Valle
“Oggi sarai
con me in paradiso”, “Hodie mecum eris in
paradiso”, Luca 23,43.
Da questo
testo vorrei ricavare tre suggerimenti:
1) Il primo.
Il testo dice: “sarai”, non “ritornerai”. Eppure sul tema del ritorno in
paradiso è fiorita tutta una letteratura spirituale ed una predicazione
religiosa.
Il ritorno al
paradiso suppone che il paradiso stia nel passato: è il luogo che abbiamo
perduto e al quale dobbiamo tornare. A questa idea corrisponde una precisa
teologia: è la teologia della salvezza che sta nel passato, della terra
promessa che è quella da cui siamo usciti, del Padre da cui ci saremmo
allontanati e al quale dovremmo tornare.
E’ la
teologia del reditus, del ritorno;
non è la teologia della rivoluzione, e non è nemmeno la teologia della
conservazione: è la teologia della restaurazione.
Il paradiso perduto
Essa suppone
un ordine che stava nel passato, un ordine del cosmo che si è rotto. Le ragioni
che si portano di questa rottura primordiale sono molteplici. La prima,
avanzata dalla letteratura apocalittica ebraica dopo l’esilio a Babilonia, è
che il mondo non era come Dio lo aveva voluto. La creazione gli era riuscita
male, e doveva quindi essere rifatta da capo; oppure essa si era guastata a
causa di una congiura di angeli che avevano sciupato l’opera di Dio, come
ancora dice il catechismo della Chiesa cattolica, infaustamente promulgato nel
1992; l’altra ragione, avanzata dalla dottrina cristiana, è che questa catastrofe
originale sarebbe avvenuta per colpa nostra. Questa colpa starebbe nel fatto
che noi abbiamo compiuto un peccato così potente da sconvolgere tutto l’ordine
del cosmo, la natura e la cultura, la terra e gli uomini di tutte le
generazioni. Questa colpa sarebbe stata tale da offendere Dio con un’offesa
infinita, tale da potere essere lavata solo col sangue di un Dio, e quindi col
sangue del Figlio. Questo è quello che a partire da Anselmo da Aosta si
tramandava nelle nostre teologie.
In questa
visione pertanto il Paradiso stava prima della storia, prima del peccato
originale, prima che l’uomo e la donna fossero cacciati dal giardino dell’Eden
e condannati alla morte, al sudore del lavoro, ai pruni e alle spine della
terra e ai parti con dolore. Era peraltro un paradiso molto precario, subito
perduto, come se Cristo non ci fosse stato; ma ciò contraddice tutta la
cristologia nicena, su cui è costruito il cristianesimo, secondo la quale
Cristo redentore è coeterno al Padre, ed è all’opera fin dalla fondazione del
mondo.
E infatti,
come finalmente dice il Concilio Vaticano II nella “Lumen Gentium”, Dio non cacciò nessuno dopo la caduta, ma intuitu Christi, in vista di Cristo
Redentore, non abbandonò l’uomo e mai gli negò gli aiuti necessari alla
salvezza.
L’idea del
paradiso che sta nel passato e al quale, mondati, dovremo tornare, non è
peraltro un’idea innocua, e per questo ne parliamo.
E’ infatti
l’idea di una storia pensata all’indietro, che marcia in senso antiorario, è
l’idea che la perfezione stava all’inizio, e che dopo la sua perdita non ci
sono state che macerie, oppure, come diceva il papa Ratzinger felicemente ex
regnante, ci sarebbe stato “un fiume sporco”, che è la storia. La perfezione
dell’inizio, secondo questa concezione, sarebbe invece rimasta nell’ordine
della natura, che perciò è considerato come immutabile, è concepito come sacro,
e come tale portatore di principi non negoziabili, e fonte di un diritto di
natura di cui la Chiesa sarebbe infallibile interprete e di cui dovrebbe farsi
garante contro il diritto positivo e, secondo Ratzinger, contro la democrazia
delle maggioranze.
Il paradiso
però non è questo, e non si trova così. Il paradiso è proprio quello che
distoglie dalla prigionia del passato e scompiglia questa concezione di una
storia rivolta all’indietro.
Lo leggiamo
nelle tesi di filosofia della storia di Walter Benjamin, dove la storia è
presentata sotto le vesti dell’Angelus Novus dipinto in un quadro di Klee.
Questo Angelus Novus, che sarebbe l’angelo della storia, e perciò secondo questa
allegoria sarebbe la storia stessa, ha gli occhi spalancati, le ali distese e
il viso rivolto al passato. Ma nel passato egli vede solo catastrofi che
accumulano senza tregua rovine su rovine e le rovesciano ai suoi piedi.
L’angelo – cioè la storia – vorrebbe fermarsi a sanare le rovine e ricomporre
l’infranto. Ma lì non c’è il paradiso. Dal paradiso invece, dice Benjamin,
spira una tempesta che si è impigliata nelle sue ali ed è così forte che
l’angelo non può più chiuderle. Questa tempesta lo spinge irresistibilmente nel
futuro, a cui volge le spalle, mentre il cumulo delle rovine sale davanti a lui
al cielo. Ma lui se ne allontana, non ne è trattenuto. La tempesta che viene
dal paradiso invece lo spinge avanti, spinge avanti la storia, il paradiso è più
avanti, l’attrae verso di sé.