venerdì 28 giugno 2019

IL CATTOLICESIMO NON HA SEMPRE RAGIONE


Mentre il cardinale tedesco Brandmüller, uno dei quattro estensori dei "dubia" sull'ortodossia della "Amoris laetitia", accusa di eresia perfino il Sinodo dell'Amazzonia, che non si è ancora tenuto, e mentre papa Francesco racconta - e la Civiltà Cattolica pubblica - di aver chiesto scherzando a una donna che gli aveva detto di pregare ogni giorno per lui: "mi dica la verità, prega per me o contro di me?", segno del clima di assedio in cui vive oggi il Vangelo nella Chiesa, è assolutamente necessario leggere il discorso di papa Francesco a Posillipo sulla teologia e il Mediterraneo "tenda di pace". E' stato un blitz che ha fatto il papa il 21 giugno, partendo alle 7,50 in elicottero dal Vaticano, parlando alla Facoltà teologica, e ripartendo da Napoli alle 13,12. I giornali quasi non se ne sono accorti, ma è stato un evento capitale per la storia di questo pontificato e della Chiesa stessa nell'attuale nodo storico. Formalmente era un discorso sulla teologia, non in astratto ma nel contesto del Mediterraneo e a partire dalle novità introdotte dalla Costituzione apostolica "Veritatis Gaudium" sugli studi ecclesiastici del 2017, ma di fatto è stata una risposta all'assillante domanda formulata da papa Paolo VI durante il Concilio: "Chiesa di Cristo, che cosa dici di te stessa?". Bisogna leggere questa risposta, che è anche una risposta a quanti vorrebbero imbalsamare la fede nei manuali, il kerigma nella scolastica decadente e l'evangelizzazione nel proselitismo; ed è anche una risposta ai prelati e ai portavoce che accusano il papa di eresia, e altresì a chi, musulmano o cristiano, è ancora in odore di crociata. Bisogna leggere questo discorso, fluente familiare e fondativo, segno del tempo, capace di presagire il futuro; ne indichiamo qui solo alcuni punti cruciali.
1.   Francesco chiude l'incidente di Ratisbona, quanto Benedetto XVI citò Manuele Paleologo che attribuiva a Maometto "cose solo malvagie e inumane", e lo fa rovesciando il discorso col ricordare le persecuzioni compiute in nome di una religione "che anche noi abbiamo fatto". E ha citato la Chanson de Roland, dove si dice che "dopo aver vinto la battaglia i musulmani erano messi in fila, tutti davanti alla vasca del battesimo; c'era uno con la spada, e li facevano scegliere: o ti battezzi o ciao!". E contro questa scelta, "o battesimo o morte", papa Francesco ha fatto appello alla nonviolenza "come orizzonte e sapere sul mondo", elemento costitutivo di ogni teologia, di ogni religione.
2.   Francesco non rivendica il Mediterraneo come un "mare nostrum" ebreo-cristiano, ma lo celebra come il mare del meticciato, multiculturale e pluri-religioso, e proprio perciò mare per il dialogo e "grande tenda di pace". 
3.   Francesco nega che il patrimonio di fede possa giacere immobile nei manuali, come accadeva "nel tempo della teologia decadente, della scolastica decadente", quando lui aveva studiato e si diceva scherzando, ma non tanto, che tutte le tesi teologiche si provavano con un sillogismo il cui termine medio era che "il cattolicesimo ha sempre ragione". La fede al contrario, cresce con il dialogo. Un dialogo con le persone, con la Tradizione, e anche con i testi sacri, leggendo nella realtà, nel creato e nella storia i segni e i rimandi teologali al mistero del cammino di Gesù che lo porta alla croce, alla resurrezione e al dono dello Spirito. Non dunque un'apologetica controversista, ma un'ermeneutica dell'amore di Dio per tutti gli uomini, per tutta la fraternità umana. 
4.   Francesco include nel dialogo l'evangelizzazione, che è testimonianza non solo di parole, (e cita san Francesco che diceva ai frati: "predicate il Vangelo, se fosse necessario anche con le parole") ed è accoglienza; non è, invece, proselitismo: quello "è la peste", come, "peste" è la sindrome di Babele che consiste non nella differenza delle lingue, ma nel non ascoltarsi l'un l'altro. 
5.   Francesco dice che la teologia deve essere interdisciplinare, compassionevole, capace di discernere nel patrimonio ricevuto quanto è stato veicolo dell'intenzione misericordiosa di Dio e quanto invece è stato infedele; la teologia deve essere in solidarietà con tutti i naufraghi della storia, a cominciare da Giona fino a quelli di oggi con cui si deve riprendere la strada senza paura. Una tale teologia propizierà una nuova Pentecoste teologica nella libertà del pensiero - per sperimentare strade nuove - nell'assunzione della storia, nella convivialità delle differenze, nel lavoro comune di uomini e donne e nell'accoglienza kerigmatica di persone e popoli, nel Mediterraneo e non solo.
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venerdì 21 giugno 2019

IL VOLTO


Nel recente post “Siamo tutti Leviatani?” facevo riferimento a un mio libro, appena uscito, “Lettere in bottiglia”, edito da Gabrielli. Esso è dedicato, oltre che a papa Francesco, “perché ha molto amato”, ai nati in questo secolo. In questione è infatti, dice il libro, “il vostro Duemila”. Gran parte di queste lettere ora messe in bottiglia, soprattutto le ultime, sono partite come “Notizie da Chiesa di tutti Chiesa dei poveri” e arrivano fino ai più recenti avvenimenti, fino all’ultima accusa di eresia lanciata al papa, per aver affermato nel recente documento di Abu Dhabi l’unità e fraternità umana pur nel “pluralismo e le diversità di religione, di colore, di sesso, di razza e di lingua che sono una sapiente volontà divina, con la quale Dio ha creato gli esseri umani”.
Queste lettere tuttavia, anche se giungono ai nostri giorni partono da lontano, cominciano dal sacrificio di Aldo Moro, dato dai potenti e dai terroristi di allora in olocausto alla ragion di Stato, alla ragion di Partito e alla politica intesa come omertà con gli amici e disfatta per i nemici; quel crimine politico, dettato dalla sentenza che fosse meglio che un uomo solo morisse piuttosto che tutta l’Italia cadesse in mano ai comunisti, fu il delitto fondatore di questa seconda fase della Repubblica, che va dal 1978 fino ad oggi, una fase politica vissuta come guerra perpetua e giunta ora a una complicità di governo tra contraenti che si abbracciano e si scontrano addossando agli altri, ai poveri, ai disoccupati, ai migranti, agli stranieri, ai fuggitivi da guerre e carestie, tutti i mali che non si riescono a dominare e le ingiustizie che non si riescono a sanare.
Tra queste due soglie temporali si muovono queste lettere, il cui scopo però non è di far memoria delle cose passate (siamo pieni di memoriali di tragedie passate che non servono a salvarci e nemmeno a renderci migliori)  ma è quello di affacciarsi sul futuro, come da un parapetto, dal quale si può cadere nel precipizio o prendere la strada di una storia nuova, di una terra nuova e, perché no, anche di cieli nuovi dal momento che c’è un papa che ci sta mostrando una stella e vorrebbe dell’umanità intera fare la costellazione che la segue.
Perché si realizzi questa seconda alternativa la domanda, che già fu piantata nella cultura del Novecento, è se c’è un Dio, e quale Dio, che ci possa salvare. Questa domanda non fu posta dalle Chiese, che credevano di avere già la risposta, ma dalla filosofia e dalla politica, in Germania da Martin Heidegger, in Italia da Claudio Napoleoni. Perché le vecchie filosofie erano fallite, come annunziava  il grande storico della cultura Italo Mancini: la filosofia dell’Essere, cioè la filosofia degli assoluti, del non negoziabile, della trascendenza inaccessibile che fonda il trono dei potenti, e la filosofia dell’Io, dell’identità, della dialettica, i due corsi del pensiero occidentale che avevano dato luogo ai totalitarismi, agli universi concentrazionari, alle guerre e giungono ora fino ai sovranismi.
La risposta, quando non sapevamo dove andare, fu che a salvarci non poteva essere la filosofia dell’Essere o quella dell’Io, non il culto dell’identità esclusiva ed escludente, ma sarebbe stato l’Altro e il suo volto, un volto da riconoscere, da accogliere, da accarezzare, da amare. Un volto che non si può oltrepassare senza che i nostri occhi lo vedano.  
E a un certo punto, a dire quale Dio ci può salvare, è arrivato papa Francesco non “dalla fine del mondo”, ma prima della fine del mondo, e ci ha rivelato che il Dio del giudizio senza misericordia neanche esiste, noi siamo atei per questo Dio. Il solo Dio che esiste  ha “il volto della misericordia”, si è “scambiato” con l’uomo, ha preso il suo posto sulla croce, sui barconi dei profughi e nei lager libici, nelle fabbriche occupate e nei tombini dove si scende per riattaccare la luce ai poveri che ne sono privi; e questo Dio è un Dio che si è dato per tutti, che non fa esclusione di persone, anche se le religioni lo hanno fatto a pezzi  ciascuna rivendicando il proprio Dio come l’unico vero e ciascuna affermando se stessa come l’unica arca voluta da lui, fuori della quale non ci sarebbe salvezza.   
Ma già era venuto il Concilio a dire che la vera arca di Dio sulla terra oltrepassa le religioni stabilite, sussiste nella Chiesa cattolica ma non si esaurisce in essa; e ciò significa riaprire il discorso con Dio, riaprirsi all’ascolto delle cose non ancora annunziate, delle cose non ancora capite.
Viene allora il tempo, secondo le parole della recente assemblea di “Chiesa di tutti Chiesa dei poveri”,  di riaprire la questione messianica, proprio ora quando la storia stessa può finire per mano dell’uomo. Ciò suppone che ci sia ancora un messia, un “messia che rimane”, come dice alla fine del suo vangelo Giovanni a  proposito del “discepolo che rimane”. Questo discepolo, questo messia nascosto non alza insegne né sacerdotali né regali; infatti siamo noi, è l’umanità tutta intera, ricomposta nella sua unità di origine e di destino, a cui tocca raccogliere, e assumere come compito, la  profezia che la terra sia salva e la Storia continui. Perché questo accada non bastano Carte dei diritti e dichiarazioni di principio; occorre che l’intera famiglia umana sia istituita come nuovo soggetto politico, fonte di diritto, potere costituente di un nuovo ordine globale fondato sull’eguaglianza e la dignità di tutti gli esseri umani. Che, nelle diverse lingue e culture, prenda partito, ma partito per la Terra.
Questo dicono le “Lettere in bottiglia”. Esse saranno presentate a Roma dal camaldolese don Innocenzo Gargano e da me nella Biblioteca della Chiesa di san Gregorio al Celio, piazza san Gregorio 1, giovedì 4 luglio alle ore 18; saranno anche presentate lunedì 1 luglio nella trasmissione “Il diario di papa Francesco” di TV 2000 alle ore 17.30.
Il libro, oltre che in libreria, si può ordinare sul sito:
https://www.gabriellieditori.it/shop/intersezioni/raniero-la-valle-lettere-in-bottiglia/ Continua...

venerdì 14 giugno 2019

SIAMO TUTTI LEVIATANI?


Noi siamo un Paese in cui i ladri sono passati per le armi. È successo il 7 giugno quando un tabaccaio di Ivrea ha sparato e ha ucciso un ladro moldavo che non era entrato in casa sua né nel suo negozio, che è la nuova licenza di uccidere, ma stava rubando sulla strada una macchinetta cambiavalute con altri due complici. Abbiamo tanto esecrato certi Stati islamici così opposti alla nostra identità che ai ladri mozzano le mani, ed ecco che siamo diventati più severi di loro, non solo tagliamo ai ladri le mani che rubano, ma togliamo loro la vita che attraversa la nostra, su istigazione del ministro degli Interni e con annesse manifestazioni di tripudio popolare. È “la giustizia a portata di mano” regredita a violenza e vendetta, di cui ha parlato Maria Rosaria Guglielmi, Sostituta Procuratore della Repubblica a Roma, alla recente assemblea di “Chiesa di tutti Chiesa dei poveri”. Ed è ritornare all’indietro, oltre Thomas Hobbes, che con un colpo di genio ermeneutico aveva dato avvio allo Stato moderno immaginandolo come il mostro biblico, il Leviatano, che si assumeva il monopolio della violenza e ne dispensava i cittadini, facendoli uscire dallo “stato di natura”, per farli entrare nello “stato civile”; e se nello stato di natura vigeva la legge della uccidibilità generalizzata, per cui nessuno era sicuro in quella lotta di tutti contro tutti, nello stato civile avrebbe regnato la sicurezza pubblica e la moderna polizia. Ora il Leviatano postmoderno torna alle origini, e invece di limitare dissemina la violenza, facendo sì che Leviatani, i mostri, diventiamo tutti noi.
Il 3 giugno scorso è uscito in libreria, edito da Gabrielli, un libro di Raniero La Valle, “Lettere in bottiglia”, col sottotitolo: “Ai nuovi nati, questo vostro Duemila”, che ci riguarda perché molte delle lettere ivi contenute sono partite, come newsletter, da questo sito. Il libro è stato presentato per la prima volta quel giorno a Cremona, nella sala Zanoni, per iniziativa della Tavola della pace, del Volontariato e di un Cenacolo di preghiera per papa Francesco. Nello stesso momento, poiché mancavano tre giorni alle elezioni, nei giardini comunali di piazza Roma c’era un comizio del ministro Salvini, che ci teneva moltissimo a vincere a Cremona il ballottaggio per il sindaco. All’incontro per la presentazione del libro mancavano alcuni ragazzi che erano andati a sentire e a dissentire da Salvini.
Il resto è cronaca: durante il discorso del leghista, due giovani hanno alzato una sciarpa con su scritto: “Ama il prossimo tuo”. Gente intorno, inviperita, li ha aggrediti e malmenati, sono dovuti intervenire i vigili urbani per salvarli. Identificati poi in questura, è stato loro intimato di non dire nulla dell’accaduto. Ma vedendo il tafferuglio, e lo striscione, il ministro ha gridato alla folla: “Lasciatelo stare, poverino, se non c’è un comunista ai giardinetti noi non ci divertiamo”.  E con commiserazione ha dileggiato quelli che ancora vanno in giro con la falce e martello e la bandiera rossa. Ai giardinetti in realtà c’era qualcuno che era rimasto fermo al Vangelo, e quella roba comunista il ministro l’ha paragonata ai dinosauri che come relitti di un remoto passato si trovano in mostra al museo delle scienze di Milano.
Così venivano messi allo scoperto due aspetti emblematici dell’attuale fase della vita italiana: tutto ciò che è cattivo, compreso l’amore del prossimo, è “comunista”, e il Vangelo è tornato ad essere un segno di contraddizione. Poi Salvini ha perso le elezioni a Cremona.
Pochi giorni dopo, l’11 giugno, in un’ora e diciassette minuti, dalle 16.49 alle 18.06, il Consiglio dei ministri ha spiantato alcuni pilastri fondamentali dello Stato di diritto:
1.   Con decreto legge passa al ministro dell’Interno, come Autorità di pubblica sicurezza, la difesa delle frontiere marittime, finora compito delle Forze Armate e del presidente della Repubblica che ne ha il comando; il ministro si arroga ora il potere di limitare o vietare “l’ingresso, il transito e la sosta” di navi nel mare territoriale, nel quadro della guerra contro l’immigrazione:
2.   I comandanti delle “navi pirata”, come amabilmente le chiama il ministro dell’Interno nei suoi blog, dovranno pagare un pizzo da 10.000 a 50.000 euro come sanzione amministrativa fuori del controllo giudiziario, se non osservano le limitazioni e i divieti a salvare i naufraghi e a sbarcarli in un porto sicuro; se poi persistono reiterando i criminosi salvataggi e trasporti le loro navi potranno essere sequestrate e confiscate dai prefetti, come le auto colpevoli di infrazioni stradali, senza alcun vaglio da parte di un magistrato; l’intimidazione per impedire i salvataggi in mare e il lavoro umanitario delle ONG diviene pertanto fortissima;  
3.   Le procure, come quella di Agrigento, che hanno reso giustizia ai naufraghi imponendone lo sbarco sono esautorate e si estende all’immigrazione illegale la competenza delle procure distrettuali antimafia, così come l’inquisizione con agenti infiltrati e le intercettazioni.
4.   Si alza il livello della repressione contro chi si agita troppo nelle manifestazioni pubbliche e nei cortei, chi si mette il casco o si copre il viso, chi lancia uova razzi o altri oggetti, chi resiste a pubblico ufficiale, interrompe un pubblico servizio e simili. Per dimenticanza, o per la concitazione di tante delibere in un tempo così ristretto, si è trascurato di proibire che in pubblico si leggano o si mostrino da leggere versetti del Vangelo;
5.   Si decreta, incuranti dell’ossimoro, l’arresto in flagranza di chi non è colto in flagranza ma indiziato per reati commessi in occasione di manifestazioni sportive;
6.   Si punisce la rivendita di biglietti per lo stadio anche per via telematica;
7.   Si modifica il sistema delle carriere nella polizia, potenziando in modo clientelare ricompense, premi e promozioni per meriti a discrezione dei superiori;
8.   Si impugnano diverse leggi regionali e si incassa la rinuncia di molte Regioni ai ricorsi presentati alla Corte costituzionale contro le illegittimità costituzionali del primo “decreto-sicurezza”.
In più, in quell’oretta di alacre e approfondito lavoro si sono approvati trattati internazionali, protocolli, accordi, convenzioni, pareri su contratti collettivi di lavoro, nomine, stanziamenti per i terremoti o i comuni montani, modifiche al codice della giustizia contabile, riorganizzazione degli uffici centrali del ministero dell’Interno, e quant’altro.   
Di tutto ciò ben poco si viene a sapere sui giornali se non di un governo che doveva cadere e non cade, per un patto di ferro tra i contraenti. Intanto l’attenzione, distolta da questi guasti strutturali e permanenti inflitti all’ordinamento, viene dirottata tutta sul falso conflitto con l’Europa e sulle effimere narrazioni sulle tasse da togliere e le spese in deficit da aumentare.
Quando poi la vera sicurezza sarebbe l’amore del prossimo!

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venerdì 7 giugno 2019

"Lettere in bottiglia". Un libro di Raniero La Valle "ai nuovi nati"

"Lettere in bottiglia". Un libro di Raniero La Valle "ai nuovi nati". E' uscito un nuovo libro di Raniero La Valle, lettere in bottiglie, che è una specie di check up tra il tempo che abbiamo vissuto e il tempo che verrà. Viene presentato in questi giorni da Ferrara a Verona a Trento. A Cremona dove è stato presentato il 3 giugno, la TV Cremona 1 ha intervistato l'autore. Questo è il link alla conversazione con Raniero La Valle. https://www.cremona1.it/…/punto-e-a-capo-del-04-giugno-2019/


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