Discorso tenuto nel
Palazzo dei Musei di Reggio Emilia per il tema di "Tonalestate" 2016,
il 23 luglio 2016
di Raniero La Valle
Mi avete chiesto - per
presentare il tema di quest’anno dell’Incontro di “Tonalestate”, sul tema “Un mundo sin maňana (Un mondo senza domani) – un discorso su “l’eredità”. L'eredità è il dono
gratuito che ci viene da chi è stato prima di noi, da chi ci ha amato per primo
e ha preparato dei tesori per noi. Però è difficile parlare di eredità di
fronte ai dieci morti di ieri della strage di Monaco di Baviera, a quelli del
14 luglio di Nizza, o dinnanzi agli sgozzati del Medio Oriente o alle migliaia
di prigionieri nudi della repressione di Erdogan in Turchia. Non c’è nessun
discorso che si possa fare se non rendendoci conto della situazione reale nella
quale giorno dopo giorno viviamo e siamo.
E proprio a partire da qui vorrei dire allora che l’eredità
più importante, quella che nemmeno con la morte ci sarà tolta, è l’eredità di
Dio.
Nella cultura di oggi non si tratta più di un discorso
condiviso. Ma tra credenti si può dire che da Dio abbiamo ricevuto tutto, non
solo la vita, ma la terra i cieli l'acqua l'aria la musica la bellezza la
santità e tutte le creature. Naturalmente possiamo far finta di niente o non
tenerne conto (basta ricordare l'"intelligenza laica" di Quasimodo dinnanzi
allo stupore per lo sbarco dell'uomo
sulla luna[1]) ma
se ci accorgiamo della creazione ci rendiamo conto di essere eredi di una
meraviglia. É un'eredità così bella che ne possiamo essere rapiti, e questo
esserne rapiti si può risolvere in due modi: o ne siamo talmente avvinti ed
invasi che l'unica risposta possibile è la contemplazione e il ringraziamento,
e allora c'è una reazione di fuga: come lo stilita, che sale su una colonna, e
sta lì, o il monaco del deserto che pensa solo a pregare, e così l'amore per le
creature si rovescia in rinunzia alle creature, in fuga dal mondo, in una
cattura della fine: è la via della mistica, dell'eremo come reclusione, della
anticipazione apocalittica, dello spiritualismo estremo dei giansenisti, di
Port Royal, di certo dossettismo, per cui tutto è grazia e l'operazione umana è
niente. Oppure – e questo è il secondo modo - la meraviglia, la gratitudine e
la lode delle creature prendono le forme di san Francesco, del Cantico delle
creature, della Laudato sì di papa
Francesco e allora attraverso l'amore di Dio si torna più radicalmente al mondo, si viene all'umano, si prende
l'odore delle pecore e degli altri animali, e ci si sporca le mani, e si lavano
i piedi alle creature e la sfida, la scommessa è sulla dignità della terra e la
sanabilità della storia. Dio è tutto, d'accordo, ma noi siamo il tutto di Dio,
senza di noi Dio non sarebbe pensato da nessuno.
Questi sono due modi di accettare e gestire la stessa
eredità, sono due modi opposti di raccontarsi come cristiani, secondo la logica
dei due contrari; in mezzo ci sono tanti modi intermedi: perché questo è il
bello dell'eredità di Dio, che ci lascia liberi, siamo noi a decidere che uso
farne, lui non ci impone nessun modo di essere eredi. Però i modi non sono neutrali,
indifferenti, fungibili. Non si tratta ora di dire quali sono i migliori, tra
contemplare e fare, tra pregare e operare per la giustizia, tra eremo e impegno
sociale: però si deve scegliere. E noi abbiamo un criterio di scelta nel
gestire l'eredità di Dio; infatti l'apostolo ci dice: voi siete eredi di Dio e
coeredi di Cristo (Romani. 8, 17).
Cioè l'eredità di Dio va ricevuta e gestita al modo di Cristo: lui è il
prototipo degli eredi, noi siamo coeredi con lui nelle modalità paradossali
dell'unità, nella stessa nostra persona, di umano e divino. Ossia in Cristo noi
siamo eredi dell’umanità e della divinità di Dio; questo significa essere a sua
immagine e somiglianza.
Eredi diretti di Dio
Ciascuno di noi questa eredità di Dio la riceve in modo diretto.
Dio non è il nostro antenato. Dio è il nostro Padre. Sono sbagliate quelle
letture della storia della salvezza secondo cui prima c'era Dio, che regnava da
solo; poi è venuto Adamo, poi Noè, poi sono venuti i Patriarchi, poi Mosè, poi
David, poi Gesù e infine siamo venuti noi. In realtà nella storia della
salvezza tutti gli uomini e tutti i popoli ci sono fin dal principio.
Continua...