martedì 30 giugno 2015

Solidarietà alla Grecia dei Comitati Dossetti per la Costituzione


I Comitati Dossetti per la Costituzione hanno diffuso la seguente dichiarazione del loro Presidente Raniero La Valle:

Come presidente dei Comitati Dossetti per la Costituzione penso di interpretare in queste ore il sentimento di una gran numero di cittadini non disposti a barattare la democrazia col governo irresponsabile del denaro, per indirizzare ai Greci un messaggio di ammirazione e di incoraggiamento per la loro scelta di affidare la decisione del loro futuro non a despoti e funzionari ma a una limpida espressione della volontà popolare; per ringraziare la Grecia dell'antico dono della democrazia, giustamente da lei rivendicata oggi come il vero valore irreversibile dell'Europa e dei popoli europei; e per esprimere il più vivo rammarico per la posizione assunta dall'Italia che senza il controllo di alcun dibattito parlamentare e pubblico ha fatto propria la decisione assunta a Berlino Francoforte e Bruxelles di condannare la Grecia, senza capire ciò facendo, di condannare anche se stessa. 
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venerdì 19 giugno 2015

LAUDATO SI' - NON A SPESE DEI POVERI E DELLA TERRA


 di Raniero La Valle - Il manifesto, 19 giugno 2015
C’è un debito estero dei Paesi poveri che non viene con­do­nato, e anzi si è tra­sfor­mato in uno stru­mento di con­trollo mediante cui i Paesi ric­chi con­ti­nuano a depre­dare e a tenere sotto scacco i Paesi impo­ve­riti, dice il papa (e la Gre­cia è lì a testi­mo­niare per lui). Ma il “debito eco­lo­gico” che il Nord ricco e dis­si­pa­tore ha con­tratto nel tempo e soprat­tutto negli ultimi due secoli nei con­fronti del Sud che è stato spo­gliato, nei con­fronti dei poveri cui è negata per­fino l’acqua per bere e nei con­fronti dell’intero pia­neta avviato sem­pre più rapi­da­mente al disa­stro eco­lo­gico, all’inabissamento delle città costiere, alla deva­sta­zione delle bio­di­ver­sità, non viene pagato, dice il papa ( e non c’è Troika o Euro­zona o Banca Mon­diale che muova un dito per esigerlo).
La denun­cia del papa («il mio appello», dice Fran­ce­sco) non è gene­rica e rituale, come quella di una certa eco­lo­gia “super­fi­ciale ed appa­rente” che si limita a dram­ma­tiz­zare alcuni segni visi­bili di inqui­na­mento e di degrado e magari si lan­cia nei nuovi affari dell’economia “verde”, ma è estre­ma­mente cir­co­stan­ziata e pre­cisa: essa arriva a lamen­tare che la deser­ti­fi­ca­zione delle terre del Sud cau­sata dal vec­chio colo­nia­li­smo e dalle nuove mul­ti­na­zio­nali, pro­vo­cando migra­zioni di ani­mali e vege­tali neces­sari al nutri­mento, costringe all’esodo anche le popo­la­zioni ivi resi­denti; e que­sti migranti, in quanto vit­time non di per­se­cu­zioni e guerre ma di una mise­ria aggra­vata dal degrado ambien­tale, non sono rico­no­sciuti e accolti come rifu­giati, ma sbat­tuti sugli sco­gli di Ven­ti­mi­glia o al di là di muri che il mondo anche da poco appro­dato al pri­vi­le­gio si affretta ad alzare, come sta facendo l’Ungheria. L’«appello» del papa giunge poi fino ad accu­sare che lo sfrut­ta­mento delle risorse dei Paesi colo­niz­zati o abu­sati è stato tale che dalle loro miniere d’oro e di rame sono state pre­le­vate le ric­chezze e in cam­bio si è lasciato loro l’inquinamento da mer­cu­rio e da dios­sido di zolfo ser­viti per l’estrazione.
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mercoledì 17 giugno 2015

LA CAVALCATA È FINITA


Dalla sconfitta di Renzi un monito per la democrazia di Raniero La Valle 
pubblicato sul n° 13 del 1 luglio 2015 di Rocca, Rivista della Pro Civitate Christiana di Assisi

Con le elezioni del 31 maggio è finita la cavalcata di Matteo Renzi. Non si sa quando scenderà da cavallo, ma la cavalcata è finita perché le elezioni regionali (che sono più che mai politiche) hanno mostrato che la prateria non c’è.
La prateria sarebbe lo spazio sconfinato, vuoto della destra, che è comparso nelle visioni dei leaders della ex-sinistra dopo la soppressione del PCI. Irrompere su quella prateria avrebbe dovuto permettere loro di ereditare stabilmente il potere della Repubblica, prima con la “gioiosa macchina di guerra” di Occhetto, poi con il partito “a vocazione maggioritaria” di Veltroni, infine con il “partito della Nazione” di Renzi. Le legge elettorali via via architettate come le più idonee a rendere inoppugnabile il potere, erano concepite o fatte proprie a tale scopo.
Questo vecchio progetto è stato ancora una volta sconfitto.
L’ideologia visionaria di un partito “progressista” o “di sinistra moderata” o “democratico”che si insediasse pressoché solo al potere e potesse elettoralmente dilagare in uno spazio politico sostanzialmente privo di oppositori credibili o comunque vincenti, era basata su un errore teorico e su un principio di irrealtà.
L’errore teorico era che una parte che si immagina come tutto o pretende di farsi tutto, non è più democrazia. Il principio di irrealtà consisteva nel non vedere che in Italia la destra è un fenomeno strutturale e, almeno da Facta in poi, maggioritaria, e per la sua potenza capace di imporre al Paese le scelte più nefaste, dalle leggi razziali alla guerra, dal piano di rinascita malriuscito della P2 al Jobs Act, dall’idea di bombardare i barconi agognati dai profughi alla chiusura delle frontiere regionali annunciata dai vecchi e nuovi “governatori” del Nord.
Questa prevalenza della destra in Italia, strutturale finché il senso comune dominante non sarà sostituito da un’altra cultura, non vuole affatto dire che la sinistra, o la parte più democratica del Paese, non possa governare. Ma lo può fare in forza di una “egemonia”, termine tecnico che vuol dire semplicemente riuscire a far passare ideali più alti, progetti più giusti, e a farsi seguire anche da portatori di altre culture e altre visioni politiche, per la costruzione di una società più solidale ed umana.
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martedì 16 giugno 2015

La gioia di poter tornare a credere


DAL CONCILIO ALLA CHIESA DI FRANCESCO 

Pubblichiamo il testo della relazione tenuta da Raniero La Valle il 6 giugno 2015 al Convento San Domenico di Pistoia per il ciclo di incontri di Koinonia–forum.

Per un giudizio globale dell’attuale pontificato fino a questo momento, mi pare si possa dire, sviluppando l’analisi già avviata nel libro: “Chi sono io Francesco?”[1], che papa Francesco ha fatto una scelta strategica, di cui ci sono tre indizi (e tre indizi bastano a fare una prova).
Il primo è la scelta del nome di Francesco, che egli ha adottato durante il Conclave per rispondere alla raccomandazione del cardinale Hummes: “Ricordati dei poveri”, ma che poi egli ha spiegato associando il nome di Francesco d’Assisi a una opzione di evangelismo puro.
Il secondo è la scelta di abitare a Santa Marta, il che vuol dire celebrare ogni mattina la messa non in segreto a palazzo, ma col popolo in una vera assemblea, e a questa assemblea ogni giorno, per sette giorni alla settimana e 365 giorni all’anno aprire il Vangelo e commentarlo, dichiarando perciò continuamente i criteri che determinano la sua quotidiana azione pontificale.
Il terzo è la Evangelii Gaudium, che è una sorta di Regola della Chiesa universale in cui il Vangelo è assunto come ragione del suo esistere e della sua missione.
La scelta strategica, svelata da questi tre indizi, è quella di tornare ai nastri di partenza, di tornare  cioè a Gesù e al suo annuncio, cioè al suo Vangelo, che precede la Chiesa e dice a tutti gli uomini che il Regno è vicino. Ciò vuol dire che il contenuto proprio dell’annuncio è il Regno, non la Chiesa; Se l’esegeta cattolico Alfred Loisy diceva icasticamente nel suo libretto “L’Evangile et l’Eglise”, nel 1902, “Gesù annunciava il regno ed è la Chiesa che è venuta”[2], papa Francesco prova a rifare il cammino. Gesù annuncia il regno e dunque il problema anche oggi per chi lo segue è quello del regno. La Chiesa visibile ne è “il segno e lo strumento”, non è la realtà del regno (perciò può essere paragonata a un ospedale da campo). E se la caratteristica del regno è di essere già e non ancora, la Chiesa visibile non è questo già; il già è quel tanto del regno che è già presente nel mondo ed è svelato dai “segni dei tempi”; dunque, ad esempio, per stare ai segni dei tempi della “Pacem in terris” il “già” del regno sono i lavoratori che si emancipano, le donne che acquistano dignità di persone, i popoli che si liberano, il diritto che si instaura, le Costituzioni che presidiano i diritti fondamentali degli esseri umani, l’ONU che realizza in germe una comunità di popoli, e la guerra che dagli uomini stessi viene  bollata come “aliena dalla ragione”. I segni avversi che indicano l’assenza o l’allontanarsi del regno sono per contro, secondo la lettura di papa Francesco, la società dell’esclusione, l’umanità scartata, l’economia che uccide, il denaro che governa invece di servire, il lavoro alienato e precario, i giovani disoccupati e così via.
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giovedì 11 giugno 2015

Per un’umanità indivisa


Quale risposta alla tragedia dei migranti e dei profughi.

Articolo di Raniero La Valle pubblicato sulla rivista “Presbyteri” del maggio 2015.        

Se prendessimo sul serio i principi suggeriti da papa Francesco nella “Evangelii Gaudium” per costruire una vera comunità umana – il tempo è superiore allo spazio, l’unità prevale sul conflitto, la realtà è più importante dell’idea, il tutto è superiore alla parte – avremmo i criteri supremi per trovare soluzione ai problemi più angosciosi dell’attuale momento storico. Qui affronteremo un solo problema: un problema però nel quale vengono a scadenza tutte le contraddizioni che non abbiamo risolto e vengono in gioco tutte le nostre convinzioni e la nostra fede. È  il problema delle grandi migrazioni in corso nel mondo, cioè del passaggio da un’umanità dai mille destini contrapposti a un umanità con un destino comune; e naturalmente dovremo vedere come questo problema così universale, si concretizza e drammatizza in Italia e in Europa.

Le dimensioni del problema

Intanto bisogna rendersi conto di quale sia la sua portata in termini di numeri: i numeri delle grandi migrazioni, che dall’Africa riempiono il Mediterraneo di naufraghi ed annegati, (ormai a 900, 1000 alla volta per ogni barcone affondato),  i numeri dei grandi esodi che attraverso la Turchia, i Balcani, le enclaves spagnole in Marocco e di qui in Spagna, passano per vie di terra nei Paesi europei del Nord, i numeri delle grandi trasmigrazioni dal Messico verso gli Stati Uniti o da una parte all’altra dell’Asia: erranti tutti sospinti da guerre, violenze religiose, economiche politiche, fame, miseria e oppressione. E sono tutti numeri di genocidi ormai diffusi (interi nuclei familiari distrutti, etnie, popoli, comunità perseguitate per cause religiose, vittime di pulizie etniche, reduci da malversazioni, abusi sessuali o torture).
            Secondo il rapporto annuale 2015 pubblicato il 23 aprile scorso dal Centro Astalli, che è il servizio italiano dei Gesuiti per i rifugiati (operante a Roma, Palermo, Catania, Trento, Vicenza, Napoli, Milano, Padova) per la prima volta dalla seconda guerra mondiale le persone costrette alla fuga nel mondo hanno superato largamente la soglia dei 50 milioni (a metà del 2014 se ne registravano già 56,7). L’aggravarsi delle crisi nel Medio Oriente e in Africa, dopo la comparsa del cosiddetto “Stato Islamico” in Iraq e in Siria, hanno fatto crescere il numero delle persone che cercano protezione in Europa. Nel 2014, con un incremento del 277% sul 2013, in Italia sono arrivati 170.757 migranti via mare (39.651 solo dalla Siria, 33.559 dall’Eritrea) ma la maggior parte  si sono dispersi negli altri Paesi europei. Però non esiste nessun programma di integrazione dei profughi nel contesto europeo e per moltissimi la permanenza nei centri di accoglienza e detenzione è senza fine.
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