Quale risposta alla tragedia dei migranti e dei profughi.
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Se
prendessimo sul serio i principi suggeriti da papa Francesco nella “Evangelii Gaudium” per costruire una
vera comunità umana – il tempo è superiore allo spazio, l’unità prevale sul
conflitto, la realtà è più importante dell’idea, il tutto è superiore alla
parte – avremmo i criteri supremi per trovare soluzione ai problemi più
angosciosi dell’attuale momento storico. Qui affronteremo un solo problema: un
problema però nel quale vengono a scadenza tutte le contraddizioni che non
abbiamo risolto e vengono in gioco tutte le nostre convinzioni e la nostra
fede. È il problema delle grandi migrazioni
in corso nel mondo, cioè del passaggio da un’umanità dai mille destini
contrapposti a un umanità con un destino comune; e naturalmente dovremo vedere
come questo problema così universale, si concretizza e drammatizza in Italia e
in Europa.
Le dimensioni del problema
Intanto
bisogna rendersi conto di quale sia la sua portata in termini di numeri: i
numeri delle grandi migrazioni, che dall’Africa riempiono il Mediterraneo di
naufraghi ed annegati, (ormai a 900, 1000 alla volta per ogni barcone affondato), i numeri dei grandi esodi che attraverso la
Turchia, i Balcani, le enclaves
spagnole in Marocco e di qui in Spagna, passano per vie di terra nei Paesi
europei del Nord, i numeri delle grandi trasmigrazioni dal Messico verso gli
Stati Uniti o da una parte all’altra dell’Asia: erranti tutti sospinti da
guerre, violenze religiose, economiche politiche, fame, miseria e oppressione.
E sono tutti numeri di genocidi ormai diffusi (interi nuclei familiari
distrutti, etnie, popoli, comunità perseguitate per cause religiose, vittime di
pulizie etniche, reduci da malversazioni, abusi sessuali o torture).
Secondo il rapporto annuale 2015
pubblicato il 23 aprile scorso dal Centro Astalli, che è il servizio italiano
dei Gesuiti per i rifugiati (operante a Roma, Palermo, Catania, Trento,
Vicenza, Napoli, Milano, Padova) per la prima volta dalla seconda guerra
mondiale le persone costrette alla fuga nel mondo hanno superato largamente la
soglia dei 50 milioni (a metà del 2014 se ne registravano già 56,7). L’aggravarsi
delle crisi nel Medio Oriente e in Africa, dopo la comparsa del cosiddetto
“Stato Islamico” in Iraq e in Siria, hanno fatto crescere il numero delle
persone che cercano protezione in Europa. Nel 2014, con un incremento del 277%
sul 2013, in
Italia sono arrivati 170.757 migranti via mare (39.651 solo dalla Siria, 33.559
dall’Eritrea) ma la maggior parte si
sono dispersi negli altri Paesi europei. Però non esiste nessun programma di
integrazione dei profughi nel contesto europeo e per moltissimi la permanenza
nei centri di accoglienza e detenzione è senza fine.
Secondo i dati dell’Agenzia Europea
Frontex, che ha il compito di pattugliare le frontiere, nel primo quadrimestre
di quest’anno 23.000 sono stati gli ingressi in Europa attraverso il Canale di
Sicilia, 55.000 invece attraverso le vie di terra alternative (34.322
attraverso i Balcani). I morti nessuno li può contare.
Tenendo conto di queste cifre si può
dire che applicati al problema delle migrazioni i quattro principi indicati dal
papa si declinano in questo modo:
1 - Lo spazio e il tempo
La
dislocazione della popolazione mondiale su tutto il pianeta non è un problema
di spartizione di spazi. Questo è stato a lungo il modo in cui gli uomini hanno
organizzato la loro convivenza, conquistando terre, appropriandosene e
distribuendole fra tribù e gruppi umani estranei e spesso nemici tra loro; è
stato questo il primo movimento del “nomos”
della terra, da cui sono derivate le leggi e l’organizzazione sociale. Il “nomos”, la legge, secondo Carl Schmitt,
fa la sua comparsa nelle forme dell’appropriazione e ripartizione delle terre.
I confini, le frontiere, le dogane, le colonie, gli imperi, gli Stati, sono
tutti tributari di questo nomos della
terra fondato sulla spartizione degli spazi. Anche l’Antico Testamento, con la
sua ideologia della terra, ne dipende. Irresistibile è anche la tendenza a
considerare in termini spaziali il rapporto tra i due regni, il regno dei cieli
e quello della terra. L’ideologia dello Stato-nazione, i cui elementi fondanti
sono un popolo, un territorio e un ordinamento, è tutta interna a questo
orizzonte. Ma in questo orizzonte non troverà mai soluzione né la questione
palestinese, né la questione della pace, né la questione della grande
migrazione in corso.
Ma appunto, dice il
papa, il tempo è superiore allo spazio. Non è solo nel trovare nuovi spazi, ma
nel permettere che i popoli si possano svolgere nel tempo, che il problema
delle migrazioni può essere affrontato. Non gli spazi da occupare, ma i
processi della vita reale, il movimento, migrare da un luogo ad un altro,
lasciare una terra per raggiungerne un’altra, anche solo sognata, è ciò che
appartiene ai processi della vita reale. La creazione di cui parla la Genesi
non è stata una distribuzione di spazi; certo si trattava di separare le acque
che sono sotto il firmamento dalle acque che sono sopra il firmamento, e poi il
mare dall’asciutto, e poi la luce dalle tenebre, ma dal momento in cui compare
l’uomo, e la donna creata da Dio (ma – come dice Francesco – prima sognata dall’uomo),
quello che comincia è il movimento, è il processo, l’esodo, la storia.
E’ questo criterio che serve per affrontare il problema delle
popolazioni migranti. Il principio secondo cui “il tempo è superiore allo
spazio”, dice il papa, “permette di lavorare a lunga scadenza, senza
l’ossessione dei risultati immediati. Aiuta a sopportare con pazienza situazioni
difficili e avverse, o i cambiamenti dei piani che il dinamismo della realtà
impone. È un invito ad assumere la tensione tra pienezza e limite, assegnando
priorità al tempo. … Dare priorità al tempo significa occuparsi di iniziare
processi più che di possedere spazi. Il tempo ordina gli spazi, li
illumina e li trasforma in anelli di una catena in costante crescita, senza
retromarce. Si tratta di privilegiare le azioni che generano nuovi dinamismi
nella società e coinvolgono altre persone e gruppi che le porteranno avanti,
finché fruttifichino in importanti avvenimenti storici. Senza ansietà, però
con convinzioni chiare e tenaci”.
Dare risposta al
problema dei migranti vuol dire “iniziare i processi” e aprire gli spazi,
abbattere le fortezze cinte da mari, da valli e da mura come sono gli spalti
della “fortezza Europa”, abbassare i ponti levatoi, togliere e non mettere
blocchi navali, mandare navi di linea a prelevare i profughi piuttosto che
distruggere i barconi, dare il tempo agli infelici di prendere le loro cose e
partire senza fretta, senza violenza, senza la frusta degli schiavisti,
mangiando pane lievitato, non azimo. Perché l’umanità è una sola.
2 - L’unità e il
conflitto
La questione dei migranti,
dei profughi, dei rifugiati, non si risolve assumendola come conflitto. E’
inammissibile che l’Europa reagisca alla questione dei profughi, in prima
istanza, come se dovesse andare alla guerra. La reazione condizionata di un
mondo ammalato di guerra è di mobilitare le forze armate per fronteggiare
l’invasione dei richiedenti asilo. Combattiamo gli scafisti, dicono i
signorotti europei, uccidiamo gli speculatori, affondiamo i pescherecci e i
barconi, facciamo campi di prigionia sull’altra sponda del Mediterraneo,
chiediamo all’ONU l’autorizzazione a difendere le intangibili coste
dell’Europa. E’ una vergogna solo al pensarlo, come ha detto la voce dei
vescovi italiani. E una volta che una Marina Militare aveva fatto una cosa
buona, intraprendendo l’operazione Mare
Nostrum con cui si erano salvate migliaia di vite (a 9 milioni di euro al
mese, a conti fatti 600 euro per ogni vita salvata) ecco che il ministro
dell’Interno ne ha preteso la sospensione e ha trasferito all’Europa con
l’operazione Triton l’incombenza non
più di salvare le vite, ma di ricacciarle in mare per rendere irraggiungibili
le coste. E quando l’Italia, dopo le ultime ecatombe, ha cercato di porre
l’Europa di fronte alla sua responsabilità, questa ha risposto stanziando un
po’ di soldi per rafforzare il pattugliamento, ma rifiutando qualsiasi piano
per l’accoglienza e l’integrazione dei profughi. Il premier inglese Cameron ha
messo a disposizione una portaelicotteri, a condizione però che i naufraghi
salvati siano portati in Italia e non mettano piede nel Regno Unito.
Come ha commentato “Lunaria”
che è un’associazione di solidarietà che si occupa di migrazione e razzismo (ma
tutte le associazioni di volontariato sono d’accordo con lei), “la difesa dei
confini della Fortezza Europa e gli equilibri politici interni sono anteposti
alla salvezza della vita delle persone”. Così gli “sforzi sistematici per
identificare, catturare e distruggere le imbarcazioni prima che siano usate dai
trafficanti” restano la priorità numero uno dell’Europa che ha dato mandato
alla commissaria Mogherini di iniziare la preparazione di una possibile
operazione di Politica comune di sicurezza e di difesa. Vale a dire : non è escluso il ricorso
ad operazioni militari. Una pura follia”. Il piano elaborato dall’Europa (ma si
può ancora considerare Europa?) “offende le migliaia di vittime che in questi
anni hanno perso la loro vita nel mar Mediterraneo e consegna il destino delle
persone che nelle prossime settimane cercheranno di arrivare in Europa alla
fatalità del caso”
E si capisce perché i cattivi
politici, di fronte all’emergenza del genocidio che si consuma nel
Mediterraneo, non riescano a concepire altra idea che la guerra. Non immaginano
neanche che ci possa essere una soluzione di unità. Perché per loro la politica
è guerra, è difesa dal nemico, è difesa di interessi immediati contro l’idea
magnanima dell’interesse generale. Se non concepissero così la politica non
lascerebbero affondare la Grecia, e quelli che stampano la moneta non la
lascerebbero senza nemmeno i soldi per pagare gli stipendi degli impiegati
pubblici alla fine del mese. Ma se non vogliono salvare la Grecia, di cui pure
sono figli, e anche attorno a lei stendono un cordone sanitario per non farsene
contagiare, come potrebbero salvare intere popolazioni migranti, che sono pure
di un altro colore?
Non c’è dubbio che la presenza dei migranti sulle
frontiere dell’Europa apre un conflitto che politicanti senza scrupoli
cavalcano per trovare – nel rifiuto di ogni solidarietà - un tornaconto
elettorale. Non si tratta di ignorare questo conflitto, ma scrive il papa nell’
“Evangelii Gaudium”, “se rimaniamo intrappolati in esso, perdiamo la
prospettiva, gli orizzonti si limitano e la realtà stessa resta frammentata.
Quando ci fermiamo nella congiuntura conflittuale, perdiamo il senso dell’unità
profonda della realtà”. Vi è però un modo, il più adeguato, “di porsi di
fronte al conflitto. È accettare di sopportare il conflitto, risolverlo e trasformarlo
in un anello di collegamento di un nuovo processo. ‘ Beati gli operatori di
pace’ (Mt 5,9)”.
E diceva poco prima la “Evangelii Gaudium ”, quasi pensasse al
respingimento dei migranti, che sarebbe una falsa pace quella che servisse come
scusa per giustificare un’organizzazione sociale che escluda i più poveri, “in modo che quelli che godono
dei maggiori benefici possano mantenere il loro stile di vita senza scosse” e
mantenere ”un’effimera pace per una minoranza felice”.
3 - La realtà e l’idea
Se poi si sapesse vedere la realtà
il Mediterraneo non continuerebbe a fare da cimitero, non dovremmo cantare,
come ha fatto Erri De Luca in una commovente trasmissione televisiva: “Mare nostro che non sei nei cieli, all’alba
sei colore del frumento, al tramonto dell’uva di vendemmia, ti abbiamo seminato
di annegati più di qualunque età delle tempeste”. Se vedessimo la realtà e
non ci cullassimo nella rappresentazione che ce ne siamo fatta, smetteremmo di
pensare che la migrazione potrebbe essere fermata, solo che bloccassimo gli
scafisti, perché, come i fatti hanno dimostrato, tutte le misure per intercettare
e bloccare l’esodo si sono rivelate fallaci e così sarà anche la decisione
estrema di bombardare e distruggere i barconi. La causa dell’esodo non sono gli
scafisti e i barconi, ma un disordine dell’attuale stato del mondo di cui
scafisti, speculatori e naufragi non sono che la conseguenza.
Ha scritto il 23 aprile sul suo
blog, Giansandro
Merli, un osservatore attento che da anni segue la vicenda dei migranti: occorre “capire cosa produce davvero i flussi migratori, per quali
ragioni migliaia di persone decidono di rischiare la vita pur di lasciare il
Paese in cui sono nate.., Parliamoci chiaro, la tesi secondo cui i migranti
sono vittime degli scafisti non ha nessuna logica, non sta in piedi. Gli
scafisti non vanno a prendere le persone da casa per costringerle a partire.
Sono le persone che si rivolgono agli scafisti, pagano cifre spropositate e
mettono a rischio consapevolmente la propria vita e quella dei loro cari pur di
provare a raggiungere l'Europa. Gli scafisti fanno affari d'oro nel mercato
aperto dal controllo delle frontiere esterne. Gli scafisti esistono perché chi
fugge da guerre o povertà non può entrare nello spazio Schengen con mezzi di
trasporto ordinari (navi, aerei, macchine). … Come può essere credibile il
paragone tra traversate del Mediterraneo e tratta degli schiavi dei secoli
scorsi?... Un fenomeno storico complessissimo – causato da fattori
molteplici, originato da luoghi diversi del pianeta, realizzato lungo
numerosissime tratte e attraverso mezzi di trasporto di natura diversa – viene
ridotto alla pianificazione di un'organizzazione criminale. Viene da ridere e
piangere insieme quando si legge che ‘bisogna eliminare il fenomeno alla radice’
e che per farlo occorre bombardare i barconi, fermare le traversate. Come se i
flussi migratori iniziassero sulle coste libiche! Solo
il problema dei politici europei inizia sulle coste libiche. Il loro problema è
che i corpi senza vita di migliaia di persone galleggiano nell'acqua vicino
casa e finiscono sui giornali. La soluzione è farli morire un po' più in là”
4. La parte ed il tutto
Il
criterio decisivo per affrontare la questione dei migranti, dei fuggiaschi, dei
profughi, dei richiedenti asilo, delle stragi del Mediterraneo e delle altre rotte
della disperazione e della speranza, è il quarto dei principi enunciati da papa
Francesco: il tutto è superiore alla parte, che nel nostro caso non vuol dire
altro se non che l’umanità è una, e che se non la riconosciamo e assumiamo come
indivisa non possiamo risolvere alcun problema del mondo di oggi. Il paradosso
è che il sistema economico e sociale che oggi domina il mondo, il sistema che
ha eretto a proprio signore il denaro, presuppone l’unità dell’intera umanità,
anzi dell’intera creazione, concepite come un unico grande mercato, e per
questo si chiama “globalizzazione” (mondialisation,
in francese); ma quella di cui si nega l’unità e l’universalità (e qui sta il
paradosso) è proprio l’umanità. I beni, le merci e il capitale – oltre che gli
eserciti – possono andare dappertutto, passare in un baleno da un mare
all’altro, da un continente all’altro, ma gli uomini e le donne non possono
circolare, non possono recarsi nel luogo di loro scelta, non possono esercitare
i loro diritti sotto ogni cielo, non sono custodi ma prigionieri della terra di
cui sono eredi.
Eppure l’unità del genere umano è stata riconosciuta e
affermata dalle religioni, dalle culture e dal diritto. Per il cristianesimo,
Dio si è incarnato appunto per questo. Si credeva che avesse scelto un popolo
solo, che solo quello fosse la
sua Chiesa , che avesse quello per alleato e tutti gli altri
come “stranieri” o nemici, che avesse fatto di Israele il solo popolo da
lui eletto. Ma sulla croce è venuta meno
ogni discriminazione, su quel legno della croce Dio ha “inchiodato” il
chirografo del Vecchio Testamento, che ci era contrario, come dice
plasticamente la lettera ai Colossesi (Col.
2, 14); e l’enciclica Mystici
Corporis di Pio XII, citando san Tommaso, ha ricordato come sulla croce
Gesù, che non era stato «inviato se non alle pecorelle della casa d’Israele che
erano perite (cfr. Mat. 15, 24)» aveva
meritato «la potestà e il dominio sopra le genti» (cfr. S. Tom. III, p79, q. 42,
a . 1); per il sangue sparso sulla croce, aggiungeva
Pio XII, Dio fece sì che «potessero scorrere dalle fonti del Salvatore per la
salvezza degli uomini, e specialmente per i fedeli, tutti i doni celesti». I
“fedeli” perciò erano un caso di specie rispetto all’estensione universale dei
destinatari dei doni celesti sgorgati dalle fonti del Salvatore per la salvezza
di tutti gli uomini. Il nuovo popolo di Dio non era dunque solo Israele, non
era solo la Chiesa
dei fedeli, ma l’umanità tutta intera. È per questo che ancora la Mystici Corporis diceva che
Cristo «a buon diritto vien proclamato dai Samaritani “Salvatore del mondo” (Giov. 4, 42), anzi senza alcun dubbio
dev’essere chiamato “Salvatore
di tutti ”.
A
buon diritto perciò papa Francesco può oggi invitare a combattere contro il
cancro dell’esclusione sulla terra, quando sappiamo e professiamo che non ci
sono esclusioni nei cieli. Papa Bergoglio annuncia un Dio universale, e nella “Evangelii Gaudium” dice che la salvezza «che Dio realizza e che la Chiesa
gioiosamente annuncia è per tutti e Dio ha dato origine a una via per unirsi a
ciascuno degli esseri umani di tutti i tempi». E diceva la Lumen
Gentium del Concilio che “l’unico popolo di Dio è
universale”, e che “tutti gli uomini sono chiamati a formare il popolo di Dio.
Perciò questo popolo, pur restando uno e unico, si deve estendere a tutto il
mondo e a tutti i secoli, affinché si adempia l’intenzione della volontà di
Dio, il quale in principio creò la natura umana una e volle infine radunare
insieme i suoi figli dispersi (cfr. Gv.
11, 52)”, mandando a questo scopo il Figlio suo “perché fosse maestro, re e
sacerdote di tutti, capo del nuovo e universale popolo dei figli di Dio”.
Dunque,
quando si parla di popolo di Dio si parla di qualcosa che va ben oltre i confini
della Chiesa visibile, e potenzialmente non è più una Chiesa, ma è l’umanità
stessa. C’è una sola umanità amata da Dio.
Ma l’unità dell’intera famiglia umana è stata affermata
anche dal diritto, al sorgere dell’età moderna, quando tra i diritti umani
universali dichiarati come propri dello “ius
gentium”, in quanto derivanti dalla natura e dalla dignità stessa
dell’uomo, fu annoverato lo ius communicationis,
che supponeva l’unità del mondo, e lo ius
migrandi, cioè il diritto di mettere piede e restare in qualsiasi parte del
mondo conosciuto o da poco “scoperto”; e ciò perché, come teorizzava Francisco
de Vitoria, c’è una “universale repubblica delle genti”, c’è un’umanità intera
come nuovo soggetto di diritto, c’è una norma fondamentale e originaria che si
applica al “totus orbis”, a tutto il
mondo. E questa universalità umana, i cui diritti sono inalienabili, è stata
poi solennemente affermata nelle grandi Dichiarazioni universali dei diritti
dell’uomo e del cittadino, dalla Rivoluzione francese, alle Dichiarazioni universali
ed europee successive alla tragedia della seconda guerra mondiale, fino al
diritto d’asilo riconosciuto dalla Costituzione italiana.
Contro la società dell’esclusione
Certo, rendere effettivi questi diritti, estesi a tutti gli
uomini e a tutte le donne del pianeta, aprire i confini ed i porti, far
viaggiare i migranti su treni, aerei e navi di linea e accoglierli nei Paesi di
loro scelta, vuol dire buttare all’aria gli egoismi, rinunciare a preservare
con ogni mezzo il privilegio di pochi. Vuol dire riconoscere che politica,
economia, diritto, devono allestire un mondo che non sia riservato a pochi, ma
sia fatto per tutti, vuol dire combattere e vincere, come dice il papa, la
società dell’esclusione. Vuol dire cambiare il mondo.
Ma è qualcosa di meno di questo che i preti devono
predicare al popolo di Dio, c’è una conversione più a buon mercato di questa a
cui i preti devono esortare i loro fedeli? C’è un cristianesimo diverso da
questo che i preti devono annunciare a quanti si appellano a un cristianesimo
identitario, devotamente atei, che imperversano nelle valli del Veneto?
Presbiteri educati alla scuola del Vangelo, e oggi
sensibili alla predicazione di papa Francesco, non dovrebbero essere da meno di
quei laici, dello storico Centro
per la pace di Viterbo, che
riguardo a quello che c’è da fare oggi per i migranti hanno scritto al
governo:
“Egregio Presidente del Consiglio dei Ministri,
lei sa che la rete criminale dei trafficanti di esseri
umani trae ingenti profitti dal suo illecito e scellerato mercato solo perché'
ai migranti è proibito dai governi europei di giungere in Europa in modo legale
e sicuro.
Non dica che gli accordi in sede di Unione Europea
proibiscono all'Italia un atto di umanità peraltro stabilito nella Costituzione
della nostra Repubblica; quegli sciagurati accordi che violano superiori e
supremi diritti e doveri - il diritto alla vita, il dovere di soccorso - sono
già nel comune sentire delle genti e nella coscienza di ogni essere umano
null'altro che pactum sceleris, carta
straccia e marchio d'infamia.
E non acceda alla barbara idea di impedire di lasciare il
suolo africano a migranti innocenti e indifesi - che già hanno attraversato
deserti e affrontato pericoli immani e subito vessazioni indicibili - facendoli
recludere nei lager libici.
È in suo potere, è in potere del governo italiano, come di
tutti i governi dell'Unione Europea, salvare innumerevoli vite riconoscendo a
tutte le persone in pericolo, a tutti i migranti, a tutti gli esseri umani, il
diritto di ingresso legale e sicuro in Italia e in Europa viaggiando con mezzi
di trasporto legali e sicuri”.
Purtroppo questa unità umana, pur affermata dalle religioni,
dalle culture e dal diritto, è stata negata lungo tutta la storia ed è di fatto
rifiutata anche ora. Per noi, non è rinunciabile. È su questo punto preciso
della rivendicazione dell’unità umana che si è prodotto il grande evento del
cristianesimo, è su questo punto preciso che, come dice Paolo, si è rivelato il
mistero che era rimasto nascosto fin dalla fondazione del mondo.
La cacciata dei
migranti negli abissi del mare grida che la Terra è una, che la famiglia umana
è una, che c’è un’unità di destino, ci dice che il compito più alto della
politica è la realizzazione del bene comune dell’intera comunità umana, e che
per farlo, prima ancora della politica, dobbiamo cambiare il nostro cuore..
Raniero La Valle
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