Se c’è un periodo dell’anno, almeno fino a quando resti una sopravvivenza di memorie cristiane, contrassegnato da un senso di attesa, questo è il tempo di Avvento che stiamo vivendo: un tempo liturgico tradizionalmente esteso alla stagione civile, in cui si parla della venuta di qualcuno, dell’accadere di qualcosa, da cui il futuro sarà modificato. Si tratta del Natale, di cui qualcuno dice che non si dovrebbe neanche parlare, per alludere invece a più generiche “feste”.
L’attesa che quest’anno attraversa tutto il mondo è per
la fine della pandemia, ma essa per un verso è legata a fattori imprevedibili,
per un altro verso è legata alla sola cosa che sarebbe risolutiva e che non
vogliamo fare, cioè la soppressione dei brevetti sui vaccini e i farmaci
salvavita , la vaccinazione universale e drastiche riforme per rendere salubre
l’aria che respiriamo come abbiamo reso potabile nei tubi l’acqua che beviamo.
L’altra attesa che domina oggi in Italia i discorsi
della politica è quella dell’elezione del presidente della Repubblica, a cui
sembra che tutto drammaticamente sia sospeso, compresa la durata della
legislatura, mentre dovrebbe essere un evento ordinario della vita democratica.
Draghi ne approfitta per ignorare i sindacati, la destra la enfatizza come il
passaggio cruciale della sua acquisizione definitiva del potere: Renzi, che non
ne possiede affatto le chiavi, ha già regalato la presidenza alla destra come
se le toccasse per diritto di successione, la Meloni la rivendica come sua, ne
fa l’architrave della “casa dei conservatori”, la ordina al
presidenzialismo e la riserva a un
“patriota” che nella sua semantica sembra parola molto affine a “fascista” e lo
fa come se non fosse per Costituzione dovere non solo di un presidente ma di
ogni titolare di funzioni pubbliche adempierle con disciplina ed onore, cioè
per la “patria”.
Quello che si dimentica, e proprio nel momento in
cui si fa appello a una millantata identità liberale e cristiana, è che se il
potere è mitigato dalla tradizione liberale esso è addirittura rovesciato nel suo
contrario dalla tradizione cristiana; c’è scritto nel Vangelo che Pilato non
avrebbe nessun potere se non gli fosse dato dall’alto, che essere re vuol dire
stare nel mondo per dare testimonianza alla verità, sta scritto nelle lettere
di san Paolo che il Verbo di Dio svuotò se stesso e che la forma di Dio ha
preso la forma del servo; mentre a conclusione del suo “Funzioni e ordinamento dello
Stato moderno” Giuseppe Dossetti sottolineò che secondo il greco della “Lettera
ai Romani” coloro che esigono i tributi devono essere considerati come
“liturghi di Dio”. Il rovesciamento del potere in diaconia, in testimonianza, in martirio e dono di sé è
l’apice del paradosso cristiano, mentre l’ideologia machiavelliana che fa del
potere un idolo ne è la massima contraddizione; all’opposto i controlli, i
limiti e le garanzie nei confronti del potere sono il massimo inveramento che
le Costituzioni moderne e soprattutto il costituzionalismo postbellico, che ora
vogliamo proiettare verso una Costituzione mondiale realizzano di una rivoluzione non più solo
religiosa e politica, ma antropologica.
Contro questa conversione del potere assistiamo alle
sfide più dure. Su tutti i fronti la destra è all’attacco per dare perennità ai
poteri esistenti, potere del denaro
sulla politica, potere dei padroni sui servi, potere delle cose sull’uomo,
potere dei cittadini sugli stranieri. Secondo il quotidiano britannico
“Guardian” il 6 gennaio scorso ci sarebbe stato un piano che avrebbe dovuto consentire a Trump di perpetuare
il suo potere invalidando l’elezione di Biden, quando esplose l’attacco dei
“patrioti” al Campidoglio; sui collegi elettorali americani il sistema sta
lavorando per configurarli in modo che ne sia scontata l’assegnazione alla
destra; in Inghilterra un tribunale decide l’estradizione di Assange per esecrare
lo svelamento dei crimini del potere, mentre come ha denunciato il papa
all’Angelus le statistiche dicono che quest’anno si sono fatte più armi
dell’anno scorso, ultima istanza di un potere incondizionato.
È contro questo dilagare inarginato del potere che
le risorse dell’etica, della politica, del costituzionalismo e del diritto
devono essere mobilitate perché la democrazia resti nell’attesa dei futuro.
Raniero La Valle