venerdì 9 dicembre 2016

20 novembre _ 4 dicembre 2016



Ai partecipanti alla presentazione del libro: Raniero La Valle, "Cronache ottomane di Renato La Valle", Bordeaux edizioni, di mercoledì 7 dicembre 2016 alla Fiera del libro a Roma.

Ai firmatari dell'appello dei cattolici del No nel referendum costituzionale del 4 dicembre e ad altre persone interessate.

Cari Amici, a partire dal 20 novembre uno scompenso cardiaco mi ha tagliato fuori dalle battute finali della campagna elettorale, non senza però che vi potessi intervenire con un ultimo appello per il NO in nome di Moro martire e di Dossetti costituente.
Questo stesso motivo mi impedisce di partecipare all’incontro di oggi quando ancora non sono guarito. Però sento l'obbligo di ringraziare la casa editrice coraggiosa che pubblica ora questo volume: un libro che partendo dalle “cronache ottomane” di Renato La Valle da Costantinopoli, quando perfino l'Islam accarezzò l'idea della Costituzione, attraversa un secolo di dolori, dall'Italia laica ma "potenza cristiana" che conquista la Libia, alla shari'a sempre attuale, fino ai genocidi dell'900, per giungere alla folgorante conclusione che la guerra santa non c'è più. Proprio quando più la si evoca ed esalta, la guerra santa è finita, non la si può più fare sotto qualsiasi forma, perché il Dio della guerra non esiste e la religione, qualsiasi religione, che sia cristianità, o sionismo, o islamismo, o teismo, se non prende congedo definitivo da ogni idea di un Dio violento e vendicatore, non è più nemmeno una religione, e nei confronti di questo Dio ogni abitante della terra, papa in testa, ė giustamente ateo; anzi la definitiva separazione dall'eredità di un Dio della sovranità terrena e del dominio, come dice oggi Roma, produce una svolta nella storia dell'umanità e cambia l'idea stessa di religione.
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venerdì 18 novembre 2016

I VALORI SUPREMI DELLA COSTITUZIONE TRADITI DALLA RIFORMA


Discorso  “La verità del referendum” tenuto da Raniero La Valle il 15 novembre 2016 a Vicenza

La Corte Costituzionale ha affermato che ci sono dei valori supremi sui quali si fonda la Costituzione, che non possono essere sovvertiti o modificati nemmeno da leggi di revisione costituzionale. Questi principi supremi affermati soprattutto nella prima parte della Costituzione sono in gioco nella seconda, che ne dovrebbe garantire l’attuazione; ma proprio questi sono ora disattesi o traditi nella riforma sottoposta al voto popolare del 4 dicembre.
 La sovranità popolare

I - Il primo principio, che sta scritto all’inizio della stessa Costituzione, è quello della sovranità popolare. Dice l’art. 1: “la sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione”. Questo principio è il fondamento di tutta la Costituzione.  In rapporto ad esso la Costituzione sta o cade.
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lunedì 14 novembre 2016

Il vero quesito: Approvate una revisione della II parte della Costituzione che rende la Costituzione non costituzionale?



Raniero La Valle

Sesto discorso su “La verità del referendum” tenuto il 12 novembre a Modena

È abbastanza paradossale che mentre si scatena il ciclone della vittoria di Trump e tutto si muove, noi dobbiamo discutere di un falso referendum, fatto di piccole vendette contro la casta dei politici, di un CNEL che non è mai esistito e a cui togliamo la targhetta dalla porta, di un bicameralismo che non è affatto superato, e di 90 centesimi di risparmio a testa per ogni italiano come compenso per lo sconquasso del Senato e l’uscita dalla democrazia parlamentare. Ciò si deve al fatto che mentre parlava di alta velocità, Renzi mandava la politica italiana su un binario morto.
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venerdì 11 novembre 2016

Con Trump e la politica in pezzi teniamo ferma la garanzia della Costituzione



Discorso tenuto  il 9 novembre nell’Auditorium Fabia Gardinazzi di Viadana (Mantova).

          Il 9 novembre al Centro Sociale di Salerno ho partecipato a un incontro sul referendum il cui titolo era: “Le ragioni del Sì, quelle del No, le ragioni del dubbio”.
          Il prof. Alfonso Conte che mi interrogava mi ha rivolto una domanda cruciale: “davvero se si vota Sì si innesca una deriva autoritaria, ed è a rischio la stessa democrazia? E si può pensare che un Renzi, che cita La Pira e vanta una formazione da scout, proponga una riforma che è contro i poveri e manca di lealtà verso la democrazia?”.
          A questa domanda ho risposto appellandomi alla terza delle tre ipotesi in discussione: le ragioni del dubbio.
          Non è certo che con la nuova Costituzione della Boschi e di Renzi si prepari un futuro autoritario e che la democrazia vada perduta. E’ vero, si diminuiscono le difese e si aprono dei varchi, ma non si può dare per certo che la democrazia perisca, né che, al contrario, essa continui e si rafforzi. Sulla scorta delle analisi dei maggiori costituzionalisti, è lecito il dubbio; anzi proprio il dubbio è la posizione più ragionevole.
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martedì 8 novembre 2016

Il vero quesito: Approvate una riforma che prevede la vittoria come il fine della politica e la società divisa in vincitori e sconfitti?


Raniero La Valle
Quinto discorso su “La verità del referendum” tenuto il 7 novembre per Agorà 2015 nella Parrocchia del Volto Santo di Salerno.

Chi vincerà il prossimo referendum? Ormai da molti mesi l’unico scopo, l’”oggetto immenso” della politica italiana è la vittoria nel referendum.
Renzi non pensa ad altro, e attribuisce all’esito del referendum conseguenze epocali sia per il vincitore – che dovrebbe essere lui – sia per i perdenti che dovrebbero essere tutti gli altri (D’Alema, Bersani, Zagrebelski, i Cinque Stelle, i gufi, i parrucconi).
Alla Leopolda, il 5 novembre, tirava una brutta aria: come ha sintetizzato la Repubblica: “abbracci agli amici, botte ai nemici”. Scrive Michele Prospero sull’Espresso:  «Renzi cerca continuamente un nemico, qualcuno a cui stare antipatico: se ne è creati molti, spesso scientificamente.  Renzi cerca la contrapposizione così come cerca continuamente l’acclamazione. La cerca alla Leopolda o durante le direzioni del Pd, che sono entrambi luoghi di obbedienza e celebrazione».
E la parola d’ordine alla Leopolda era di dare battaglia anche in caso di sconfitta, di “non farsi rosolare” a Palazzo Chigi.
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martedì 25 ottobre 2016

Il vero quesito: Approvate che lo Stato sia tutto, le Regioni niente e che uno solo decida la guerra?

Quarto discorso di Raniero La Valle su “La verità del referendum” tenuto alle Comunità parrocchiali di Bitonto nell’Auditorium dei Santi Medici Cosma e Damiano il 19 ottobre e al Circolo Arci Rinascita di Sesto Fiorentino il 22 ottobre 2016.

Per parlare di una nuova Costituzione, che investe il presente e il futuro, è bene partire dai fatti del giorno.
Il primo di questi fatti è che il 18 ottobre l’UNESCO ha approvato una risoluzione che invita Israele a rispettare i diritti dei palestinesi a Gerusalemme, ma che ha il torto di chiamare la Spianata delle Moschee col suo nome arabo, ignorando la sua definizione ebraica come Monte del Tempio. Ciò ha provocato polemiche che dovevano avere degli sviluppi nei giorni successivi. Il più vistoso è stato che Renzi ha sconfessato il suo ministro degli esteri e ha definito “allucinante” il voto che l’Italia ha dato astenendosi su quella mozione. Di per sé una questione di denominazione non dovrebbe essere un casus belli, ma il fatto politico è il rovesciamento della politica italiana di neutralità attiva tra Israele e palestinesi, che risale a Moro e ad Andreotti. Ora Renzi nel conflitto fa una scelta a favore di Israele, cioè fa una scelta di campo, e la fa come se fosse scontata, come se l’Occidente a cui apparteniamo non fosse che un grande Israele.  E questo è un cambiamento della figura stessa dell’Italia, però non discusso e non deciso da nessuno; decide il primo ministro, e il suo stesso ministero degli esteri è preso in contropiede.
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venerdì 14 ottobre 2016

IL VERO QUESITO: APPROVATE DI SPEGNERE LA POLITICA E NON OPPORVI AL POTERE?



Raniero La Valle - Terzo discorso sulla verità del referendum

Discorso tenuto il 7 ottobre 2016 nella Sala consiliare della Provincia a Matera.

Mentre in Italia, nel mondo, nel Mediterraneo, in Siria, a Calais c’è tanta disperazione, noi siamo costretti a devolvere due mesi della nostra vita privata, e se non della nostra vita privata, della nostra vita pubblica, al referendum per cambiare la Costituzione.
Questo referendum è stato caricato, da chi pretende l’approvazione della riforma, di significati epocali. Lasciamo stare i catastrofismi di chi dice che se non vince il Sì ci sarà una crisi come quella del ’29 con la gente che si suicida per la strada. È vero però che il 4 dicembre è stato enfatizzato come lo spartiacque da cui tutto dipende. Renzi ci aveva messo perfino la testa di presidente del Consiglio, anzi aveva messo in palio, come in “Lascia o raddoppia”, la sua stessa carriera politica; poi se ne è pentito e ora questo non lo dice più “nemmeno sotto tortura”. Però non pensa ad altro. Di fatto ha smesso di governare, perché notte e giorno non fa che  dedicarsi, in ogni TV e in centinaia di comizi, alla propaganda per il Sì. Questo vuol dire che la cosa è veramente importante anche per noi; forse davvero il 4 dicembre è uno spartiacque.

Uno spartiacque?

Ma spartiacque di che? Non può trattarsi solo del fatto che Renzi resti o se ne vada. Per quanto possa essere rilevante che ci sia un segretario fiorentino a palazzo Chigi, l’esserci o non esserci di Renzi non può rappresentare lo spartiacque di alcunché. I presidenti del Consiglio passano in fretta, e di molti poi non ci si ricorda più. Dunque lo spartiacque deve riguardare qualche altra cosa. Di che spartiacque si tratta?
A mio parere si tratta dello spartiacque che passa tra il 20 novembre e il 4 dicembre. È questo il tempo in cui non solo qualche governante, ma noi stessi ci giochiamo il futuro.
Il 20 novembre finisce l’anno della misericordia, e il 4 dicembre l’Italia decide sulla sua Costituzione. Che nesso c’è tra le due cose?
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martedì 4 ottobre 2016

Il vero quesito: approvate il superamento della democrazia parlamentare?


Secondo discorso sulla verità del referendum


Intervento di Raniero La Valle al meeting “Loppiano-Lab” del Movimento dei Focolari a Loppiano (Firenze) il 30 settembre 2016.



Cari Amici,

poiché parlo a una grande riunione di persone la cui motivazione più profonda è che “l’uomo non vive di solo pane”, sento prima di tutto il bisogno di dirvi la ragione per la quale a 85 anni corro l’Italia per sostenere il NO al referendum, quando i giovani di oggi sono disperati per tanti altri motivi.

La ragione principale è una ragione di verità. Nell’ appello con cui i “Cattolici del No” hanno spiegato ai cittadini perché si oppongono a questa riforma,  hanno detto di farlo per una questione di giustizia e una questione di verità. In effetti l’Italia ha oggi un grosso problema, di sapere la verità del referendum, non perché qualcuno dica la “sua” verità sul referendum, ma per capire che cosa il referendum dice di sé, che cosa rivela del dramma politico che oggi stiamo vivendo in questo Paese e nel mondo.

La verità è il criterio supremo su cui viene giudicato il potere: sulla verità il potere sta o cade. Lo dice Gesù a Pilato, che voleva sapere se egli fosse un re e Gesù risponde “sono re”, e subito lo nega perché, dice, sono venuto al mondo per “rendere testimonianza alla verità”. Infatti non è un re, nel senso di Pilato, ma un suddito crocefisso. È la più radicale delegittimazione del potere senza verità. Ebbene è proprio la verità che spesso manca al potere e per saperlo basta guardare alla storia dei re e dei potenti, che fanno le guerre per una bugia – come è avvenuto in Vietnam, in Iraq e ora in Siria  - e comprano il povero, o il voto del povero, al prezzo di un paio di sandali.

Dunque c’è una questione di verità col potere e c’è una questione di verità col referendum. Ognuno ne parla a suo modo e tutti lo fanno come se parlassero di oggetti diversi; per gli uni è la fine di Renzi, per altri ne è il principio; per gli uni abolisce il Senato, per altri abolisce i senatori; per gli uni favorisce le autonomie, per altri le nega; ed essendo un oggetto misterioso, non si sa nemmeno perché si vota il 4 dicembre con la neve e non si vota invece il 4 ottobre con la brezza autunnale.
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giovedì 22 settembre 2016

La verità del referendum



di Raniero La Valle

Discorso tenuto il 16/09/2016 a Messina nel Salone delle bandiere del Comune in un’assemblea sul referendum costituzionale promossa dall’ANPI e dai Cattolici del NO e il 17/09/2016 a Siracusa in un dibattito con il prof. Salvo Adorno del Partito Democratico, sostenitore delle ragioni del Sì.

Cari amici,
poichè ho 85 anni devo dirvi come sono andate le cose. Non sarebbe necessario  essere qui per dirvi come sono andate le cose, se noi ci trovassimo in una situazione normale. Ma se guardiamo quello che accade intorno a noi, vediamo che la situazione non è affatto normale. Che cosa infatti sta succedendo?
Succede che undici persone al giorno muoiono annegate o asfissiate nelle stive dei barconi nel Mediterraneo, davanti alle meravigliose coste di Lampedusa, di Pozzallo o di Siracusa dove noi facciamo bagni e pesca subacquea. Sessantadue milioni di profughi, di scartati, di perseguitati sono fuggiaschi, gettati nel mondo alla ricerca di una nuova vita, che molti non troveranno. Qualcuno dice che nel 2050 i trasmigranti saranno 250 milioni.
E l’Italia che fa? Sfoltisce il Senato.
E’ in corso una terza guerra mondiale non dichiarata, ma che fa vittime in tutto il mondo. Aleppo è rasa al suolo, la Siria è dilaniata, l’Iraq è distrutto, l’Afganistan devastato, i palestinesi sono prigionieri da cinquant’anni nella loro terra, Gaza è assediata, la Libia è in guerra, in Africa, in Medio Oriente e anche in Europa si tagliano teste e si allestiscono stragi in nome di Dio.
E l’Italia che fa? Toglie lo stipendio ai senatori.
Fallisce il G20 ad Hangzhou in Cina. I grandi della terra, che accumulano armi di distruzione di massa e si combattono nei mercati in tutto il mondo, non sanno che pesci pigliare e il vertice fallisce. Non sanno che fare per i profughi, non sanno che fare per le guerre, non sanno che fare per evitare la catastrofe ambientale, non sanno che fare per promuovere un’economia che tenga in vita sette miliardi e mezzo di abitanti della terra, e l’unica cosa che decidono è di disarmare la politica e di armare i mercati, di abbattere le residue restrizioni del commercio e delle speculazioni finanziarie, di legittimare la repressione politica e la reazione anticurda di Erdogan in Turchia e di commiserare la Merkel che ha perso le elezioni amministrative in Germania.
E in tutto questo l’Italia che fa? Fa eleggere i senatori dai consigli regionali.
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martedì 13 settembre 2016

Cattolici e Costituzione



Raniero La Valle
discorso tenuto a Rovigo il 10/09/2016

Non c’è bisogno di essere cattolici per avere buone ragioni per opporsi alla riforma costituzionale voluta dal governo Renzi. Basterebbero le ragioni futili e pretestuose che sono avanzate dai propagandisti del SI per comprendere le ragioni del rifiuto.
Tra questi argomenti c’è quello del risparmio dei costi della democrazia, con il pietoso corollario che i soldi così risparmiati verranno finalmente distribuiti ai poveri
Ma la tesi del risparmio è stata già demolita dalla Corte dei Conti, che ha mostrato come il risparmio degli stipendi dei senatori sarebbe di solo 58 milioni l’anno, mentre tutta la macchina del Senato, che continuerebbe ad esistere, ne fa spendere 550 milioni. Altre stime scendono sotto i 50 milioni di minori spese, neanche un euro per ogni italiano avente diritto al voto. Per cui si potrebbe coniare uno slogan: vuoi risparmiare 90 centesimi l’anno? Prendili dai senatori e manda a casa il Senato: che per sostenere il passaggio al monocameralismo non è un grande argomento.
Ma al di là delle cifre, la domanda è perché ci vogliono far comprare meno democrazia. Infatti di questo si tratta: mettere in Costituzione meno democrazia, come se in l’Italia ce ne fosse troppa, quando invece si sta esaurendo. 
L’altra tesi volgare a favore della riforma è che spogliando il Senato di una parte dei suoi poteri legislativi, si risparmierebbe il tempo della doppia lettura di molte leggi che oggi fanno la navetta tra Camera e Senato.
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giovedì 11 agosto 2016

IL DOMANI DELLA FEDE Un’eredità: dalla cristianità al cristianesimo

Discorso per la conclusione dell’Incontro di “Tonalestate” sul tema “Un mundo sin maňana” (Un mondo senza domani), a Ponte di Legno, 6 agosto 2016 (versione lunga).

di Raniero La Valle

  Questo discorso verte su un tema drammatico. Perché a  conclusione di un Incontro che aveva come titolo “Un mondo senza domani”, la domanda è se vi sia un domani della fede, se la fede, la religione siano destinate a sopravvivere, se ci sarà questa eredità nel mondo di domani.
Mi pare che nel nostro tempo si sia mostrata come particolarmente profetica la parola di Gesù: “il figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?” (Luca, 18, 8). Certo se la fede fosse quella delle comunità sparse nel mondo che si incontrano a “Tonalestate”, o se fosse quella dei sette monaci uccisi a Tibhirine in Algeria, che abbiamo appena ricordato, la prognosi sarebbe favorevole. Ma è il fenomeno religioso stesso che oggi è messo in discussione, e c’è l’idea sempre più diffusa che esso non possa sopravvivere al soffio della modernità. Anche nelle discussioni che sono in corso in questi giorni sul terrorismo islamico, si è espressa una cultura triviale, secondo la quale la vera soluzione sarebbe che l’Islam scomparisse e l’unico rimedio alle guerre di religione sarebbe la fine delle religioni. Salvo poi a leggere sul Corriere della Sera che se il papa non vuole entrare in una guerra di religione, sono proprio i “laici” che debbono combatterla per difendere la nostra civiltà. Sono culture evidentemente sbagliate che la guerra invece di spegnerla l’accenderebbero.
Quanto a me, quello che cercherò di dire è che cosa lascio della mia esperienza col cristianesimo e con la Chiesa. Ma è chiaro che la domanda sull’eredità che resta del cristianesimo,  con le dovute trasposizioni interessa tutte le religioni, ed anche i non credenti, e riguarda tutti i Paesi, non solo l’Italia, e perciò riguarda anche gli stranieri che sono tra noi. 

L’età della secolarizzazione

  Dunque, ci sarà questa eredità? La nostra generazione ha rischiato di essere la generazione testimone e forse artefice di una interruzione nella trasmissione della fede cristiana da un secolo all’altro, da un millennio all’altro, almeno qui in Occidente. Il Novecento sotto questo profilo è stato drammatico, è stato il secolo della crisi. Abbiamo dovuto prendere atto che tutto il nostro cristianesimo, cattolico riformato  e ortodosso, quale si era andato svolgendo per secoli, alla fine ha prodotto Imperi e colonie, regimi totalitari - pagani, clericali od atei - due guerre mondiali, la Shoà e la bomba atomica, a cominciare da Hiroshima, di cui proprio oggi ricorre l’anniversario.
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mercoledì 27 luglio 2016

L'EREDITÀ



 Discorso tenuto nel Palazzo dei Musei di Reggio Emilia per il tema di "Tonalestate" 2016, il 23 luglio 2016

di Raniero La Valle

Mi avete chiesto  - per presentare il tema di quest’anno dell’Incontro di “Tonalestate”, sul tema “Un mundo sin maňana (Un mondo senza domani) – un discorso su “l’eredità”. L'eredità è il dono gratuito che ci viene da chi è stato prima di noi, da chi ci ha amato per primo e ha preparato dei tesori per noi. Però è difficile parlare di eredità di fronte ai dieci morti di ieri della strage di Monaco di Baviera, a quelli del 14 luglio di Nizza, o dinnanzi agli sgozzati del Medio Oriente o alle migliaia di prigionieri nudi della repressione di Erdogan in Turchia. Non c’è nessun discorso che si possa fare se non rendendoci conto della situazione reale nella quale giorno dopo giorno viviamo e siamo.
E proprio a partire da qui vorrei dire allora che l’eredità più importante, quella che nemmeno con la morte ci sarà tolta, è l’eredità di Dio.
Nella cultura di oggi non si tratta più di un discorso condiviso. Ma tra credenti si può dire che da Dio abbiamo ricevuto tutto, non solo la vita, ma la terra i cieli l'acqua l'aria la musica la bellezza la santità e tutte le creature. Naturalmente possiamo far finta di niente o non tenerne conto (basta ricordare l'"intelligenza laica" di Quasimodo dinnanzi allo  stupore per lo sbarco dell'uomo sulla luna[1]) ma se ci accorgiamo della creazione ci rendiamo conto di essere eredi di una meraviglia. É un'eredità così bella che ne possiamo essere rapiti, e questo esserne rapiti si può risolvere in due modi: o ne siamo talmente avvinti ed invasi che l'unica risposta possibile è la contemplazione e il ringraziamento, e allora c'è una reazione di fuga: come lo stilita, che sale su una colonna, e sta lì, o il monaco del deserto che pensa solo a pregare, e così l'amore per le creature si rovescia in rinunzia alle creature, in fuga dal mondo, in una cattura della fine: è la via della mistica, dell'eremo come reclusione, della anticipazione apocalittica, dello spiritualismo estremo dei giansenisti, di Port Royal, di certo dossettismo, per cui tutto è grazia e l'operazione umana è niente. Oppure – e questo è il secondo modo - la meraviglia, la gratitudine e la lode delle creature prendono le forme di san Francesco, del Cantico delle creature, della Laudato sì di papa Francesco e allora attraverso l'amore di Dio si torna più radicalmente  al mondo, si viene all'umano, si prende l'odore delle pecore e degli altri animali, e ci si sporca le mani, e si lavano i piedi alle creature e la sfida, la scommessa è sulla dignità della terra e la sanabilità della storia. Dio è tutto, d'accordo, ma noi siamo il tutto di Dio, senza di noi Dio non sarebbe pensato da nessuno.
Questi sono due modi di accettare e gestire la stessa eredità, sono due modi opposti di raccontarsi come cristiani, secondo la logica dei due contrari; in mezzo ci sono tanti modi intermedi: perché questo è il bello dell'eredità di Dio, che ci lascia liberi, siamo noi a decidere che uso farne, lui non ci impone nessun modo di essere eredi. Però i modi non sono neutrali, indifferenti, fungibili. Non si tratta ora di dire quali sono i migliori, tra contemplare e fare, tra pregare e operare per la giustizia, tra eremo e impegno sociale: però si deve scegliere. E noi abbiamo un criterio di scelta nel gestire l'eredità di Dio; infatti l'apostolo ci dice: voi siete eredi di Dio e coeredi di Cristo (Romani. 8, 17). Cioè l'eredità di Dio va ricevuta e gestita al modo di Cristo: lui è il prototipo degli eredi, noi siamo coeredi con lui nelle modalità paradossali dell'unità, nella stessa nostra persona, di umano e divino. Ossia in Cristo noi siamo eredi dell’umanità e della divinità di Dio; questo significa essere a sua immagine e somiglianza.

Eredi diretti di Dio

Ciascuno di noi questa eredità di Dio la riceve in modo diretto. Dio non è il nostro antenato. Dio è il nostro Padre. Sono sbagliate quelle letture della storia della salvezza secondo cui prima c'era Dio, che regnava da solo; poi è venuto Adamo, poi Noè, poi sono venuti i Patriarchi, poi Mosè, poi David, poi Gesù e infine siamo venuti noi. In realtà nella storia della salvezza tutti gli uomini e tutti i popoli ci sono fin dal principio.
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lunedì 13 giugno 2016

La Costituzione Carlo Magno e un Senato dei popoli



Discorso di Raniero La Valle per il referendum costituzionale a Perugia il 10 giugno 2016, in un incontro promosso da: Comitato Nazionale Socialista per il No, Comitato dei Socialisti Umbri per il No, Coordinamento per la Democrazia costituzionale, Comitato dei Cattolici del No.
 
          Questo incontro di Perugia “per il No allo stravolgimento della Costituzione” riunisce,  in diversi Comitati,  socialisti, cattolici, democratici, ex comunisti, partigiani, sindacalisti e dunque riproduce lo spirito stesso della Costituzione che nacque nel ’47 da un incontro di tante libertà diverse, unitesi per generare un popolo alla libertà.
          È proprio questo pluralismo che ora è sotto accusa. Nel nuovo linguaggio fiorentino esso è definito “un’ammucchiata”; ed è questa ammucchiata  che la nuova  Costituzione insieme all’Italicum, avrebbe lo scopo di impedire, come ha detto Renzi  parlando ai Coltivatori diretti a Milano, prima della sconfitta e ha ripetuto poi a La 7 e in ogni altra occasione, dopo la sconfitta.   In questa propaganda del SI si sente tutto il fascino della legge Acerbo, del listone, degli editti bulgari, si sente l’orrore del politicamente diverso. L’idea è che ogni cinque anni, di lustro in lustro, un solo partito deve governare, un solo partito deve dominare il Parlamento, fare le leggi, scrivere la Costituzione, controllare i poteri, un solo partito deve invadere la televisione, decidere le guerre da fare; e siccome c’è la democrazia dopo cinque anni può forse venirne un altro, ma sempre da solo.
E questa è anche la vera ragione della cancellazione del Senato. La ragione è che il permanere del Senato costringerebbe chi comanda a dialogare con altre forze ideali e politiche, perché se questo confronto - grazie a una maggioranza schiacciante – lo si può  evitare alla Camera, non lo si può evitare anche al Senato. Uno può fare una legge Acerbo, può fare una legge truffa, può fare un Italicum per una Camera, ma non lo può fare per tutte e due; allora è meglio abolire una Camera, è meglio invece di avere una democrazia intera avere una democrazia dimezzata, invece di avere una democrazia abbondante, cioè ricca delle idee, delle speranze e dei bisogni di tutti i cittadini, come volevano fare i costituenti del 47, avere una democrazia ridotta, una democrazia sfoltita. Ma il pluralismo, il dialogo, l’incontro tra forze diverse è il senso stesso della democrazia, è la condizione perché si faccia non il bene privato di qualcuno, ma si faccia il bene comune. Invece il pensiero che c’è dietro questa riforma è un pensiero nettamente reazionario: chi ha il potere lo deve avere da solo, non può perdere tempo a confrontarsi e a discutere con gli altri, fossero pure i membri del suo stesso partito: con quelli, ha detto Renzi ci vuole il lanciafiamme.
Ora bisognerebbe spiegare a questi fautori del governare da soli (che è il loro modo di concepire la “governabilità”) ,  che il lavorare con gli altri, lo stare insieme con gli altri non è di per sé un male; lo è se con gli altri ci si sta in modo falso, corruttore, non se ci si sta in modo aperto e leale. È un male se ci si sta come ora con Verdini, non come alla Costituente socialisti e comunisti stavano con i democristiani. Il male non è l’associazione, è l’associazione a delinquere.
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venerdì 27 maggio 2016

La Costituzione, i partigiani, i cattolici e il Santo Graal




Discorso di Raniero La Valle  per il referendum costituzionale a Lucca il 26 maggio 2016.

Vorrei partire, come spesso amo fare, dai fatti accaduti negli ultimi giorni.
Il primo, del 20 maggio scorso, è la presentazione del rapporto annuale dell’ISTAT, che ha compiuto ora novant’anni di vita. Questo rapporto ci racconta i dolori della situazione presente, con tutta la disperazione dei giovani, che sono arrivati a una disoccupazione del 25,7 per cento; però quest’anno ci racconta anche la storia di novant’anni da quando l’ISTAT ha cominciato a fare le statistiche, cioè a partire dai nati nel 1926. La storia comincia cioè dalla generazione dei partigiani, quelli che avevano venti, trent’anni nel 1945, i quali non solo hanno fatto la Resistenza e la Costituente, ma poi hanno rifatto l’Italia. Per dire di che si tratta, possiamo ricordare i partigiani di Reggio Emilia, che si vendettero un carro armato rimasto sulla piazza, per fare gli asili nido. Badate bene: non lo rottamarono, ci fecero un asilo nido, così i partigiani e le partigiane diedero inizio a quella straordinaria esperienza pedagogica e sociale che poi doveva essere la scuola dell’infanzia di Reggio Emilia, oggi nota in tutto il mondo. Ebbene, quando la generazione dei partigiani ha governato l’Italia, il prodotto interno lordo è cresciuto del 7 per cento all’anno, dall’agricoltura si è passati all’industria e poi al terziario, nel 1963 si raggiunse la piena occupazione, si facevano un milione di figli all’anno, si scatenò la stagione dei diritti, e l’Italia, dal Nord al Sud, veniva invasa da frigoriferi, televisori e utilitarie, fino ai computer di oggi; e tutto ciò con quella Costituzione lì; e per questo i partigiani oggi, proprio come partigiani, difendono la Costituzione, e non come una cosa di parte; e quelli che oggi ci governano con i telefonini, dovrebbero sapere che a metterglieli in mano è stata la generazione dei partigiani.
Un altro avvenimento che vorrei ricordare qui a Lucca, considerata “città bianca”, è il lamento che il papa ha rivolto il 6 maggio scorso ai leader europei, ricevendo il premio Carlo Magno: “Che cosa ti è successo Europa – ha detto -  un tempo paladina dei diritti dell’uomo, della democrazia e della libertà”? Perché oggi, invece, è stanca e invecchiata, pronta ad alzare muri invece di costruire ponti.
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martedì 17 maggio 2016

Una controversia cattolica



di Raniero La Valle

L’intervento della Civiltà Cattolica nella campagna referendaria sulla nuova Costituzione renziana, offre l’opportunità per fare un po’ di storia di una controversia cattolica che si è accesa in questa occasione, e non tra le curie ecclesiastiche, di cui solitamente si occupa l’informazione religiosa, ma tra gli stessi cittadini.
Che la controversia sia esplosa sulla Carta fondativa della Repubblica è una novità, perché c’è stata finora una unanimità cattolica sulla Costituzione, nei cui confronti, come ha notato Alberto Melloni, il mondo cattolico nutre una sorta di “istinto materno”, e ciò per la buona ragione che la Carta del ’48 è in buona parte sua fattura. Forse non sempre si è trattato di un’identificazione argomentata, però nella coscienza cattolica la Costituzione aveva messo radici, tant’è che quando nel 1994 Giuseppe Dossetti chiamò alla sua difesa, la sorpresa non fu che i cattolici si mobilitassero per essa, ma che fosse stato un monaco a svegliarli scendendo dal suo eremo.
Nel referendum del 2006 contro la riscrittura fattane da Berlusconi e Calderoli il mondo cattolico fu unanime. La Costituzione, interiorizzata, non strideva con la qualità di cittadino, e non sarebbe stata allora concepibile un’antinomia come quella enfatizzata ora da Renzi: “Ho giurato sulla Costituzione, non sul Vangelo”.
Oggi invece la scissura si è consumata, e con una foga che ha ben presto travalicato i limiti di un ordinario dissenso politico.
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martedì 10 maggio 2016

Popolo Costituzione e rivoluzione




Discorso tenuto a Brescia il 6 maggio 2016 per l’apertura della campagna sul referendum

Raniero La Valle

Per partire, come sempre si deve fare, dal contesto in cui si svolge questo evento, possiamo citare una notizia meravigliosa che si trova sui giornali di oggi: a Palmira, l’antica città romana in Siria appena liberata dall’ISIS, l’Orchestra di San Pietroburgo ha tenuto un concerto con musiche di Bach e di Prokofiev nell’anfiteatro romano che era stato fino a ieri la sede di feroci esecuzioni. Questo vuol dire che la distruzione non è per sempre. Questo vale anche per la Costituzione: se anche riusciranno ora a distruggerla, essa rinascerà, l’Italia non sarà senza Costituzione, non perderà il patrimonio ormai acquisito del costituzionalismo democratico.

Popolo

Nel merito dell’incontro di stasera, devo dire che, nonostante qualche difficoltà sono venuto a Brescia per l’apertura di questa campagna sul referendum costituzionale, per una ragione precisa: per parlare della Costituzione nel nome di un mio amico bresciano, l’amico più caro che ho avuto nella mia vita, Franco Salvi, che alla Costituzione, alla Repubblica, al bene comune ha consacrato tutta la sua vita. Franco Salvi sognava la Costituzione quando faceva il partigiano: in seguito lui non ha mai  parlato della sua esperienza di lotta armata, né nel periodo della sua militanza nella FUCI, né nel periodo della sua vita politica, nella quale è stato il più stretto collaboratore di Aldo Moro, dalla cui morte fu alla fine letteralmente straziato; cattolico e non violento, Franco Salvi, schivo e riservato com’era, non si è mai gloriato di aver combattuto con le Fiamme Verdi: io conservo – ma credo di essere uno dei pochi – una sua rarissima fotografia da partigiano con il fucile in mano.
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venerdì 29 aprile 2016

TRE RIVOLUZIONI NELLA FEDE



I precedenti del Concilio, di Panikkar, delle Commissioni Teologiche Romane.

Discorso tenuto a San Gregorio al Celio il 9 aprile 2016 da Raniero La Valle in occasione della presentazione dell’Opera Omnia di Raimundo Panikkar.

Che rapporto c’è tra Raimundo Panikkar e papa Francesco?
Noi stiamo vivendo una grande rivoluzione della fede che si sviluppa lungo un arco di 50 anni, dal Concilio ad oggi. Essa ha per teatro l’umanità e tutta la Chiesa, e ha tra i suoi protagonisti, insieme a molti altri, Panikkar, le grandi acquisizioni dei teologi, anche romani, la nuova sapienza del papa emerito Benedetto XVI e, naturalmente la potenza dell’annuncio evangelico di papa Francesco. E dunque in questo tempo speciale di una rivoluzione della fede che dobbiamo collocare anche il rapporto tra Panikkar e Francesco. E se questo tempo speciale, questo Kairòs, lo facciamo partire dal Concilio è perché lì è cominciata, non nella clandestinità ma gridata sui tetti, la rivoluzione della fede. Come ha scritto il gesuita Karl Rahner facendo un primo bilancio sul significato permanente del Vaticano II nel 1979, a quindici anni dalla sua conclusione, “la Chiesa in questo Concilio è diventata nuova trasformandosi in una Chiesa a dimensione mondiale e pertanto è in grado di rivolgere al mondo un annuncio, che benché resti in fondo sempre lo stesso annuncio di Cristo, è più libero e coraggioso di prima, un annuncio nuovo. In tutti e due i termini, nell’annunciatore come nell’annuncio, è avvenuto qualcosa di nuovo, di irreversibile, di permanente” (Karl Rahner, Il significato permanente del Vaticano II, Il Regno – documenti, 3,1980). In realtà nel Concilio si sono viste cose mai viste prima, così come cinquant’anni dopo si sono viste cose mai viste prima nel pontificato di papa Francesco.
            Ciò basterebbe, da solo, a stabilire un legame strettissimo tra il Concilio, come lo ha visto il gesuita Karl Rahner, e il pontificato come lo sta esercitando il gesuita Bergoglio.

Il “senso dei fedeli”

            Per esempio tra le cose del Concilio che non si erano mai viste prima c’è l’espressione “sensus fidei”, sensus fidelium, cioè il senso dei fedeli.
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martedì 26 aprile 2016

La società senza diritti vuole la sua Costituzione

I Comitati Dossetti per la Costituzione nel referendum costituzionale

All'avv. Francesco Di Matteo
Presidente del Comitato del No di Bologna

Caro Francesco,
con l'iniziativa popolare che abbiamo avviato in Cassazione per il referendum oppositivo alla nuova Costituzione del governo, la corsa per decidere della sorte della democrazia parlamentare in Italia è giunta all'ultimo tratto.
Sul piano militante i cittadini dei Comitati del No, i Cattolici del No e molti altri sono già in campo. Il loro giudizio è già formato e chiaro: il Potere cerca di sgombrare ogni ostacolo dinnanzi a sé, di togliere di mezzo ogni porta tagliafuoco per dilagare e governare incontrastato. Ci sono riusciti gli ultimi residui della vecchia classe politica, comunque mascherati col nuovo, approfittando di una legge elettorale ufficialmente incostituzionale che già aveva distrutto il sistema politico italiano, e innescando un processo extra partitico di presa del potere che ha permesso a un cittadino e al suo gruppo di far proprio un vecchio partito già gonfiato in Parlamento da un enorme premio di maggioranza, pretendendo "primarie aperte" in cui hanno votato tre milioni di persone quando gli iscritti a quel partito erano 500.000. 
Tutto questo è chiaro. Ma i Comitati Dossetti per la Costituzione possono fermarsi a questo? Non dovrebbero porsi domande più profonde e chiedersi come sia potuto accadere che un pur rovinoso ma contingente dissesto del sistema politico abbia permesso l'attacco alle strutture stesse dell'ordinamento parlamentare, sulla scia di una sorta di silenzio-assenso del sistema culturale mediatico e informativo del Paese?  Non si deve cercare il motivo di una crisi più vasta,  che  spiega l'apparente successo di Renzi, al di là delle sue spregiudicate capacità di manovra politica?
Credo che la risposta sia da cercare nella corrispondenza tra la Costituzione e lo spirito del Paese. Le costituzioni non precedono le società, ne sono l'espressione proiettata in avanti. La Costituzione del '48 fu la conseguenza della grande rigenerazione spirituale e sociale prodotta dall'immenso dolore della guerra, e sentimenti come eguaglianza, libertà, dignità, solidarietà erano nelle masse prima di giungere alla formulazione costituzionale. Ma l'errore è di ritenere che solo i valori fossero legati allo spirito pubblico di quel tempo, e non anche le scelte dei costituenti sulle forme e le regole del sistema politico.
Al contrario, è evidente ad esempio che il ritrovato pluralismo politico affratellato nel sangue della Resistenza e nel percorso verso la Costituente, faceva ritenere così scontata, da non doversi nemmeno menzionare (bensì presupporre in tutti gli articoli della Costituzione) la proporzionale come metodo normale per le elezioni.
Nè meno forte è stato il rapporto tra il sentimento diffuso e la scelta bicamerale. Il passaggio alla Repubblica e quindi la rivalsa su tutta la forma politica che l'Italia aveva avuto fino allora, aveva la sua massima espressione simbolica e reale nel Parlamento; caduto il re, questo era il sovrano, ovvero la sovranità visibile del popolo. E proprio perché c'era stato un Senato del Regno doveva esserci un Senato della Repubblica (mentre non era concepibile, e sembra non lo sia anche oggi, un Senato delle autonomie). Però il Senato, che era di nominati a vita (e per questo c'erano rimasti  dei senatori non fascisti nel tempo di Mussolini), doveva essere anch'esso di eletti dal popolo, e così realizzare un parlamentarismo differenziato e ricco, non solo in rapporto al governo, ma ancora di più in rapporto al territorio. In questo senso le decisioni dei Costituenti erano fortemente influenzate dal sentire comune, che non solo voleva la democrazia, ma una democrazia abbondante.
Ma c'erano delle ragioni ancora più profonde che spingevano la Costituente alla scelta di un parlamentarismo leale e di una proporzionale senza forzature ed esclusioni. La prima era il grande prestigio di cui era circondata la prima rappresentanza repubblicana, che veniva dall'impegno politico, dalle carceri e dalla clandestinità, conduceva vita austera, era mal pagata (Teresa Mattei voleva darle il salario di un operaio romano) e certo non poteva essere sospettata di intenzioni di carrierismo. E la seconda era la grande stima che non solo circondava la rappresentanza politica in generale, anche per il legame di importanti masse popolari con i loro partiti e i loro leaders, ma altresì caratterizzava i rapporti degli stessi rappresentanti, pur avversari politici, tra loro; basti ricordare le parole di altissima considerazione che il partigiano Dossetti ebbe a pronunciare riferendo la testimonianza di un partigiano comunista del Reggiano.
Infine c'era il senso comune che l'uscita dell'Italia dall'amarissima situazione del dopoguerra era possibile solo grazie a uno sforzo comune, e con la rinunzia di ciascuno a una parte del proprio egoismo nonché alla pretesa di attuare esclusivamente i propri interessi e le proprie idee personali e di gruppo.
Così la Costituente scrisse la prima parte e, indissolubile da questa, la seconda parte della Costituzione; era la Costituzione naturale, omogenea, anche se "presbite", dell'Italia e della società di allora.
La prospettiva era che l'Italia, lo spirito pubblico e la Costituzione crescessero insieme, e che mentre la società andasse verso un maggior incivilimento, le istituzioni repubblicane si rafforzassero e aprissero a nuovi più moderni sviluppi.

Invece questa armonia si è rotta. Uno sviluppo economico tumultuoso, un mutamento importante di costumi, ripetuti sovvertimenti dell'ordine politico ed economico internazionale ed infine lo tsunami mediatico hanno cambiato radicalmente il quadro, hanno inaridito e reciso i legami sociali senza che le grandi agenzie religiose culturali e informative fornissero la linfa per rigenerarli. Né le dottrine politiche, né il pensiero politico comune, né i comportamenti dei cittadini si sono portati all'altezza delle nuove sfide. Sopratutto dopo l'89, finita la guerra fredda, non si sono prodotte analisi adeguate né postulate conversioni. Nessuno ha denunciato la presa del potere da parte del Denaro, nessuno ha accusato la società mondiale dell'esclusione, nessuno l'economia che uccide. Nessuno fino a Papa Francesco.
Oggi la società è più barbara di quella nella quale è stata concepita e stipulata la Costituzione del '48. Secondo le ultime statistiche europee in Italia ci sono 7 milioni di poveri: ma, come i profughi, sono dei numeri, non dei visi, delle storie, delle famiglie. Il costo di produzione che si cerca di abbattere, fino a renderlo residuale, è il costo del lavoro. Ciò toglie ragione alla stessa produzione e alla stessa economia, lasciando il primato alla finanza e alla speculazione. Sessantadue persone nel mondo hanno una ricchezza pari a quella di tre miliardi e mezzo di persone. E l'Europa dopo aver compiuto il reato di omissione di soccorso, ovvero di stragi, nei suoi mari, spara sui profughi e i fuggiaschi sopravvissuti. Spara, per ora, con proiettili di gomma, perché gli invasori sono venuti senza asce e bastoni. E con rozzo bizantinismo discrimina tra chi, avendo fame, non ha alcun diritto e chi, provenendo da mattatoi più violenti, può implorare asilo dalle burocrazie europee; e su queste basi firma con la Turchia un contratto di deportazione dei senza speranza.
Cosa ci sta a fare in un mondo così la Costituzione italiana, il bicameralismo, il Senato, la democrazia abbondante, il controllo parlamentare degli atti di governo? Ci vuole una Camera unica, e lì un deputato unico con 340 seggi che risponda a chi l'ha nominato e forse lo nominerà ancora. Ci vuole un partito unico, ci vuole un comando unico di governo e partito, ci vuole un capo unico che decida avendo al suo fianco la Bugia. E non importa nemmeno che questo solo al comando sia di destra o di sinistra; ai riformatori della Costituzione questo appare del tutto irrilevante, e dal loro punto di vista infatti lo è.
La riflessione durante la battaglia referendaria dovrà prendere in carico e approfondire l'analisi di questo scarto che si è venuto a creare tra la Costituzione italiana e la natura barbara di questa fase della storia d'Italia, d'Europa e del mondo, scarto che politici zelanti vorrebbero cancellare abbassando la Costituzione a specchio dell'esistente e addirittura a regressione al passato pre-costituzionale.
Io credo che a noi tocchi un'altra scelta: tenere alto il disegno etico e istituzionale della Costituzione del '48, richiamando la coscienza pubblica a onorarlo e a mantenerlo come traguardo sempre da raggiungere; e nello stesso tempo rimettere radicalmente in questione le attuali scelte politiche e di civiltà che ci stanno riportando nella notte,
I nostri Comitati dovrebbero accendersi come lucciole nella notte.

                                                                                  Raniero La Valle
                                                           Presidente dei Comitati Dossetti per la Costituzione

Roma, 18 aprile 2016
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SE C’ENTRA LA FEDE

Raniero La Valle – Conclusioni alla Conferenza stampa dei Cattolici del NO del 21/03/2016

         Il primo valore che è messo in gioco dallo scontro costituzionale in corso è quello dell’unità. La Costituzione è l’unica cosa che ci unisce in questo Paese, in un momento in cui la divisione sta facendo a brandelli la società. Abbiamo un’Europa divisa che innalza muri e spara sui profughi, abbiamo una società italiana divisa tra occupati e disoccupati, giovani e anziani, abbiamo l’aumento del numero dei poveri, mentre la società si disgrega, stiamo rischiando di affrontare una guerra, mentre già partono i droni da Sigonella per bombardare la Libia e siamo continuamente avvisati che da un momento all’altro, se ci sarà un certo sviluppo politico in Libia, finalmente potremo andare lì a guidare un’azione armata. Siamo quindi in un momento di grave tensione e grave divisione per il Paese, e proprio in questo momento ci si toglie anche la Costituzione, l’unica cosa che veramente ancora ci tiene insieme e ci unisce. Io penso che questo sia un elemento importante da valutare nei prossimi mesi perché a parte il merito delle questioni riguardo alla qualità della nuova Costituzione, c’è anche il fatto che col referendum noi andiamo verso dei mesi in cui ci sarà una gravissima lacerazione nell’elettorato italiano; di certo infatti non si possono illudere che il referendum sia una cosa asettica, indolore, come cercano di presentarlo; sarà invece uno scontro molto duro, dove ci saranno dei conflitti di fondo sulle ragioni della politica, sulla società, sul diritto; e io mi domando se veramente era questo il momento di sottoporre il Paese alla prova di una divisione di questa portata.    
            C’è poi un’altra questione generale che è stata sollevata per criticare la nostra iniziativa: che cosa c’entrano i cattolici, è stato detto, con questa battaglia per la Costituzione e con questo No nel referendum costituzionale? Nel corso di questa conferenza stampa sono già state spiegate da Anna Falcone, da Alex Zanotelli, da Domenico Gallo, da Luca Kocci, le ragioni per cui i cattolici c’entrano.
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martedì 15 marzo 2016

CATTOLICI DEL NO NEL REFERENDUM COSTITUZIONALE



 

21 marzo ore 16.30
Conferenza stampa aperta ai cittadini
Federazione Nazionale della Stampa
Roma, Corso Vittorio Emanuele 349

In vista del referendum per decidere se sostituire la Costituzione del 48 con la nuova Costituzione scritta dal governo, il 21 marzo alle ore 16.30 presso la Federazione Nazionale della Stampa in Corso Vittorio Emanuele 349 Anna Falcone, Alex Zanotelli, Domenico Gallo, ADISTA e Raniero La Valle illustreranno le ragioni dei “Cattolici del NO” e i motivi che legittimano i cittadini a lottare per la coerenza tra i loro valori più alti e la Costituzione repubblicana. Il prof. Luigi Ferrajoli chiarirà il rapporto tra la seconda e la prima parte, ordinamento e principi, di una Costituzione indivisibile.
Con l’invito a partecipare, gradisca i più cordiali saluti.

CATTOLICI DEL NO
NEL REFERENDUM COSTITUZIONALE
NO alla democrazia dimezzata

La posta in gioco tra il Sì e il No nel prossimo referendum costituzionale non  è il Senato ma è l’abbandono della Costituzione vigente e la sua sostituzione con un sistema di democrazia dimezzata in cui i valori e i diritti riconosciuti nella prima parte della Carta, da cui dipendono la vita, la salute  e la possibile felicità del cittadini, sarebbero isolati e neutralizzati per lasciare libero campo al potere del denaro e delle sue istituzioni nazionali e sovranazionali. Questo, col supporto di una legge elettorale congegnata per dare tutto il potere a un solo partito, è il disegno delle riforme istituzionali oggi sottoposte al popolo come nuove, ma concepite da vecchi politici, nostalgici dei modi spicciativi di governo di un lontano passato.
Mettendo mano alla Costituzione questi politici vogliono riaprire vecchie questioni di democrazia risolte da tempo e da cui non si può tornare indietro: divisione dei poteri, sovranità popolare, fiducia parlamentare ai governi senza vincolo di disciplina di partito, libertà e diritti sottratti all’arbitrio dei poteri, anche se espressi dalle maggioranze. Si sarebbero dovute fare al contrario riforme rivolte al futuro, a partire dalla domanda sul perché i diritti al lavoro e a condizioni economiche e sociali che non impediscano il pieno sviluppo della persona umana, pur sanciti in Costituzione, non si sono mai realizzati, e non certo per colpa solo del Senato. È questa domanda, non quella sul numero dei senatori, che avrebbe risvegliato la coscienza pubblica, a cominciare dai giovani oggi così disperati, e curato la piaga sociale dell’assenteismo e dell’indifferenza.
La Costituzione è un bene comune e, pur provenendo ciascuno da parti diverse, comune deve essere la battaglia di uomini e donne per la sua cura e la sua difesa, ognuno lottando però con i suoi colori e con le sue bandiere. I cristiani già altre volte, in momenti cruciali della storia della Repubblica, sono stati determinanti con le loro scelte nei referendum per un avanzamento della democrazia e della laicità e per tenere aperta la via di vere riforme. Oggi come cattolici ci sentiamo di nuovo chiamati a votare NO alle spinte restauratrici,  e così ci saranno dei “Cattolici del NO” in questo referendum. Allo stesso modo speriamo nell’impegno di molti altri cristiani di ogni denominazione e confessione. Ugualmente voteranno NO moltissimi che cristiani o credenti non sono, magari anche più motivati e determinati di noi. Ma noi, che pur non siamo soliti nominare la fede nella lotta politica, questa volta diciamo NO proprio come cattolici, rispettando in ogni caso quanti saranno spinti da motivazioni diverse.
Prima di tutto votiamo NO per una questione di giustizia. Se, nel suo significato più elementare, la giustizia è “la correttezza di una pesata eguale”, lo scambio che ci viene proposto, di dar via metà della Costituzione per avere in cambio ancora Renzi al potere, non è giusto. Renzi e la Costituzione non hanno lo stesso peso, e mentre il primo non ci è costato niente (non lo abbiamo nemmeno eletto) la Costituzione ci è costata molto, in pensiero e martiri anche nostri. Perciò, come voto di scambio, Renzi contro la Costituzione è uno scambio ineguale.
Di conseguenza se in questo gioco d’azzardo con la Costituzione Renzi, perdendo, vorrà lasciare il potere, ce ne faremo una ragione. Ma avremo salvato l’idea che ci vuole un minimo d’equità anche in un baratto. 
In secondo luogo votiamo NO per una questione di verità. Non è vero che la Costituzione vigente è vecchia, tant’è che da vent’anni si cerca di cambiarla. Vero è che da vent’anni essa resiste, anche grazie a imponenti voti popolari. Vecchia è invece la proposta Costituzione nuova, che dà più potere al potere e meno potere ai cittadini, in ciò tornando allo Statuto albertino concesso dal re e finito in Mussolini. Ma è un’illusione che dia più potere a Renzi e alla Boschi, che già conosciamo; in realtà darà più potere e forza esecutiva a uno di quei mangiapopoli arruffoni e razzisti che oggi circolano in Europa e che facilmente, col marketing delle agenzie pubblicitarie e dei telefonini scambiati per modernità, potrà insediarsi a palazzo Chigi e nei 340 seggi di replicanti assegnatigli per legge nella Camera residua, con tutti i poteri compreso il diritto di guerra.
Non è vero che con la nuova Costituzione si ridurranno i costi della politica. I deputati restano 630, le spese delle province ricadranno su altri enti, il Senato rimane a gravare sul bilancio pubblico col suo palazzo e tutto il suo apparato, anche se viene ridotto ad un club nobiliare per consiglieri regionali e sindaci che passeranno a Roma uno o due giorni alla settimana (sicché il Senato sarà il primo Ufficio Pubblico a brillare per l’assenteismo del suo personale).
 In terzo luogo votiamo no per una questione di patriottismo costituzionale. Consideriamo la Costituzione la nostra Patria, sia come cittadini che come cattolici. Come cittadini temiamo che il crollo dell’architettura della Repubblica causato dalla ristrutturazione in corso travolga anche i diritti e i valori fondamentali.  Come cattolici ci sentiamo figli della Costituzione perché, benché inattuata, mette al di sopra di tutto la persona umana e perché fa del lavoro, che una volta era considerato il compito abbrutente del servo, il fondamento stesso della Repubblica e il diritto col quale sta o cade la dignità del cittadino.
Infine votiamo NO per coerenza storica. Per secoli si è chiesto alla Chiesa di riconoscere la sovranità del diritto e la divisione dei poteri, e sarebbe assurdo che proprio ora che il papa le ha solennemente proclamate all’ONU, i cattolici italiani ne abbandonassero la difesa per tornare a quella vecchia, decrepita, infausta cosa che è l’uomo solo al comando e tutti gli altri a dire di sì.
Ma coerenza storica ci impone di votare no anche perché i cattolici in Italia hanno messo il meglio di sé nella Costituzione repubblicana. È la cosa migliore che hanno fatto nel Novecento. Dopo la scelta antiunitaria e revanscista della questione romana, dopo la sconfitta del Partito popolare, dopo l’acquiescenza al fascismo, e grazie alla partecipazione alla Resistenza, la Costituzione è stato il dono più alto che i cattolici, certo non da soli, hanno fatto all’Italia. Ora si dovrebbe cambiarla per portarla su posizioni più avanzate (più diritti, più sicurezza sociale, lavoro, cultura, più garanzie contro la cattiva “governabilità” e l’arroganza della politica), non certo sfasciarla.
Queste sono le ragioni, laiche e sacrosante, del nostro NO alla rottamazione costituzionale.

Fatto a Roma il 21 gennaio 2016, dopo l’approvazione in seconda lettura della nuova Costituzione  da  parte del Senato, senza  i  due terzi dei voti,..

Anna Falcone, avvocata, Domenico Gallo, magistrato, Raniero La Valle, giornalista, Alex Zanotelli, missionario comboniano, Raffaele Nogaro, vescovo emerito di Caserta, Lorenza Carlassare, costituzionalista, Paolo Maddalena, vice-presidente emerito della Corte Costituzionale, Boris Ulianich, storico del cristianesimo, Enrico Peyretti, “operaio del leggere e scrivere”, Torino, Adista, settimanale di informazione politica e documentazione,  avv. Francesco Di Matteo, presidente del Comitato per il No di Bologna,  Giovanni Avena, giornalista, Roma, Eletta Cucuzza, Roma, Angelo Cifatte, funzionario comunale, Genova, Marcello Vigli, Lidia Menapace, partigiana già senatrice, “Koinonia”, mensile, Convento San Domenico, Pistoia, Alberto Simoni, domenicano, Vittorio Bellavite, “Noi siamo Chiesa”, Lorenzo Acquarone, docente universitario, già parlamentare, Genova, Suore orsoline di Casa Rut, Caserta, Raffaele Luise, presidente del Cenacolo degli amici di papa Francesco, Maurizio Chierici, giornalista, Waldemaro Flick, avvocato, Genova, Francesco De Notaris, senatore nella XII legislatura, Napoli, Giuseppe Campione, docente di Geografia politica, presidente della Regione Sicilia dopo le stragi del ’92, avv. Nanni Russo, già parlamentare, Savona, Sergio Tanzarella, professore di Storia della Chiesa, Facoltà teologica dell’Italia Meridionale, Pasquale Colella, docente di diritto canonico, Napoli,  I redattori de “Il tetto”, Napoli, Giuseppe Florio, Presidente di “Progetto Continenti”, Roma, Lanfranco Peyretti, Marco Romani, “Pane Pace Lavoro”, Reggio Emilia, Gilberto Squizzato, giornalista, Busto Arsizio, Marina Sartorio, insegnante, Genova, Maria Pia Porta, insegnante, Genova, Paolo Farinella, prete, Genova, Paolo Lucchesi, sindacalista, Barberino Val D'Elsa (FI), Antonino Cinquemani, Palermo, Maria Luisa Paroni, Sabbioneta (Mantova), Giovanni Bianco, giurista, Nicola Colaianni, professore di diritto ecclesiastico, Bari, Franco Ferrara, Presidente Centro Studi Erasmo, Gioia del Colle, Carlo Cautillo, prete passionista, Claudio Michelotti, Parma, Michele Celona, architetto, Mantova, Maria Luisa Maioli, pensionata, Mantova, Gaetano Briganti, insegnante, Mercogliano (Av), Fiorella Ferrarini, vicepresidente ANPI provinciale di Reggio Emilia, Valeria Indirli, catechista, Roncoferraro (Mantova), Rosa Pappalardo, San Fratello (Messina), Corrada Salemi, Dina Rosa, Agoiolo (CR) per SALVIAMO IL PAESAGGIO (sezione casalasca), prof.ssa Marzia Benazzi, Mantova,  Bianca Mussini, maestra, Bozzolo (Mn). Eliana Strona, Torino, Carla Zauli, Bologna, Stefano Ventura, ricercatore CNR, capo scout, Bologna, Giovanni Nespoli, Renata Rossi, insegnante, Giorgio Azzoni, diacono,  Carla Pellacini, Gianni Gennari, teologo e giornalista, Annamaria Fiengo, insegnante di filosofia, Marco Badiali, Salesiano Cooperatore, Bologna, Luigi Bottazzi, presidente del Circolo G. Toniolo di Reggio Emilia, Fabio Ragaini, Francesco Capizzi, chirurgo, Bologna, Giuseppe Acocella, ordinario di Teoria generale del diritto, Università Federico II, Napoli, Maria Teresa Cacciari, Bologna, Roberto Mancini, docente di filosofia, Università di Macerata, Aldo Antonelli, prete, Avezzano (AQ), Carmine Miccoli, prete, Lanciano (CH), Pio Russo Krauss, Comunità cristiana di Via Caldieri, Napoli, Antonio Vermigli, direttore della rivista “In dialogo”, Quarrata (PT), Giancarlo Poddine, Savona, Antonio Mammi, Comitati Dossetti di Casalgrande, Reggio Emilia, Angela Mancuso, Firenze, Nicola Tranfaglia, Università di Torino, Grazia Tuzi, eredi via Chiesa Nuova 14, (Comunità del porcellino), Emanuele Chiodini, San Martino Siccomano, (PV), Aristide Romani, Flavio Pajer, Biblioteca per le scienze religiose (TO), Saverio Paolicelli, Margherita Lazzati, fotografa, Milano, Marina Lazzati, pedagogista, Fausto Pellegrini, giornalista, Carlo Cefaloni, Franca Maria Bagnoli, insegnante, Ivano Pioli, Ilario Maiolo, avvocato, Roma, Piera Capitelli, già Sindaco di Pavia, Totu Paladini, Fulvio Mastropaolo, ordinario di diritto civile a Roma tre, Anna Sforza, educatrice penitenziario di Bologna, Eli Colombo, Augusto Cacopardo, Firenze, Agata Cancelliere, insegnante, Roma, Nino Cascino, ricercatore sociale, Roma, Giorgio Nebbia, professore, ambientalista, Roma, Maria Ricciardi, Felice Scalia S.J., gesuita, Messina, Luciano Benini, Comitato per la Costituzione, Fano, Marco Bernabei, psicologo, Mauro Magini, chimico, Roma, Marta Lucia Ghezzi, Pavia, Mauro Armanino, missionario e antropologo, Niamey (Niger), Andrea Rocca, Paolo Candelari, Miriam Gagliardi, Vladimir Sabillón, grafico, Francesco Riva, cooperante, Jessica Veronica Padilla, bancaria, Donatella Gregori, dipendente pubblico, Pietro Vecchi, studente di architettura, Donatella Caruso, insegnante, Loris Lanzoni, imprenditore, Ilaria Barbieri, maestra, Umberto Musumeci, Montebelluna (TV), Antonio Caputo, Giustizia e Libertà, Maria Rosa Filippone, bibliotecaria, Genova, Mario Epifani, avvocato, Genova, Raffaele Porta, professore di liceo, Andrea Trucchi, avvocato, Genova, Daniele Ferrarin, Vicenza, Mauro Bortolani, Reggio Emilia, Renzo Dutto e la Comunità di Mambre, (Cuneo). Franco Camandona, medico, Genova, Giuliano Minelli, Maurizio Mazzetto, prete, Vicenza, Luca Pratesi, neurologo, Roma, Giandomenico Magalotti, Francesco Grespan, Maria Paola Patuelli, Luigi Antonio Faraco, Marzabotto, Giacomo Grappiolo, insegnante, Genova, Paolo Palma, presidente dell’associazione Dossetti “Per una nuova etica pubblica”, già deputato dell’Ulivo, Irene e Francesco Palma, Cosenza, Irene Scarnati, insegnante di lettere, Cosenza, Giovanni Serra, imprenditore sociale, già assessore al Welfare, Cosenza, Franca Sità,  Gianni Russotto, pensionato, Genova, Giovanni Colombo, avvocato, Milano, Giuseppe Deiana, presidente dell’Associazione C.C. Puecher di Milano, Mauro Castagnaro, giornalista, Francesco Piersante, Luigi Mariano Guzzo, Università Magna Graecia, Catanzaro, Gian Luigi Montorsi, imprenditore, Reggio Emilia, Andriotto Pietro, Costanza Boccardi, casting director, Napoli, Velia Galati, volontaria emerita della Croce Rossa Italia, Genova, Mario Corinaldesi, soccorritore ambulanza ed autista taxi sociale, Agugliano, (AN), Alessandro Bongarzone, giornalista, Angelo Bertucci, Monica Pendlebury, Jacopo Bertucci, Yasmin Bertucci, Giampietro Filippi,  geologo, Savona, Giuseppe Claudio Godani , Docente di Filosofia. Genova, Alberto Pane, Andrea Rocca, insegnante, Milano, Dino Biggio, Cagliari,

Possono firmare questo appello sia persone singole che riviste, gruppi, circoli, associazioni.
     
La sede del Comitato dei cattolici del NO è in Via Acciaioli 7, 00186, Roma tel. 066868692, fax 066865898, mail: cattolicidelno@gmail.com, e in ogni computer o cellulare che fungerà da campana per avvertire del pericolo.
Il Comitato aderisce al Comitato per il No nel referendum e al Coordinamento per la Democrazia Costituzionale.
Chi, pur senza firmare questo appello, vuole partecipare alla battaglia per il NO, può aderire al Comitato per il No nel referendum costituzionale a questo link: http://coordinamentodemocraziacostituzionale.net, oppure http://www.iovotono.it, o scrivere a: segreteria.comitatoperilno@gmail.com


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