Discorso di Raniero La Valle per
il referendum costituzionale a Perugia il 10 giugno 2016, in un incontro
promosso da: Comitato Nazionale Socialista per il No, Comitato dei Socialisti
Umbri per il No, Coordinamento per la Democrazia costituzionale, Comitato dei
Cattolici del No.
Questo incontro di Perugia “per il No
allo stravolgimento della Costituzione” riunisce, in diversi Comitati, socialisti, cattolici, democratici, ex
comunisti, partigiani, sindacalisti e dunque riproduce lo spirito stesso della
Costituzione che nacque nel ’47 da un incontro di tante libertà diverse,
unitesi per generare un popolo alla libertà.
È proprio questo pluralismo che ora è sotto
accusa. Nel nuovo linguaggio fiorentino esso è definito “un’ammucchiata”; ed è
questa ammucchiata che la nuova Costituzione insieme all’Italicum, avrebbe lo scopo di impedire,
come ha detto Renzi parlando ai
Coltivatori diretti a Milano, prima della sconfitta e ha ripetuto poi a La 7 e in ogni altra occasione, dopo la
sconfitta. In questa propaganda del SI si sente tutto il
fascino della legge Acerbo, del listone, degli editti bulgari, si sente
l’orrore del politicamente diverso. L’idea è che ogni cinque anni, di lustro in
lustro, un solo partito deve governare, un solo partito deve dominare il
Parlamento, fare le leggi, scrivere la Costituzione, controllare i poteri, un
solo partito deve invadere la televisione, decidere le guerre da fare; e
siccome c’è la democrazia dopo cinque anni può forse venirne un altro, ma
sempre da solo.
E questa è
anche la vera ragione della cancellazione del Senato. La ragione è che il permanere
del Senato costringerebbe chi comanda a dialogare con altre forze ideali e
politiche, perché se questo confronto - grazie a una maggioranza schiacciante –
lo si può evitare alla Camera, non lo si
può evitare anche al Senato. Uno può fare una legge Acerbo, può fare una legge
truffa, può fare un Italicum per una
Camera, ma non lo può fare per tutte e due; allora è meglio abolire una Camera,
è meglio invece di avere una democrazia intera avere una democrazia dimezzata,
invece di avere una democrazia abbondante, cioè ricca delle idee, delle
speranze e dei bisogni di tutti i cittadini, come volevano fare i costituenti
del 47, avere una democrazia ridotta, una democrazia sfoltita. Ma il
pluralismo, il dialogo, l’incontro tra forze diverse è il senso stesso della
democrazia, è la condizione perché si faccia non il bene privato di qualcuno,
ma si faccia il bene comune. Invece il pensiero che c’è dietro questa riforma è
un pensiero nettamente reazionario: chi ha il potere lo deve avere da solo, non
può perdere tempo a confrontarsi e a discutere con gli altri, fossero pure i
membri del suo stesso partito: con quelli, ha detto Renzi ci vuole il
lanciafiamme.
Ora
bisognerebbe spiegare a questi fautori del governare da soli (che è il loro
modo di concepire la “governabilità”) ,
che il lavorare con gli altri, lo stare insieme con gli altri non è di
per sé un male; lo è se con gli altri ci si sta in modo falso, corruttore, non
se ci si sta in modo aperto e leale. È un male se ci si sta come ora con
Verdini, non come alla Costituente socialisti e comunisti stavano con i
democristiani. Il male non è l’associazione, è l’associazione a delinquere.
Allo stesso
modo solitario con cui è concepito il governo, la nuova Costituzione
che ci viene proposta per rimpiazzare la prima, è il prodotto di un solo
partito, non è l’espressione e il frutto di più pensieri, di più libertà. Il
suo testo si è andato costruendo sotto l’imperio dei voti di fiducia, ed anche
per questo è venuto scritto così male, sicché forse ne è uscita fuori la
Costituzione più brutta del mondo (con diversi errori di grammatica e di sintassi costituzionale, dice un
documento di “Città dell’uomo”, l’associazione di Lazzati). La nuova
Costituzione si è fatta coi voti di fiducia: ma se il voto di fiducia è uno
strumento legittimo nel rapporto tra Parlamento e governo, è del tutto
illegittimo nel rapporto tra governo e Costituzione, perché il governo non è un
potere costituente, è un potere costituito, e ha giurato alla Costituzione che
c’è, non a quella che vorrebbe che ci fosse. Non può cambiarla d’autorità,
usando arbitrariamente i poteri che la Costituzione gli ha dato. Perciò diciamo
che la nuova
Costituzione non è stata concepita nella libertà ed è stata
votata nel ricatto.
Il ricatto è estorcere un
comportamento sotto la minaccia di un male. Il male per un parlamentare è per
esempio di essere rimosso da una commissione e poi essere escluso dalle liste
dei candidati. Il male per un popolo è dirgli: se non votate la mia Costituzione
vi pianto e vi lascio nei guai, con l’invasione dei profughi dal Mediterraneo,
il debito aumentato, i patti leonini imposti da Bruxelles e gli americani che
vogliono farci fare la guerra alla Libia. E’ vero che il ricatto è un’arma
della politica: al vertice di Portorico nel giugno 1976 Francia, Germania,
Inghilterra e Stati Uniti ricattarono l’Italia perché non facesse entrare i
comunisti nel governo, poi Kissinger ricattò Moro perché si opponesse al
compromesso storico, e abbiamo visto come è andata a finire. I poteri economici
sempre ricattano quelli politici perché riducano i diritti e la Troika ha
ricattato la Grecia togliendole perfino il pane; ma almeno la Costituzione
dovrebbe essere libera dai ricatti, sia nei confronti dei parlamentari, sia nei
confronti del popolo, altrimenti non è la Costituzione della Repubblica, è la
Costituzione della mafia.
Ed ecco che ci sono duecentocinquanta
intellettuali che voteranno SI alla riforma; però ci hanno tenuto a dire che sarà “un Si pacato”; ma
essi dovrebbero sapere che è proprio quando il ricattato è pacato, che il
ricatto funziona. Un Sì pacato è un Sì controvoglia, sembra frutto di un
trascinamento, di un’autoflagellazione intellettuale, di un “vorrei ma non
posso”, come si sono mostrati i Sì di Cacciari e di Benigni.
Con la Costituzione, come cristiani
Però non continuo su questo, perché il
mio compito specifico qui è di spiegare, accanto alle ragioni degli altri, le
ragioni per cui sono scesi in campo i cattolici del NO, le ragioni per cui
siamo per la Costituzione anche come cristiani. .
Per aver fatto questa scelta ci sono
alcuni, anche nelle comunità cristiane di base, che ci accusano di mischiare
fede e politica; è un’accusa strana, se viene da loro: è come se non sapessero più
che cos’è la fede e che cos’è la politica, neanche quella “alta” di cui parla
papa Francesco; eppure abbiamo avuto gli stessi testimoni e maestri, don
Milani, monsignor Romero, Marianella e i gesuiti uccisi nel Salvador, Turoldo,
Balducci, Moltman, Metz, Bonhoeffer, i teologi della liberazione, per citare solo
alcuni che al rapporto tra fede e politica hanno dedicato la vita; e molti la
vita l’hanno perduta con la stessa umana grandezza, che sia quella cristiana di
Moro, o quella socialista, che si ricorda il 10 giugno, di Giacomo Matteotti.
Tuttavia non voglio attardarmi in polemiche arretrate. Ciò che vorrei fare
invece qui oggi è di aprire un altro capitolo. È un discorso importante da
fare. Vorrei mettere in luce una straordinaria novità che è sotto i nostri
occhi ma di cui ancora non ci accorgiamo. È una novità che riguarda l’annuncio
del Vangelo e comporta una nuova lettura della fede e del suo rapporto con la
storia, e perciò anche con la politica. Perché fare questo discorso in
un’assemblea dove ci sono tanti socialisti? Lo faccio con il vostro permesso,
se vi interessa, se pensate, come io credo, che un’altra narrazione della fede
riguarda tutti, credenti e no. Vedremo poi che cosa c’entra questo con la
Costituzione.
È finito il regime di cristianità
Affrontare
la questione che voglio proporvi equivale a chiedersi che cosa sta succedendo
con papa Francesco. E’ una domanda che
di solito ci facciamo anche con protagonisti minori, tanto più possiamo farcela
con papa Francesco. È una domanda da farsi perché è ormai chiaro che con
Francesco un’epoca sta finendo anche se non si sa che cosa davvero comincia. Certo
novità non mancano. Non si era mai visto che la porta santa si aprisse a Bangui
in Centrafrica, prima che a Roma, e che ci fosse un cardinale ad Agrigento e a
Perugia e non a Torino e
Venezia. Che cosa succede?
Ciò che succede è che il papato romano
riconosce e proclama lui stesso che è finito il regime di cristianità.
Cristianità è una parola che mette insieme cristianesimo e società, cioè pretende
che cristianesimo e società siano una sola ed unica cosa, facciano un sistema
in cui è il cristianesimo che dà forma e legge alla società, non la società che
interagisce e dialoga con il cristianesimo.
Per dirla con la Civiltà cattolica, la cristianità, è “quel processo avviato con
Costantino in cui si attua un legame organico tra cultura, politica,
istituzioni e Chiesa”[1]; un
processo che supponeva la Chiesa come la realizzazione stessa del Regno di Dio
sulla terra, e quindi faceva della Chiesa la vera sovrana terrena.
Questa ideologia – che è anche una
teologia – ha percorso i secoli, ed è arrivata di fatto fino a Giovanni XXIII e al
Concilio Vaticano II, quando fu, salutarmente, abbandonata. Per questo il
Concilio ha segnato una discontinuità. Però, come dirà Giuseppe Dossetti
alcuni decenni dopo, lo stesso Concilio non era riuscito a venir fuori dal
vecchio paradigma; esso “era stato tutto pensato ancora in regime di
cristianità e supponendo sostanzialmente ancora un regime di cristianità, dal
quale si è allontanato per poche cose”; anzi potrebbe essere stata proprio
questa “la ragione profonda del suo arresto, della sua stasi nell’ordine
dell’impulso reale dato al popolo di Dio e alle sue guide”[2].
Questo diceva Dossetti nel 1995. Ma
adesso è il papato stesso che dichiara conclusa la stagione della cristianità,
e coraggiosamente dà avvio a una nuova storia.
Quando questo è avvenuto? Naturalmente
si tratta di un processo, ma si possono fissare delle date. Leggendo la Civiltà Cattolica si può dire che è avvenuto il 6
maggio scorso, quando il papa ha incontrato i leaders europei ed ha ricevuto il
premio Carlo Magno. È questa l’interpretazione che ne dà la rivista dei gesuiti
in un articolo del suo direttore Antonio Spadaro che esce con la data dell’11 giugno.
Carlo Magno è
il simbolo supremo del regime di cristianità; il suo impero si chiamava Sacro
Romano Impero, il suo regno si chiamava Santa Romana Repubblica. Nella notte di
Natale dell’anno 800 egli venne in San Pietro per farsi incoronare dal papa,
perché nel regime di cristianità era il papa il sovrano che, non riconoscendo
alcun altro sovrano, dispensava corone e regni.
La Civiltà Cattolica, riprendendo una tesi che del
resto già aveva sostenuto[3], spiega che Carlo Magno adempì al suo
compito col tentativo di organizzare l’Occidente come uno Stato totalitario; ed
è in rapporto e in contrapposizione a questo modello totalizzante che è nata e
cresciuta l’Europa, l’Europa che amiamo; ed è a partire da ciò – potremmo aggiungere –
che poi si è sviluppato il lungo conflitto tra la Chiesa e la modernità, che
solo col Concilio Vaticano II è stato sanato.
Ebbene ricevendo il premio Carlo
Magno, che i leaders europei inconsapevoli gli avevano portato, papa Francesco
simbolicamente ha ritirato la corona che aveva messo sulla testa
dell’imperatore, non per riprendere in mano il potere, ma per rimetterlo al suo
posto, là dove il potere nasce, nel popolo, per restituirlo a Cesare, per
sottoporlo al diritto, per affidarlo all’autonomia ma anche alla suprema
responsabilità della politica; “si rifiuta così radicalmente – scrive padre
Spadaro – l’idea dell’attuazione del regno di Dio sulla terra, che era stata
alla base del Sacro Romano Impero e di tutte le forme politiche e istituzionali
similari, fino alla dimensione del ‘partito’ ”.
Dunque, si
riparte dalla situazione originaria del Vangelo. Questa è la novità. Ed è in
forza di ciò che, parlando all’ONU, per la prima volta il papa ha proclamato
“il dominio incontrastato del diritto”, e ha rivendicato, d’accordo con le Costituzioni
moderne, la divisione e la limitazione dei poteri, quella che in Italia è oggi
messa a rischio. E questa è una liberazione anche per la Chiesa che, non più
compromessa col potere, può tornare dai poveri, sempre dominati dal potere; e pertanto è una Chiesa che non si identifica
più con la società tutta, ma si riconosce solo come una parte di essa, e per
questo le può fare da ospedale e, come distinta da lei, le può offrire
misericordia.
Perciò il papa, come egli stesso ha
spiegato, non parla di radici cristiane dell’Europa perché le radici sono tante
e la gloria dell’Europa è proprio quella di averle accolte, integrate e fatte
crescere e fortificare insieme, sia che fossero cattoliche, o di altre Chiese
cristiane, o non cristiane. E sarebbe oggi una gloria per l’Europa farsi città
di rifugio per i fuggiaschi e gli scacciati di tutte le culture e di tutti i
popoli, invece di farli morire, e ormai quattrocento alla volta su barconi da
settecento, nel Mediterraneo.
La Costituzione non è vecchia, ha anticipato
i tempi
Non si deve pensare però che l’uscita
dal sistema di cristianità sia un processo facile e comporti solo una rinuncia
al potere temporale della Chiesa. Uscire dal regime di cristianità vuol dire
anche correggere le dottrine dipendenti da quella teologia. Per questo il papa
è oggi duramente attaccato, anche in casa sua. È chiaro ad esempio che la
dottrina del Grande Inquisitore, immortalata da Dostoewskij, deve essere abbandonata. Ma non solo. Lo
stesso papa Benedetto XVI ha dato a suo tempo una lettura diversa da quella
tradizionale nelle sue omelie sul peccato originale, e più di recente, già papa
emerito, ha definito “in sé del tutto errata” la teoria anselmiana del
sacrificio del Figlio inteso come riparazione pretesa dal Padre per l’offesa
ricevuta a causa del peccato dell’uomo. Una teologia durata per secoli che si
dichiara oggi del tutto errata. E una nuova immagine di Dio è stata affermata
dalla Commissione Teologica Internazionale quando ha detto che il cristianesimo
ha preso definitivo congedo da ogni idea di un Dio violento e vendicatore. Ma l’aggiornamento dottrinale è un processo
difficile. Si è visto come sia stato difficile nel caso del matrimonio e come è
difficile correggere le dottrine che contrastano con la misericordia, parola pressoché
assente in tutto il magistero pontificio dell’800 e del primo ‘900, fino a
quando è stata assunta come nuova opzione della Chiesa nel discorso di
inaugurazione del Concilio di Giovanni XXIII.
La straordinaria impresa di papa
Francesco è ora di uscire dalla cristianità senza perdere e anzi ritrovando il
cristianesimo; ma il successo di questa impresa non è solo nelle sue mani né in
quelle solo del clero, ma è nelle mani delle donne, di laici resi pienamente
responsabili, e nelle mani della società tutta intera.
Che cosa c’entra tutto questo con la
Costituzione?
C’entra perché la Costituzione del ’48
anticipa la fine della cristianità, e in ciò anticipa il Concilio, senza
perdere il cristianesimo, e in ciò anticipa papa Francesco.
Anticipa la fine della cristianità,
perché stabilisce un rapporto di alterità tra la società e la religione e istituisce
un rapporto pattizio, di intese, e dunque di parità, non solo tra lo Stato e la
Chiesa cattolica (all’art. 7), ma tra lo Stato e tutte le confessioni religiose
(all’art. 8); e sarà poi il Concilio a riprendere la formula della
Costituzione: “la comunità politica e la Chiesa sono indipendenti e autonome
l’una dall’altra nel proprio campo” (Gaudium
et Spes, n. 76). Che poi su questo terreno la Costituzione sia stata
malamente attuata, e possa essereew anche rivista, nbè un altro discorso e
riguarda le nostre responsabilità di domani.. Inoltre la Carta anticipa la fine
della cristianità perché nessun diritto o valore costituzionale è dedotto a
partire dalla fede, nonostante la sollecitazione di La Pira che voleva aprire la Costituzione in nome della Santissima
Trinità.
Però la Costituzione in molteplici
modi, e proprio grazie anche all’apporto di culture e di storie diverse, marxiste,
cattoliche, liberali, ritrova la forza sovversiva del cristianesimo. Il fatto che essa all’art. 1
dichiari la Repubblica fondata sul lavoro, realizza il rovesciamento cristiano
dei servi in signori. Nella società signorile, dall’antichità fino all’età
moderna, il lavoro era esclusivamente addossato al servo, e di fatto era un
lavoro schiavo. Nemmeno il cristianesimo paolino era riuscito a ribaltare
questa antropologia. Ma nella Costituzione il lavoro diventa sovrano. Altro che
fine dei sindacati! Così, il
fatto di mettere all’art. 2 i diritti inviolabili della
persona umana, singola e associata, vuol dire che nulla può essere anteposto
all’uomo, immagine di Dio; così, dire all’art. 3 che la Repubblica rimuove gli
ostacoli, anche economici e sociali, che impediscono alla vita di realizzarsi
come umana, vuol dire
vincolare il potere non solo alla giustizia ma alla
misericordia; c’è infatti un “pieno sviluppo della persona umana”, quale è
voluto dalla Costituzione, che a una democrazia formale non interessa, ma che
una democrazia sostanziale ha il compito di promuovere, con una politica che
prenda a cuore la sorte di tutti, a cominciare dai poveri, in forza di quella
solidarietà che è un altro nome della misericordia.
I cattolici
sentono dunque la Costituzione come una cosa loro e vogliono anche come
cristiani difenderla, perché essa ha anticipato la fine della cristianità senza
perdere il cristianesimo.
Ma
nulla di tutto questo sarebbe possibile se la Costituzione nella sua seconda
parte, non approntasse gli strumenti della democrazia atti a realizzare i suoi
obiettivi: elezioni, Parlamento, partiti, proporzionale sempre presupposta,
fiducia, organi di garanzia, indipendenza della magistratura, democrazia
diretta e quant’altro. Questa è la
ragione per cui il progetto reazionario prende di petto la seconda parte, e lascia
stare la prima, si vanta di dimezzare, tagliare e neutralizzare gli strumenti
della democrazia e i soggetti della politica. Ed è proprio per questa ragione
che noi col No al referendum dobbiamo impedirlo.
Ma non si
tratta solo di salvare la
Costituzione. Si tratta di attuarla, perché in questo senso è
ancora una Costituzione di domani. E si tratta di attrezzarla per il futuro,
con riforme non riesumate dagli scarti del passato, ma che guardino avanti,
verso la nuova società da costruire. Pensate per esempio che cosa sarebbe una
riforma che invece di fare un Senato delle regioni erede dei vecchi localismi,
facesse un Senato dei popoli, in cui fossero rappresentate tutte le lingue e le
etnie confluenti e residenti in Italia, comunitarie e non comunitarie, e
facesse da laboratorio e da anticipazione per la pace del Mediterraneo e del
mondo.
Raniero La Valle
[1] Antonio Spadaro, Lo sguardo di Magellano, L’Europa, Papa
Francesco e il Premio Carlo Magno, in Civiltà
Cattolica, 11 giugno 2016, II, pp. 477- 478.
[2] v. in Paolo Prodi, Giuseppe
Dossetti e le
officine bolognesi, il Mulino, Bologna 2016, pp. 139 seg.
[3] Antonio Spadaro, La
diplomazia di Francesco, La misericordia come processo politico, in Civiltà Cattolica, 13 febbraio 2016, I,
pp. 218-219.
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