I Comitati Dossetti per
la Costituzione nel referendum costituzionale
All'avv. Francesco Di Matteo
Presidente del Comitato del No di Bologna
Caro Francesco,
con l'iniziativa popolare che abbiamo avviato in Cassazione
per il referendum oppositivo alla nuova Costituzione del governo, la corsa per
decidere della sorte della democrazia parlamentare in Italia è giunta
all'ultimo tratto.
Sul piano militante i cittadini dei Comitati del No, i
Cattolici del No e molti altri sono già in campo. Il loro giudizio è già
formato e chiaro: il Potere cerca di sgombrare ogni ostacolo dinnanzi a sé, di
togliere di mezzo ogni porta tagliafuoco per dilagare e governare
incontrastato. Ci sono riusciti gli ultimi residui della vecchia classe
politica, comunque mascherati col nuovo, approfittando di una legge elettorale
ufficialmente incostituzionale che già aveva distrutto il sistema politico
italiano, e innescando un processo extra partitico di presa del potere che ha
permesso a un cittadino e al suo gruppo di far proprio un vecchio partito già
gonfiato in Parlamento da un enorme premio di maggioranza, pretendendo
"primarie aperte" in cui hanno votato tre milioni di persone quando
gli iscritti a quel partito erano 500.000.
Tutto questo è chiaro. Ma i Comitati Dossetti per
la Costituzione possono fermarsi a questo? Non dovrebbero porsi domande più
profonde e chiedersi come sia potuto accadere che un pur rovinoso ma
contingente dissesto del sistema politico abbia permesso l'attacco alle
strutture stesse dell'ordinamento parlamentare, sulla scia di una sorta di
silenzio-assenso del sistema culturale mediatico e informativo del Paese? Non si deve cercare il motivo di una crisi
più vasta, che spiega l'apparente successo di Renzi, al di
là delle sue spregiudicate capacità di manovra politica?
Credo che la risposta sia da cercare nella corrispondenza
tra la Costituzione e lo spirito del Paese. Le costituzioni non precedono le
società, ne sono l'espressione proiettata in avanti. La Costituzione del '48 fu
la conseguenza della grande rigenerazione spirituale e sociale prodotta dall'immenso
dolore della guerra, e sentimenti come eguaglianza, libertà, dignità,
solidarietà erano nelle masse prima di giungere alla formulazione
costituzionale. Ma l'errore è di ritenere che solo i valori fossero legati allo
spirito pubblico di quel tempo, e non anche le scelte dei costituenti sulle
forme e le regole del sistema politico.
Al contrario, è evidente ad esempio che il ritrovato
pluralismo politico affratellato nel sangue della Resistenza e nel percorso
verso la Costituente, faceva ritenere così scontata, da non doversi nemmeno
menzionare (bensì presupporre in tutti gli articoli della Costituzione) la
proporzionale come metodo normale per le elezioni.
Nè meno forte è stato il rapporto tra il sentimento diffuso
e la scelta bicamerale. Il passaggio alla Repubblica e quindi la rivalsa su
tutta la forma politica che l'Italia aveva avuto fino allora, aveva la sua
massima espressione simbolica e reale nel Parlamento; caduto il re, questo era
il sovrano, ovvero la sovranità visibile del popolo. E proprio perché c'era
stato un Senato del Regno doveva esserci un Senato della Repubblica (mentre non
era concepibile, e sembra non lo sia anche oggi, un Senato delle autonomie).
Però il Senato, che era di nominati a vita (e per questo c'erano rimasti dei senatori non fascisti nel tempo di
Mussolini), doveva essere anch'esso di eletti dal popolo, e così realizzare un
parlamentarismo differenziato e ricco, non solo in rapporto al governo, ma
ancora di più in rapporto al territorio. In questo senso le decisioni dei
Costituenti erano fortemente influenzate dal sentire comune, che non solo
voleva la democrazia, ma una democrazia abbondante.
Ma c'erano delle ragioni ancora più profonde che spingevano
la Costituente alla scelta di un parlamentarismo leale e di una proporzionale
senza forzature ed esclusioni. La prima era il grande prestigio di cui era
circondata la prima rappresentanza repubblicana, che veniva dall'impegno politico,
dalle carceri e dalla clandestinità, conduceva vita austera, era mal pagata (Teresa Mattei voleva darle
il salario di un operaio romano) e certo non poteva essere sospettata di
intenzioni di carrierismo. E la seconda era la grande stima che non solo
circondava la rappresentanza politica in generale, anche per il legame di
importanti masse popolari con i loro partiti e i loro leaders, ma altresì caratterizzava
i rapporti degli stessi rappresentanti, pur avversari politici, tra loro; basti
ricordare le parole di altissima considerazione che il partigiano Dossetti ebbe
a pronunciare riferendo la testimonianza di un partigiano comunista del
Reggiano.
Infine c'era il senso comune che l'uscita dell'Italia
dall'amarissima situazione del dopoguerra era possibile solo grazie a uno
sforzo comune, e con la rinunzia di ciascuno a una parte del proprio egoismo
nonché alla pretesa di attuare esclusivamente i propri interessi e le proprie
idee personali e di gruppo.
Così la Costituente scrisse la prima parte e, indissolubile
da questa, la seconda parte della Costituzione; era la Costituzione naturale,
omogenea, anche se "presbite", dell'Italia e della società di allora.
La prospettiva era che l'Italia, lo spirito pubblico e la
Costituzione crescessero insieme, e che mentre la società andasse verso un maggior
incivilimento, le istituzioni repubblicane si rafforzassero e aprissero a nuovi
più moderni sviluppi.
Invece questa armonia si è rotta. Uno sviluppo economico
tumultuoso, un mutamento importante di costumi, ripetuti sovvertimenti
dell'ordine politico ed economico internazionale ed infine lo tsunami mediatico
hanno cambiato radicalmente il quadro, hanno inaridito e reciso i legami
sociali senza che le grandi agenzie religiose culturali e informative
fornissero la linfa per rigenerarli. Né le dottrine politiche, né il pensiero
politico comune, né i comportamenti dei cittadini si sono portati all'altezza
delle nuove sfide. Sopratutto dopo l'89, finita la guerra fredda, non si sono
prodotte analisi adeguate né postulate conversioni. Nessuno ha denunciato la
presa del potere da parte del Denaro, nessuno ha accusato la società mondiale
dell'esclusione, nessuno l'economia che uccide. Nessuno fino a Papa Francesco.
Oggi la società è più barbara di quella nella quale è stata
concepita e stipulata la Costituzione del '48. Secondo le ultime statistiche
europee in Italia ci sono 7 milioni di poveri: ma, come i profughi, sono dei
numeri, non dei visi, delle storie, delle famiglie. Il costo di produzione che
si cerca di abbattere, fino a renderlo residuale, è il costo del lavoro. Ciò
toglie ragione alla stessa produzione e alla stessa economia, lasciando il
primato alla finanza e alla speculazione. Sessantadue persone nel mondo hanno
una ricchezza pari a quella di tre miliardi e mezzo di persone. E l'Europa dopo
aver compiuto il reato di omissione di soccorso, ovvero di stragi, nei suoi
mari, spara sui profughi e i fuggiaschi sopravvissuti. Spara, per ora, con
proiettili di gomma, perché gli invasori sono venuti senza asce e bastoni. E
con rozzo bizantinismo discrimina tra chi, avendo fame, non ha alcun diritto e
chi, provenendo da mattatoi più violenti, può implorare asilo dalle burocrazie
europee; e su queste basi firma con la Turchia un contratto di deportazione dei
senza speranza.
Cosa ci sta a fare in un mondo così la Costituzione
italiana, il bicameralismo, il Senato, la democrazia abbondante, il controllo
parlamentare degli atti di governo? Ci vuole una Camera unica, e lì un deputato
unico con 340 seggi che risponda a chi l'ha nominato e forse lo nominerà
ancora. Ci vuole un partito unico, ci vuole un comando unico di governo e
partito, ci vuole un capo unico che decida avendo al suo fianco la Bugia. E non importa
nemmeno che questo solo al comando sia di destra o di sinistra; ai riformatori
della Costituzione questo appare del tutto irrilevante, e dal loro punto di
vista infatti lo è.
La riflessione durante la battaglia referendaria dovrà
prendere in carico e approfondire l'analisi di questo scarto che si è venuto a
creare tra la Costituzione italiana e la natura barbara di questa fase della
storia d'Italia, d'Europa e del mondo, scarto che politici zelanti vorrebbero
cancellare abbassando la Costituzione a specchio dell'esistente e addirittura a
regressione al passato pre-costituzionale.
Io credo che a noi tocchi un'altra scelta: tenere alto il
disegno etico e istituzionale della Costituzione del '48, richiamando la
coscienza pubblica a onorarlo e a mantenerlo come traguardo sempre da
raggiungere; e nello stesso tempo rimettere radicalmente in questione le
attuali scelte politiche e di civiltà che ci stanno riportando nella notte,
I nostri Comitati dovrebbero accendersi come lucciole nella
notte.
Raniero La Valle
Presidente
dei Comitati Dossetti per la Costituzione
Roma, 18 aprile 2016
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