Il
primo valore che è messo in gioco dallo scontro costituzionale in corso è
quello dell’unità. La Costituzione è l’unica cosa che ci unisce in questo
Paese, in un momento in cui la divisione sta facendo a brandelli la società. Abbiamo
un’Europa divisa che innalza muri e spara sui profughi, abbiamo una società
italiana divisa tra occupati e disoccupati, giovani e anziani, abbiamo
l’aumento del numero dei poveri, mentre la società si disgrega, stiamo
rischiando di affrontare una guerra, mentre già partono i droni da Sigonella
per bombardare la Libia e siamo continuamente avvisati che da un momento
all’altro, se ci sarà un certo sviluppo politico in Libia, finalmente potremo
andare lì a guidare un’azione armata. Siamo quindi in un momento di grave
tensione e grave divisione per il Paese, e proprio in questo momento ci si
toglie anche la Costituzione, l’unica cosa che veramente ancora ci tiene insieme
e ci unisce. Io penso che questo sia un elemento importante da valutare nei
prossimi mesi perché a parte il merito delle questioni riguardo alla qualità
della nuova Costituzione, c’è anche il
fatto che col referendum noi andiamo verso dei mesi in cui ci
sarà una gravissima lacerazione nell’elettorato italiano; di certo infatti non
si possono illudere che il referendum sia una cosa asettica, indolore, come
cercano di presentarlo; sarà invece uno scontro molto duro, dove ci saranno dei
conflitti di fondo sulle ragioni della politica, sulla società, sul diritto; e
io mi domando se veramente era questo il momento di sottoporre il Paese alla
prova di una divisione di questa portata.
C’è
poi un’altra questione generale che è stata sollevata per criticare la nostra
iniziativa: che cosa c’entrano i cattolici, è stato detto, con questa battaglia
per la Costituzione e con questo No nel referendum costituzionale? Nel corso di
questa conferenza stampa sono già state spiegate da Anna Falcone , da Alex
Zanotelli, da Domenico
Gallo , da Luca Kocci, le ragioni per cui i cattolici c’entrano.
Però io vorrei aggiungere qualche cosa, perché questa è l’obiezione più
radicale che ci viene fatta, ed io credo che il tema vada tenuto aperto. L’unica critica formale che finora è stata mossa
al nostro documento, è stata infatti quella dell’Unità, che ha intitolato la sua polemica contro i “Cattolici del
NO”, affidata al prof. Salvatore Curreri (3 marzo 2016): “Quando la riforma è
questione di fede”. Pertanto l’Unità ha
preso come elemento centrale della propria confutazione alla nostra iniziativa,
Non
a nome di tutti i cattolici, non della Chiesa
La prima cosa da dire in proposito è che
i promotori di questo appello non pretendono certamente di parlare a nome di
tutti i cattolici; si tratta di una parte di cattolici che hanno fatto una
scelta e pensano di doverla sostenere, ma non per questo ritengono che tutti i
cattolici, per coerenza con la loro fede,
dovrebbero prendere la stessa posizione, quella del No nel referendum. Non è
affatto questa la tesi del documento, noi non diciamo che i cattolici se
veramente sono credenti devono votare No, no assolutamente, noi siamo
perfettamente consapevoli che c’è una pluralità di scelte, come c’è tra i
cittadini c’è anche tra i cittadini cristiani, e questa è una delle grandi
acquisizioni del Concilio Vaticano II che aveva appunto stabilito, dopo la
stagione dell’”unità politica dei cattolici”, la legittimità per i cristiani di
fare delle opzioni, delle scelte, prendendo delle posizioni anche diverse da
quelle che prendono altri fratelli di fede.
In secondo luogo, come anche dice il
Concilio, quei cristiani, quei credenti che così vogliono esprimersi e faranno
la battaglia per il No nel referendum, lo fanno con responsabilità propria, non
intendono affatto rivendicare a proprio favore l’autorità della Chiesa. Se poi
in questo popolo di credenti, per difendere la Costituzione, ci sono dei
vescovi, ex vescovi, sacerdoti, missionari e profeti, questo lo fanno a titolo
di cristiani, non lo fanno certamente a titolo di rappresentanti
dell’istituzione ecclesiastica.
Fede
e politica, fede e Costituzione
Questo serve a chiarire la legittimità
di questi due punti. Ma chiariti questi due punti, resta la questione più
importante che è la contestazione che ci viene fatta, secondo cui la fede non
c’entra nulla, dobbiamo separare fede e politica, e dunque anche fede e
Costituzione; quando si parla della Costituzione la fede non dovrebbe entrarci;
e dunque secondo questa critica sarebbe politicamente scorretto pronunciarsi da
cristiani sulla Costituzione, e addirittura viene confutato come una ricaduta
nel clericalismo il chiamare in causa la fede per affermare un modello
desiderato di società, di Stato, un ordinamento costituzionale. E questa è appunto
la ragione di quel titolo: “Quando nella riforma ci si mette di mezzo la fede”,
la critica cioè dell’Unità. È
necessario allora prendere atto di questa obiezione, perché è importante che su
questo tema - fede e politica, visioni ideali e Costituzione, speranze storiche
e ordinamenti concreti, o più in sintesi, se volete, sul rapporto tra l’idea e
il diritto - si apra un vero dibattito nel Paese, come del resto accadde in
modo estremamente fecondo in occasione del primo referendum della storia
repubblicana, quello sul divorzio, quando per la prima volta fu rotta l’unità
politica dei cattolici e, come tutti ricordiamo, fece un balzo innanzi la
democrazia in questo Paese. Quindi si tratta di un dibattito da aprire, che
certamente non si può esaurire qui. Ora diciamo solo alcune cose, quasi per
avviare questo dibattito.
Vorrei dire anzitutto che la tesi per
cui i cristiani non dovrebbero chiamare in causa la fede nella dimensione
politica è una tesi tardo-maritainiana, che era giustificata dalla cultura di
ieri ma oggi assumerebbe un significato regressivo di privatizzazione e di sterilizzazione
della fede. L’intimazione a non implicarsi come cristiani nella sfera
pubblica mira di fatto, e comunque produce di fatto, la conseguenza di lasciare
incontestato e inattaccabile il pensiero unico che domina la società, con il
risultato di alzare muri di separazione a difesa del sistema dato: perché se
non ci si può appellare ad altri valori, ad altre visioni, ad altre speranze
per criticare il sistema esistente, in base a che cosa questo sistema può
essere criticato? In tal modo questo sistema viene messo al riparo da una
possibile critica radicale. A che cosa servirebbe ad esempio l’esortazione di
papa Francesco ai movimenti popolari di tutto il mondo, come ha fatto in
Bolivia, a Santa Cruz de la Sierra, a continuare la lotta, “Sigan con su lucha!” - : continuate a
lottare per cambiare un sistema che ammazza i poveri e distrugge la terra – , che
senso avrebbe questo appello a lottare per cambiare il sistema se proprio i
cristiani fossero quelli che sono tenuti a non mettere in gioco i loro ideali,
le loro storie, le loro speranze per cambiare le cose? È certamente vero che la
religione non va usata come un valore aggiunto nella lotta per il potere, ma il
punto è questo, che la politica non è solo lotta per il potere, è
l’edificazione di una società, e l’edificazione di una società ha una causazione ideale. Certo ci sono gli
elementi della struttura, l’economia, il diritto positivo, però una società si
edifica anche in virtù di un’idea, di un progetto, in forza di una causazione
ideale. E d’altra parte la Costituzione stessa è una critica del potere, lo ha
detto molto chiaramente Ferrajoli, la Costituzione non è il potere, la
Costituzione è l’istituzione di un vincolo e di un dover essere del potere e
perciò non ha senso che la fede debba rimanere estranea a un giudizio sulla
Costituzione.
In ogni caso interpretare la laicità come una
difesa della politica dalle interferenze esterne dei mondi ideali e delle fedi
è una cosa vecchia, è una cosa decrepita, che corrisponde a una realtà che non
c’è più, Ancora di più, vorrei dire, non c’è più quella religione temporalista
e clericale che aveva generato quella forma di difesa contro le interferenze,
contro le intromissioni ecclesiastiche nella vita politica. Non c’è più quel
cristianesimo che all’inizio della modernità faceva dire anche a personalità cristianissime, che operavano
nella scienza, nel diritto, nella politica, nelle religioni: “facciamo come se
Dio non ci fosse”. In effetti “fare come se Dio non ci fosse” è stata la grande
scelta, la grande risorsa della modernità. Per andare avanti nel processo
storico, che nella scienza, nel diritto, nella libertà la Chiesa costituita
voleva bloccare, i moderni – ben prima dell’ateismo di massa! -hanno dovuto
decidere di fare come se Dio non ci fosse. Il punto è che quel Dio
effettivamente non c’era, non c’era il Dio della decadence che Nietzsche avrebbe denunciato come causa della
impotenza, della inferiorità dell’uomo che agisce nella società, non c’era il
Dio dell’alienazione quale sarà rappresentato da Marx, non c’era il Dio
tappabuchi che sarà negato da Bonhoeffer: quelle infatti erano false immagini
di Dio che erano state veicolate dalle Chiese, a cui, per tutta risposta, il mondo
ha reagito, per mettersi al riparo delle interdizioni con cui questo Dio mal
compreso poteva ostacolare lo
sviluppo storico.
Ma è successo qualcosa: tra la metà del
Novecento e oggi, tra il Concilio e papa Francesco, c’è stata una rivoluzione
radicale nella rappresentazione della fede e nell’immagine di Dio proposta
dalla Chiesa agli uomini del nostro tempo. Io capisco lo scetticismo che questo
può suscitare, dato che moltissimi non se ne sono resi conto, e la Chiesa
stessa in molte sue espressioni e perfino nei suoi catechismi, come in certe
rubriche liturgiche ancora non si è accorta di questa rivoluzione che è
avvenuta nel messaggio della fede. Ma certamente il Dio annunciato oggi dalla
Chiesa di papa Francesco, così lontano e alternativo rispetto al Dio violento
che ancora viene predicato in certe frange dell’estremismo islamico, è un Dio
assai diverso da quello che aveva suscitato la presa di distanza della
modernità, forse la giusta presa di distanza della modernità e la reazione
laicista: perché il Dio annunciato oggi dalle Chiese è un Dio non violento, non
invidioso, ma garante della libertà dell’uomo, dell’autonomia del diritto, del
pluralismo religioso - come è stato proclamato appunto a metà del Novecento da
papa Giovanni - è un Dio che non ha mai rinnegato l’uomo a causa del peccato
originale, non lo ha mai dichiarato decaduto, come ha detto il Concilio, per
non parlare del Dio tutto misericordia e niente giudizio e condanna di papa
Francesco.
Errata
la giustificazione teologica del temporalismo
Io vorrei qui ricordare un’intervista
proprio di questi giorni dell’ex papa Benedetto XVI che dichiara che è “in se
del tutto errata” la tesi teologica di Sant’Anselmo secondo cui la crocefissione di Cristo sarebbe stata una riparazione
necessaria e cruenta, una “soddisfazione” richiesta dal Padre offeso per il
peccato degli uomini (Intervista al Papa emerito Benedetto XVI, l’Osservatore Romano, 16 marzo 2016). Si
tratta della teoria anselmiana che ha fondato tutta la concezione sacrificale,
espiatoria, dolorifica del cristianesimo. Il papa emerito Benedetto XVI
dichiara ora che questa teoria è del tutto incompatibile con la fede nella
Trinità, Il problema è però che su quella teoria anselmiana sono stati
costruiti secoli di catechesi, sono stati costruiti manuali di etica e di
religione sacrificale cristiana, e di più, su quella base, è stata teorizzata
una necessaria supplenza della Chiesa nel governo della società terrena.
Infatti, ratione peccati, a causa di
quel peccato, che sarebbe stato indelebile senza il sacrificio cruento di
Cristo, la Chiesa ha rivendicato il proprio potere temporale, superiore a tutti
i re e ai regni, “super reges et regna”.
In ragione di quella dottrina, in ragione di quelle rappresentazioni di Dio, in
ragione di quella trasmissione della fede, la Chiesa ha rivendicato il dominio
sulla società E lo credo che allora bisognava separare fede e politica! Ma oggi
con la semplicità di un’affermazione quasi naturale arriva un teologo, che è
stato papa, Benedetto XVI, il quale parla non più di una religione
dell’espiazione, della penitenza, del sacrificio, ma parla di un Dio
dell’amore, afferma che il cristianesimo non è l’unica via di salvezza ma che
la specificità del cristianesimo consiste nell’inserirsi nella dinamica della
misericordia, nella dinamica dell’amore di Dio che è un “Dio per”, un Dio per l’uomo, e così il cristiano non è un uomo
che abbia dei privilegi che possa avanzare, che possa far valere nei confronti
di quelli che non credono o che avrebbero delle vie più difficili per la loro
realizzazione umana; cristiano, dice Benedetto, non è un uomo che ha delle
prerogative in più o ha più meriti degli altri, è cristiano colui che è “un
uomo per gli altri”; questa è l’unica specificazione, l’unica identità del
cristiano, che è annunciata oggi – attenzione - non dal rivoluzionario papa Francesco ma
dall’ex prefetto della Congregazione del Santo Uffizio, Joseph Ratzinger, ex
papa Benedetto XVI. Il cristianesimo come “essere
per”: questo è il nuovo annuncio che viene recato agli uomini di oggi
secondo l’invito del Concilio che non tanto era riuscito a cambiare la Chiesa,
impresa come si vede difficilissima, è quasi impossibile, ma aveva il compito
di raccontare Dio agli uomini di oggi in un modo più comprensibile e di
annunciare il Vangelo in un modo nuovo. Proprio questo era infatti l’obiettivo
e la finalità del Concilio, come li sintetizza papa Francesco nella bolla
d’indizione del Giubileo “Misericordiae
vultus”.
Il
cristianesimo come “essere per”
Allora in questo essere per non ci può essere un ripiegamento
della fede nel foro interiore come un esercizio puramente privato, no, perché in questo essere per a cui è chiamato il cristiano c’è anche lo spazio pubblico, ci sono i
poveri, ci sono gli esclusi, ci sono i profughi, i fuggiaschi, i disoccupati,
le vittime e in questo “per” c’è
anche la Costituzione come il sogno di una società giusta, come il sogno di una
società di eguali, come il sogno di un diritto di cittadinanza che comporta
l’esercizio effettivo di diritti sociali; in questo essere per c’è quindi
anche la politica, come c’è l’obiettivo del ripudio della guerra,
dell’uguaglianza istituita e di una comunità mondiale riconciliata. E quindi se
questo è il cambiamento si capisce che le posizioni tardo-maritainiane che sono
pre-conciliari, che sono completamente dipendenti da un’esigenza dialettica e
polemica nei confronti di una Chiesa temporalista, di un annuncio cristiano
espropriante della libertà dell’uomo e delle sue speranze, sono del tutto
trascese. Il richiamarsi a vecchie tesi che hanno fondato un certo modello di
laicità, probabilmente necessario e utile in altri momenti storici, oggi
diventa invece completamente deviante e regressivo.
Perciò non ha senso questa obiezione a
non mettere di mezzo la fede nella battaglia che stiamo cominciando e che
abbiamo già cominciato per difendere la Costituzione del ’48 contro l’atroce
sovvertimento a cui essa viene sottoposta. Questo invito a non metterci di
mezzo la fede viene da tante parti, è venuto da Roma, ma anche da Palermo,
Firenze e quindi si tratta di una cultura sotterranea che è presente, è
diffusa, e che può veramente rischiare di togliere dalla lotta delle immense
energie che sarebbero disponibili a combattere e a impegnarsi per la
Costituzione e che sulla base di questo presupposto, di questo non possumus, di questo non expedit, esercita una sorta di
ricatto a non far valere la propria identità anche come cristiani nella difesa
di questo bene comune straordinario che è la Costituzione, può portare
veramente un risultato molto negativo nella battaglia referendaria. È per
questo che ne abbiamo parlato e penso che questo debba essere uno degli
argomenti forti della campagna referendaria che ci accingiamo a fare
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