venerdì 8 dicembre 2023
NESSUN BAMBINO NASCERÀ QUEST'ANNO A BETLEMME
domenica 19 novembre 2023
IL RIBALTONE
COSTITUZIONALE
Durante il fascismo i
treni arrivavano in orario e gli scioperi erano proibiti. Adesso è Salvini che
provvede ad ambedue le cose, precetta e fa ponti d’oro ai treni, forse per
rinverdire l’idea che il fascismo non era poi tanto male. Deve pensarlo anche
Giorgia Meloni se vuole fare una riforma costituzionale che al fascismo
faciliterebbe la strada: se infatti a qualcuno venisse in mente di riprovarci,
cosa ci sarebbe di meglio per farlo che un Capo del governo o un insieme di
governo che sia padrone del potere e inamovibile per cinque anni, non revocabile
per il venir meno della fiducia
dei cittadini e del Parlamento? Ce la presentano come una riforma per il
premierato, opinabile perché comunque un premier ci vuole, ed è invece un
ribaltone per abolire il controllo della perdurante fiducia al governo Un governo così sarebbe del tutto in grado di
instaurare il fascismo. Né lo impedirebbe la foglia di fico di un Presidente
della Repubblica figurativo con 88 corazzieri di altezza superiore alla media.
La nostra memoria storica ci dice di non permetterlo. Non
possiamo permetterci di ripetere un errore e una tragedia già accaduti. Ogni popolo ha avuto la sua sciagura originaria che ha poi
spesso portato inenarrabili sciagure ad altri popoli e Nazioni. Noi abbiamo
avuto il fascismo dopo la legge Acerbo, i Tedeschi il nazismo dopo le elezioni
del 1932, gli Americani la guerra di secessione per la contesa sulla schiavitù,
i Russi la domenica di sangue e il massacro al Palazzo d’Inverno nel 1905 per
mano dello Zar, gli Armeni il genocidio, gli Ebrei la Shoà, i Palestinesi
l’espulsione e la Nakba, i popoli dell’America Latina le dittature
plebiscitarie con i cittadini gettati in mare o “scomparsi”, la maggior parte
delle altre Nazioni sono state assoggettate a regimi militari, Imperi e
colonie.
Quasi sempre cinque anni sono bastati a
ciascuno, spesso dietro finzioni democratiche o a causa di sbagliate elezioni,
per cadere nella catastrofe e avere un battesimo di sangue.
Perciò dobbiamo avvertire il pericolo e non
permettere l’uscita dalla Repubblica parlamentare, “Prima”
o “Seconda Repubblica” che la si voglia chiamare, che
pur con tutti i suoi difetti e le perduranti irrisolte povertà, ha il sapore
della Costituzione e delle libertà conquistate. Come cittadini, Italiani
per nascita o per accoglienza, dobbiamo contrastare questa
“madre” di tutte le riforme. “Tutte”. È la madre del fascismo che è sempre
incinta, e anche oggi non fa che partorire l’ennesimo decreto di sicurezza, che
moltiplica pene e reati, dai mendicanti alle donne incinte, dall'intralcio alla
circolazione stradale alle occupazioni abusive, alle proteste nelle carceri e
nei centri dei migranti, che siano in Italia o nella discarica dell’Albania , e distribuisce più manette e più armi.
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giovedì 26 ottobre 2023
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giovedì 19 ottobre 2023
QUALE FUTURO
martedì 10 ottobre 2023
PIANGERE SU GERUSALEMME
Dinanzi allo scempio che dilania la Palestina, apriamo
il Vangelo e leggiamo che Gesù, ebreo di Galilea, salendo a Gerusalemme, alla
vista della città pianse su di essa dicendo: “Gerusalemme, se tu avessi
conosciuto ciò che giova alla tua pace!”. Così oggi, come allora Gerusalemme
non ha capito dove fosse la sua pace, ha creduto che fosse nella vittoria,
mentre la guerra ora caduta su di lei è proprio il salario della vittoria.
Aveva vinto infatti Israele, o almeno così credeva,
tanto che i partiti religiosi erano saliti al potere, dimentichi dei moniti a
“non forzare il Messia”, e Netaniahu aveva istituito un “governo di annessione ed esproprio”,
come scrive Haaretz, e anche il
diritto interno era stato piegato, e le difese allentate, come se la pace fosse
stata raggiunta, l’atto di fondazione fosse stato innocente e il problema
palestinese fosse ormai cancellato e risolto.
A Israele non era bastato vincere
tornando nella terra dei padri. Non era bastato occupare la Cisgiordania, non
era bastato riaprire i kibbutz che ne erano stati espulsi, non era bastato
aprire le terre occupate ai coloni, non era bastato demolire le case dei
palestinesi e segregarli oltre muri e chekpoint, non era bastato salire a
sfidarli sulla spianata delle Moschee, non era bastato sigillare le frontiere
di Gaza e colpirla di embargo, come ora l’affama, le toglie l’acqua e la luce.
Israele voleva ormai anche negare, come ha fatto il suo ministro delle finanze
Bezalel Smotrich in piena Europa, a Parigi, che i palestinesi esistano: «non
esiste un “popolo palestinese”», aveva
detto, si tratterebbe di una «finzione» elaborata un secolo fa per lottare
contro il movimento sionista; dunque, causa finita.
Non ha capito Israele ciò che
Raimundo Panikkar aveva letto in quei circa 8000 trattati di pace, scritti
anche sui mattoni, che si sono susseguiti nella storia da prima di Hammurabi ai
giorni nostri: che la pace non si raggiunge mai con la vittoria, sicché mentre
l’inchiostro o i mattoni sono ancora freschi, già si approntano le lance e i
cannoni, e prima o poi il vinto risorge e si vendica. Perciò Israele piange ora
sulla vittoria e il rischio è che voglia
vincere ancora, e procacciandosi sicurezze ancora maggiori, e devastanti per
gli altri, quando il primo a piangere, nella sua tomba, è il premier Rabin, che
al suo popolo voleva dare e stava per dare un’altra pace, fondata sulla
riconciliazione e sul rispetto l’uno del volto dell’altro (secondo l’invito
dell’ebreo Levinas), israeliani e palestinesi insieme: ma prima che la pace
fiorisse, e perché non fiorisse, fu abbattuto da fuoco amico.
Non erano mancate altre voci che a Israele avevano indicato un’altra strada, e voci che addirittura venivano da reduci del genocidio nazista, scampati alla Shoà, come Yehuda Elkana, illustre filosofo e storico della scienza in Israele. Nato in Serbia, aveva raccontato su Haaretz (2.3.1988) di essere stato portato con i suoi genitori ad Auschwitz a soli dieci anni, di essere sopravvissuto all’Olocausto, liberato dall’Armata Rossa e poi immigrato in Israele nel 1948 dopo aver passato alcuni mesi in un “campo di liberazione russo”. E aveva scritto: “Dalle ceneri di Auschwitz sono emerse una minoranza che afferma che “questo non deve accadere mai più” e una maggioranza spaventata e tormentata che dice “questo non deve accaderci mai più.” É evidente che, se queste sono le uniche lezioni possibili, io ho sempre creduto nella prima e considerato l’altra una catastrofe... Se l’Olocausto non fosse penetrato così profondamente nella coscienza nazionale, dubito che il conflitto tra israeliani e palestinesi avrebbe condotto a così tante “anomalie” e che il processo politico di pace si sarebbe trovato oggi in un vicolo cieco.…”.
E in
Italia Bruno Segre, nel raccontare in una lunga intervista “Che razza di ebreo
sono io”, ha denunciato l’uso strumentale della memoria della
Shoah, come si mostrò nella “menzogna raccontata senza pudore” al Congresso
sionista mondiale nell’autunno 2015 dal premier Netanyahu, secondo la quale
l’idea della Shoah sarebbe stata suggerita a Hitler da Amin al-Husseini, il
gran muftì di Gerusalemme. Una bugia “inventata dal premier israeliano – ha
detto Segre - per insinuare l’idea che la colpa della Shoah vada attribuita ai
palestinesi”, e che vi fosse una continuità fra la Shoah e l’intifada.
E
ha scritto Ali Rashid, palestinese a Roma: “Come in una “discarica”, sono finiti a Gaza gli abitanti della costa
meridionale della Palestina, vittime della pulizia etnica. Secondo i nuovi
storici israeliani, per svuotare ogni città o villaggio palestinese furono
compiuti piccoli o grande massacri, lo stesso è avvenuto nei luoghi dove sono
sorte le nuove città e insediamenti intorno a Gaza che sono stati teatro degli
ultimi eccidi compiuti da noi palestinesi. Mi addolora il fatto che abbiamo
adottato il terrore e l’orrore che abbiamo subito per affermare il nostro
impellente diritto alla vita. Ma questa catena di morte è inarrestabile? Eppure
una volta eravamo fratelli.”
Noi dunque piangiamo con Israele su
Gerusalemme, la città divisa che pur unisce due popoli nel dolore, e li abbracciamo nello stesso amore. Ma non
così possono piangere quanti hanno concorso alla sciagura di oggi, facendo
propria e promulgando senza remore l’ideologia della vittoria, incurante della
giustizia e tributaria solo della forza.
sabato 16 settembre 2023
HANNO PERSO LA RAGIONE: L'APPELLO
martedì 29 agosto 2023
PACE, TERRA E DIGNITÀ
Quello che segue è l’intervento che Raniero La Valle, a nome suo e di Michele Santoro, ha pronunciato all’assemblea “E se spuntasse un Arcobaleno?” tenutasi il 26 agosto 2023 alla Versiliana di Marina di Pietrasanta.
Prima di tutto vorrei ringraziare Michele Santoro che con la sua straordinaria capacità di convocazione e lettura degli eventi, ci ha riunito in questa grande assemblea. Siamo qui per dare voce a un sogno, un sogno comune, suo e mio, e credo anche vostro, il sogno che finalmente appaia un Arcobaleno. L’Arcobaleno è un simbolo potente, perché unisce la terra col cielo. Sul cielo noi non abbiano giurisdizione, ma sulla Terra sì; e sulla terra che cosa vorremmo che questo Arcobaleno segnasse e portasse? Vorremmo tre cose, prima di tutto la Pace; la Pace non ha nulla al di sopra di sé, la pace è sovrana, la pace non ha scambi da fare con alcuna altra cosa al mondo, è la condizione di tutto, quella per la quale viviamo, speriamo ed amiamo. E la seconda cosa è proprio la Terra, questa Terra che ci stanno togliendo da sotto i piedi, questa terra infuocata, questa Terra dove si rompono le acque, questa Terra dove si accendono i fuochi, dove bruciano le foreste, dove finisce l’ossigeno, questa Terra che è la nostra madre, la dobbiamo recuperare, difendere, salvare. E la terza cosa è la Dignità, la Dignità delle persone che l’hanno perduta, a cui non viene riconosciuta. Pensate solamente ai migranti, non solo sono abbandonati al mare, ma prima ancora di essere lasciati al naufragio e alla morte sono negati nella loro dignità, vengono scambiati per denaro, si va a Tunisi a dire: “quanti soldi volete per non fare arrivare i migranti da noi?”. Allora queste tre cose, la Pace, la Terra e la Dignità sono le cose che noi vorremmo a questo Arcobaleno chiedere, perché si riversino qui sulla Terra. L’Arcobaleno è anche un segno polivalente, perché l’Arcobaleno può sorgere in qualunque punto del cielo. Noi vorremmo che sorgesse qui in Italia, in Occidente, dove giacciono i nostri valori, ma può sorgere anche altrove; io ricordo, nel 1987, avevamo una rivista che si chiamava “Bozze”, e facemmo un titolo così: se la Pace viene dall’Est. Allora erano altri tempi, c’era Gorbaciov, la Russia si chiamava in un altro modo, però in quel momento c’era la guerra atomica, c’era il pericolo dell’ecatombe nucleare, ma da lì venne la proposta di “un mondo senza armi nucleari e non violento”. E quindi l’Arcobaleno può sorgere oltreoceano, può sorgere qui da noi, può sorgere nel Sud del mondo, o può sorgere all’Est.
E allora per realizzare questo sogno, Santoro ed io, insieme, facciamo un appello. Non lo facciamo solo ai pacifisti, non è roba di pacifismo; noi abbiamo molta gratitudine per i pacifisti che hanno tenuto alta la fiamma della Pace in questi anni di guerre e di guerre. Però questo appello va al di là dei pacifisti. Noi facciamo un
APPELLO
Ai Pacifici, che sono una moltitudine. Ai figli di Dio che prendono la Terra per madre, Ai resistenti perché nessun volto sia oltraggiato e la Dignità sia riconosciuta a tutte le creature, Agli eredi di milioni di uomini e donne che hanno lottato per il lavoro, per l’emancipazione e per la libertà dal dominio pubblico e privato, A quanti si ribellano al sacrificio – c’è questa ideologia del sacrificio – ci rivolgiamo a quanti si ribellano al sacrificio degli uni per il tornaconto degli altri. Ai giovani che abbiamo perduto, a cui non abbiamo saputo garantire il futuro.
È questo un appello che affidiamo agli organizzati e ai disorganizzati, ai militanti di tutti i partiti, agli elettori di tutte le liste e agli assenti dalle urne, agli uomini e donne di buona volontà e a quelli di deluse speranze, a quanti godono di buona fama e a chi soffre di una cattiva reputazione, agli inclusi e agli scartati .
Noi ci rivolgiamo a Voi non perché siamo da più di voi, ma perché siamo Voi.
Noi vogliamo dare una rappresentanza a tre soggetti ideali che ancora non l’hanno o l’hanno perduta, a tre beni comuni che tutti dovrebbero curare e difendere in questi tempi di ferro, tre beni comuni che sono il “minimo sindacale” o il “minimo politico” da rivendicare per tutti: Anzitutto la Pace, da cui tutto dipende, nella quale viviamo, speriamo e amiamo, una pace da istituire come ordinamento originario e sovrano come lo è stata finora la guerra; in secondo luogo la Terra, da salvare come madre comune di tutti; e infine la Dignità da rispettare di ogni creatura.
Quanto alla PACE, tutti dicono di volere la pace nel mondo, ma questa non si può nemmeno pensare se prima non finisce questa guerra in Europa, dunque è una seconda pace, ed è una bugia quella di chi dice di volere la seconda pace se non vuole e impedisce la prima.
Noi sappiamo invece che LA PACE DEL MONDO è politica, imperfetta e sempre a rischio. Essa è assenza di violenza delle armi e di pratiche di guerra, vuol dire non rapporti antagonistici né sfide militari o sanzioni genocide tra gli Stati, implica prossimità e soccorso nelle situazioni di distretta e di massimo rischio a tutti i popoli.
E sappiamo che l’antagonista alla pace non è semplicemente la guerra, ma è il sistema di guerra che ormai è diventato il vero sovrano e “padre di tutti”, tanto che comanda ogni cosa, pervade l’economia e domina la politica anche quando la guerra non c’è o non è dichiarata. Noi infatti siamo in guerra, ma avete forse sentito che le Camere abbiano deliberato lo stato di guerra, secondo l’art. 78 della Costituzione? E forse Mattarella ha dichiarato lo stato di guerra, secondo l’art. 87 della Costituzione? E intanto la guerra d’Ucraina non riesce a finire, benché in essa entrambi i nemici già ne siano allo stesso tempo vincitori e sconfitti. Una vittoria l’ha avuta infatti l’Ucraina che è diventata la star del mondo, è stata adottata dalla NATO e, pur tributaria dell’Occidente, non ha perduto la sua sovranità. Ma ha vinto pure la Russia perché ha fronteggiato la NATO, non è stata ridotta alla condizione di paria, come Biden voleva, né è stata espulsa dal consorzio mondiale.
Tuttavia la guerra ha anche inflitto alla Russia, all’Ucraina e all’America una severa sconfitta. Alla Russia perché con l’aggressione ha compromesso il suo onore. All’Ucraina perché chi, governandola, la doveva difendere l’ha gettata in una fornace di fuoco ardente, le famiglie sono divise perché gli uomini sono trattenuti per combattere mentre in tutti i 72 distretti di reclutamento, come è stato rivelato, la corruzione ha permesso a molti di sottrarsi alle armi e la controffensiva ucraina è fallita. Ma sconfitta è stata anche l’America perché non ha raggiunto i suoi scopi, ha profuso miliardi che peseranno sul suo debito, mentre viene messo in gioco il monopolio del dollaro negli scambi mondiali, la sua vera ricchezza, né essa potrà conseguire quel dominio globale che si riprometteva debellando la Russia per poi far guerra alla Cina. E a pagare le spese della guerra siamo anche noi, i veri corrotti e sconfitti nel giudicarla e darne conto.
Ma se già sono arrivare vittorie e sconfitte, perché questa guerra non finisce? Non finisce perché la guerra d’Ucraina, così ben piantata nel cuore dell’Europa per rialzare la vecchia cortina sul falso confine tra Occidente ed Oriente, è funzionale o addirittura necessaria al sistema di guerra, e perciò gli stessi negoziati sono stati proibiti.
Dunque, prima di tutto la Pace. Il secondo bene da salvare è la TERRA. La terra è in pericolo, essa non è un patrimonio da sfruttare, un ecosistema da aggredire, ma la casa comune da custodire, da tornare a rendere abitabile per tutte le creature, da arricchire con i frutti del nostro lavoro e le opere del nostro ingegno. Essa è oggi in attesa di una nuova nascita e soffre le doglie del parto.
Infine, il terzo assillo è LA DIGNITÀ, degli uomini, delle donne e di tutte le creature. La dignità da difendere è quella della libertà e della ragione, del lavoro e del tenore di vita, la dignità del migrante per diritto d’asilo e del profugo per ragioni economiche, del cittadino e dello straniero, dell’imputato e del carcerato, dell’affamato e del povero, del malato e del morente, della donna e dell’uomo e, nel loro ordine, di ogni altra creatura.
Dunque abbiamo tre beni da salvare, come i “tria bona” di cui parlano i monaci di Camaldoli, lì dove qualche giorno fa è andato il presidente della Repubblica per ricordare il “codice di Camaldoli”. Ma prima di tutto noi vogliamo la pace e ciò che è oltre la pace, e lo chiediamo a chi gestisce il potere, anche ai partiti. Noi non neghiamo rispetto e stima ai partiti e alle loro personalità più eminenti, ma sappiamo che essi non possono affrontare la totalità delle sfide e che in quanto partiti non sono tali da farsi carico di tutte le parti della realtà.
Perciò senza ignorare i partiti, prendiamo partito. Il nostro è un PARTITO PRESO per la pace, la Terra e la dignità, e a queste vogliamo dare una rappresentanza, una presenza, in tutte le sedi.
Non aspiriamo alla stanza dei bottoni, ma la vorremmo più aperta e trasparente, non ci affascinano i Palazzi ma i Parlamenti. Vorremmo una scuola che non trasformi i ragazzi in capitale umano, in merce nel mercato del lavoro, in pezzi di ricambio per il mondo così com’è[1], ma in padroni della parola, coscienti e cittadini. Amiamo i valori dell’Europa e dell’Occidente ma congiunti a quelli di ogni altra tradizione e visione, non pretendiamo un mondo a nostra misura, tanto meno uniformato al modello di “democrazia, libertà e libera impresa”, che si è voluto esportare con le guerre umanitarie e per procura, consacrando così l’”economia che uccide” e la guerra che è incompatibile con la democrazia e che anche prima del nucleare devasta la Terra. Non vogliamo il “decennio di competizione strategica” progettato in America fino alla “sfida culminante” con la Cina. Pensiamo a una comunità internazionale placata e garantita da un costituzionalismo mondiale. Resistiamo al dominio e rifiutiamo la lotta per l’egemonia. Nei confronti di quanti oggi lasciamo in balia del mare e che noi, da soli o con l’Unione Europea, respingiamo o ”ricollochiamo” nei lager e nei deserti, non è alla “sostituzione etnica” che dovremmo imprecare, ma è piuttosto alla sostituzione etica della nostra idea di confini, di identità e di supremazia che dovremmo provvedere.
Il nostro è dunque un appello per dare vita a una grande
Assemblea permanente
il cui obiettivo sia una politica che prenda in mano il mondo non per farne un impero delle armi e del denaro ma per preservarlo e fare sì che la natura sia salva e che la storia continui.
un’Assemblea permanente per rovesciare il corso delle cose presentI e preparare un altro avvenire per l’Italia e per l’ Europa.
un’Assemblea in cui tutti parlino e tutti ascoltino, un’Assemblea che mandi suoi rappresentanti in tutti i luoghi delle decisioni, che partecipi a tutte le elezioni, che abbia eco nelle università, nelle scuole, nei palazzi del potere, e susciti nuovi pensieri e progetti alternativi così nelle riunioni dei partiti come perfino nell’Assemblea dell’ONU.
Si avvicinano le elezioni europee e risuona per l’Europa la domanda gridata da papa Francesco: “Dove vai Europa?”. Essa ha tradito le ragioni della sua unione abbandonando gli ideali per cui è nata, che è il patrimonio di quanti hanno resistito all’idea di Europa voluta da Hitler, fino al sacrificio dei maquis in Francia, dei partigiani in Italia, dei ghigliottinati e impiccati in Austria e in Germania.
È materia di discussione se e come questo soggetto politico nascente dovrà avere un suo ruolo nel confronto elettorale, in ogni caso lo dovrebbe fare non vivendo le elezioni come una competizione all’ultimo voto, nella consueta logica dello scontro tra amico e nemico. Perché non dovrebbe essere possibile nella competizione elettorale muoversi come Alexander Langer chiedeva per il confronto politico, in modo “più lento, più profondo, più dolce”? la si dovrebbe affrontare in effetti in modo inclusivo, cercando tutte le convergenze appropriate e avendo per obiettivo il cambiamento dell’Europa, perché si faccia protagonista dello stabilimento della pace sulla Terra.
Questo cambiamento implica anche l’aggiornamento delle culture e dei linguaggi, l’abbandono degli stereotipi e delle parole usurate, Bisognerà rovesciare le priorità, per essere credibili, bisognerà dire non “prima Noi” ma “prima gli ultimi”, perché se si salvano gli ultimi si salvano anche i primi, bisognerà dire che ogni straniero è cittadino, che ogni patria straniera è nostra patria, e ogni patria è straniera. E dovremmo operare perché tutto ciò si faccia ordinamento con le sue Costituzioni, le sue leggi, le sue garanzie e le sue giurisdizioni per tutta la terra.
Infine vorrei citare un altro sogno, di David Maria Turoldo, un grande poeta e amico nostro, traendolo da una sua poesia dedicata a Rigoberta Menchù, un’india del Guatemala che ha lottato per i diritti del suo popolo maya e delle altre minoranze oppresse, e per questo ha ricevuto nel 1992 il Premio Nobel per la pace. Rigoberta aveva raccontato questa storia in un libro intitolato “Mi Chiamo Rigoberta Menchù” e padre Turoldo le aveva dedicato una ballata dallo stesso titolo, prendendola a simbolo del riscatto dei poveri e della lotta per la pace. Io vorrei citare questa ballata cambiando semplicemente il nome di Rigoberta Menchù nel nome di Alan Kurdi, il bambino siriano di tre anni con la maglietta rossa, di etnia curda, che fu trovato morto sulla spiaggia di Bodrum, in Turchia, dopo un naufragio che almeno quella volta commosse il mondo, un gommone che fu travolto e annegarono in molti, anche un suo fratello e la mamma.. Questa famiglia, fuggita dalla guerra in Siria, non aveva ottenuto di poter emigrare in Canada, e per rifugiarsi in Europa aveva osato un tragico passaggio in mare; dunque il piccolo Alan con la maglietta rossa è un simbolo di tutti e tre i beni che abbiamo perduto o stiamo perdendo: la pace, la Terra, e la dignità delle persone, la dignità sia di quanti sono rifiutati e diventano residui umani nel mare, come pane spezzato che noi abbandoniamo ai pesci dicendo: “prendete e mangiate”, sia di chi li respinge e li scambia per denaro
Leggo da padre Turoldo:
Gente, uomini che non avete importanza
voi giovani che non sapete che fare
in cosa credere
anche voi ragazzi e ragazze di tutte le città
avanti che diciate
tutti “non c’è niente, non c’è niente
da fare, il Palazzo non farà mai
una crepa!” ecco, non ridete
e neppure pensate che sia un delirio: invece
è un sogno, un lucido
e consapevole sogno
reale e possibile!
Prima leggete “Mi chiamo
Rigoberta Menchù”
(e qui possiamo dire mi chiamo Alan Kurdi). Poi
andate in giro per tutte le strade
portando solo la scritta “Mi chiamo
Alan Kurdi” o dicendo a tutti
appena questo, “Mi chiamo Alan”
tutti con cartelli alzati, a voce
a piena voce tutti a dire
per tutte le strade e sotto tutti
i Palazzi e le Case Bianche del mondo
e le Cattedrali e gli Episcopi
tutti a dire solo questo “Mi chiamo
Alan Kurdi”, appena
uno, prima, poi due, poi cinque
e cento e mille e migliaia
a gruppi, in coro, a gran voce
da riempire le piazze, da uccidere
ogni altro fragore e poi
Il silenzio, un grande
Improvviso silenzio che faccia
paura! E il grido dopo, da solo,
come un boato: “Mi chiamo
Alan Kurdi!”. Un boato
che mandi in frantumi almeno
i vetri del Palazzo, un urlo
che sovrasti perfino le voci
di tutti i predicatori. Così
A uno a uno, e insieme, a ondate
Ritmando solo il suo nome\
“Mi chiamo Alan Kurdi”
Insieme, tutti, cantando
quasi fosse una cascata di acque
un fiume fresco di suoni e acque
a lavare ogni immondizia
e ristorarci di ogni avvilimento
e che doni a tutti la gioia
dei mattini che sorgono, la gioia
alla terra di essere terra
e di fiorire ancora.
[1] http://www.costituenteterra.it/attualita-di-don-milani/
Continua...