martedì 26 maggio 2009

Il nuovo volto crudele


di Raniero La Valle

Non ripeteremo qui tutte le critiche che sono state rivolte alla pia pratica del “respingimento” in mare dei profughi di colore, a difesa del codice di purità della presunta “monoetnia” italiana (Berlusconi), né rivangheremo le accuse lanciate contro i provvedimenti del cosiddetto “pacchetto sicurezza”.
Contro questa galleria degli orrori hanno parlato l’ONU, il Consiglio d’Europa, vescovi e comunità ecclesiali, Napolitano e quasi tutti i giornalisti e i politici non corrotti dai profitti di regime. I lettori di questa pagina saranno ormai certamente informati di tutto ciò, perché questa volta si è trattato di una macchinazione politica che non poteva restare occultata. Così oggi tutti sanno che l’Italia ha varato un suo “statuto degli stranieri”, per il quale gli stranieri non autorizzati non possono essere salvati in mare, ma al contrario di Giona, devono essere risospinti nel ventre del pesce (ovvero della Libia); non possono migrare in Europa, benché lo “ius migrandi” faccia parte delle “radici cristiane” dell’Europa, essendo stato posto da Francisco De Vitoria a fondamento della “scoperta” dell’America e del diritto degli spagnoli a installarvisi al posto dei nativi; non possono abitare (chi affitta loro una casa compie un reato); non possono partorire in ospedale, pena la denuncia; possono avere un battesimo ma non un atto di nascita; non possono andare a scuola oltre l’età dell’obbligo, e in qualche città non possono andare ai giardini in più di tre persone. I giuristi, anche sporgendo denuncia contro il governo, hanno riempito pagine e pagine con l’elenco di tutte le norme violate: Carta dell’ONU, Dichiarazione universale dei diritti umani, Costituzione italiana, Convenzioni di Ginevra e Patti internazionali europei e mondiali. I cristiani ci potrebbero mettere di loro l’elencazione di tutte le pagine del Vangelo tradite e dei passi pertinenti delle Costituzioni e Dichiarazioni del Concilio. Si dovrebbero poi aggiungere le critiche alle altre follie legislative del pacchetto sicurezza, dalle ronde parapoliziesche all’aumento a pioggia delle aggravanti per reati di maggiore attrattiva mediatica.
Tutto ciò si può dare per scontato.
Ma quello che si deve dire ancora è che la classe che ci governa non ha il diritto di farci essere crudeli. Una maggioranza transitoria che presto potrebbe essere rovesciata, sta cambiando la figura dell’Italia, facendole assumere un volto spietato e crudele, egoista e violento.
L’Italia non era così. Era un Paese mite e gentile, tollerante e pacifico; in Palestina cercava di mettere d’accordo il diavolo e l’acqua santa, nella guerra fredda anticipava la multilateralità della globalizzazione, una volta addirittura invece di respingere i fuggiaschi, respinse gli americani che volevano catturarli; certo, ha fatto anche molti errori, la sua accondiscendenza agli alleati l’ha fatta partecipare a qualche guerra di troppo, ha esportato armi e mafie, e talvolta ci facciamo ridere dietro perché mandiamo in giro un presidente del Consiglio che racconta barzellette.
Ma mai era successo che i suoi marinai si lamentassero di eseguire “ordini infami”, che ai perseguitati fosse negato il diritto stesso di chiedere asilo, che naufraghi stremati, donne incinte e bambini fossero raccolti in mare e scaricati come rifiuti sulle coste dirimpetto.
L’Italia non era maledetta, perché non malediva; l’ultima volta l’aveva fatto col fascismo, che aveva invocato: “Dio stramaledica gli inglesi”; ma quello, come ha detto Benedetto XVI del nazismo, era “un regime senza Dio”, razzista e xenofobo.
Nessun governo ha il diritto di ridare all’Italia quel volto. Né potrebbe farlo, se l’antifascismo funzionasse ancora da antidoto. Ma da molto tempo esso è sotto attacco. E adesso capiamo dove portava quel rivalutare “i ragazzi di Salò”; ora capiamo perché si volesse sottoporre a revisione il passato, mettere sullo stesso piano fascisti e partigiani, mettere a carico della resistenza, come un’onta, “il sangue dei vinti”, e perfino cambiare il nome alla festa della liberazione: quando liberazione è il frutto di una lotta, e non si può celebrare per sé se non se ne riconosce il diritto anche agli altri, mentre libertà è lo stato o il privilegio di chi comunque l’ha ricevuta e ne gode anche da solo, e nella tradizione liberale è sempre stata associata, se non identificata, con la proprietà.
Far cadere la differenza tra fascismo e antifascismo, negare il patrimonio ideale su cui storicamente si è costruita la democrazia repubblicana, è la via attraverso cui una classe dirigente che, per la sua origine, in siffatta Repubblica si sente priva di legittimazione, cerca di darsene una. Ma il prezzo di tale legittimazione verrebbe fatto pagare all’Italia, se essa dovesse riassumere il volto, e anzi la maschera, di una nazione arrogante e incivile, a cui, al vederla, i popoli fischieranno o da cui distoglieranno lo sguardo.

Raniero La Valle
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sabato 16 maggio 2009

IL PAPA E LA PALESTINA

Benedetto XVI nei Territori occupati e in Israele tra il 13 e il 15 maggio 2009 ha detto cose importanti ai palestinesi e sui palestinesi, riguardo ai profughi, alla speranza del ritorno, a Gaza, al muro, agli sbarramenti, al diritto a una Patria sovrana, ai due Stati che devono convivere, Israele e Palestina, sulla stessa Terra. Qui di seguito un estratto dai coraggiosi discorsi del Papa relativo a tali problemi.
IL PAPA E LA PALESTINA
Ciò che ha detto il Papa ai palestinesi nella sua visita ai Territori occupati (il 13 maggio 2009) e in IsraeleAlla cerimonia di benvenuto nei Territori palestinesiDal discorso pronunciato nel piazzale antistante il Palazzo presidenziale di Betlemme, dove ha avuto luogo la cerimonia di benvenuto nei Territori Palestinesi, alla presenza del Presidente dell’Autorità Palestinese, Mahmoud Abbas alias Abu Mazen, delle autorità politiche, civili e religiose. Signor Presidente, cari amici, Il mio pellegrinaggio nelle terre della Bibbia non sarebbe stato completo senza una visita a Betlemme, la Città di Davide e il luogo di nascita di Gesù Cristo. Né avrei potuto venire in Terra Santa senza accettare il gentile invito del Presidente Abbas a visitare questi Territori per salutare il popolo Palestinese. So quanto avete sofferto e continuate a soffrire a causa delle agitazioni che hanno afflitto questa terra per decine di anni. Il mio cuore si volge a tutte le famiglie che sono rimaste senza casa. Questo pomeriggio farò una visita all’Aida Refugee Camp per esprimere la mia solidarietà con il popolo che ha perduto così tanto. A quelli fra voi che piangono la perdita di familiari e di loro cari nelle ostilità, particolarmente nel recente conflitto di Gaza, offro l’assicurazione della più profonda compartecipazione e del frequente ricordo nella preghiera. In effetti, io prendo con me tutti voi nelle mie preghiere quotidiane, ed imploro ardentemente l'Eccelso per la pace, una pace giusta e durevole, nei territori Palestinesi e in tutta la regione.Signor Presidente, la Santa Sede appoggia il diritto del Suo popolo ad una sovrana patria Palestinese nella terra dei vostri antenati, sicura e in pace con i suoi vicini, entro confini internazionalmente riconosciuti. Anche se al presente questo obiettivo sembra lontano dall’essere realizzato, io incoraggio Lei e tutto il Suo popolo a tenere viva la fiamma della speranza, speranza che si possa trovare una via di incontro tra le legittime aspirazioni tanto degli Israeliani quanto dei Palestinesi alla pace e alla stabilità. Per usare le parole del precedente Papa Giovanni Paolo II, non vi può essere "pace senza giustizia, né giustizia senza perdono" ( Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace del 2002). Supplico tutte le parti coinvolte in questo conflitto di vecchia data ad accantonare qualsiasi rancore e contrasto che ancora si frapponga sulla via della riconciliazione, per arrivare a tutti ugualmente con generosità e compassione, senza discriminazione. Una coesistenza giusta e pacifica fra i popoli del Medio Oriente può essere realizzata solamente con uno spirito di cooperazione e mutuo rispetto, in cui i diritti e la dignità di tutti siano riconosciuti e rispettati. Chiedo a tutti voi, chiedo ai vostri capi, di riprendere con rinnovato impegno ad operare per questi obiettivi. In particolare, chiedo alla Comunità internazionale di usare della sua influenza in favore di una soluzione. Credo e confido che tramite un onesto e perseverante dialogo, con pieno rispetto delle aspettative di giustizia, si possa raggiungere in queste terre una pace durevole.E’ mia ardente speranza che i gravi problemi riguardanti la sicurezza in Israele e nei Territori Palestinesi vengano presto decisamente alleggeriti così da permettere una maggiore libertà di movimento, con speciale riguardo per i contatti tra familiari e per l’accesso ai luoghi santi. I Palestinesi, così come ogni altro popolo, hanno un naturale diritto a sposarsi, a formarsi una famiglia e avere accesso al lavoro, all’educazione e all’assistenza sanitaria. Prego anche perché, con l’assistenza della Comunità internazionale, il lavoro di ricostruzione possa procedere rapidamente dovunque case, scuole od ospedali siano stati danneggiati o distrutti, specialmente durante il recente conflitto in Gaza. Questo è essenziale affinché il popolo di questa terra possa vivere in condizioni che favoriscano pace durevole e benessere. Una stabile infrastruttura offrirà ai vostri giovani opportunità migliori per acquisire valide specializzazioni e per ottenere impieghi remunerativi, abilitandoli a svolgere la loro parte nella promozione della vita delle vostre comunità. Rivolgo questo appello ai tanti giovani presenti oggi nei Territori Palestinesi: non permettete che le perdite di vite e le distruzioni, delle quali siete stati testimoni suscitino amarezze o risentimento nei vostri cuori. Abbiate il coraggio di resistere ad ogni tentazione che possiate provare di ricorrere ad atti di violenza o di terrorismo. Al contrario, fate in modo che quanto avete sperimentato rinnovi la vostra determinazione a costruire la pace. Fate in modo che ciò vi riempia di un profondo desiderio di offrire un durevole contributo per il futuro della Palestina, così che essa possa avere il suo giusto posto nello scenario del mondo. Che ciò ispiri in voi sentimenti di compassione per tutti coloro che soffrono, impegno per la riconciliazione ed una ferma fiducia nella possibilità di un più luminoso futuro.Angoscia per i rifugiatiDal discorso pronunciato nel cortile del Palazzo Presidenziale di Betlemme. Signor Presidente, Cari Amici,vi ringrazio per la grande gentilezza che mi avete dimostrato in questo giorno che ho trascorso in vostra compagnia, qui nei Territori Palestinesi. Sono grato al Presidente, il Sig. Mahmoud Abbas (Abu Mazen), per la sua ospitalità e le sue gentili parole. E’ stata una profonda emozione per me ascoltare anche le testimonianze dei residenti che ci hanno parlato delle condizioni di vita qui nella Zona Ovest ed in Gaza. Assicuro tutti voi che vi porto nel mio cuore e bramo di vedere pace e riconciliazione in queste terre tormentate.Con angoscia, ho visto la situazione dei rifugiati che, come la Santa Famiglia, hanno dovuto abbandonare le loro case. Ed ho visto il muro che si introduce nei vostri territori, separando i vicini e dividendo le famiglie, circondare il vicino campo e nascondere molta parte di Betlemme.Anche se i muri possono essere facilmente costruiti, noi tutti sappiamo che non durano per sempre. Essi possono essere abbattuti. Innanzitutto però è necessario rimuovere i muri che noi costruiamo attorno ai nostri cuori, le barriere che innalziamo contro il nostro prossimo. Ecco perché, nelle mie conclusive parole, voglio fare un rinnovato appello all’apertura e alla generosità di spirito, perché sia posta fine all'intolleranza ed all’esclusione. Non importa quanto intrattabile e profondamente radicato possa apparire un conflitto, ci sono sempre dei motivi per sperare che esso possa essere risolto, che gli sforzi pazienti e perseveranti di quelli che operano per la pace e la riconciliazione, alla fine portino frutto. Il mio vivo augurio per voi, popolo della Palestina, è che ciò accada presto, e che voi finalmente possiate godere la pace, la libertà e la stabilità che vi sono mancate per così tanto tempo.Vi assicuro che coglierò ogni opportunità per esortare coloro che sono coinvolti nei negoziati di pace a lavorare per una soluzione giusta che rispetti le legittime aspirazioni di entrambi, Israeliani e Palestinesi. Come importante passo in questa direzione, la Santa Sede desidera stabilire presto, in accordo con l'Autorità Palestinese, la Commissione Bilaterale di Lavoro Permanente che è stata delineata nell'Accordo di base, firmato in Vaticano il 15 febbraio 2000 (cfr Accordo di base tra la Santa Sede e l’Organizzazione di Liberazione della Palestina, art. 9). In un campo profughi nei Territori Palestinesi, dinanzi al MuroDal discorso pronunciato nel visitare l’"Aida Refugee Camp" di Betlemme, uno dei campi profughi nei Territori Palestinesi, dove convivono musulmani e cristiani. Signor Presidente, cari Amici, la mia visita al Campo Profughi di Aida questo pomeriggio mi offre la gradita opportunità di esprimere la mia solidarietà a tutti i Palestinesi senza casa, che bramano di poter tornare ai luoghi natii, o di vivere permanentemente in una patria propria. Estendo un saluto particolare ai bambini e agli insegnanti della scuola. Attraverso il vostro impegno nell’educazione esprimete speranza nel futuro. A tutti i giovani qui presenti dico: rinnovate i vostri sforzi per prepararvi al tempo in cui sarete responsabili degli affari del popolo Palestinese negli anni a venire. I genitori hanno qui un ruolo molto importante. A tutte le famiglie presenti in questo campo dico: non mancate di sostenere i vostri figli nei loro studi e nel coltivare i loro doni, così che non vi sia scarsità di personale ben formato per occupare nel futuro posizioni di responsabilità nella comunità Palestinese. So che molte vostre famiglie sono divise – a causa di imprigionamento di membri della famiglia o di restrizioni alla libertà di movimento – e che molti tra voi hanno sperimentato perdite nel corso delle ostilità. Il mio cuore si unisce a quello di coloro che, per tale ragione, soffrono. Siate certi che tutti i profughi Palestinesi nel mondo, specie quelli che hanno perso casa e persone care durante il recente conflitto di Gaza, sono costantemente ricordati nelle mie preghiere.Strumenti di pace. Quanto le persone di questo campo, di questi Territori e dell’intera regione anelano alla pace! In questi giorni tale desiderio assume una particolare intensità mentre ricordate gli eventi del maggio del 1948 e gli anni di un conflitto tuttora irrisolto, che seguirono a quegli eventi. Voi ora vivete in condizioni precarie e difficili, con limitate opportunità di occupazione. È comprensibile che vi sentiate spesso frustrati. Le vostre legittime aspirazioni ad una patria permanente, ad uno Stato Palestinese indipendente, restano incompiute. E voi, al contrario, vi sentite intrappolati, come molti in questa regione e nel mondo, in una spirale di violenza, di attacchi e contrattacchi, di vendette e di distruzioni continue. Tutto il mondo desidera fortemente che sia spezzata questa spirale, anela a che la pace metta fine alle perenni ostilità. Incombente su di noi, mentre siamo qui riuniti questo pomeriggio, è la dura consapevolezza del punto morto a cui sembrano essere giunti i contatti tra Israeliani e Palestinesi – il muro.In un mondo in cui le frontiere vengono sempre più aperte – al commercio, ai viaggi, alla mobilità della gente, agli scambi culturali – è tragico vedere che vengono tuttora eretti dei muri. Quanto aspiriamo a vedere i frutti del ben più difficile compito di edificare la pace! Quanto ardentemente preghiamo perché finiscano le ostilità che hanno causato l’erezione di questo muro!Da entrambe le parti del muro è necessario grande coraggio per superare la paura e la sfiducia, se si vuole contrastare il bisogno di vendetta per perdite o ferimenti. Occorre magnanimità per ricercare la riconciliazione dopo anni di scontri armati. E tuttavia la storia ci insegna che la pace viene soltanto quando le parti in conflitto sono disposte ad andare oltre le recriminazioni e a lavorare insieme a fini comuni, prendendo sul serio gli interessi e le preoccupazioni degli altri e cercando decisamente di costruire un’atmosfera di fiducia. Deve esserci una determinazione ad intraprendere iniziative forti e creative per la riconciliazione: se ciascuno insiste su concessioni preliminari da parte dell’altro, il risultato sarà soltanto lo stallo delle trattative.L’aiuto umanitario, come quello che viene offerto in questo campo, ha un ruolo essenziale da svolgere, ma la soluzione a lungo termine ad un conflitto come questo non può essere che politica. Nessuno s’attende che i popoli Palestinese e Israeliano vi arrivino da soli. È vitale il sostegno della comunità internazionale. Rinnovo perciò il mio appello a tutte le parti coinvolte perché esercitino la propria influenza in favore di una soluzione giusta e duratura, nel rispetto delle legittime esigenze di tutte le parti e riconoscendo il loro diritto di vivere in pace e con dignità, secondo il diritto internazionale. Allo stesso tempo, tuttavia, gli sforzi diplomatici potranno avere successo soltanto se gli stessi Palestinesi e Israeliani saranno disposti a rompere con il ciclo delle aggressioni. A ciascuno di voi rinnovo l’invito ad un profondo impegno nel coltivare la pace e la non violenza, seguendo l’esempio di san Francesco e di altri grandi costruttori di pace. ________________________________________Al "Caritas Baby Hospital"Dalle parole di saluto che il Papa ha pronunciato a Betlemme durante la visita al "Caritas Baby Hospital", un ospedale pediatrico fondato nel 1978 e sostenuto dall’Associazione svizzera "Kinderhilfe Bethlehem".Cari Amici, Dio mi ha benedetto con questa opportunità di esprimere agli amministratori, medici, infermiere e personale del Caritas Baby Hospital il mio apprezzamento per l’inestimabile servizio che hanno offerto - e continuano ad offrire - ai bambini della regione di Betlemme e di tutta la Palestina da più di cinquant’anni. Padre Ernst Schnydrig fondò questa struttura nella convinzione che i bambini innocenti meritano un posto sicuro da tutto ciò che può far loro del male in tempi e luoghi di conflitto. Grazie alla dedizione del Children’s Relief Bethlehem, questa istituzione è rimasta un'oasi quieta per i più vulnerabili, e ha brillato come un faro di speranza circa la possibilità che l’amore ha di prevalere sull’odio e la pace sulla violenza.Ai giovani pazienti ed ai membri delle loro famiglie che traggono beneficio dalla vostra assistenza, desidero semplicemente dire: "Il Papa è con voi"! Oggi egli è con voi in persona, ma ogni giorno egli accompagna spiritualmente ciascuno di voi nei suoi pensieri e nelle sue preghiere, chiedendo all'Onnipotente di vegliare su di voi con la sua premurosa attenzione.________________________________________Di fronte alla Basilica della NativitàDall’omelia pronunciata nella piazza della Mangiatoia di Betlemme, di fronte alla Basilica della Natività.Cari fratelli e sorelle in Cristo,ringrazio Dio Onnipotente per avermi concesso la grazia di venire a Betlemme, non solo per venerare il posto dove Cristo è nato, ma anche per essere al vostro fianco, fratelli e sorelle nella fede, in questi Territori Palestinesi. Il mio cuore si volge in maniera speciale ai pellegrini provenienti dalla martoriata Gaza a motivo della guerra: vi chiedo di portare alle vostre famiglie e comunità il mio caloroso abbraccio, le mie condoglianze per le perdite, le avversità e le sofferenze che avete dovuto sopportare. Siate sicuri della mia solidarietà con voi nell’immensa opera di ricostruzione che ora vi sta davanti e delle mie preghiere che l’embargo sia presto tolto.Per gli uomini e le donne di ogni luogo, Betlemme è associata al gioioso messaggio della rinascita, del rinnovamento, della luce e della libertà. E tuttavia qui, in mezzo a noi, quanto lontana sembra questa magnifica promessa dall’essere compiuta! Quanto distante appare quel Regno di ampio dominio e di pace, sicurezza, giustizia ed integrità, che il profeta Isaia aveva annunciato, secondo quanto abbiamo ascoltato nella prima lettura (cfr Is 9,7) e che proclamiamo come fondato in maniera definitiva con la venuta di Gesù Cristo, Messia e Re!Qui a Betlemme, nel mezzo di ogni genere di contraddizione, le pietre continuano a gridare questa "buona novella", il messaggio di redenzione che questa città, al di sopra di tutte le altre, è chiamata a proclamare a tutto il mondo. Nella seconda lettura odierna, Paolo trae dall’Incarnazione una lezione che può essere applicata in modo particolare alle sofferenze che voi, i prescelti da Dio in Betlemme, state sperimentando: "È apparsa la grazia di Dio – egli dice – che ci insegna a rinnegare l’empietà e i desideri mondani e a vivere in questo mondo con sobrietà, con giustizia e con pietà", nell’attesa della venuta della nostra beata speranza, il Salvatore Cristo Gesù (Tt 2,11-13).Non sono forse queste le virtù richieste a uomini e donne che vivono nella speranza? In primo luogo, la costante conversione a Cristo che si riflette non solo sulle nostre azioni, ma anche sul nostro modo di ragionare: il coraggio di abbandonare linee di pensiero, di azione e di reazione infruttuose e sterili. La cultura di un modo di pensare pacifico basato sulla giustizia, sul rispetto dei diritti e dei doveri di tutti, e l’impegno a collaborare per il bene comune. E poi la perseveranza, perseveranza nel bene e nel rifiuto del male. Qui a Betlemme si chiede ai discepoli di Cristo una speciale perseveranza: perseveranza nel testimoniare fedelmente la gloria di Dio qui rivelata nella nascita del Figlio suo, la buona novella della sua pace che discese dal cielo per dimorare sulla terra."Non abbiate paura!". Questo è il messaggio che il Successore di San Pietro desidera consegnarvi oggi, facendo eco al messaggio degli angeli e alla consegna che l’amato Papa Giovanni Paolo II vi ha lasciato nell’anno del Grande Giubileo della nascita di Cristo.Al di sopra di tutto, siate testimoni della potenza della vita, della nuova vita donataci dal Cristo risorto, di quella vita che può illuminare e trasformare anche le più oscure e disperate situazioni umane. La vostra terra non ha bisogno soltanto di nuove strutture economiche e politiche, ma in modo più importante – potremmo dire – di una nuova infrastruttura "spirituale", capace di galvanizzare le energie di tutti gli uomini e donne di buona volontà nel servizio dell’educazione, dello sviluppo e della promozione del bene comune. Avete le risorse umane per edificare la cultura della pace e del rispetto reciproco che potranno garantire un futuro migliore per i vostri figli. Questa nobile impresa vi attende. Non abbiate paura!

All’aeroporto di Tel Aviv il 15 maggio
Dal discorso pronunciato da Benedetto XVI nel corso della cerimonia di congedo all’aeroporto Ben Gurion di Tel Aviv.Signor Presidente, Signor Primo Ministro, Eccellenze, Signore e Signori,Mentre mi dispongo a ritornare a Roma, vorrei condividere con voi alcune delle forti impressioni che il mio pellegrinaggio in Terra Santa ha lasciato dentro di me. Ho avuto fruttuosi colloqui con le Autorità civili, sia in Israele, sia nei Territori Palestinesi, e ho constatato i grandi sforzi che entrambi i Governi stanno compiendo per assicurare il benessere delle persone. Ho incontrato i Capi della Chiesa cattolica in Terra Santa e mi rallegro di vedere il modo in cui lavorano insieme nel prendersi cura del gregge del Signore. Ho anche avuto la possibilità di incontrare i responsabili delle varie Chiese cristiane e comunità ecclesiali, nonché i capi di altre religioni in Terra Santa. Questa terra è davvero un terreno fertile per l’ecumenismo e il dialogo interreligioso e prego affinché la ricca varietà della testimonianza religiosa nella regione possa portare frutto in una crescente comprensione reciproca e mutuo rispetto.La cerimonia al Palazzo Presidenziale è stata seguita da uno dei momenti più solenni della mia permanenza in Israele – la mia visita al Memoriale dell’Olocausto a Yad Vashem, dove ho reso omaggio alle vittime della Shoah. Lì ho anche incontrato alcuni dei sopravvissuti. Quegli incontri profondamente commoventi hanno rinnovato ricordi della mia visita di tre anni fa al campo della morte di Auschwitz, dove così tanti Ebrei – madri, padri, mariti, mogli, figli, figlie, fratelli, sorelle, amici – furono brutalmente sterminati sotto un regime senza Dio che propagava un’ideologia di antisemitismo e odio. Quello spaventoso capitolo della storia non deve essere mai dimenticato o negato. Signor Presidente, La ringrazio per il calore della Sua ospitalità, molto apprezzata, e desidero che consti il fatto che sono venuto a visitare questo Paese da amico degli Israeliani, così come sono amico del Popolo Palestinese. Gli amici amano trascorrere del tempo in reciproca compagnia e si affliggono profondamente nel vedere l’altro soffrire. Nessun amico degli Israeliani e dei Palestinesi può evitare di rattristarsi per la continua tensione fra i vostri due popoli. Nessun amico può fare a meno di piangere per le sofferenze e le perdite di vite umane che entrambi i popoli hanno subito negli ultimi sei decenni. Mi consenta di rivolgere questo appello a tutto il popolo di queste terre: Non più spargimento di sangue! Non più scontri! Non più terrorismo! Non più guerra! Rompiamo invece il circolo vizioso della violenza. Possa instaurarsi una pace duratura basata sulla giustizia, vi sia vera riconciliazione e risanamento. Sia universalmente riconosciuto che lo Stato di Israele ha il diritto di esistere e di godere pace e sicurezza entro confini internazionalmente riconosciuti. Sia ugualmente riconosciuto che il Popolo palestinese ha il diritto a una patria indipendente sovrana, a vivere con dignità e a viaggiare liberamente. Che la "two-State solution" (la soluzione di due Stati) divenga realtà e non rimanga un sogno. E che la pace possa diffondersi da queste terre; possano essere "luce per le Nazioni" (Is 42,6), recando speranza alle molte altre regioni che sono colpite da conflitti.Una delle visioni più tristi per me durante la mia visita a queste terre è stato il muro. Mentre lo costeggiavo, ho pregato per un futuro in cui i popoli della Terra Santa possano vivere insieme in pace e armonia senza la necessità di simili strumenti di sicurezza e di separazione, ma rispettandosi e fidandosi l’uno dell’altro, nella rinuncia ad ogni forma di violenza e di aggressione. Signor Presidente, so quanto sarà difficile raggiungere quell’obiettivo. So quanto sia difficile il Suo compito e quello dell’Autorità Palestinese. Ma Le assicuro che le mie preghiere e le preghiere dei cattolici di tutto il mondo La accompagnano mentre Ella prosegue nello sforzo di costruire una pace giusta e duratura in questa regione.Mi resta solo da esprimere il mio sentito ringraziamento a quanti hanno contribuito in modi diversi alla mia visita. Sono profondamente grato al Governo, agli organizzatori, ai volontari, ai media, a quanti hanno dato ospitalità a me e a coloro che mi hanno accompagnato. Siate certi di essere ricordati con affetto nelle mie preghiere. A tutti dico: grazie e che il Signore sia con voi. Shalom!
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venerdì 15 maggio 2009

Domenico Gallo: siamo all'esclusione dei diritti fondamentali per una parte di umanità

intervista di Cinzia Gubbini a Domenico Gallo

Dal quotidiano "Il manifesto" del 13 maggio 2009 col titolo "Il magistrato: Non sono respingimenti ma vere deportazioni" e il sottotitolo "L'operazione viola anche la Costituzione"

Domenico Gallo, magistrato presso il Tribunale di Roma, studia da anni questioni attinenti il diritto internazionale e i diritti dell'uomo. Lo intervistiamo sui respingimenti in Libia decisi dal governo italiano e sulle implicazioni presenti e future.


- Cinzia Gubbini: Dottore, i respingimenti verso la Libia sono legittimi?
- Domenico Gallo: Assolutamente no.
- Cinzia Gubbini: Di cosa parla, dunque, chi dice che questa operazione è legale, a partire dal presidente del Consiglio?
- Domenico Gallo: Probabilmente si riferisce a una missione europea che si chiama Frontex e che riguarda la sorveglianza delle frontiere per contrastare lo sbarco di migranti irregolari. Ma qui ci troviamo di fronte a una situazione completamente diversa. Non si tratta di dissuadere uno sbarco. Stiamo parlando di persone che sono state prelevate, fatte salire su navi militari italiane e quindi assoggettate alla sovranita' italiana - il codice penale dice che la nave e' territorio italiano. Inoltre, sono state sottoposte a un provvedimento coercitivo, nel momento in cui sono state riaccompagnate verso un paese dove non volevano andare. Un provvedimento per giunta collettivo, non individuale. Quindi, piu' che un'espulsione collettiva e' stata una deportazione collettiva. Questo tipo di procedura è vietato dal diritto penale internazionale: in tutte le convenzioni internazionali e' contemplato il divieto di espellere collettivamente gli stranieri.

- Cinzia Gubbini: Cosa avrebbero dovuto fare gli italiani?
- Domenico Gallo: Avrebbero dovuto attuare la lege Bossi-Fini. Che, all'articolo 10, prevede il cosiddetto "respingimento differito". Gli stranieri bisognosi di un soccorso possono essere respinti dopo essere stati salvati. Ma il provvedimento adottato dal prefetto deve essere individuale. La legge inoltre esclude, all'articolo 19, le persone minori di anni 18, le donne in stato di gravidanza, i richiedenti asilo, le persone che potrebbero essere soggette a atti persecutori nel paese di riammissione.

- Cinzia Gubbini: A proposito del paese di riammissione, cosa si puo' dire sulla Libia?
- Domenico Gallo: Che non e' un paese sicuro. L'Italia puo' ovviamente stipulare accordi con la Libia, ma essi non possono essere contrari a norme imperative del diritto internazionale. E quello firmato prima da Amato e poi da Berlusconi non costringe di certo il nostro paese a consegnare chi viaggia sui barconi alla Libia. Semplicemente, la Libia accetta le persone che l'Italia decide di rimandare indietro. Ma l'utilizzo o meno di questa procedura dipende dall'Italia. Ovviamente l'Italia non si obbliga a violare le proprie norme in materia di immigrazione, come anche il rispetto della Convenzione di Ginevra sui richiedenti asilo e rifugiati. Questa Convenzione non impone di accettare le domande, ma impone il divieto di espellere i richiedenti asilo che uno Stato non vuole verso un paese dove potrebbero subire persecuzioni. Quindi, nel caso dei respingimenti di questi giorni, l'Italia sta violando le sue stesse leggi, le leggi internazionali e anche la Costituzione che non consente di derogare agli obblighi internazionali.
- Cinzia Gubbini: Perche' la Costituzione prevede anche questi casi?
- Domenico Gallo: Si', e' il nuovo articolo 117, come modificato dalla riforma del titolo V, il cosiddetto federalismo. In cui si specifica che la potesta' legislativa di stato e regioni si esercita non solo nel rispetto della Costituzione, ma anche "dei vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali". Prima di questa riforma c'era un ampio dibattito giuridico sulla possibilita' o meno di violare gli obblighi internazionali, che questa nuova formulazione ha superato.


- Cinzia Gubbini: Ma se l'Italia decidesse di non caricare piu' i profughi a bordo delle navi militari, e decidesse di creare una specie di blocco navale, sarebbe legittimo?
- Domenico Gallo: E' qui che c'e' una schizofrenia, politica e legislativa. Non puoi fare una missione militare che impedisca a una nave di profughi di sbarcare sulle tue frontiere, visto che sei obbligato ad affrontare il problema se abbiano o meno il diritto di asilo. Se uno stato volesse attuare un blocco navale, allora dovrebbe aprire degli uffici preposti al vaglio delle domande di asilo nei paesi di partenza.
- Cinzia Gubbini: Anche questo e' un argomento che sta prendendo piede. Ma e' lecito che uno Stato "sposti" le proprie frontiere in un paese terzo?
- Domenico Gallo: Innanzitutto un'operazione di questo tipo richiederebbe la collaborazione del paese terzo: parliamo anche della necessita' di trattenere queste persone per un determinato periodo, quindi si dovrebberocreare delle Commissioni ad hoc, inoltre andrebbe garantito un vaglio giurisdizionale. Si tratta di atti di sovranita' esercitati in un altro Stato. Si potrebbe fare soltanto in presenza di un accordo di ferro. Mi sembra piuttosto problematico. Si tratterebbe poi di aprire uffici europei, poiche' le persone che approdano in Italia, o a Malta, in realta' vogliono chiedere asilo anche ad altri paesi dell'Unione.
- Cinzia Gubbini: Ma la Convenzione Dublino II impone di presentare la richiesta nel primo paese di approdo...
- Domenico Gallo: Ecco, questo mi sembra un limite che i paesi europei dovrebbero superare: e' chiaro che non si puo' scaricare tutto il peso sui paesi rivieraschi.

- Cinzia Gubbini: Tornando ai respingimenti, siamo di fronte al tramonto dei diritti individuali?
- Domenico Gallo: Credo che il fenomeno di fondo sia la caduta dell'universalita'. Dal respingimento dei profughi alle nuove leggi in approvazione sull'immigrazione, osserviamo l'esclusione di una parte dell'umanita' dal godimento dei diritti fondamentali che una volta erano concepiti come universali. Di fatto, non viene piu' contemplata un'unica famiglia umana.
Continua...

giovedì 14 maggio 2009

MEMORIA, NON NOSTALGIA: I PERCHE' DELLA CANDIDATURA NELLA LISTA COMUNISTA ALLE EUROPEE


DI RANIERO LA VALLE

Quando nel 1976 fui candidato come indipendente nelle liste del PCI, la prima volta che mi fotografarono davanti al simbolo della falce e martello ebbi un trauma, avrei voluto nascondermi. Ma attraverso quella porta stretta potei entrare in contatto con una nuova realtà, con un pezzo di popolo straordinario, che non conoscevo, e che veniva diffamato perché comunista. Conobbi operai del Nord e contadini siciliani che attraverso quella porta avevano trovato la loro dignità, non andavano più col cappello in mano davanti al padrone. Come dice ora il mio meccanico di allora (si chiama Mario, aveva l’officina a Corso Francia, vicino alla casa di Berlinguer), “le sezioni del PCI erano delle università, e il più sprovveduto quando usciva da lì e si incontrava con gli altri, era un genio”. Ora, in una cultura politica che ha fatto il deserto chiamandolo “il nuovo che avanza”, e del deserto ha fatto una prateria per il galoppo della destra, che qualcuno abbia l’orgoglio del passato e voglia avanzare verso il nuovo senza negare la continuità e la memoria, mi sembra meritorio. Forse un giorno non sarà più necessario, ma oggi serve ancora.
In antico, quando si partiva, si portavano con sé i penati; se il viaggio era lungo si portavano anche i cimeli della casa. Quando si avanza nella vita, nulla deve essere perduto delle ricchezze di prima; senza radici non c’è cultura, senza memoria non c’è futuro, senza fondamenti non c’è democrazia. Le ideologie devono essere ripensate, le eredità si accettano con beneficio d’inventario, il male fatto deve essere ripudiato, ma non si può buttare il passato nella pattumiera della storia, almeno la raccolta deve essere differenziata.
La nostra civiltà occidentale trae la sua origine da un evento – l’uscita di Israele dall’Egitto – che non fu una bella cosa, perché comportò lo sterminio dei bambini egiziani innocenti. Ogni volta che lo sento ricordare, nella notte di Pasqua, ho un sussulto. Eppure dopo più di tremila anni ebrei e cristiani fanno memoria di quell’evento, perché nonostante tutto fu un evento di liberazione, e senza quell’evento non esisterebbe né ebraismo né cristianesimo, e forse nemmeno l’illuminismo e la democrazia.
Quindi ben venga che i comunisti si ricordino di essere comunisti, che i proletari si ricordino di essersi liberati, che i servi si ricordino di essere diventati signori, che i precari si ricordino che un giorno ci fu lo statuto dei lavoratori; e ben venga che i non comunisti riconoscano che questa non è nostalgia, non è ripiegamento identitario, non è un ristagno di culture dismesse o obsolete, ma è una risorsa della storia, è un rendere grazie al sacrificio dei padri, è un trarre dal passato gli esempi, è un riprendere in mano le carte per giocare un’altra partita politica.
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martedì 12 maggio 2009

LEGGI RAZZIALI?

di RANIERO LA VALLE


Quando ero bambino fui colpito da un’invettiva del fascismo che diceva: “Dio stramaledica gli inglesi”. Mi regalarono anche un distintivo dove c’era scritto così. Per quel poco che sapevo di Dio, mi pareva impossibile che Dio potesse maledire gli inglesi che, come tutti gli altri, aveva creato. Forse fu allora che, da Balilla che ero, nel mio cuore divenni antifascista (i bambini possono essere antifascisti).
Oggi il Dio Po non può certo stramaledire gli stranieri. Ma la Lega toglie loro la qualità di uomini: non possono partorire, curarsi, andare a scuola, affittare una casa, viaggiare e avere gli altri diritti fondamentali se il governo non glieli concede facendo loro la grazia del permesso di soggiorno. Altrimenti sono colpevoli di un fatto che solo per gli stranieri costituisce reato: quello di stare in Italia. Ma poiché colpisce gli stranieri di tutte le razze, si potrebbe dire che non sia di per sé una legge razziale. Non si preferisce una razza a un’altra. Una vera legge razziale ce l’abbiamo in Italia, anche questa a causa della Lega, ed è la legge del 29 dicembre 1999 che sarebbe fatta per tutelare le minoranze linguistiche, ma si rifiuta di riconoscere come esistente l’etnia zingara e la lingua dei Rom. La legge Maroni-Berlusconi (su cui quest’ultimo si gioca la fiducia) va invece più in là, perché non riconosce l’appartenenza alla razza umana di tutti gli stranieri, prima del provvedimento amministrativo che gliela conceda. Perciò potrebbe essere chiamata piuttosto legge ammazza-stranieri.
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lunedì 11 maggio 2009

Raniero La Valle: perchè candidarsi ancora?


Per l’Italia, perché c’è da salvare la democrazia. Per questo non c’è età, e vorrei che i giovani lo capissero. Senza un vero Parlamento non c’è democrazia. Quello di oggi è in mano a una sola persona. Col premio di maggioranza, l’ultima volta, ne sono state escluse le sinistre. Ora, con lo sbarramento alle europee, e poi col referendum del 21 giugno si vorrebbero sopprimere tutti gli altri partiti ad eccezione di due. Ma di questi, uno solo avrebbe Bruno Vespa e tutte le televisioni per sé. E mentre guardi la televisione ti svaligiano la casa. Questa volta perciò il voto utile è per il pluralismo, per la democrazia delle pari opportunità politiche, per i valori scoperti e proposti dalle minoranze. Per l’Europa, perché se in Europa tutto il potere è alle banche, noi siamo perduti. E non potremmo fare pace col mondo. Invece l’Europa fiorisce e si salva solo se si sposa col mondo, se si unisce a Obama contro la revanche dei patiti della guerra, se preserva la salute dell’Africa, se riesce a fare i due Stati in Palestina, se incontra l’Islam non solo per il suo petrolio, se stabilisce rapporti di civiltà con la Cina, nel ricordo di Marco Polo, se riprendendo la lezione di Gandhi instaura rapporti non violenti tra l’Occidente e tutte le Indie del mondo. Questo lo devono fare i giovani. Noi non ce ne andiamo ancora, ma aspettiamo con ansia che arrivino.




Raniero La Valle
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domenica 10 maggio 2009

L’ORDINE INFAME

Di RANIERO LA VALLE


L’Italia sta vivendo una tragedia. Perché da un lato il presidente del Consiglio offre materia da avanspettacolo e i suoi avvocati in TV ne difendono il diritto ai lazzi, dall’altro il suo ministro degli Interni dà al Paese un volto feroce che getta la gente nel pianto.
Quello che è avvenuto sulle due motovedette della marina che andavano a scaricare i profughi in Libia, e che gli stessi militari hanno raccontato (ma uno di loro ha detto che mai oserà raccontarlo ai suoi figli), scrive una pagina d’infamia nella storia del nostro Paese.
Ha detto uno dei protagonisti che è stato “l’ordine più infame” che abbia mai eseguito.
Era appunto per questo che avevamo fatto in Parlamento la legge sull’obiezione di coscienza al servizio militare: perché nessuno fosse costretto a eseguire ordini infami.
Ma è proprio per far fuori l’obiezione, che hanno tolto l’obbligo militare e preso i militari per denaro, sicché nessuno più possa obiettare ma solo venir meno a un contratto, perdere il lavoro e andare in mezzo a una strada.
Ora deve essere chiaro che questa infamia non ricade tanto su chi ha eseguito gli ordini, e non è nemmeno solo della Lega, che quegli ordini ha voluto e impartito, ma ricade su tutto il Paese: perché la Lega non solo è al governo, ma ha le chiavi del governo, è una sola cosa per confluenza di interessi col presidente del Consiglio, ha il comando delle forze dell’ordine, sia militari che civili, ed esprime pertanto al massimo grado la politica italiana, non nella sua continuità, ma nel suo cambiamento, avendo lo stesso ministro Maroni definito come una svolta storica l’eroica operazione navale del Mediterraneo.
Per questo cambiamento bisogna trovare una parola nuova, tanto è nuova una politica che nell’Italia repubblicana mai aveva tirato su qualcuno per schiacciarlo, mai aveva atrocemente ingannato degli infelici che credevano di essere stati salvati, mai aveva infierito su uomini vinti, donne incinte e bambini innocenti reduci da cinque giorni d’inferno senza acqua né cibo su barconi diretti ma mai arrivati in Europa.
La parola che definisce questa nuova fase della politica italiana (che non si attua solo per mare) è “crudelizzazione”. Vuol dire che la nostra politica non solo è inadeguata, fatua ed ingiusta, ma sta diventando crudele. E sta diventando crudele proprio perché è inadeguata, frivola ed ingiusta: perché lascia che l’Italia si impoverisca senza fare niente, perché non difende e nemmeno prende in considerazione il diritto al lavoro, perché non gliene importa niente di chi non ha casa, perché promette miracoli ai terremotati ma i soldi non li dà perché li aspetta dalle lotterie e non dalle tasse, perché butta fuori dalle scuole che non sono dell’obbligo i giovani clandestini preferendoli sui marciapiedi piuttosto che in classe; e tutto ciò crea un senso di insicurezza e di malessere nei cittadini, fomenta l’idea che sia dato agli stranieri quello che hanno perduto loro e scatena la guerra tra poveri. Perciò dovrebbero andare insieme politiche di sviluppo e politiche di accoglienza. E dove il diritto non è ancora in grado di comprendere le nuove realtà, è la politica che lo deve fare.
E questo chiama in causa l’Europa.
Perché i migranti, i richiedenti asilo che si affidano al mare è in Europa che vengono. Se noi li respingiamo, è l’Europa che li respinge. Dice Fassino che è proprio questo che vuole l’Europa. Ma allora bisogna cambiare l’Europa, per questo sono importanti le elezioni europee. Dovrebbe essere lei la prima a sanzionare e a impedirci comportamenti lesivi dei diritti umani degli stranieri. E questi dovremmo smettere di chiamarli “extra-comunitari”, cioè di definirli mediante un’esclusione, un non-essere. Se l’unità europea divide gli esseri umani in comunitari ed extracomunitari, vuol dire che essa stessa non è una comunità, è un bantustan, una fortezza, un apartheid. Se abbiamo fatto un mondo globale, l’Europa non si può salvare da sola. Se si fa conoscere come crudele, subirà crudeltà, se non farà giustizia agli altri non troverà giustizia per sé.


Raniero La Valle

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sabato 9 maggio 2009

LE SINISTRE

di Raniero La Valle


Le sinistre devono unirsi. Ma non ci si può unire senza una ragione sociale.
La ragione sociale dell’unione delle sinistre non è la maggior gloria della sinistra, ma il riscatto della società, a cominciare dagli ultimi, non perché gli ultimi siano migliori dei primi, ma perché se sono liberati gli ultimi tutti sono liberi, e anche più felici.
Un primo risultato c’è stato, perché Rifondazione e Comunisti italiani si sono ritrovati per combattere insieme.
Intanto però altre sinistre sono nate.
È bene che tanti fiori fioriscano; però bisognerebbe stare più attenti alla strategia, perché se l’elettorato si disperde si manca ogni obiettivo.
Se alle elezioni europee ci sono tre liste di sinistra, con un sistema elettorale che al massimo ne permette una, vuol dire che due su tre sono liste di disturbo, che drenano elettori e producono scoramento ed astensioni.
Bisognerebbe anche smettere di pensare che la vera sinistra sia una sinistra che ancora non c’è e perciò ora la facciamo noi: è l’errore della Bolognina, dopo la rimozione del Muro; ma di Bolognina in Bolognina la sinistra scompare e quello che resta è una sinistra del futuro per una società di destra.

Perciò bisognerebbe cominciare dalla sinistra che c’è e che c’è stata; bisogna salvare la democrazia oggi per poter conseguire giustizia e pace domani.
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venerdì 8 maggio 2009

BERLUSCONI: QUALE QUESTIONE MORALE?

di Raniero La Valle

E' evidente che nel nostro Paese si pone drammaticamente una questione morale.
Quando si parlava di questione morale in politica, molti pensavano che si trattasse di un’astrazione, di un costume riguardante un’intera classe politica.
Adesso è chiaro che la questione morale nasce dalle persone, da quello che fanno, da come trattano gli altri, da come usano il potere e il denaro e, se sono uomini, da come usano le donne. Nel caso di Berlusconi mi pare che la questione morale, al di là della vicenda familiare su cui nessuno ha titolo per giudicare (“non giudicate”, dice il Vangelo), consiste nella scelta di usare il grido di dolore della moglie come il terremoto dell’Aquila: una disgrazia da trasformare in profitto, una mazzata da giocare per vincere ancora, uno stacco pubblicitario per prendere voti, un’emozione pubblica per un profitto privato.
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giovedì 7 maggio 2009

I terremotati traditi

l decreto legge per il terremoto abruzzese smentisce tutte le promesse: prevede case provvisorie e non definitive, i soldi sono virtuali e in gran parte ricavati dalle lotterie, la ricostruzione è programmata non in pochi mesi ma fino al 2033, il contributo per chi vuole ricostruire la casa sarà di soli 150.000 euro, due terzi dei quali saranno pagati dagli stessi terremotati con le tasse risparmiate nei prossimi 22 anni, e con mutui agevolati di cui gli stessi beneficiari dovranno pagare gli interessi; gli Enti locali sono tagliati fuori, e perciò a ricostruire saranno gli stessi che negli decenni scorsi hanno costruito per il terremoto.
È quanto si legge in questo articolo pubblicato oggi 5 maggio da “Repubblica”.

Rubrica “Piccola Italia” di Antonello Caporale

L'Aquila e il decreto abracadabra

E' stato ribattezzato "decreto abracadabra" per le innumerevoli devianze creative con le quali accompagna il processo di ricostruzione dell'Aquila e dei paesini circostanti. La luna di miele tra gli abruzzesi e Silvio Berlusconi ha subito una prima e significativa increspatura. La lettura approfondita del decreto legge, e la verifica che i soldi all'Abruzzo in gran parte (4,7 miliardi di euro) saranno racimolati dall'indizione di nuove lotterie, dagli interventi sul lotto, e dai sempreverdi provvedimenti anti-evasione, soldi veri niente, e che in più le risorse saranno spalmate su un periodo lunghissimo (da oggi al 2033) hanno creato fremiti di rabbia dapprima isolati e poi sempre più partecipati.
Il tam tam ("Berlusconi ci inganna!") è iniziato, e non è una novità, sui blog. Prima Facebook e poi i partiti. Prima i conclavi nelle tende poi le riunioni istituzionali. Una giovane donna, Rosella Graziani, che sa far di conto, ha messo a frutto tutto il tempo ritrovato e fino alla settimana scorsa inutilizzato per radiografare il decreto legge e poi bollarlo in una lettera pubblica: "Mai nella storia dei terremoti italiani avevamo assistito a una ingiustizia tanto grande e a un tale cumulo di menzogne che ha ricoperto L'Aquila più di quanto non abbiano fatto le macerie".
Quali le menzogne e dove l'inganno? I soldi veri, il cash disponibile che Tremonti rende immediatamente spendibile si aggira sul miliardo di euro. Tolte le spese per l'emergenza, restano 700 milioni di euro destinati alla costruzione delle casette temporanee. E qui il primo punto: 400 milioni saranno spesi per edificarle nel 2009 e 300 milioni nel 2010. Se ne dovrebbe dedurre che la totalità delle case provvisorie sarebbero, è bene riusare il condizionale, realizzate totalmente entro l'anno prossimo. Dunque qualcuno avrebbe un tetto a settembre, qualcuno a ottobre, qualche altro a gennaio, o nella primavera che verrà. E' così? E' il dubbio, maledetto, che affligge e turba.
Secondo punto: le casette sono sì temporanee ma il decreto le definisce "a durevole utilizzazione". Durevole. Moduli abitativi condominiali, magari lindi e comodi, a due o tre piani. In legno. Ecocompatibili, risparmiosi, caldi. Perfetti. Possono durare decenni. E dunque: sarebbero provvisori ma purtroppo paiono proprio definitivi. E, questa è una certezza, sono le uniche costruzioni ad avere pronta una linea di finanziamento. Piccole e sparse new town. New town aveva detto Berlusconi, no? E le case vere? Quelle di pietra?
Qui la seconda questione campale: sembra, a scorrere gli allegati al decreto, che Berlusconi non possa concedere più di 150 mila euro per la ricostruzione dell'abitazione principale. E per di più questi soldi sarebbero veri fino a un certo punto, perciò la definizione di decreto abracadabra. 50 mila euro li concederebbe - cash - il governo; 50 mila li tramuterebbe in credito di imposta (anticipata dalla famiglia terremotata e ammortizzata in un arco temporale di 22 anni); altri cinquantamila sarebbero coperti con un mutuo a tasso agevolato a carico però del destinatario del contributo.
Non si sa bene ancora se sarà così strutturato il fondo. Le norme del decreto possono subire fino al prossimo giovedì emendamenti e correzioni. Quel che comunque sembra chiaro è che la somma ipotizzata (150 mila euro) ammesso che venga confermata, sarà sufficiente per una casa di tipo popolare e di nuova costruzione, ma totalmente sottodimensionata per finanziare i lavori di recupero e restauro conservativo. Nel centro storico dell'Aquila ci sono 800 edifici pubblici e 320 edifici privati, sottoposti a vincoli per il loro pregio.
Recuperi dispendiosi economicamente e, secondo questo decreto, sostanzialmente a carico dei privati. Così ieri i sindaci delle aree terremotate si sono ritrovati in conclave e hanno iniziato in un borbottio che è poi sfociato in un documento di dura protesta. "Vogliamo vedere nero su bianco i soldi per la ricostruzione e non solo quelli per le casette transitorie. L'Aquila va costruita dov'era e com'era. Così non sarà: a leggere il decreto i tempi sono dilatati fino al 2033, una data ridicola", ha dichiarato la presidente della Provincia Stefania Pezzopane.
Ai dubbi che già gonfiano i primi timori si aggiunge poi l'offesa istituzionale subita dagli enti locali. Il governo, promotore della prima legge costituzionale a vocazione federalista, ha accentrato ogni potere di spesa negando finanche al sindaco dell'Aquila, città epicentro del terremoto e capoluogo di regione, le funzioni commissariali esecutive.

Penserà a tutto, come al solito, Guido Bertolaso...


(5 maggio 2009)

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mercoledì 6 maggio 2009

CON OBAMA PRIGIONIERI NELLA GUERRA DI BUSH

di Raniero La Valle
(su Liberazione del 5/5/2009)

La bambina afghana uccisa domenica scorsa a Herat è un segnale potente, perché nella sua forza simbolica ed evocativa non induce solo alla pietà, ma alla decisione: la decisione sulla guerra in generale, e sulla guerra in Afghanistan in specie.Dicono che è stato solo un incidente, che è scattato quando i due veicoli si venivano incontro; ma ci vuole la guerra perché uno scontro tra veicoli abbia le forme di uno scontro a fuoco, e anzi, come già accadde per Calipari, di un tiro al bersaglio. Dicono che non è stato fatto apposta, ed è certo; e anzi - ci tengono a precisare i comandanti - sono state seguite tutte le procedure: ma ci vuole una guerra, e un esercito in terra straniera, perché regole scrupolose e procedure ben osservate portino a far morire col viso spaccato i bambini, e a spedire insanguinata tutta una famiglia che viaggia in automobile all’ospedale.Proprio perché è stato solo un incidente, proprio perché sono state osservate le appropriate procedure, la tragedia di Herat dice che la presenza militare straniera in Afghanistan è di per sé letale, è di per sé fonte di disordine, di paura e di dolori, e perciò è in contraddizione con tutte le motivazioni virtuose che i nostri governi hanno dato di una missione militare che sarebbe stata mandata lì per il bene supremo del popolo afghano.La decisione da prendere è che il solo modo di aiutare l’infelice popolo afghano è di togliergli la guerra e l’invasione. Rimarrebbero i talebani? E chi ha mai avuto un progetto serio per allontanarli?In effetti la premessa di ogni sana decisione sarebbe oggi di riconoscere la vera motivazione della guerra, che è stata una vendetta per l’11 settembre: Bush ne aveva bisogno, per non vedere naufragare sul nascere il sogno del “nuovo secolo americano”: niente di razionale in ciò, la vendetta non è una politica, eppure tutti gli sono andati indietro, a cominciare dal nostro stolido governo. Se ora si vuol correggere la deriva in atto, bisogna risalire fin lì, per ripartire in tutt’altra direzione. È chiaro che non è una cosa che possiamo fare noi; ma dovrebbe farlo l’Europa, e farlo fare agli Stati Uniti, nel quadro di un’alleanza non più succube e complice, ma responsabile e creativa.La situazione oggi è rovesciata. Bush aveva bisogno della guerra, prima in Afghanistan, poi in Iraq, per andare avanti col progetto di ordine imperiale mondiale concepito dalla destra americana che lo aveva messo al potere. Obama invece trova nell’invasione dell’Iraq e nella guerra afgana l’ostacolo principale per poter perseguire il suo progetto opposto di un mondo ricomposto nella multilateralità, nel rispetto reciproco e nel diritto. Ma se Barak Obama sembra aver trovato la forza per il ritiro dall’Iraq, e per la chiusura di Guantanamo, è invece prigioniero nel campo minato dell’Afghanistan, e non può uscirne senza giocarsi tutto, ragione per cui ha preso su questo punto la posizione più arretrata fra tutte quelle assunte fin qui.Ma è proprio qui che potrebbe incontrare l’Europa, un’Europa che ritrovasse una sua vera funzione mondiale, non più nel dominio ma nell’alta lezione civile di una ricerca in comune di un ordine di pace. Questa Europa dovrebbe essere la sponda privilegiata del tentativo di rinnovamento del presidente americano, e offrirgli partnership e aiuto nella sua lotta contro le potenti forze, interne ed esterne all’America, che vorrebbero fermarlo. Esse si oppongono al disegno neo-wilsoniano di Obama, perché preferiscono, per possederlo, il mondo selvaggio di prima, e anzi di adesso.Il mondo selvaggio di oggi non è solo quello nel quale i bambini sono uccisi dai bravi soldati. È anche quello in cui prosperano i talebani, e tutti i signori della guerra, e i governanti corrotti, e i miscredenti integralisti e misogini che oggi affliggono l’Afghanistan. Ma una forte leadership morale, di un’America credibile e di un’Europa solidale, potrebbe far avanzare, assai più rapidamente che con le armi, l’alternativa della laicità e del diritto.

Raniero La Valle
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martedì 5 maggio 2009

LA LEGGE BEFFA


di Raniero La Valle (da Resistenza e pace)

Ci fu, nel 1953, una legge che fu detta truffa, perché assegnava un piccolo premio di maggioranza alla coalizione di partiti che nelle elezioni politiche avesse raggiunto almeno il 50 per cento dei voti più uno. Si trattava di rafforzare una maggioranza assoluta già espressa dagli elettori nelle urne; e tuttavia, in tempi di proporzionale, quello fu ritenuto un sopruso, la soglia del 50 per cento non fu raggiunta da nessuno, e la legge perciò cadde nel vuoto.

Per la DC (e per l’Italia) fu una felice sconfitta: perché, venuta meno la blindatura di una maggioranza quadripartita di centro, la vita politica riprese vigore, e prima fu avviato il centro-sinistra, con cui furono guadagnati all’area di governo i socialisti, poi fu avviata la politica culminata nel “compromesso storico”, con cui alla governabilità democratica fu recuperato l’elettorato comunista; e in quei decenni l’Italia ebbe quello straordinario sviluppo civile, economico e sociale che la portò tra le maggiori nazioni dell’Occidente.
Oggi abbiamo in vigore una legge elettorale che dà una enorme maggioranza alla coalizione di liste che anche con una semplice maggioranza relativa, ben inferiore al 50 per cento, abbia ottenuto più voti; ed è questa la legge per cui oggi Berlusconi con i suoi parlamentari, assegnatigli d’ufficio (senza neanche preferenze), fa il bello e il cattivo tempo nel Parlamento e nel Paese. Questa legge, tanto peggiore di quella del 1953, fu detta e ancora è chiamata “porcellum”.
Ma la manipolazione elettorale non doveva finire qui. E’ stato infatti promosso dai patiti del bipolarismo, e si voterà il 21 giugno, un referendum che cancella l’ipotesi di un voto dato alla coalizione, suppone che ogni partito corra da solo e trasferisce il premio di maggioranza a quella singola lista che abbia avuto più voti di ciascuna delle altre. Lo scopo è di cancellare, nel Parlamento e nel Paese, tutti i partiti ad eccezione di due.
È del tutto evidente che il partito beneficiario di questa elargizione sarebbe quello di Berlusconi, che già ha riunito in un’unica schiera tutti i suoi alleati tranne la Lega; il Partito Democratico, da solo, non potrebbe mai aspirare a ottenere un tale risultato. Per Berlusconi sarebbe la certezza di un potere a tempo indeterminato. Lui stesso lo ha riconosciuto, dicendosene grato. Alla domanda se avrebbe votato “Sì” al referendum per la modifica della legge elettorale, ha detto: “Sì, certo, la risposta è ovvia. Il referendum dà un premio di maggioranza al partito più forte, e vi sembra che io possa votare no?” Non sono un masochista, ha spiegato, osservando, come per una cosa ovvia: “Puoi domandare all’avvantaggiato di votare no per un vantaggio che gli altri ti regalano e potrebbe essere confermato dal popolo?”. No, non glielo puoi domandare. Resta da capire perché gli si vuol fare questo regalo, che certo egli non merita, il regalo più grande e decisivo dopo quello delle frequenze televisive tolte a suo tempo al servizio pubblico.
Ma a questo punto alla truffa subentra la beffa. Perché sul voto del 21 giugno è partita sulla stampa una mistificazione colossale. Giocando sul fatto che il referendum è abrogativo, si dice infatti che con il “Sì” verrebbe abrogata la legge “porcellum”, mentre è chiaro che ne verrebbe soppressa solo una norma, col risultato di fornire alla legge nel suo complesso l’avallo del voto popolare, rendendola nel contempo ancora più indecente. Ma non basta: il Partito Democratico, che da questo risultato sarebbe travolto, ha annunciato che voterà a favore; e nella meraviglia generale ha spiegato che con la vittoria del “Sì” la legge diverrebbe così brutta, che a quel punto sarebbe giocoforza modificarla in Parlamento. Il ragionamento è pretestuoso e di un politicismo della peggiore specie: pronunziarsi per una cosa per averne invece un’altra. Ai tempi della politica colta, questo si chiamava machiavellismo. Ma è un’illusione, perché è del tutto chiaro che ottenuto il regalo, gli “avvantaggiati” si guarderebbero bene dal rimetterlo in gioco, e oggi il Parlamento è loro. Come ha detto Bossi: “Se la sinistra vota Sì, Berlusconi vincerà per sempre”.
Quindi col referendum non sarebbe macellato nessun “porcellum”, mentre non si farebbe altro che portargli ghiande e altre leccornie per un pasto ancora più abbondante. E resterebbe la legge beffa: per la quale sarebbero beffati gli elettori, che voterebbero non più per una pluralità di liste e partiti ma per un partito unico; beffato il Partito Democratico, che con le sue mani si sarebbe procurato la propria rovina, e beffati gli italiani che avevano voluto costruire la democrazia e si troverebbero a votare, un’altra volta, per un regime.


Raniero La Valle
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lunedì 4 maggio 2009

SCAMBIO DI LETTERE SULLA CANDIDATURA DI RANIERO LA VALLE

Perche’ non il PD?

Una aderente alla “Sinistra cristiana-Laici per la giustizia” a proposito della candidatura di Raniero La Valle alle europee nella lista della Sinistra storica (Rifondazione, Comunisti italiani, Socialismo 2000, Consumatori), ha scritto:

From: Alessandra
To: Raniero La Valle
Sent: Tuesday, April 28, 2009 10:33 AM
Subject: Re: elezioni europee
Gentile Professore, la mia domanda Le sembrerà banale - e certamente lo è -, ma mi risponda per favore: perchè Rifondazione-Comunisti Italiani-Socialismo 2000-Consumatori Uniti e non PD? Credo, forse, perchè il PD non Le ha chiesto di candidarsi nelle sue liste. Come vede Lei l'attuale situazione del PD? Glie lo chiedo perché il Suo parere per me è importantissimo! Grazie!
Alessandra, Ferrara

Raniero La Valle ha risposto:
To: Alessandra
Sent: Tuesday, April 28, 2009 1:04 PM
Subject: Re: elezioni europee
Cara Alessandra,
La ringrazio della sua attenzione.
Io credo che in questo momento il PD può essere aiutato solo dall'esterno:
1) ha bisogno di riconoscere il pluralismo. L'idea di accogliere in sé tutte le culture è culturalmente insensata e politicamente distruttiva. Con l'idea di correre da solo alle ultime elezioni non solo ha consegnato l'Italia a Berlusconi, ma ha "creato" il movimento di Di Pietro che prima non esisteva, e ora sta diventando alternativo allo stesso PD perché è l'unico modo che è stato lasciato a chi non è del PD per opporsi efficacemente alla destra.
Se una lista di sinistra passa il quorum alle europee è la prova del fatto che non è pensabile una alternativa di sinistra al blocco di destra senza chiamare in causa le tradizioni e le forze che sono alla sinistra del PD. E allora bisognerà fin da subito preparare le alleanze per le elezioni del 2013. E' un grave errore quello di Franceschini di dire che delle alleanze si occuperanno solo in quel momento. Le alleanze non si fanno all'improvviso, altrimenti sono solo cartelli elettorali con le conseguenze di disgregazione successiva che già abbiamo conosciuto. La politica delle mani libere sembra astuta, ma in realtà è perdente. Le alleanze non sono tra sigle, ma tra ceti sociali e ideali. Ci vuole del tempo. Perciò salvaguardare il pluralismo politico oltre che essere essenziale per la democrazia, è un servizio reso allo stesso PD.
2) Il PD ha fatto il grave errore di pronunciarsi per il sì al referendum Guzzetta. Un eventuale risultato positivo del referendum, dando una enorme maggioranza al solo Berlusconi (senza neanche bisogno dei suoi alleati) anche se con un solo voto in più di ogni altro, chiuderebbe per chissà quanto tempo la partita della democrazia in Italia. Il sì del PD non è spiegabile che in due modi: o pensa di potere essere lui da solo a vincere tutto (ma è illusorio e in ogni caso sbagliato) o pensa, come dice ufficialmente, che la legge elettorale in tal modo diventerebbe così brutta e indecente che poi si dovrebbe cambiare in Parlamento. Ma chi dice che con l'attuale maggioranza in Parlamento sarà possibile cambiarla? Anche qui un risultato che salvaguardi il pluralismo alle europee potrebbe indurre il PD a rivedere le proprie posizioni sul referendum e ad abbandonare l'idea di un'Italia "moderna", dove la modernità starebbe nella soppressione di tutti i partiti all'infuori di due (due partiti o due agglomerati elettorali).
Questo spiega la mia scelta per Rifondazione e i suoi alleati. Il PD non sarebbe neanche interessato a una nostra presenza, perché non ha interesse alle culture forti, ponendosi come superamento di tutte le culture.
Spero di avere risposto alla sua domanda. Un cordiale saluto
Raniero La Valle


From: Alessandra
To: Raniero La Valle
Sent: Wednesday, April 29, 2009 10:45 AM
Subject: Re: elezioni europee
Le sono davvero gratissima per il tempo che mi ha dedicato e per la qualità della Sua risposta, che mi induce a riflessioni nuove. Il desiderio di un partito un minimo "forte", in grado, se non di vincere, almeno di contrastare l'arroganza di Berlusconi e il grave pericolo che egli costituisce per la nostra democrazia e per la cultura politica ed etica del nostro Paese, mi ha fatto aderire, sollevata, a quel modello. Ora ho parecchio di più su cui riflettere (e far riflettere famigliari e amici) e un bel po' di ragioni per coltivare una visione più problematica e meno fideistica del PD. Circa il referendum avevo invece già di mio un bel po' di dubbi, che si sono rafforzati alla luce delle Sue considerazioni. Se Lei mi autorizza, girerei la Sua risposta a vari amici, appunto, con cui è attivo un dibattito molto vivace, attraverso il quale cerchiamo di sostenerci a vicenda e di non soccombere alla depressione. Grazie, grazie mille, di nuovo!
Alessandra, Ferrara

From: Raniero La Valle
To: Alessandra
Sent: Wednesday, April 29, 2009 3:56 PM
Subject: Re: elezioni europee
Sì, naturalmente può far conoscere la sua domanda e la mia risposta. Faccia anche conoscere l'indirizzo del mio blog elettorale: http://ranierolavalle.blogspot.com/. Un caro saluto
Raniero La Valle
Grazie! Alessandra

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domenica 3 maggio 2009

Grazie, Raniero, di darci la possibilità di un voto diverso

Caro Raniero,
la tua scelta di accettare la candidatura mi fa davvero felice e non mi sorprende.
Non mi sorprende: perché è in linea di perfetta coerenza con la storia delle tue scelte politiche ed etiche; non risalgo molto indietro nel tempo, come pure sarebbe possibile fare (dall'"Avvenire d'Italia" tuo e di Pratesi - quando ti incontrai per la prima volta - fino al lavoro meraviglioso da te svolto nella Sinistra Indipendente, al Senato e alla Camera).
Mi limito a ricordare un solo episodio, e lo ricordo io dato che non lo fa nessun altro: la tua diponibilità ad accettare un assessorato (peraltro marginale e per pochi mesi) nell'ultima Giunta Rutelli, e questo solo per favorire la ricomposizione fra il centrosinistra e Rifondazione; quell'obiettivo, anche grazie al tuo impegno, fu raggiunto, e Veltroni poté diventare Sindaco di Roma con l'appoggio organico e determinante di Rifondazione Comunista.
Ma in quei mesi di duro e fruttuoso lavoro (ricordo il fondamentale Convegno internazionale "Roma cambia Millennio" da te promosso) tu avevi commesso una 'colpa' inescusabile, quella di non unirti al coro di linciaggio di Rifondazione al tempo della rottura con Prodi (e - non scordiamocelo mai! - della guerra "umanitaria" in Jugoslavia); quella colpa ti fu fatta pagare con una nuova emarginazione dalla Giunta di Veltroni Sindaco, che peraltro usava (o copiava?) molte delle tue proposte.
Imperdonabile fu allora per Rifondazione accettare quella tua emarginazione, cioè di non difendere te, e con te la propria stessa dignità politica.
Credo che nessuno del mio Partito ti disse allora grazie, o ti chiese scusa: lo faccio oggi io pubblicamente qui, da semplice iscritto, eppure di certo a nome di tutti/e i/le comunisti/e di Rifondazione di Roma.
Ma la tua scelta mi fa anche felice: io sono convinto che una presenza politica comunista in Italia non si rifonda se non si rifondano assieme la democrazia e la politica.
Questo nesso è stato sempre chiaro nel tuo pensiero e nel tuo insegnamento: fuori dalla democrazia e dalla politica esiste solo il dominio del capitale, esiste solo l'anomìa e la rassegnazione delle grandi masse, esiste solo il "berlusconismo", anche nelle sue varianti, subalterne e grottesche, "di sinistra".
Sì, esiste, eccome!, anche un "berlusconismo" masochista "di sinistra": come definire altrimenti l'accettazione della guerra "umanitaria", della centralità del capitale finanziario, del federalismo fiscale e, sul piano istituzionale, del maggioritario, del presidenzialismo, della centralità del leader e della sua immagine?
Come definire altrimenti la scelta di proporre, sostenere, pretendere un referendum per ... dare il premio di maggioranza al PdL e distruggere tutti i Partiti, a cominaire da quelli di sinistra senza cui non si potrà mai battere Berlusconi?
La tua stessa figura di politico e di intellettuale - lasciamelo dire- è la prova di come nella Costituzione e nei suoi valori ci sia tutto ciò che ci serve, che ci servirebbe, che ci servirà, per uscire da questa notte della Repubblica.
Le cose nobili che scrivi - anche se, come sempre, con il garbo che ti caratterizza - a proposito della nostra ultima scissione (e della nostra prima ricomposizione!) sono una vera lezione di politica e di storia. Se non c'è democrazia senza politica e senza partecipazione diretta e protagonista delle grandi masse e delle loro organizzazioni, allora non c'è democrazia senza Partiti.
Si tratta di rinnovarli, anzi addirittura di ri-fondarli, facendo tesoro delgi errori vecchi e nuovi (e fra i nuovi errori micidiali c'è senza dubbio l'istituzionalismo, che è tanta parte del DNA di "Sinistra e libertà"), ma liberarsi dei Partiti, uscirne disinvoltamente, anzi pretendere di scioglierli in nome di un "nuovismo" occhettiano e senza princìpi, significa solo tagliare le radici della nostra storia collettiva, significa solo far (ri-)diventare la classe proletaria plebe, anzi "'ggente", con due 'g'. Gente isolata e inebetita, gli uni contro gli altri armati, i penultimi a odiare gli ultimi, tutti soli col telecomando in mano davanti alle Tv di Berlusconi che sarebbero libere (come sono state in questi ultimi anni) di forgiare il nuovo senso comune reazionario, razzista, sessista, clericale, in ultima analisi fascisteggiante.
No, non è questo il modello di democrazia della nostra Costituzione, che richiede invece coscienza, organizzazione, protagonismo dei cittadini, e dunque pluralismo necessario delle loro necessarie organizzazioni, sindacali e partitiche. E queste, a loro volta, non possono essere senza la propria storia, senza cioè rinnovare il nesso che lega, in un Partito tre elementi:
(a) dei settori di popolo (una classe, secondo me) con
(b) una intellettualità diffusa che in quel popolo si riconosce e
(c) con un sistema di idee e di valori, con una cultura, con una storia che conferisce identità e significato a quello stare insieme.
Gramsci chiama "connessione sentimentale" questo nesso che fonda il Partito, e sono certo che questa espressione ti piace, come piace a me.
Dunque la tua candidatura guarda al futuro, anzi, di più: ci indica una strada concreta da percorrere.Io credo che nel Parlamento europeo tu potrai portare tutto questo, e le cose che più sono tue e del tuo mondo, a cominciare dalla lotta per la pace.
Per questo ti voterò con convinzione e sosterrò la tua candidatura con tutto quel poco che sarò in grado di fare.
Con affetto pari alla stima, Raul Mordenti
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venerdì 1 maggio 2009




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UN ALTRO VOTO E' POSSIBILE


Tutti i cittadini sono chiamati a esercitare il loro diritto dovere di «concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale» (art. 49 della Costituzione) in due prossime scadenze elettorali, che nella attuale situazione italiana assumono un valore in qualche modo costituente. Infatti il loro risultato non è destinato a esaurirsi nell’arco di una legislatura, ma potrebbe imprimere un corso precipitoso alla caduta della democrazia italiana verso forme sempre più restrittive ed oligarchiche del potere politico. La prima scadenza è quella delle elezioni europee, in cui per lo sbarramento del 4 per centodeciso di comune accordo tra i due maggiori partiti, rischia di ripetersi l’amputazione della rappresentanza e la esclusione della sinistra, già verificatesi nelle elezioni nazionali; la seconda è il referendum del 21 giugno, che mediante il premio di maggioranza elargito al partito vincente anziché alla coalizione, mira alla cancellazione dal Parlamento e dal Paese di tutti i partiti ad eccezione di due. Questa coazione al bipartitismo perfetto voluta dal referendum sarebbe anticipata e agevolata se il 7 giugno altre liste rappresentative di significative tradizioni italiane non superassero la soglia del 4 per cento, mentre sarebbe ostacolata o impedita se l’elettorato mostrasse di voler salvare il pluralismo, non riducendosi al voto per l’uno o per l’altro dei due partiti tendenti a presentarsi come unici.Il “punctum saliens” di queste elezioni europee è pertanto di evitare la riduzione della rappresentanza italiana ai due fratelli nemici, di portare la sinistra storica oltre il 4 per cento e di rilanciare nella politica nazionale il valore di una pluralità di culture politiche.
Rifondare, che cosa?
Pur resistendo a un sisma che ormai dura da quindici anni (da quando cominciò l’operazione « Seconda Repubblica ») la nostra democrazia non appare più così solida da poter reggere a ulteriori devastazioni, alla distruzione delle minoranze, allo snaturamento della rappresentanza e a riforme elettorali e costituzionali che suppongano una fine della politica, una mistica della decisione e l’imperativo categorico del fare, quale che sia questo fare.D’altra parte l’insuccesso dei reiterati tentativi di stabilire una Costituzione europea e perfino di dar conto di un’identità dell’Europa, come la mancata protezione dei cittadini europei dagli effetti di un terremoto economico il cui epicentro non sta nella produzione, nelle fabbriche e nei servizi, ma sta nelle banche, nelle finanziarie e nelle grandi cupole internazionali del denaro e del profitto, mostrano come anche la costruzione europea debba essere risignificata e attrezzata per una nuova partenza.Perciò, nel venir meno delle vecchie sicurezze, è necessaria una rifondazione. Rifondare, che cosa ?Si tratta di rifondare non delle identità, ma delle relazioni. La pulsione identitaria, se non vissuta e immediatamente risolta nella relazione, è ipertrofizzante e distruttiva. Ne vengono i razzismi, i fascismi, il culto di sé; e di lì viene anche la xenofobia della Lega che allo straniero non autorizzato vuol togliere l’iscrizione dei figli a scuola, la sala parto e perfino le panchine dei giardini pubblici.Occorre invece rifondare le relazioni, a tutti i livelli, interni e internazionali.La cosa più straordinaria che fece il PCI nella storia repubblicana, furono le sue relazioni: quelle stabilite durante la Resistenza nel Comitato di Liberazione Nazionale (il nome della festa della Liberazione viene da lì); quelle stabilite alla Costituente, che diedero i frutti più significativi nel dialogo Dossetti-Togliatti sui compiti della Repubblica (art. 3) e sui suoi rapporti con gli altri ordinamenti originari (comunità internazionale, art. 11, Chiesa, art. 7, confessioni religiose diverse dalla cattolica, art. 8); quelle stabilite con le classi umiliate e povere ignorate dallo Stato liberale e rovinate dal fascismo, cui fu ridata la dignità; quelle stabilite con l’intero elettorato che giunse, un elettore su tre, a votare per il PCI in una prospettiva di solidarietà nazionale, pur coltivando ideologie e tradizioni diverse, nella adesione, tutta politica, a un progetto comune (queste cose i giovani non le sanno, ma potrebbero cercarle su Internet o meglio ancora apprenderle, magari in una scuola che tornasse ad essere la scuola della Repubblica, una scuola di tutti, ricchi e poveri, abili e disabili, nativi ed immigrati, cittadini e stranieri).Rifondare le relazioni significa essere qualcosa per servire a qualcuno. Questo è per l’appunto la politica : poter essere se stessi nel servizio reciproco. Poter essere se stessi senza che ti uccidano, diceva Hobbes per spiegare il perché dello Stato moderno; senza che ti lascino nudo e senza lavoro, alienato e sfruttato, dicevano il marxismo e le ideologie sociali del Novecento; senza che ti vengano negati i diritti, diceva la Dichiarazione universale dei diritti umani; senza che ti sfigurino la comunità cui appartieni non fondandola sulla giustizia, sulla verità, sulla libertà e sulla pace, diceva Giovanni XXIII. Essere se stessi nella relazione e nel servizio reciproco con gli altri, ha detto, anche se troppo spesso invano, la migliore cultura dell’Occidente, dal Codice di Hammurabi alle città greche a San Paolo ad Hannah Arendt e oggi ad Obama; ciò da cui dipende la stessa libertà perché al contrario di ciò che pensano le Case della libertà - propria -, «la libertà è sempre ed unicamente di chi la pensa diversamente», come diceva Rosa Luxemburg.
Le nozze dell’Europa col mondo
Cosa vuol dire rifondare le relazioni dell’Europa ? Vuol dire che conclusa la fase del ripiegamento su se stessa per farsi unita, l’Europa deve ora andare alle nozze col mondo. Non come le mitiche nozze con Giove da cui fu rapita perché era bellissima, ma su un piede di parità, offrendo e ricevendo pace, scambiando risorse, mettendo in comune le risorse e i beni comuni (l’acqua e ciò che è necessario alla vita), andando al mondo e accogliendo il mondo in casa sua, come in un reciproco asilo. Solo unita col mondo la bellezza di Europa può non sfiorire. Anche la bellezza è sempre anche la bellezza degli altri. Noi la sciupammo, quando scoprimmo senza nulla capirne la bellissima America, quando abbiamo colonizzato l’Africa e assoggettato India e Indocina, quando abbiamo rivestito Israele e spogliato i palestinesi, quando ci siamo uniti alle guerre degli Stati Uniti perfino in Europa per disfare la Jugoslavia, e di tutto il mondo arabo nulla abbiamo visto se non il petrolio. Rifondare le relazioni dell’Europa vuol dire farsi partner – non solo spettatori – del progetto di cambiamento di Obama, vuol dire fare del Mediterraneo un mare e non un muro, vuol dire farsi ponte e cerniera, non più cortina, tra Oriente e Occidente: col mercato, ma anche con patti di comunione.Rifondare le relazioni in Italia vuol dire ricomporre le due Italie divise, pur restando il conflitto democratico, che però si svolga lungo linee di contrapposizione sociali e politiche, non più antropologiche o di sistema. L’Italia non si divide né tra un popolo e un non-popolo, amante o nemico della libertà, né tra chi è per la vita e chi sarebbe contro la vita (e questo vale per la Chiesa). Ristabilire il pluralismo politico, contro l’irrigidimento dualistico e manicheo, significa rifondare la pace sociale. In un’Italia che non fosse stata costretta a dividersi in Barbari e Barberini, Berlusconi sarebbe una curiosità, non una catastrofe.
Le due sinistre
Relazioni positive vanno rifondate nella sinistra; anche con la nuova formazione che si chiama «Sinistra e libertà». Essa riprende due parole antiche, ma non vuole più legami con le culture che accusa di essere «vecchie»; di Bolognina in Bolognina, si è sempre alla ricerca di una sinistra del futuro, ma le culture maturano, non si inventano, e nemmeno la sinistra si inventa, ed è per questo che il futuro non arriva mai. Rifondare vuol dire «cercare ancora», senza settarismi, ma senza perdere la memoria; l’errore delle guide politiche, intellettuali e anche giornalistiche della sinistra italiana, dopo la rimozione del Muro, fu di proporre “il nuovo” al popolo della sinistra, a partire però dal suo spaesamento, che lo consegnava alle culture altrui. Quel popolo si è disperso; ora certo si può continuare a puntare sulle scissioni, per ricominciare da capo, ma senza la presunzione di avere la ricetta giusta, che il passato non giustifica. Si poteva almeno, per le elezioni europee, non imporre agli elettori la scelta tra due sinistre, quando il problema era di superare la soglia sotto la quale non c’è più alcuna sinistra. «Sinistra e libertà» poteva aspettare. La lista invece che per il suo radicamento ha maggiori possibilità di successo (e che perciò è rigorosamente oscurata dai media) è quella unitaria di Rifondazione e dei suoi alleati, che si richiama alla tradizione comunista intesa però non come un reperto, ma come una origine.
Il Partito Democratico
Rifondare le relazioni col Partito Democratico vuol dire in un certo senso aiutarlo a salvarsi. Se insiste nel volersi proporre come il solo a contrastare la destra, perderà pezzi sempre più consistenti a destra e a sinistra. Già Di Pietro, che oggi è un’insidia, nella sua ascesa fu una creazione di Veltroni, perché promosso ad unico “altro” a cui si potesse dare un voto utile contro Berlusconi. Il Partito Democratico si salva se diventa irrilevante che prenda il 2 per cento in più o in meno, in quanto divenga però il fulcro di un sistema di alleanze capace di dare un governo nuovo al Paese. L’argomento della rissosità, che è stato speso contro Prodi, non vale: il conflitto competitivo dirompe nelle aggregazioni la cui ragione sociale è il potere, mentre un’alleanza politica è un’altra cosa: che ognuno metta del suo per perseguire insieme un progetto comune. Per questo le alleanze si preparano, esse resistono a chi voglia sovrastare, ma sono sensibili all’egemonia: chi più ne ha, più ne esercita, e ogni subalternità deve essere esclusa. Perciò la pratica del dialogo paritario e della alleanza politica va esercitata fin da ora, dovunque è possibile, non per forza ma per scelta, ed è sbagliato quello che dice Franceschini, che per ora il PD va da solo, alle alleanze ci penserà solo alla scadenza, nel 2013. Nel 2013 sarà troppo tardi, sarà possibile solo fare un cartello di forze tra loro estranee, e scrivere pagine e pagine di programma; l’alleanza invece ha bisogno di tempo, non di parole; è un blocco storico di forze sociali, non un conglomerato di sigle. Il PD può essere aiutato solo distogliendolo dalle illusioni del fai da te, proponendogli e preparandogli il ritorno in società.
Ghiande per il “porcellum”
Per questa ragione esso dovrebbe essere distolto dalla infatuazione bipolare e maggioritaria e perciò dalla decisione di votare «Sì» al referendum del 21 giugno. Il referendum è un regalo a Berlusconi. Lo ha detto lui stesso il 28 aprile a Varsavia, a chi gli chiedeva se avrebbe votato “Sì” al referendum per modificare la legge elettorale: “Sì, certo, la risposta è ovvia. Il referendum dà un premio di maggioranza al partito più forte, e vi sembra che io possa votare no?” Non si può essere masochisti, ha aggiunto: “Puoi domandare all’avvantaggiato di votare no per un vantaggio che gli altri ti regalano e potrebbe essere confermato dal popolo?”. Resta da capire perché gli si vuol fare questo regalo, il più grande e decisivo dopo quello delle frequenze televisive. Sul referendum elettorale è in corso una mistificazione colossale, come già avvenne per il referendum che fu detto per la “devolution”, e che invece era per licenziare tutta la seconda parte della Costituzione. I giornali presentano ora questo come abrogativo della attuale legge elettorale. In Italia i referendum di iniziativa popolare sono infatti abrogativi. Ma i giornali sanno benissimo che qui sarebbe abrogata non la legge elettorale, ma solo quella norma che prevede il premio di maggioranza non alla coalizione, ma al partito. Lo scopo sarebbe di rendere “più semplice” la vita politica. Ma la semplificazione potrebbe non fermarsi qui; rimasti due soli partiti, il passaggio successivo sarebbe quello a due soli uomini, se si realizzasse il progetto berlusconiano di far votare in Parlamento solo i capigruppo: e perciò i due capigruppo. Ma sarebbe un duumvirato asimmetrico, perché ad avere tutto il potere sarebbe uno solo.Dunque non si capisce perché, se non per un accecamento, i democratici fautori del referendum (e c’è anche una cultura cattolica, c’è anche la FUCI) insistono per ottenere questo risultato, fino al punto da nascondere la portata reale del voto dietro l’argomento fittizio che così peggiorata e resa indecente, la legge elettorale “porcellum” sarebbe poi più facilmente emendata in Parlamento; ma è un’illusione: portato a casa il risultato gli “avvantaggiati” se lo terrebbero. Dunque col referendum del 21 giugno non verrebbe macellato nessun suino, non si farebbe invece che portare ghiande a questo nobile animale.Questi sono gli interessi supremi che sono coinvolti nei voti di giugno.
Raniero La Valle
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