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mercoledì 10 giugno 2009

Europee 2009: il mio ringraziamento


di Raniero La Valle

Desidero ringraziare gli amici, i sostenitori e gli elettori che mi hanno seguito e aiutato nella campagna per le elezioni europee. Esse si sono concluse con una sconfitta, che però non deve scoraggiare nessuno, perché il futuro è tutto da costruire, e le risorse non sono esaurite.
Come risulta da tutti i documenti via via pubblicati, quattro erano gli obiettivi della mia partecipazione, anche come candidato non di partito nella lista comunista di Rifondazione e dei suoi alleati, alla battaglia per le europee. Il primo obiettivo era quello che si vanificasse la pretesa di Berlusconi di trasformare le elezioni europee in un plebiscito a suo favore, che ne avrebbe consacrato l’impunibilità e l’insindacabilità come sovrano.
Questo obiettivo è stato raggiunto: la Repubblica democratica non si è trasformata in una crepuscolare monarchia libertina, e Berlusconi è avviato al declino.
Il secondo obiettivo era di mandare la Sinistra italiana al Parlamento europeo, togliendola dall’ostracismo extraparlamentare in cui era stata cacciata in Italia dalla legge elettorale iniqua di Calderoli, dalla “vocazione maggioritaria” di Veltroni e dai suoi stessi errori. Il raggiungimento di questo obiettivo richiedeva il superamento della soglia del 4 per cento introdotta anche nelle europee, nella stessa logica della legge Calderoli, dal principale partito di governo e dal principale partito di opposizione. Questo obiettivo non è stato raggiunto. La lista di Rifondazione e dei suoi alleati ha superato il 4 per cento solo nelle due circoscrizioni del Centro (4,5 per cento) e del Sud (4,1), ma non in quelle del Nord e delle Isole. La ragione di questo risultato è del tutto evidente: gli sconfitti del Congresso che aveva passato la leadership da Bertinotti a Ferrero, negandola a Nichi Vendola, usciti dal partito hanno inteso sopprimerlo, sotto accusa di arretratezza, presentandosi improvvisamente alle elezioni europee con la lista alternativa di “Sinistra e libertà”, che ha goduto di una eccezionale e perfino inspiegabile copertura da parte del sistema informativo e mediatico, e dell’avallo del consueto ceto intellettuale di una sinistra sofisticata e volubile. L’esecuzione è riuscita, e la pistola è ancora fumante. Le conseguenti decisioni sul da farsi in quest’area sono ora molto difficili, e qui non vi entriamo.
Il terzo obiettivo era di affermare il valore del pluralismo politico contro la riduzione della politica, e dell’Italia, a due soli partiti. Pur nella caduta della sinistra, questo obiettivo è stato raggiunto; le elezioni hanno segnato una vera e propria fuga degli italiani dal bipartitismo, sia in voti (6.800.000 voti in meno ai due maggiori partiti), sia in percentuali. Il referendum del 21 giugno su quest’onda dovrebbe andare deserto, e risolversi in una secca sconfitta. Purtroppo il solo che è rimasto a sostenerlo col “Sì” è il PD, che mostra in tal modo di essere ancora attestato sulla presunzione di fare tutto da solo e sulla ideologia della “vocazione maggioritaria”, che dalla sua invenzione ad oggi ha devastato l’intero campo della politica italiana, aprendo le dighe a una mai vista inondazione della destra, dopo il fascismo.
Il quarto obiettivo era, nel caso dell’elezione al Parlamento europeo, di promuovere l’adozione da parte dell’Europa di uno “Statuto del lavoro” e di uno “Statuto dell’esule”. Questo obiettivo non è stato raggiunto, ma resta la speranza che altri lo possano perseguire. Certo, se ci si riuscisse, vorrebbe dire che l’Europa è diventata un’altra cosa: altra rispetto a ciò che finora è stata, altra rispetto a ciò che oggi è, a giudicare dalla maggioranza conservatrice che il 7 giugno è stata mandata a Bruxelles.
Continua...

giovedì 4 giugno 2009

"Con l'Islam un nuovo inizio"

di BARACK OBAMA

Ecco la traduzione integrale del discorso del presidente americano Barack Obama all'Università del Cairo.

SONO onorato di trovarmi qui al Cairo, in questa città eterna, e di essere ospite di due importantissime istituzioni. Da oltre mille anni Al-Azhar rappresenta il faro della cultura islamica e da oltre un secolo l'Università del Cairo è la culla del progresso dell'Egitto. Insieme, queste due istituzioni rappresentano il connubio di tradizione e progresso.
Sono grato di questa ospitalità e dell'accoglienza che il popolo egiziano mi ha riservato. Sono altresì orgoglioso di portare con me in questo viaggio le buone intenzioni del popolo americano, e di portarvi il saluto di pace delle comunità musulmane del mio Paese: assalaamu alaykum. Ci incontriamo qui in un periodo di forte tensione tra gli Stati Uniti e i musulmani in tutto il mondo, tensione che ha le sue radici nelle forze storiche che prescindono da qualsiasi attuale dibattito politico. Il rapporto tra Islam e Occidente ha alle spalle secoli di coesistenza e cooperazione, ma anche di conflitto e di guerre di religione. In tempi più recenti, questa tensione è stata alimentata dal colonialismo, che ha negato diritti e opportunità a molti musulmani, e da una Guerra Fredda nella quale i Paesi a maggioranza musulmana troppo spesso sono stati trattati come Paesi che agivano per procura, senza tener conto delle loro legittime aspirazioni. Oltretutto, i cambiamenti radicali prodotti dal processo di modernizzazione e dalla globalizzazione hanno indotto molti musulmani a considerare l'Occidente ostile nei confronti delle tradizioni dell'Islam.
Violenti estremisti hanno saputo sfruttare queste tensioni in una minoranza, esigua ma forte, di musulmani. Gli attentati dell'11 settembre 2001 e gli sforzi continui di questi estremisti volti a perpetrare atti di violenza contro civili inermi ha di conseguenza indotto alcune persone nel mio Paese a considerare l'Islam come inevitabilmente ostile non soltanto nei confronti dell'America e dei Paesi occidentali in genere, ma anche dei diritti umani. Tutto ciò ha comportato maggiori paure, maggiori diffidenze.
Fino a quando i nostri rapporti saranno definiti dalle nostre differenze, daremo maggior potere a coloro che perseguono l'odio invece della pace, coloro che si adoperano per lo scontro invece che per la collaborazione che potrebbe aiutare tutti i nostri popoli a ottenere giustizia e a raggiungere il benessere. Adesso occorre porre fine a questo circolo vizioso di sospetti e discordia.
Io sono qui oggi per cercare di dare il via a un nuovo inizio tra gli Stati Uniti e i musulmani di tutto il mondo; l'inizio di un rapporto che si basi sull'interesse reciproco e sul mutuo rispetto; un rapporto che si basi su una verità precisa, ovvero che America e Islam non si escludono a vicenda, non devono necessariamente essere in competizione tra loro. Al contrario, America e Islam si sovrappongono, condividono medesimi principi e ideali, il senso di giustizia e di progresso, la tolleranza e la dignità dell'uomo.
Sono qui consapevole che questo cambiamento non potrà avvenire nell'arco di una sola notte. Nessun discorso o proclama potrà mai sradicare completamente una diffidenza pluriennale. Né io sarò in grado, nel tempo che ho a disposizione, di porre rimedio e dare soluzione a tutte le complesse questioni che ci hanno condotti a questo punto. Sono però convinto che per poter andare avanti dobbiamo dire apertamente ciò che abbiamo nel cuore, e che troppo spesso viene detto soltanto a porte chiuse. Dobbiamo promuovere uno sforzo sostenuto nel tempo per ascoltarci, per imparare l'uno dall'altro, per rispettarci, per cercare un terreno comune di intesa. Il Sacro Corano dice: "Siate consapevoli di Dio e dite sempre la verità". Questo è quanto cercherò di fare: dire la verità nel miglior modo possibile, con un atteggiamento umile per l'importante compito che devo affrontare, fermamente convinto che gli interessi che condividiamo in quanto appartenenti a un unico genere umano siano molto più potenti ed efficaci delle forze che ci allontanano in direzioni opposte.
In parte le mie convinzioni si basano sulla mia stessa esperienza: sono cristiano, ma mio padre era originario di una famiglia del Kenya della quale hanno fatto parte generazioni intere di musulmani. Da bambino ho trascorso svariati anni in Indonesia, e ascoltavo al sorgere del Sole e al calare delle tenebre la chiamata dell'azaan. Quando ero ragazzo, ho prestato servizio nelle comunità di Chicago presso le quali molti trovavano dignità e pace nella loro fede musulmana.
Ho studiato Storia e ho imparato quanto la civiltà sia debitrice nei confronti dell'Islam. Fu l'Islam infatti - in istituzioni come l'Università Al-Azhar - a tenere alta la fiaccola del sapere per molti secoli, preparando la strada al Rinascimento europeo e all'Illuminismo. Fu l'innovazione presso le comunità musulmane a sviluppare scienze come l'algebra, a inventare la bussola magnetica, vari strumenti per la navigazione; a far progredire la maestria nello scrivere e nella stampa; la nostra comprensione di come si diffondono le malattie e come è possibile curarle. La cultura islamica ci ha regalato maestosi archi e cuspidi elevate; poesia immortale e musica eccelsa; calligrafia elegante e luoghi di meditazione pacifica. Per tutto il corso della sua Storia, l'Islam ha dimostrato con le parole e le azioni la possibilità di praticare la tolleranza religiosa e l'eguaglianza tra le razze.
So anche che l'Islam ha avuto una parte importante nella Storia americana. La prima nazione a riconoscere il mio Paese è stato il Marocco. Firmando il Trattato di Tripoli nel 1796, il nostro secondo presidente, John Adams, scrisse: "Gli Stati Uniti non hanno a priori alcun motivo di inimicizia nei confronti delle leggi, della religione o dell'ordine dei musulmani". Sin dalla fondazione degli Stati Uniti, i musulmani americani hanno arricchito il mio Paese: hanno combattuto nelle nostre guerre, hanno prestato servizio al governo, si sono battuti per i diritti civili, hanno avviato aziende e attività, hanno insegnato nelle nostre università, hanno eccelso in molteplici sport, hanno vinto premi Nobel, hanno costruito i nostri edifici più alti e acceso la Torcia Olimpica. E quando di recente il primo musulmano americano è stato eletto come rappresentante al Congresso degli Stati Uniti, egli ha giurato di difendere la nostra Costituzione utilizzando lo stesso Sacro Corano che uno dei nostri Padri Fondatori - Thomas Jefferson - custodiva nella sua biblioteca personale.
Ho pertanto conosciuto l'Islam in tre continenti, prima di venire in questa regione nella quale esso fu rivelato agli uomini per la prima volta. Questa esperienza illumina e guida la mia convinzione che una partnership tra America e Islam debba basarsi su ciò che l'Islam è, non su ciò che non è. Ritengo che rientri negli obblighi e nelle mie responsabilità di presidente degli Stati Uniti lottare contro qualsiasi stereotipo negativo dell'Islam, ovunque esso possa affiorare.
Ma questo medesimo principio deve applicarsi alla percezione dell'America da parte dei musulmani. Proprio come i musulmani non ricadono in un approssimativo e grossolano stereotipo, così l'America non corrisponde a quell'approssimativo e grossolano stereotipo di un impero interessato al suo solo tornaconto. Gli Stati Uniti sono stati una delle più importanti culle del progresso che il mondo abbia mai conosciuto. Sono nati dalla rivoluzione contro un impero. Sono stati fondati sull'ideale che tutti gli esseri umani nascono uguali e per dare significato a queste parole essi hanno versato sangue e lottato per secoli, fuori dai loro confini, in ogni parte del mondo. Sono stati plasmati da ogni cultura, proveniente da ogni remoto angolo della Terra, e si ispirano a un unico ideale: E pluribus unum. "Da molti, uno solo".
Si sono dette molte cose e si è speculato alquanto sul fatto che un afro-americano di nome Barack Hussein Obama potesse essere eletto presidente, ma la mia storia personale non è così unica come sembra. Il sogno della realizzazione personale non si è concretizzato per tutti in America, ma quel sogno, quella promessa, è tuttora valido per chiunque approdi alle nostre sponde, e ciò vale anche per quasi sette milioni di musulmani americani che oggi nel nostro Paese godono di istruzione e stipendi più alti della media.
E ancora: la libertà in America è tutt'uno con la libertà di professare la propria religione. Ecco perché in ogni Stato americano c'è almeno una moschea, e complessivamente se ne contano oltre 1.200 all'interno dei nostri confini. Ecco perché il governo degli Stati Uniti si è rivolto ai tribunali per tutelare il diritto delle donne e delle giovani ragazze a indossare l'hijab e a punire coloro che vorrebbero impedirglielo.
Non c'è dubbio alcuno, pertanto: l'Islam è parte integrante dell'America. E io credo che l'America custodisca al proprio interno la verità che, indipendentemente da razza, religione, posizione sociale nella propria vita, tutti noi condividiamo aspirazioni comuni, come quella di vivere in pace e sicurezza, quella di volerci istruire e avere un lavoro dignitoso, quella di amare le nostre famiglie, le nostre comunità e il nostro Dio. Queste sono le cose che abbiamo in comune. Queste sono le speranze e le ambizioni di tutto il genere umano.
Naturalmente, riconoscere la nostra comune appartenenza a un unico genere umano è soltanto l'inizio del nostro compito: le parole da sole non possono dare risposte concrete ai bisogni dei nostri popoli. Questi bisogni potranno essere soddisfatti soltanto se negli anni a venire sapremo agire con audacia, se capiremo che le sfide che dovremo affrontare sono le medesime e che se falliremo e non riusciremo ad avere la meglio su di esse ne subiremo tutti le conseguenze.
Abbiamo infatti appreso di recente che quando un sistema finanziario si indebolisce in un Paese, è la prosperità di tutti a patirne. Quando una nuova malattia infetta un essere umano, tutti sono a rischio. Quando una nazione vuole dotarsi di un'arma nucleare, il rischio di attacchi nucleari aumenta per tutte le nazioni. Quando violenti estremisti operano in una remota zona di montagna, i popoli sono a rischio anche al di là degli oceani. E quando innocenti inermi sono massacrati in Bosnia e in Darfur, è la coscienza di tutti a uscirne macchiata e infangata. Ecco che cosa significa nel XXI secolo abitare uno stesso pianeta: questa è la responsabilità che ciascuno di noi ha in quanto essere umano.
Si tratta sicuramente di una responsabilità ardua di cui farsi carico. La Storia umana è spesso stata un susseguirsi di nazioni e di tribù che si assoggettavano l'una all'altra per servire i loro interessi. Nondimeno, in questa nuova epoca, un simile atteggiamento sarebbe autodistruttivo. Considerato quanto siamo interdipendenti gli uni dagli altri, qualsiasi ordine mondiale che dovesse elevare una nazione o un gruppo di individui al di sopra degli altri sarebbe inevitabilmente destinato all'insuccesso.
Indipendentemente da tutto ciò che pensiamo del passato, non dobbiamo esserne prigionieri. I nostri problemi devono essere affrontati collaborando, diventando partner, condividendo tutti insieme il progresso.
Ciò non significa che dovremmo ignorare i motivi di tensione. Significa anzi esattamente il contrario: dobbiamo far fronte a queste tensioni senza indugio e con determinazione. Ed è quindi con questo spirito che vi chiedo di potervi parlare quanto più chiaramente e semplicemente mi sarà possibile di alcune questioni particolari che credo fermamente che dovremo in definitiva affrontare insieme.
Il primo problema che dobbiamo affrontare insieme è la violenza estremista in tutte le sue forme. Ad Ankara ho detto chiaramente che l'America non è - e non sarà mai - in guerra con l'Islam. In ogni caso, però, noi non daremo mai tregua agli estremisti violenti che costituiscono una grave minaccia per la nostra sicurezza. E questo perché anche noi disapproviamo ciò che le persone di tutte le confessioni religiose disapprovano: l'uccisione di uomini, donne e bambini innocenti. Il mio primo dovere in quanto presidente è quello di proteggere il popolo americano.
La situazione in Afghanistan dimostra quali siano gli obiettivi dell'America, e la nostra necessità di lavorare insieme. Oltre sette anni fa gli Stati Uniti dettero la caccia ad Al Qaeda e ai Taliban con un vasto sostegno internazionale. Non andammo per scelta, ma per necessità. Sono consapevole che alcuni mettono in dubbio o giustificano gli eventi dell'11 settembre. Cerchiamo però di essere chiari: quel giorno Al Qaeda uccise circa 3.000 persone. Le vittime furono uomini, donne, bambini innocenti, americani e di molte altre nazioni, che non avevano commesso nulla di male nei confronti di nessuno. Eppure Al Qaeda scelse deliberatamente di massacrare quelle persone, rivendicando gli attentati, e ancora adesso proclama la propria intenzione di continuare a perpetrare stragi di massa. Al Qaeda ha affiliati in molti Paesi e sta cercando di espandere il proprio raggio di azione. Queste non sono opinioni sulle quali polemizzare: sono dati di fatto da affrontare concretamente.
Non lasciatevi trarre in errore: noi non vogliamo che le nostre truppe restino in Afghanistan. Non abbiamo intenzione di impiantarvi basi militari stabili. È lacerante per l'America continuare a perdere giovani uomini e giovani donne. Portare avanti quel conflitto è difficile, oneroso e politicamente arduo. Saremmo ben lieti di riportare a casa anche l'ultimo dei nostri soldati se solo potessimo essere fiduciosi che in Afghanistan e in Pakistan non ci sono estremisti violenti che si prefiggono di massacrare quanti più americani possibile. Ma non è ancora così.
Questo è il motivo per cui siamo parte di una coalizione di 46 Paesi. Malgrado le spese e gli oneri che ciò comporta, l'impegno dell'America non è mai venuto e mai verrà meno. In realtà, nessuno di noi dovrebbe tollerare questi estremisti: essi hanno colpito e ucciso in molti Paesi. Hanno assassinato persone di ogni fede religiosa. Più di altri, hanno massacrato musulmani. Le loro azioni sono inconciliabili con i diritti umani, il progresso delle nazioni, l'Islam stesso.
Il Sacro Corano predica che chiunque uccida un innocente è come se uccidesse tutto il genere umano. E chiunque salva un solo individuo, in realtà salva tutto il genere umano. La fede profonda di oltre un miliardo di persone è infinitamente più forte del miserabile odio che nutrono alcuni. L'Islam non è parte del problema nella lotta all'estremismo violento: è anzi una parte importante nella promozione della pace.
Sappiamo anche che la sola potenza militare non risolverà i problemi in Afghanistan e in Pakistan: per questo motivo stiamo pianificando di investire fino a 1,5 miliardi di dollari l'anno per i prossimi cinque anni per aiutare i pachistani a costruire scuole e ospedali, strade e aziende, e centinaia di milioni di dollari per aiutare gli sfollati. Per questo stesso motivo stiamo per offrire 2,8 miliardi di dollari agli afgani per fare altrettanto, affinché sviluppino la loro economia e assicurino i servizi di base dai quali dipende la popolazione.
Permettetemi ora di affrontare la questione dell'Iraq: a differenza di quella in Afghanistan, la guerra in Iraq è stata voluta, ed è una scelta che ha provocato molti forti dissidi nel mio Paese e in tutto il mondo. Anche se sono convinto che in definitiva il popolo iracheno oggi viva molto meglio senza la tirannia di Saddam Hussein, credo anche che quanto accaduto in Iraq sia servito all'America per comprendere meglio l'uso delle risorse diplomatiche e l'utilità di un consenso internazionale per risolvere, ogniqualvolta ciò sia possibile, i nostri problemi. A questo proposito potrei citare le parole di Thomas Jefferson che disse: "Io auspico che la nostra saggezza cresca in misura proporzionale alla nostra potenza e ci insegni che quanto meno faremo ricorso alla potenza tanto più saggi saremo".
Oggi l'America ha una duplice responsabilità: aiutare l'Iraq a plasmare un miglior futuro per se stesso e lasciare l'Iraq agli iracheni. Ho già detto chiaramente al popolo iracheno che l'America non intende avere alcuna base sul territorio iracheno, e non ha alcuna pretesa o rivendicazione sul suo territorio o sulle sue risorse. La sovranità dell'Iraq è esclusivamente sua. Per questo ho dato ordine alle nostre brigate combattenti di ritirarsi entro il prossimo mese di agosto. Noi onoreremo la nostra promessa e l'accordo preso con il governo iracheno democraticamente eletto di ritirare il contingente combattente dalle città irachene entro luglio e tutti i nostri uomini dall'Iraq entro il 2012. Aiuteremo l'Iraq ad addestrare gli uomini delle sue Forze di Sicurezza, e a sviluppare la sua economia. Ma daremo sostegno a un Iraq sicuro e unito da partner, non da dominatori.
E infine, proprio come l'America non può tollerare in alcun modo la violenza perpetrata dagli estremisti, essa non può in alcun modo abiurare ai propri principi. L'11 settembre è stato un trauma immenso per il nostro Paese. La paura e la rabbia che quegli attentati hanno scatenato sono state comprensibili, ma in alcuni casi ci hanno spinto ad agire in modo contrario ai nostri stessi ideali. Ci stiamo adoperando concretamente per cambiare linea d'azione. Ho personalmente proibito in modo inequivocabile il ricorso alla tortura da parte degli Stati Uniti, e ho dato l'ordine che il carcere di Guantánamo Bay sia chiuso entro i primi mesi dell'anno venturo.
L'America, in definitiva, si difenderà rispettando la sovranità altrui e la legalità delle altre nazioni. Lo farà in partenariato con le comunità musulmane, anch'esse minacciate. Quanto prima gli estremisti saranno isolati e si sentiranno respinti dalle comunità musulmane, tanto prima saremo tutti più al sicuro.
La seconda più importante causa di tensione della quale dobbiamo discutere è la situazione tra israeliani, palestinesi e mondo arabo. Sono ben noti i solidi rapporti che legano Israele e Stati Uniti. Si tratta di un vincolo infrangibile, che ha radici in legami culturali che risalgono indietro nel tempo, nel riconoscimento che l'aspirazione a una patria ebraica è legittimo e ha anch'esso radici in una storia tragica, innegabile.
Nel mondo il popolo ebraico è stato perseguitato per secoli e l'antisemitismo in Europa è culminato nell'Olocausto, uno sterminio senza precedenti. Domani mi recherò a Buchenwald, uno dei molti campi nei quali gli ebrei furono resi schiavi, torturati, uccisi a colpi di arma da fuoco o con il gas dal Terzo Reich. Sei milioni di ebrei furono così massacrati, un numero superiore all'intera popolazione odierna di Israele.
Confutare questa realtà è immotivato, da ignoranti, alimenta l'odio. Minacciare Israele di distruzione - o ripetere vili stereotipi sugli ebrei - è profondamente sbagliato, e serve soltanto a evocare nella mente degli israeliani il ricordo più doloroso della loro Storia, precludendo la pace che il popolo di quella regione merita.
D'altra parte è innegabile che il popolo palestinese - formato da cristiani e musulmani - ha sofferto anch'esso nel tentativo di avere una propria patria. Da oltre 60 anni affronta tutto ciò che di doloroso è connesso all'essere sfollati. Molti vivono nell'attesa, nei campi profughi della Cisgiordania, di Gaza, dei Paesi vicini, aspettando una vita fatta di pace e sicurezza che non hanno mai potuto assaporare finora. Giorno dopo giorno i palestinesi affrontano umiliazioni piccole e grandi che sempre si accompagnano all'occupazione di un territorio. Sia dunque chiara una cosa: la situazione per il popolo palestinese è insostenibile. L'America non volterà le spalle alla legittima aspirazione del popolo palestinese alla dignità, alle pari opportunità, a uno Stato proprio.
Da decenni tutto è fermo, in uno stallo senza soluzione: due popoli con legittime aspirazioni, ciascuno con una storia dolorosa alle spalle che rende il compromesso quanto mai difficile da raggiungere. È facile puntare il dito: è facile per i palestinesi addossare alla fondazione di Israele la colpa del loro essere profughi. È facile per gli israeliani addossare la colpa alla costante ostilità e agli attentati che hanno costellato tutta la loro storia all'interno dei confini e oltre. Ma se noi insisteremo a voler considerare questo conflitto da una parte piuttosto che dall'altra, rimarremo ciechi e non riusciremo a vedere la verità: l'unica soluzione possibile per le aspirazioni di entrambe le parti è quella dei due Stati, dove israeliani e palestinesi possano vivere in pace e in sicurezza.
Questa soluzione è nell'interesse di Israele, nell'interesse della Palestina, nell'interesse dell'America e nell'interesse del mondo intero. È a ciò che io alludo espressamente quando dico di voler perseguire personalmente questo risultato con tutta la pazienza e l'impegno che questo importante obiettivo richiede. Gli obblighi per le parti che hanno sottoscritto la Road Map sono chiari e inequivocabili. Per arrivare alla pace, è necessario ed è ora che loro - e noi tutti con loro - facciamo finalmente fronte alle rispettive responsabilità.
I palestinesi devono abbandonare la violenza. Resistere con la violenza e le stragi è sbagliato e non porta ad alcun risultato. Per secoli i neri in America hanno subito i colpi di frusta, quando erano schiavi, e hanno patito l'umiliazione della segregazione. Ma non è stata certo la violenza a far loro ottenere pieni ed eguali diritti come il resto della popolazione: è stata la pacifica e determinata insistenza sugli ideali al cuore della fondazione dell'America. La stessa cosa vale per altri popoli, dal Sudafrica all'Asia meridionale, dall'Europa dell'Est all'Indonesia. Questa storia ha un'unica semplice verità di fondo: la violenza è una strada senza vie di uscita. Tirare razzi a bambini addormentati o far saltare in aria anziane donne a bordo di un autobus non è segno di coraggio né di forza. Non è in questo modo che si afferma l'autorità morale: questo è il modo col quale l'autorità morale al contrario cede e capitola definitivamente.
È giunto il momento per i palestinesi di concentrarsi su quello che possono costruire. L'Autorità Palestinese deve sviluppare la capacità di governare, con istituzioni che siano effettivamente al servizio delle necessità della sua gente. Hamas gode di sostegno tra alcuni palestinesi, ma ha anche delle responsabilità. Per rivestire un ruolo determinante nelle aspirazioni dei palestinesi, per unire il popolo palestinese, Hamas deve porre fine alla violenza, deve riconoscere gli accordi intercorsi, deve riconoscere il diritto di Israele a esistere.
Allo stesso tempo, gli israeliani devono riconoscere che proprio come il diritto a esistere di Israele non può essere in alcun modo messo in discussione, così è per la Palestina. Gli Stati Uniti non ammettono la legittimità dei continui insediamenti israeliani, che violano i precedenti accordi e minano gli sforzi volti a perseguire la pace. È ora che questi insediamenti si fermino.
Israele deve dimostrare di mantenere le proprie promesse e assicurare che i palestinesi possano effettivamente vivere, lavorare, sviluppare la loro società. Proprio come devasta le famiglie palestinesi, l'incessante crisi umanitaria a Gaza non è di giovamento alcuno alla sicurezza di Israele. Né è di giovamento per alcuno la costante mancanza di opportunità di qualsiasi genere in Cisgiordania. Il progresso nella vita quotidiana del popolo palestinese deve essere parte integrante della strada verso la pace e Israele deve intraprendere i passi necessari a rendere possibile questo progresso.
Infine, gli Stati Arabi devono riconoscere che l'Arab Peace Initiative è stato sì un inizio importante, ma che non pone fine alle loro responsabilità individuali. Il conflitto israelo-palestinese non dovrebbe più essere sfruttato per distogliere l'attenzione dei popoli delle nazioni arabe da altri problemi. Esso, al contrario, deve essere di incitamento ad agire per aiutare il popolo palestinese a sviluppare le istituzioni che costituiranno il sostegno e la premessa del loro Stato; per riconoscere la legittimità di Israele; per scegliere il progresso invece che l'incessante e autodistruttiva attenzione per il passato.
L'America allineerà le proprie politiche mettendole in sintonia con coloro che vogliono la pace e per essa si adoperano, e dirà ufficialmente ciò che dirà in privato agli israeliani, ai palestinesi e agli arabi. Noi non possiamo imporre la pace. In forma riservata, tuttavia, molti musulmani riconoscono che Israele non potrà scomparire. Allo stesso modo, molti israeliani ammettono che uno Stato palestinese è necessario. È dunque giunto il momento di agire in direzione di ciò che tutti sanno essere vero e inconfutabile.
Troppe sono le lacrime versate; troppo è il sangue sparso inutilmente. Noi tutti condividiamo la responsabilità di dover lavorare per il giorno in cui le madri israeliane e palestinesi potranno vedere i loro figli crescere insieme senza paura; in cui la Terra Santa delle tre grandi religioni diverrà quel luogo di pace che Dio voleva che fosse; in cui Gerusalemme sarà la casa sicura ed eterna di ebrei, cristiani e musulmani insieme, la città di pace nella quale tutti i figli di Abramo vivranno insieme in modo pacifico come nella storia di Isra, allorché Mosé, Gesù e Maometto (la pace sia con loro) si unirono in preghiera. Terza causa di tensione è il nostro comune interesse nei diritti e nelle responsabilità delle nazioni nei confronti delle armi nucleari. Questo argomento è stato fonte di grande preoccupazione tra gli Stati Uniti e la Repubblica islamica iraniana. Da molti anni l'Iran si distingue per la propria ostilità nei confronti del mio Paese e in effetti tra i nostri popoli ci sono stati episodi storici violenti. Nel bel mezzo della Guerra Fredda, gli Stati Uniti hanno avuto parte nel rovesciamento di un governo iraniano democraticamente eletto. Dalla Rivoluzione Islamica, l'Iran ha rivestito un ruolo preciso nella cattura di ostaggi e in episodi di violenza contro i soldati e i civili statunitensi. Tutto ciò è ben noto. Invece di rimanere intrappolati nel passato, ho detto chiaramente alla leadership iraniana e al popolo iraniano che il mio Paese è pronto ad andare avanti. La questione, adesso, non è capire contro cosa sia l'Iran, ma piuttosto quale futuro intenda costruire.
Sarà sicuramente difficile superare decenni di diffidenza, ma procederemo ugualmente, con coraggio, con onestà e con determinazione. Ci saranno molti argomenti dei quali discutere tra i nostri due Paesi, ma noi siamo disposti ad andare avanti in ogni caso, senza preconcetti, sulla base del rispetto reciproco. È chiaro tuttavia a tutte le persone coinvolte che riguardo alle armi nucleari abbiamo raggiunto un momento decisivo. Non è unicamente nell'interesse dell'America affrontare il tema: si tratta qui di evitare una corsa agli armamenti nucleari in Medio Oriente, che potrebbe portare questa regione e il mondo intero verso una china molto pericolosa.
Capisco le ragioni di chi protesta perché alcuni Paesi hanno armi che altri non hanno. Nessuna nazione dovrebbe scegliere e decidere quali nazioni debbano avere armi nucleari. È per questo motivo che io ho ribadito con forza l'impegno americano a puntare verso un futuro nel quale nessuna nazione abbia armi nucleari. Tutte le nazioni - Iran incluso - dovrebbero avere accesso all'energia nucleare a scopi pacifici se rispettano i loro obblighi e le loro responsabilità previste dal Trattato di Non Proliferazione. Questo è il nocciolo, il cuore stesso del Trattato e deve essere rispettato da tutti coloro che lo hanno sottoscritto. Spero pertanto che tutti i Paesi nella regione possano condividere questo obiettivo.
Il quarto argomento di cui intendo parlarvi è la democrazia. Sono consapevole che negli ultimi anni ci sono state controversie su come vada incentivata la democrazia e molte di queste discussioni sono riconducibili alla guerra in Iraq. Permettetemi di essere chiaro: nessun sistema di governo può o deve essere imposto da una nazione a un'altra.
Questo non significa, naturalmente, che il mio impegno in favore di governi che riflettono il volere dei loro popoli, ne esce diminuito. Ciascuna nazione dà vita e concretizza questo principio a modo suo, sulla base delle tradizioni della sua gente. L'America non ha la pretesa di conoscere che cosa sia meglio per ciascuna nazione, così come noi non presumeremmo mai di scegliere il risultato in pacifiche consultazioni elettorali. Ma io sono profondamente e irremovibilmente convinto che tutti i popoli aspirano a determinate cose: la possibilità di esprimersi liberamente e decidere in che modo vogliono essere governati; la fiducia nella legalità e in un'equa amministrazione della giustizia; un governo che sia trasparente e non si approfitti del popolo; la libertà di vivere come si sceglie di voler vivere. Questi non sono ideali solo americani: sono diritti umani, ed è per questo che noi li sosterremo ovunque.
La strada per realizzare questa promessa non è rettilinea. Ma una cosa è chiara e palese: i governi che proteggono e tutelano i diritti sono in definitiva i più stabili, quelli di maggior successo, i più sicuri. Soffocare gli ideali non è mai servito a farli sparire per sempre. L'America rispetta il diritto di tutte le voci pacifiche e rispettose della legalità a farsi sentire nel mondo, anche qualora fosse in disaccordo con esse. E noi accetteremo tutti i governi pacificamente eletti, purché governino rispettando i loro stessi popoli.
Quest'ultimo punto è estremamente importante, perché ci sono persone che auspicano la democrazia soltanto quando non sono al potere: poi, una volta al potere, sono spietati nel sopprimere i diritti altrui. Non importa chi è al potere: è il governo del popolo ed eletto dal popolo a fissare l'unico parametro per tutti coloro che sono al potere. Occorre restare al potere solo col consenso, non con la coercizione; occorre rispettare i diritti delle minoranze e partecipare con uno spirito di tolleranza e di compromesso; occorre mettere gli interessi del popolo e il legittimo sviluppo del processo politico al di sopra dei propri interessi e del proprio partito. Senza questi elementi fondamentali, le elezioni da sole non creano una vera democrazia. Il quinto argomento del quale dobbiamo occuparci tutti insieme è la libertà religiosa. L'Islam ha una fiera tradizione di tolleranza: lo vediamo nella storia dell'Andalusia e di Cordoba durante l'Inquisizione. Con i miei stessi occhi da bambino in Indonesia ho visto che i cristiani erano liberi di professare la loro fede in un Paese a stragrande maggioranza musulmana. Questo è lo spirito che ci serve oggi. I popoli di ogni Paese devono essere liberi di scegliere e praticare la loro fede sulla sola base delle loro convinzioni personali, la loro predisposizione mentale, la loro anima, il loro cuore. Questa tolleranza è essenziale perché la religione possa prosperare, ma purtroppo essa è minacciata in molteplici modi.
Tra alcuni musulmani predomina un'inquietante tendenza a misurare la propria fede in misura proporzionale al rigetto delle altre. La ricchezza della diversità religiosa deve essere sostenuta, invece, che si tratti dei maroniti in Libano o dei copti in Egitto. E anche le linee di demarcazione tra le varie confessioni devono essere annullate tra gli stessi musulmani, considerato che le divisioni di sunniti e sciiti hanno portato a episodi di particolare violenza, specialmente in Iraq.
La libertà di religione è fondamentale per la capacità dei popoli di convivere. Dobbiamo sempre esaminare le modalità con le quali la proteggiamo. Per esempio, negli Stati Uniti le norme previste per le donazioni agli enti di beneficienza hanno reso più difficile per i musulmani ottemperare ai loro obblighi religiosi. Per questo motivo mi sono impegnato a lavorare con i musulmani americani per far sì che possano obbedire al loro precetto dello zakat.
Analogamente, è importante che i Paesi occidentali evitino di impedire ai cittadini musulmani di praticare la religione come loro ritengono più opportuno, per esempio legiferando quali indumenti debba o non debba indossare una donna musulmana. Noi non possiamo camuffare l'ostilità nei confronti di una religione qualsiasi con la pretesa del liberalismo.
È vero il contrario: la fede dovrebbe avvicinarci. Ecco perché stiamo mettendo a punto dei progetti di servizio in America che vedano coinvolti insieme cristiani, musulmani ed ebrei. Ecco perché accogliamo positivamente gli sforzi come il dialogo interreligioso del re Abdullah dell'Arabia Saudita e la leadership turca nell'Alliance of Civilizations. In tutto il mondo, possiamo trasformare il dialogo in un servizio interreligioso, così che i ponti tra i popoli portino all'azione e a interventi concreti, come combattere la malaria in Africa o portare aiuto e conforto dopo un disastro naturale. Il sesto problema di cui vorrei che ci occupassimo insieme sono i diritti delle donne. So che si discute molto di questo e respingo l'opinione di chi in Occidente crede che se una donna sceglie di coprirsi la testa e i capelli è in qualche modo "meno uguale". So però che negare l'istruzione alle donne equivale sicuramente a privare le donne di uguaglianza. E non è certo una coincidenza che i Paesi nei quali le donne possono studiare e sono istruite hanno maggiori probabilità di essere prosperi.
Vorrei essere chiaro su questo punto: la questione dell'eguaglianza delle donne non riguarda in alcun modo l'Islam. In Turchia, in Pakistan, in Bangladesh e in Indonesia, abbiamo visto Paesi a maggioranza musulmana eleggere al governo una donna. Nel frattempo la battaglia per la parità dei diritti per le donne continua in molti aspetti della vita americana e anche in altri Paesi di tutto il mondo.
Le nostre figlie possono dare un contributo alle nostre società pari a quello dei nostri figli, e la nostra comune prosperità trarrà vantaggio e beneficio consentendo a tutti gli esseri umani - uomini e donne - di realizzare a pieno il loro potenziale umano. Non credo che una donna debba prendere le medesime decisioni di un uomo, per essere considerata uguale a lui, e rispetto le donne che scelgono di vivere le loro vite assolvendo ai loro ruoli tradizionali. Ma questa dovrebbe essere in ogni caso una loro scelta. Ecco perché gli Stati Uniti saranno partner di qualsiasi Paese a maggioranza musulmana che voglia sostenere il diritto delle bambine ad accedere all'istruzione, e voglia aiutare le giovani donne a cercare un'occupazione tramite il microcredito che aiuta tutti a concretizzare i propri sogni.
Infine, vorrei parlare con voi di sviluppo economico e di opportunità. So che agli occhi di molti il volto della globalizzazione è contraddittorio. Internet e la televisione possono portare conoscenza e informazione, ma anche forme offensive di sessualità e di violenza fine a se stessa. I commerci possono portare ricchezza e opportunità, ma anche grossi problemi e cambiamenti per le comunità località. In tutte le nazioni - compresa la mia - questo cambiamento implica paura. Paura che a causa della modernità noi si possa perdere il controllo sulle nostre scelte economiche, le nostre politiche, e cosa ancora più importante, le nostre identità, ovvero le cose che ci sono più care per ciò che concerne le nostre comunità, le nostre famiglie, le nostre tradizioni e la nostra religione.
So anche, però, che il progresso umano non si può fermare. Non ci deve essere contraddizione tra sviluppo e tradizione. In Paesi come Giappone e Corea del Sud l'economia cresce mentre le tradizioni culturali sono invariate. Lo stesso vale per lo straordinario progresso di Paesi a maggioranza musulmana come Kuala Lumpur e Dubai. Nei tempi antichi come ai nostri giorni, le comunità musulmane sono sempre state all'avanguardia nell'innovazione e nell'istruzione.
Quanto ho detto è importante perché nessuna strategia di sviluppo può basarsi soltanto su ciò che nasce dalla terra, né può essere sostenibile se molti giovani sono disoccupati. Molti Stati del Golfo Persico hanno conosciuto un'enorme ricchezza dovuta al petrolio, e alcuni stanno iniziando a programmare seriamente uno sviluppo a più ampio raggio. Ma dobbiamo tutti riconoscere che l'istruzione e l'innovazione saranno la valuta del XXI secolo, e in troppe comunità musulmane continuano a esserci investimenti insufficienti in questi settori. Sto dando grande rilievo a investimenti di questo tipo nel mio Paese. Mentre l'America in passato si è concentrata sul petrolio e sul gas di questa regione del mondo, adesso intende perseguire qualcosa di completamente diverso.
Dal punto di vista dell'istruzione, allargheremo i nostri programmi di scambi culturali, aumenteremo le borse di studio, come quella che consentì a mio padre di andare a studiare in America, incoraggiando un numero maggiore di americani a studiare nelle comunità musulmane. Procureremo agli studenti musulmani più promettenti programmi di internship in America; investiremo sull'insegnamento a distanza per insegnanti e studenti di tutto il mondo; creeremo un nuovo network online, così che un adolescente in Kansas possa scambiare istantaneamente informazioni con un adolescente al Cairo.
Per quanto concerne lo sviluppo economico, creeremo un nuovo corpo di volontari aziendali che lavori con le controparti in Paesi a maggioranza musulmana. Organizzerò quest'anno un summit sull'imprenditoria per identificare in che modo stringere più stretti rapporti di collaborazione con i leader aziendali, le fondazioni, le grandi società, gli imprenditori degli Stati Uniti e delle comunità musulmane sparse nel mondo.
Dal punto di vista della scienza e della tecnologia, lanceremo un nuovo fondo per sostenere lo sviluppo tecnologico nei Paesi a maggioranza musulmana, e per aiutare a tradurre in realtà di mercato le idee, così da creare nuovi posti di lavoro. Apriremo centri di eccellenza scientifica in Africa, in Medio Oriente e nel Sudest asiatico; nomineremo nuovi inviati per la scienza per collaborare a programmi che sviluppino nuove fonti di energia, per creare posti di lavoro "verdi", monitorare i successi, l'acqua pulita e coltivare nuove specie. Oggi annuncio anche un nuovo sforzo globale con l'Organizzazione della Conferenza Islamica mirante a sradicare la poliomielite. Espanderemo inoltre le forme di collaborazione con le comunità musulmane per favorire e promuovere la salute infantile e delle puerpere. Tutte queste cose devono essere fatte insieme. Gli americani sono pronti a unirsi ai governi e ai cittadini di tutto il mondo, le organizzazioni comunitarie, gli esponenti religiosi, le aziende delle comunità musulmane di tutto il mondo per permettere ai nostri popoli di vivere una vita migliore.
I problemi che vi ho illustrato non sono facilmente risolvibili, ma abbiamo tutti la responsabilità di unirci per il bene e il futuro del mondo che vogliamo, un mondo nel quale gli estremisti non possano più minacciare i nostri popoli e nel quale i soldati americani possano tornare alle loro case; un mondo nel quale gli israeliani e i palestinesi siano sicuri nei loro rispettivi Stati e l'energia nucleare sia utilizzata soltanto a fini pacifici; un mondo nel quale i governi siano al servizio dei loro cittadini e i diritti di tutti i figli di Dio siano rispettati. Questi sono interessi reciproci e condivisi. Questo è il mondo che vogliamo. Ma potremo arrivarci soltanto insieme.
So che molte persone - musulmane e non musulmane - mettono in dubbio la possibilità di dar vita a questo nuovo inizio. Alcuni sono impazienti di alimentare la fiamma delle divisioni, e di intralciare in ogni modo il progresso. Alcuni lasciano intendere che il gioco non valga la candela, che siamo predestinati a non andare d'accordo, e che le civiltà siano avviate a scontrarsi. Molti altri sono semplicemente scettici e dubitano fortemente che un cambiamento possa esserci. E poi ci sono la paura e la diffidenza. Se sceglieremo di rimanere ancorati al passato, non faremo mai passi avanti. E vorrei dirlo con particolare chiarezza ai giovani di ogni fede e di ogni Paese: "Voi, più di chiunque altro, avete la possibilità di cambiare questo mondo".
Tutti noi condividiamo questo pianeta per un brevissimo istante nel tempo. La domanda che dobbiamo porci è se intendiamo trascorrere questo brevissimo momento a concentrarci su ciò che ci divide o se vogliamo impegnarci insieme per uno sforzo - un lungo e impegnativo sforzo - per trovare un comune terreno di intesa, per puntare tutti insieme sul futuro che vogliamo dare ai nostri figli, e per rispettare la dignità di tutti gli esseri umani.
È più facile dare inizio a una guerra che porle fine. È più facile accusare gli altri invece che guardarsi dentro. È più facile tener conto delle differenze di ciascuno di noi che delle cose che abbiamo in comune. Ma nostro dovere è scegliere il cammino giusto, non quello più facile. C'è un unico vero comandamento al fondo di ogni religione: fare agli altri quello che si vorrebbe che gli altri facessero a noi. Questa verità trascende nazioni e popoli, è un principio, un valore non certo nuovo. Non è nero, non è bianco, non è marrone. Non è cristiano, musulmano, ebreo. É un principio che si è andato affermando nella culla della civiltà, e che tuttora pulsa nel cuore di miliardi di persone. È la fiducia nel prossimo, è la fiducia negli altri, ed è ciò che mi ha condotto qui oggi.
Noi abbiamo la possibilità di creare il mondo che vogliamo, ma soltanto se avremo il coraggio di dare il via a un nuovo inizio, tenendo in mente ciò che è stato scritto. Il Sacro Corano dice: "Oh umanità! Sei stata creata maschio e femmina. E ti abbiamo fatta in nazioni e tribù, così che voi poteste conoscervi meglio gli uni gli altri". Nel Talmud si legge: "La Torah nel suo insieme ha per scopo la promozione della pace". E la Sacra Bibbia dice: "Beati siano coloro che portano la pace, perché saranno chiamati figli di Dio".
Sì, i popoli della Terra possono convivere in pace. Noi sappiamo che questo è il volere di Dio. E questo è il nostro dovere su questa Terra. Grazie, e che la pace di Dio sia con voi.


(Traduzione di Anna Bissanti)
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martedì 26 maggio 2009

Il nuovo volto crudele


di Raniero La Valle

Non ripeteremo qui tutte le critiche che sono state rivolte alla pia pratica del “respingimento” in mare dei profughi di colore, a difesa del codice di purità della presunta “monoetnia” italiana (Berlusconi), né rivangheremo le accuse lanciate contro i provvedimenti del cosiddetto “pacchetto sicurezza”.
Contro questa galleria degli orrori hanno parlato l’ONU, il Consiglio d’Europa, vescovi e comunità ecclesiali, Napolitano e quasi tutti i giornalisti e i politici non corrotti dai profitti di regime. I lettori di questa pagina saranno ormai certamente informati di tutto ciò, perché questa volta si è trattato di una macchinazione politica che non poteva restare occultata. Così oggi tutti sanno che l’Italia ha varato un suo “statuto degli stranieri”, per il quale gli stranieri non autorizzati non possono essere salvati in mare, ma al contrario di Giona, devono essere risospinti nel ventre del pesce (ovvero della Libia); non possono migrare in Europa, benché lo “ius migrandi” faccia parte delle “radici cristiane” dell’Europa, essendo stato posto da Francisco De Vitoria a fondamento della “scoperta” dell’America e del diritto degli spagnoli a installarvisi al posto dei nativi; non possono abitare (chi affitta loro una casa compie un reato); non possono partorire in ospedale, pena la denuncia; possono avere un battesimo ma non un atto di nascita; non possono andare a scuola oltre l’età dell’obbligo, e in qualche città non possono andare ai giardini in più di tre persone. I giuristi, anche sporgendo denuncia contro il governo, hanno riempito pagine e pagine con l’elenco di tutte le norme violate: Carta dell’ONU, Dichiarazione universale dei diritti umani, Costituzione italiana, Convenzioni di Ginevra e Patti internazionali europei e mondiali. I cristiani ci potrebbero mettere di loro l’elencazione di tutte le pagine del Vangelo tradite e dei passi pertinenti delle Costituzioni e Dichiarazioni del Concilio. Si dovrebbero poi aggiungere le critiche alle altre follie legislative del pacchetto sicurezza, dalle ronde parapoliziesche all’aumento a pioggia delle aggravanti per reati di maggiore attrattiva mediatica.
Tutto ciò si può dare per scontato.
Ma quello che si deve dire ancora è che la classe che ci governa non ha il diritto di farci essere crudeli. Una maggioranza transitoria che presto potrebbe essere rovesciata, sta cambiando la figura dell’Italia, facendole assumere un volto spietato e crudele, egoista e violento.
L’Italia non era così. Era un Paese mite e gentile, tollerante e pacifico; in Palestina cercava di mettere d’accordo il diavolo e l’acqua santa, nella guerra fredda anticipava la multilateralità della globalizzazione, una volta addirittura invece di respingere i fuggiaschi, respinse gli americani che volevano catturarli; certo, ha fatto anche molti errori, la sua accondiscendenza agli alleati l’ha fatta partecipare a qualche guerra di troppo, ha esportato armi e mafie, e talvolta ci facciamo ridere dietro perché mandiamo in giro un presidente del Consiglio che racconta barzellette.
Ma mai era successo che i suoi marinai si lamentassero di eseguire “ordini infami”, che ai perseguitati fosse negato il diritto stesso di chiedere asilo, che naufraghi stremati, donne incinte e bambini fossero raccolti in mare e scaricati come rifiuti sulle coste dirimpetto.
L’Italia non era maledetta, perché non malediva; l’ultima volta l’aveva fatto col fascismo, che aveva invocato: “Dio stramaledica gli inglesi”; ma quello, come ha detto Benedetto XVI del nazismo, era “un regime senza Dio”, razzista e xenofobo.
Nessun governo ha il diritto di ridare all’Italia quel volto. Né potrebbe farlo, se l’antifascismo funzionasse ancora da antidoto. Ma da molto tempo esso è sotto attacco. E adesso capiamo dove portava quel rivalutare “i ragazzi di Salò”; ora capiamo perché si volesse sottoporre a revisione il passato, mettere sullo stesso piano fascisti e partigiani, mettere a carico della resistenza, come un’onta, “il sangue dei vinti”, e perfino cambiare il nome alla festa della liberazione: quando liberazione è il frutto di una lotta, e non si può celebrare per sé se non se ne riconosce il diritto anche agli altri, mentre libertà è lo stato o il privilegio di chi comunque l’ha ricevuta e ne gode anche da solo, e nella tradizione liberale è sempre stata associata, se non identificata, con la proprietà.
Far cadere la differenza tra fascismo e antifascismo, negare il patrimonio ideale su cui storicamente si è costruita la democrazia repubblicana, è la via attraverso cui una classe dirigente che, per la sua origine, in siffatta Repubblica si sente priva di legittimazione, cerca di darsene una. Ma il prezzo di tale legittimazione verrebbe fatto pagare all’Italia, se essa dovesse riassumere il volto, e anzi la maschera, di una nazione arrogante e incivile, a cui, al vederla, i popoli fischieranno o da cui distoglieranno lo sguardo.

Raniero La Valle
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venerdì 15 maggio 2009

Domenico Gallo: siamo all'esclusione dei diritti fondamentali per una parte di umanità

intervista di Cinzia Gubbini a Domenico Gallo

Dal quotidiano "Il manifesto" del 13 maggio 2009 col titolo "Il magistrato: Non sono respingimenti ma vere deportazioni" e il sottotitolo "L'operazione viola anche la Costituzione"

Domenico Gallo, magistrato presso il Tribunale di Roma, studia da anni questioni attinenti il diritto internazionale e i diritti dell'uomo. Lo intervistiamo sui respingimenti in Libia decisi dal governo italiano e sulle implicazioni presenti e future.


- Cinzia Gubbini: Dottore, i respingimenti verso la Libia sono legittimi?
- Domenico Gallo: Assolutamente no.
- Cinzia Gubbini: Di cosa parla, dunque, chi dice che questa operazione è legale, a partire dal presidente del Consiglio?
- Domenico Gallo: Probabilmente si riferisce a una missione europea che si chiama Frontex e che riguarda la sorveglianza delle frontiere per contrastare lo sbarco di migranti irregolari. Ma qui ci troviamo di fronte a una situazione completamente diversa. Non si tratta di dissuadere uno sbarco. Stiamo parlando di persone che sono state prelevate, fatte salire su navi militari italiane e quindi assoggettate alla sovranita' italiana - il codice penale dice che la nave e' territorio italiano. Inoltre, sono state sottoposte a un provvedimento coercitivo, nel momento in cui sono state riaccompagnate verso un paese dove non volevano andare. Un provvedimento per giunta collettivo, non individuale. Quindi, piu' che un'espulsione collettiva e' stata una deportazione collettiva. Questo tipo di procedura è vietato dal diritto penale internazionale: in tutte le convenzioni internazionali e' contemplato il divieto di espellere collettivamente gli stranieri.

- Cinzia Gubbini: Cosa avrebbero dovuto fare gli italiani?
- Domenico Gallo: Avrebbero dovuto attuare la lege Bossi-Fini. Che, all'articolo 10, prevede il cosiddetto "respingimento differito". Gli stranieri bisognosi di un soccorso possono essere respinti dopo essere stati salvati. Ma il provvedimento adottato dal prefetto deve essere individuale. La legge inoltre esclude, all'articolo 19, le persone minori di anni 18, le donne in stato di gravidanza, i richiedenti asilo, le persone che potrebbero essere soggette a atti persecutori nel paese di riammissione.

- Cinzia Gubbini: A proposito del paese di riammissione, cosa si puo' dire sulla Libia?
- Domenico Gallo: Che non e' un paese sicuro. L'Italia puo' ovviamente stipulare accordi con la Libia, ma essi non possono essere contrari a norme imperative del diritto internazionale. E quello firmato prima da Amato e poi da Berlusconi non costringe di certo il nostro paese a consegnare chi viaggia sui barconi alla Libia. Semplicemente, la Libia accetta le persone che l'Italia decide di rimandare indietro. Ma l'utilizzo o meno di questa procedura dipende dall'Italia. Ovviamente l'Italia non si obbliga a violare le proprie norme in materia di immigrazione, come anche il rispetto della Convenzione di Ginevra sui richiedenti asilo e rifugiati. Questa Convenzione non impone di accettare le domande, ma impone il divieto di espellere i richiedenti asilo che uno Stato non vuole verso un paese dove potrebbero subire persecuzioni. Quindi, nel caso dei respingimenti di questi giorni, l'Italia sta violando le sue stesse leggi, le leggi internazionali e anche la Costituzione che non consente di derogare agli obblighi internazionali.
- Cinzia Gubbini: Perche' la Costituzione prevede anche questi casi?
- Domenico Gallo: Si', e' il nuovo articolo 117, come modificato dalla riforma del titolo V, il cosiddetto federalismo. In cui si specifica che la potesta' legislativa di stato e regioni si esercita non solo nel rispetto della Costituzione, ma anche "dei vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali". Prima di questa riforma c'era un ampio dibattito giuridico sulla possibilita' o meno di violare gli obblighi internazionali, che questa nuova formulazione ha superato.


- Cinzia Gubbini: Ma se l'Italia decidesse di non caricare piu' i profughi a bordo delle navi militari, e decidesse di creare una specie di blocco navale, sarebbe legittimo?
- Domenico Gallo: E' qui che c'e' una schizofrenia, politica e legislativa. Non puoi fare una missione militare che impedisca a una nave di profughi di sbarcare sulle tue frontiere, visto che sei obbligato ad affrontare il problema se abbiano o meno il diritto di asilo. Se uno stato volesse attuare un blocco navale, allora dovrebbe aprire degli uffici preposti al vaglio delle domande di asilo nei paesi di partenza.
- Cinzia Gubbini: Anche questo e' un argomento che sta prendendo piede. Ma e' lecito che uno Stato "sposti" le proprie frontiere in un paese terzo?
- Domenico Gallo: Innanzitutto un'operazione di questo tipo richiederebbe la collaborazione del paese terzo: parliamo anche della necessita' di trattenere queste persone per un determinato periodo, quindi si dovrebberocreare delle Commissioni ad hoc, inoltre andrebbe garantito un vaglio giurisdizionale. Si tratta di atti di sovranita' esercitati in un altro Stato. Si potrebbe fare soltanto in presenza di un accordo di ferro. Mi sembra piuttosto problematico. Si tratterebbe poi di aprire uffici europei, poiche' le persone che approdano in Italia, o a Malta, in realta' vogliono chiedere asilo anche ad altri paesi dell'Unione.
- Cinzia Gubbini: Ma la Convenzione Dublino II impone di presentare la richiesta nel primo paese di approdo...
- Domenico Gallo: Ecco, questo mi sembra un limite che i paesi europei dovrebbero superare: e' chiaro che non si puo' scaricare tutto il peso sui paesi rivieraschi.

- Cinzia Gubbini: Tornando ai respingimenti, siamo di fronte al tramonto dei diritti individuali?
- Domenico Gallo: Credo che il fenomeno di fondo sia la caduta dell'universalita'. Dal respingimento dei profughi alle nuove leggi in approvazione sull'immigrazione, osserviamo l'esclusione di una parte dell'umanita' dal godimento dei diritti fondamentali che una volta erano concepiti come universali. Di fatto, non viene piu' contemplata un'unica famiglia umana.
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giovedì 14 maggio 2009

MEMORIA, NON NOSTALGIA: I PERCHE' DELLA CANDIDATURA NELLA LISTA COMUNISTA ALLE EUROPEE


DI RANIERO LA VALLE

Quando nel 1976 fui candidato come indipendente nelle liste del PCI, la prima volta che mi fotografarono davanti al simbolo della falce e martello ebbi un trauma, avrei voluto nascondermi. Ma attraverso quella porta stretta potei entrare in contatto con una nuova realtà, con un pezzo di popolo straordinario, che non conoscevo, e che veniva diffamato perché comunista. Conobbi operai del Nord e contadini siciliani che attraverso quella porta avevano trovato la loro dignità, non andavano più col cappello in mano davanti al padrone. Come dice ora il mio meccanico di allora (si chiama Mario, aveva l’officina a Corso Francia, vicino alla casa di Berlinguer), “le sezioni del PCI erano delle università, e il più sprovveduto quando usciva da lì e si incontrava con gli altri, era un genio”. Ora, in una cultura politica che ha fatto il deserto chiamandolo “il nuovo che avanza”, e del deserto ha fatto una prateria per il galoppo della destra, che qualcuno abbia l’orgoglio del passato e voglia avanzare verso il nuovo senza negare la continuità e la memoria, mi sembra meritorio. Forse un giorno non sarà più necessario, ma oggi serve ancora.
In antico, quando si partiva, si portavano con sé i penati; se il viaggio era lungo si portavano anche i cimeli della casa. Quando si avanza nella vita, nulla deve essere perduto delle ricchezze di prima; senza radici non c’è cultura, senza memoria non c’è futuro, senza fondamenti non c’è democrazia. Le ideologie devono essere ripensate, le eredità si accettano con beneficio d’inventario, il male fatto deve essere ripudiato, ma non si può buttare il passato nella pattumiera della storia, almeno la raccolta deve essere differenziata.
La nostra civiltà occidentale trae la sua origine da un evento – l’uscita di Israele dall’Egitto – che non fu una bella cosa, perché comportò lo sterminio dei bambini egiziani innocenti. Ogni volta che lo sento ricordare, nella notte di Pasqua, ho un sussulto. Eppure dopo più di tremila anni ebrei e cristiani fanno memoria di quell’evento, perché nonostante tutto fu un evento di liberazione, e senza quell’evento non esisterebbe né ebraismo né cristianesimo, e forse nemmeno l’illuminismo e la democrazia.
Quindi ben venga che i comunisti si ricordino di essere comunisti, che i proletari si ricordino di essersi liberati, che i servi si ricordino di essere diventati signori, che i precari si ricordino che un giorno ci fu lo statuto dei lavoratori; e ben venga che i non comunisti riconoscano che questa non è nostalgia, non è ripiegamento identitario, non è un ristagno di culture dismesse o obsolete, ma è una risorsa della storia, è un rendere grazie al sacrificio dei padri, è un trarre dal passato gli esempi, è un riprendere in mano le carte per giocare un’altra partita politica.
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martedì 12 maggio 2009

LEGGI RAZZIALI?

di RANIERO LA VALLE


Quando ero bambino fui colpito da un’invettiva del fascismo che diceva: “Dio stramaledica gli inglesi”. Mi regalarono anche un distintivo dove c’era scritto così. Per quel poco che sapevo di Dio, mi pareva impossibile che Dio potesse maledire gli inglesi che, come tutti gli altri, aveva creato. Forse fu allora che, da Balilla che ero, nel mio cuore divenni antifascista (i bambini possono essere antifascisti).
Oggi il Dio Po non può certo stramaledire gli stranieri. Ma la Lega toglie loro la qualità di uomini: non possono partorire, curarsi, andare a scuola, affittare una casa, viaggiare e avere gli altri diritti fondamentali se il governo non glieli concede facendo loro la grazia del permesso di soggiorno. Altrimenti sono colpevoli di un fatto che solo per gli stranieri costituisce reato: quello di stare in Italia. Ma poiché colpisce gli stranieri di tutte le razze, si potrebbe dire che non sia di per sé una legge razziale. Non si preferisce una razza a un’altra. Una vera legge razziale ce l’abbiamo in Italia, anche questa a causa della Lega, ed è la legge del 29 dicembre 1999 che sarebbe fatta per tutelare le minoranze linguistiche, ma si rifiuta di riconoscere come esistente l’etnia zingara e la lingua dei Rom. La legge Maroni-Berlusconi (su cui quest’ultimo si gioca la fiducia) va invece più in là, perché non riconosce l’appartenenza alla razza umana di tutti gli stranieri, prima del provvedimento amministrativo che gliela conceda. Perciò potrebbe essere chiamata piuttosto legge ammazza-stranieri.
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lunedì 11 maggio 2009

Raniero La Valle: perchè candidarsi ancora?


Per l’Italia, perché c’è da salvare la democrazia. Per questo non c’è età, e vorrei che i giovani lo capissero. Senza un vero Parlamento non c’è democrazia. Quello di oggi è in mano a una sola persona. Col premio di maggioranza, l’ultima volta, ne sono state escluse le sinistre. Ora, con lo sbarramento alle europee, e poi col referendum del 21 giugno si vorrebbero sopprimere tutti gli altri partiti ad eccezione di due. Ma di questi, uno solo avrebbe Bruno Vespa e tutte le televisioni per sé. E mentre guardi la televisione ti svaligiano la casa. Questa volta perciò il voto utile è per il pluralismo, per la democrazia delle pari opportunità politiche, per i valori scoperti e proposti dalle minoranze. Per l’Europa, perché se in Europa tutto il potere è alle banche, noi siamo perduti. E non potremmo fare pace col mondo. Invece l’Europa fiorisce e si salva solo se si sposa col mondo, se si unisce a Obama contro la revanche dei patiti della guerra, se preserva la salute dell’Africa, se riesce a fare i due Stati in Palestina, se incontra l’Islam non solo per il suo petrolio, se stabilisce rapporti di civiltà con la Cina, nel ricordo di Marco Polo, se riprendendo la lezione di Gandhi instaura rapporti non violenti tra l’Occidente e tutte le Indie del mondo. Questo lo devono fare i giovani. Noi non ce ne andiamo ancora, ma aspettiamo con ansia che arrivino.




Raniero La Valle
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domenica 10 maggio 2009

L’ORDINE INFAME

Di RANIERO LA VALLE


L’Italia sta vivendo una tragedia. Perché da un lato il presidente del Consiglio offre materia da avanspettacolo e i suoi avvocati in TV ne difendono il diritto ai lazzi, dall’altro il suo ministro degli Interni dà al Paese un volto feroce che getta la gente nel pianto.
Quello che è avvenuto sulle due motovedette della marina che andavano a scaricare i profughi in Libia, e che gli stessi militari hanno raccontato (ma uno di loro ha detto che mai oserà raccontarlo ai suoi figli), scrive una pagina d’infamia nella storia del nostro Paese.
Ha detto uno dei protagonisti che è stato “l’ordine più infame” che abbia mai eseguito.
Era appunto per questo che avevamo fatto in Parlamento la legge sull’obiezione di coscienza al servizio militare: perché nessuno fosse costretto a eseguire ordini infami.
Ma è proprio per far fuori l’obiezione, che hanno tolto l’obbligo militare e preso i militari per denaro, sicché nessuno più possa obiettare ma solo venir meno a un contratto, perdere il lavoro e andare in mezzo a una strada.
Ora deve essere chiaro che questa infamia non ricade tanto su chi ha eseguito gli ordini, e non è nemmeno solo della Lega, che quegli ordini ha voluto e impartito, ma ricade su tutto il Paese: perché la Lega non solo è al governo, ma ha le chiavi del governo, è una sola cosa per confluenza di interessi col presidente del Consiglio, ha il comando delle forze dell’ordine, sia militari che civili, ed esprime pertanto al massimo grado la politica italiana, non nella sua continuità, ma nel suo cambiamento, avendo lo stesso ministro Maroni definito come una svolta storica l’eroica operazione navale del Mediterraneo.
Per questo cambiamento bisogna trovare una parola nuova, tanto è nuova una politica che nell’Italia repubblicana mai aveva tirato su qualcuno per schiacciarlo, mai aveva atrocemente ingannato degli infelici che credevano di essere stati salvati, mai aveva infierito su uomini vinti, donne incinte e bambini innocenti reduci da cinque giorni d’inferno senza acqua né cibo su barconi diretti ma mai arrivati in Europa.
La parola che definisce questa nuova fase della politica italiana (che non si attua solo per mare) è “crudelizzazione”. Vuol dire che la nostra politica non solo è inadeguata, fatua ed ingiusta, ma sta diventando crudele. E sta diventando crudele proprio perché è inadeguata, frivola ed ingiusta: perché lascia che l’Italia si impoverisca senza fare niente, perché non difende e nemmeno prende in considerazione il diritto al lavoro, perché non gliene importa niente di chi non ha casa, perché promette miracoli ai terremotati ma i soldi non li dà perché li aspetta dalle lotterie e non dalle tasse, perché butta fuori dalle scuole che non sono dell’obbligo i giovani clandestini preferendoli sui marciapiedi piuttosto che in classe; e tutto ciò crea un senso di insicurezza e di malessere nei cittadini, fomenta l’idea che sia dato agli stranieri quello che hanno perduto loro e scatena la guerra tra poveri. Perciò dovrebbero andare insieme politiche di sviluppo e politiche di accoglienza. E dove il diritto non è ancora in grado di comprendere le nuove realtà, è la politica che lo deve fare.
E questo chiama in causa l’Europa.
Perché i migranti, i richiedenti asilo che si affidano al mare è in Europa che vengono. Se noi li respingiamo, è l’Europa che li respinge. Dice Fassino che è proprio questo che vuole l’Europa. Ma allora bisogna cambiare l’Europa, per questo sono importanti le elezioni europee. Dovrebbe essere lei la prima a sanzionare e a impedirci comportamenti lesivi dei diritti umani degli stranieri. E questi dovremmo smettere di chiamarli “extra-comunitari”, cioè di definirli mediante un’esclusione, un non-essere. Se l’unità europea divide gli esseri umani in comunitari ed extracomunitari, vuol dire che essa stessa non è una comunità, è un bantustan, una fortezza, un apartheid. Se abbiamo fatto un mondo globale, l’Europa non si può salvare da sola. Se si fa conoscere come crudele, subirà crudeltà, se non farà giustizia agli altri non troverà giustizia per sé.


Raniero La Valle

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giovedì 7 maggio 2009

I terremotati traditi

l decreto legge per il terremoto abruzzese smentisce tutte le promesse: prevede case provvisorie e non definitive, i soldi sono virtuali e in gran parte ricavati dalle lotterie, la ricostruzione è programmata non in pochi mesi ma fino al 2033, il contributo per chi vuole ricostruire la casa sarà di soli 150.000 euro, due terzi dei quali saranno pagati dagli stessi terremotati con le tasse risparmiate nei prossimi 22 anni, e con mutui agevolati di cui gli stessi beneficiari dovranno pagare gli interessi; gli Enti locali sono tagliati fuori, e perciò a ricostruire saranno gli stessi che negli decenni scorsi hanno costruito per il terremoto.
È quanto si legge in questo articolo pubblicato oggi 5 maggio da “Repubblica”.

Rubrica “Piccola Italia” di Antonello Caporale

L'Aquila e il decreto abracadabra

E' stato ribattezzato "decreto abracadabra" per le innumerevoli devianze creative con le quali accompagna il processo di ricostruzione dell'Aquila e dei paesini circostanti. La luna di miele tra gli abruzzesi e Silvio Berlusconi ha subito una prima e significativa increspatura. La lettura approfondita del decreto legge, e la verifica che i soldi all'Abruzzo in gran parte (4,7 miliardi di euro) saranno racimolati dall'indizione di nuove lotterie, dagli interventi sul lotto, e dai sempreverdi provvedimenti anti-evasione, soldi veri niente, e che in più le risorse saranno spalmate su un periodo lunghissimo (da oggi al 2033) hanno creato fremiti di rabbia dapprima isolati e poi sempre più partecipati.
Il tam tam ("Berlusconi ci inganna!") è iniziato, e non è una novità, sui blog. Prima Facebook e poi i partiti. Prima i conclavi nelle tende poi le riunioni istituzionali. Una giovane donna, Rosella Graziani, che sa far di conto, ha messo a frutto tutto il tempo ritrovato e fino alla settimana scorsa inutilizzato per radiografare il decreto legge e poi bollarlo in una lettera pubblica: "Mai nella storia dei terremoti italiani avevamo assistito a una ingiustizia tanto grande e a un tale cumulo di menzogne che ha ricoperto L'Aquila più di quanto non abbiano fatto le macerie".
Quali le menzogne e dove l'inganno? I soldi veri, il cash disponibile che Tremonti rende immediatamente spendibile si aggira sul miliardo di euro. Tolte le spese per l'emergenza, restano 700 milioni di euro destinati alla costruzione delle casette temporanee. E qui il primo punto: 400 milioni saranno spesi per edificarle nel 2009 e 300 milioni nel 2010. Se ne dovrebbe dedurre che la totalità delle case provvisorie sarebbero, è bene riusare il condizionale, realizzate totalmente entro l'anno prossimo. Dunque qualcuno avrebbe un tetto a settembre, qualcuno a ottobre, qualche altro a gennaio, o nella primavera che verrà. E' così? E' il dubbio, maledetto, che affligge e turba.
Secondo punto: le casette sono sì temporanee ma il decreto le definisce "a durevole utilizzazione". Durevole. Moduli abitativi condominiali, magari lindi e comodi, a due o tre piani. In legno. Ecocompatibili, risparmiosi, caldi. Perfetti. Possono durare decenni. E dunque: sarebbero provvisori ma purtroppo paiono proprio definitivi. E, questa è una certezza, sono le uniche costruzioni ad avere pronta una linea di finanziamento. Piccole e sparse new town. New town aveva detto Berlusconi, no? E le case vere? Quelle di pietra?
Qui la seconda questione campale: sembra, a scorrere gli allegati al decreto, che Berlusconi non possa concedere più di 150 mila euro per la ricostruzione dell'abitazione principale. E per di più questi soldi sarebbero veri fino a un certo punto, perciò la definizione di decreto abracadabra. 50 mila euro li concederebbe - cash - il governo; 50 mila li tramuterebbe in credito di imposta (anticipata dalla famiglia terremotata e ammortizzata in un arco temporale di 22 anni); altri cinquantamila sarebbero coperti con un mutuo a tasso agevolato a carico però del destinatario del contributo.
Non si sa bene ancora se sarà così strutturato il fondo. Le norme del decreto possono subire fino al prossimo giovedì emendamenti e correzioni. Quel che comunque sembra chiaro è che la somma ipotizzata (150 mila euro) ammesso che venga confermata, sarà sufficiente per una casa di tipo popolare e di nuova costruzione, ma totalmente sottodimensionata per finanziare i lavori di recupero e restauro conservativo. Nel centro storico dell'Aquila ci sono 800 edifici pubblici e 320 edifici privati, sottoposti a vincoli per il loro pregio.
Recuperi dispendiosi economicamente e, secondo questo decreto, sostanzialmente a carico dei privati. Così ieri i sindaci delle aree terremotate si sono ritrovati in conclave e hanno iniziato in un borbottio che è poi sfociato in un documento di dura protesta. "Vogliamo vedere nero su bianco i soldi per la ricostruzione e non solo quelli per le casette transitorie. L'Aquila va costruita dov'era e com'era. Così non sarà: a leggere il decreto i tempi sono dilatati fino al 2033, una data ridicola", ha dichiarato la presidente della Provincia Stefania Pezzopane.
Ai dubbi che già gonfiano i primi timori si aggiunge poi l'offesa istituzionale subita dagli enti locali. Il governo, promotore della prima legge costituzionale a vocazione federalista, ha accentrato ogni potere di spesa negando finanche al sindaco dell'Aquila, città epicentro del terremoto e capoluogo di regione, le funzioni commissariali esecutive.

Penserà a tutto, come al solito, Guido Bertolaso...


(5 maggio 2009)

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mercoledì 6 maggio 2009

CON OBAMA PRIGIONIERI NELLA GUERRA DI BUSH

di Raniero La Valle
(su Liberazione del 5/5/2009)

La bambina afghana uccisa domenica scorsa a Herat è un segnale potente, perché nella sua forza simbolica ed evocativa non induce solo alla pietà, ma alla decisione: la decisione sulla guerra in generale, e sulla guerra in Afghanistan in specie.Dicono che è stato solo un incidente, che è scattato quando i due veicoli si venivano incontro; ma ci vuole la guerra perché uno scontro tra veicoli abbia le forme di uno scontro a fuoco, e anzi, come già accadde per Calipari, di un tiro al bersaglio. Dicono che non è stato fatto apposta, ed è certo; e anzi - ci tengono a precisare i comandanti - sono state seguite tutte le procedure: ma ci vuole una guerra, e un esercito in terra straniera, perché regole scrupolose e procedure ben osservate portino a far morire col viso spaccato i bambini, e a spedire insanguinata tutta una famiglia che viaggia in automobile all’ospedale.Proprio perché è stato solo un incidente, proprio perché sono state osservate le appropriate procedure, la tragedia di Herat dice che la presenza militare straniera in Afghanistan è di per sé letale, è di per sé fonte di disordine, di paura e di dolori, e perciò è in contraddizione con tutte le motivazioni virtuose che i nostri governi hanno dato di una missione militare che sarebbe stata mandata lì per il bene supremo del popolo afghano.La decisione da prendere è che il solo modo di aiutare l’infelice popolo afghano è di togliergli la guerra e l’invasione. Rimarrebbero i talebani? E chi ha mai avuto un progetto serio per allontanarli?In effetti la premessa di ogni sana decisione sarebbe oggi di riconoscere la vera motivazione della guerra, che è stata una vendetta per l’11 settembre: Bush ne aveva bisogno, per non vedere naufragare sul nascere il sogno del “nuovo secolo americano”: niente di razionale in ciò, la vendetta non è una politica, eppure tutti gli sono andati indietro, a cominciare dal nostro stolido governo. Se ora si vuol correggere la deriva in atto, bisogna risalire fin lì, per ripartire in tutt’altra direzione. È chiaro che non è una cosa che possiamo fare noi; ma dovrebbe farlo l’Europa, e farlo fare agli Stati Uniti, nel quadro di un’alleanza non più succube e complice, ma responsabile e creativa.La situazione oggi è rovesciata. Bush aveva bisogno della guerra, prima in Afghanistan, poi in Iraq, per andare avanti col progetto di ordine imperiale mondiale concepito dalla destra americana che lo aveva messo al potere. Obama invece trova nell’invasione dell’Iraq e nella guerra afgana l’ostacolo principale per poter perseguire il suo progetto opposto di un mondo ricomposto nella multilateralità, nel rispetto reciproco e nel diritto. Ma se Barak Obama sembra aver trovato la forza per il ritiro dall’Iraq, e per la chiusura di Guantanamo, è invece prigioniero nel campo minato dell’Afghanistan, e non può uscirne senza giocarsi tutto, ragione per cui ha preso su questo punto la posizione più arretrata fra tutte quelle assunte fin qui.Ma è proprio qui che potrebbe incontrare l’Europa, un’Europa che ritrovasse una sua vera funzione mondiale, non più nel dominio ma nell’alta lezione civile di una ricerca in comune di un ordine di pace. Questa Europa dovrebbe essere la sponda privilegiata del tentativo di rinnovamento del presidente americano, e offrirgli partnership e aiuto nella sua lotta contro le potenti forze, interne ed esterne all’America, che vorrebbero fermarlo. Esse si oppongono al disegno neo-wilsoniano di Obama, perché preferiscono, per possederlo, il mondo selvaggio di prima, e anzi di adesso.Il mondo selvaggio di oggi non è solo quello nel quale i bambini sono uccisi dai bravi soldati. È anche quello in cui prosperano i talebani, e tutti i signori della guerra, e i governanti corrotti, e i miscredenti integralisti e misogini che oggi affliggono l’Afghanistan. Ma una forte leadership morale, di un’America credibile e di un’Europa solidale, potrebbe far avanzare, assai più rapidamente che con le armi, l’alternativa della laicità e del diritto.

Raniero La Valle
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martedì 5 maggio 2009

LA LEGGE BEFFA


di Raniero La Valle (da Resistenza e pace)

Ci fu, nel 1953, una legge che fu detta truffa, perché assegnava un piccolo premio di maggioranza alla coalizione di partiti che nelle elezioni politiche avesse raggiunto almeno il 50 per cento dei voti più uno. Si trattava di rafforzare una maggioranza assoluta già espressa dagli elettori nelle urne; e tuttavia, in tempi di proporzionale, quello fu ritenuto un sopruso, la soglia del 50 per cento non fu raggiunta da nessuno, e la legge perciò cadde nel vuoto.

Per la DC (e per l’Italia) fu una felice sconfitta: perché, venuta meno la blindatura di una maggioranza quadripartita di centro, la vita politica riprese vigore, e prima fu avviato il centro-sinistra, con cui furono guadagnati all’area di governo i socialisti, poi fu avviata la politica culminata nel “compromesso storico”, con cui alla governabilità democratica fu recuperato l’elettorato comunista; e in quei decenni l’Italia ebbe quello straordinario sviluppo civile, economico e sociale che la portò tra le maggiori nazioni dell’Occidente.
Oggi abbiamo in vigore una legge elettorale che dà una enorme maggioranza alla coalizione di liste che anche con una semplice maggioranza relativa, ben inferiore al 50 per cento, abbia ottenuto più voti; ed è questa la legge per cui oggi Berlusconi con i suoi parlamentari, assegnatigli d’ufficio (senza neanche preferenze), fa il bello e il cattivo tempo nel Parlamento e nel Paese. Questa legge, tanto peggiore di quella del 1953, fu detta e ancora è chiamata “porcellum”.
Ma la manipolazione elettorale non doveva finire qui. E’ stato infatti promosso dai patiti del bipolarismo, e si voterà il 21 giugno, un referendum che cancella l’ipotesi di un voto dato alla coalizione, suppone che ogni partito corra da solo e trasferisce il premio di maggioranza a quella singola lista che abbia avuto più voti di ciascuna delle altre. Lo scopo è di cancellare, nel Parlamento e nel Paese, tutti i partiti ad eccezione di due.
È del tutto evidente che il partito beneficiario di questa elargizione sarebbe quello di Berlusconi, che già ha riunito in un’unica schiera tutti i suoi alleati tranne la Lega; il Partito Democratico, da solo, non potrebbe mai aspirare a ottenere un tale risultato. Per Berlusconi sarebbe la certezza di un potere a tempo indeterminato. Lui stesso lo ha riconosciuto, dicendosene grato. Alla domanda se avrebbe votato “Sì” al referendum per la modifica della legge elettorale, ha detto: “Sì, certo, la risposta è ovvia. Il referendum dà un premio di maggioranza al partito più forte, e vi sembra che io possa votare no?” Non sono un masochista, ha spiegato, osservando, come per una cosa ovvia: “Puoi domandare all’avvantaggiato di votare no per un vantaggio che gli altri ti regalano e potrebbe essere confermato dal popolo?”. No, non glielo puoi domandare. Resta da capire perché gli si vuol fare questo regalo, che certo egli non merita, il regalo più grande e decisivo dopo quello delle frequenze televisive tolte a suo tempo al servizio pubblico.
Ma a questo punto alla truffa subentra la beffa. Perché sul voto del 21 giugno è partita sulla stampa una mistificazione colossale. Giocando sul fatto che il referendum è abrogativo, si dice infatti che con il “Sì” verrebbe abrogata la legge “porcellum”, mentre è chiaro che ne verrebbe soppressa solo una norma, col risultato di fornire alla legge nel suo complesso l’avallo del voto popolare, rendendola nel contempo ancora più indecente. Ma non basta: il Partito Democratico, che da questo risultato sarebbe travolto, ha annunciato che voterà a favore; e nella meraviglia generale ha spiegato che con la vittoria del “Sì” la legge diverrebbe così brutta, che a quel punto sarebbe giocoforza modificarla in Parlamento. Il ragionamento è pretestuoso e di un politicismo della peggiore specie: pronunziarsi per una cosa per averne invece un’altra. Ai tempi della politica colta, questo si chiamava machiavellismo. Ma è un’illusione, perché è del tutto chiaro che ottenuto il regalo, gli “avvantaggiati” si guarderebbero bene dal rimetterlo in gioco, e oggi il Parlamento è loro. Come ha detto Bossi: “Se la sinistra vota Sì, Berlusconi vincerà per sempre”.
Quindi col referendum non sarebbe macellato nessun “porcellum”, mentre non si farebbe altro che portargli ghiande e altre leccornie per un pasto ancora più abbondante. E resterebbe la legge beffa: per la quale sarebbero beffati gli elettori, che voterebbero non più per una pluralità di liste e partiti ma per un partito unico; beffato il Partito Democratico, che con le sue mani si sarebbe procurato la propria rovina, e beffati gli italiani che avevano voluto costruire la democrazia e si troverebbero a votare, un’altra volta, per un regime.


Raniero La Valle
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lunedì 4 maggio 2009

SCAMBIO DI LETTERE SULLA CANDIDATURA DI RANIERO LA VALLE

Perche’ non il PD?

Una aderente alla “Sinistra cristiana-Laici per la giustizia” a proposito della candidatura di Raniero La Valle alle europee nella lista della Sinistra storica (Rifondazione, Comunisti italiani, Socialismo 2000, Consumatori), ha scritto:

From: Alessandra
To: Raniero La Valle
Sent: Tuesday, April 28, 2009 10:33 AM
Subject: Re: elezioni europee
Gentile Professore, la mia domanda Le sembrerà banale - e certamente lo è -, ma mi risponda per favore: perchè Rifondazione-Comunisti Italiani-Socialismo 2000-Consumatori Uniti e non PD? Credo, forse, perchè il PD non Le ha chiesto di candidarsi nelle sue liste. Come vede Lei l'attuale situazione del PD? Glie lo chiedo perché il Suo parere per me è importantissimo! Grazie!
Alessandra, Ferrara

Raniero La Valle ha risposto:
To: Alessandra
Sent: Tuesday, April 28, 2009 1:04 PM
Subject: Re: elezioni europee
Cara Alessandra,
La ringrazio della sua attenzione.
Io credo che in questo momento il PD può essere aiutato solo dall'esterno:
1) ha bisogno di riconoscere il pluralismo. L'idea di accogliere in sé tutte le culture è culturalmente insensata e politicamente distruttiva. Con l'idea di correre da solo alle ultime elezioni non solo ha consegnato l'Italia a Berlusconi, ma ha "creato" il movimento di Di Pietro che prima non esisteva, e ora sta diventando alternativo allo stesso PD perché è l'unico modo che è stato lasciato a chi non è del PD per opporsi efficacemente alla destra.
Se una lista di sinistra passa il quorum alle europee è la prova del fatto che non è pensabile una alternativa di sinistra al blocco di destra senza chiamare in causa le tradizioni e le forze che sono alla sinistra del PD. E allora bisognerà fin da subito preparare le alleanze per le elezioni del 2013. E' un grave errore quello di Franceschini di dire che delle alleanze si occuperanno solo in quel momento. Le alleanze non si fanno all'improvviso, altrimenti sono solo cartelli elettorali con le conseguenze di disgregazione successiva che già abbiamo conosciuto. La politica delle mani libere sembra astuta, ma in realtà è perdente. Le alleanze non sono tra sigle, ma tra ceti sociali e ideali. Ci vuole del tempo. Perciò salvaguardare il pluralismo politico oltre che essere essenziale per la democrazia, è un servizio reso allo stesso PD.
2) Il PD ha fatto il grave errore di pronunciarsi per il sì al referendum Guzzetta. Un eventuale risultato positivo del referendum, dando una enorme maggioranza al solo Berlusconi (senza neanche bisogno dei suoi alleati) anche se con un solo voto in più di ogni altro, chiuderebbe per chissà quanto tempo la partita della democrazia in Italia. Il sì del PD non è spiegabile che in due modi: o pensa di potere essere lui da solo a vincere tutto (ma è illusorio e in ogni caso sbagliato) o pensa, come dice ufficialmente, che la legge elettorale in tal modo diventerebbe così brutta e indecente che poi si dovrebbe cambiare in Parlamento. Ma chi dice che con l'attuale maggioranza in Parlamento sarà possibile cambiarla? Anche qui un risultato che salvaguardi il pluralismo alle europee potrebbe indurre il PD a rivedere le proprie posizioni sul referendum e ad abbandonare l'idea di un'Italia "moderna", dove la modernità starebbe nella soppressione di tutti i partiti all'infuori di due (due partiti o due agglomerati elettorali).
Questo spiega la mia scelta per Rifondazione e i suoi alleati. Il PD non sarebbe neanche interessato a una nostra presenza, perché non ha interesse alle culture forti, ponendosi come superamento di tutte le culture.
Spero di avere risposto alla sua domanda. Un cordiale saluto
Raniero La Valle


From: Alessandra
To: Raniero La Valle
Sent: Wednesday, April 29, 2009 10:45 AM
Subject: Re: elezioni europee
Le sono davvero gratissima per il tempo che mi ha dedicato e per la qualità della Sua risposta, che mi induce a riflessioni nuove. Il desiderio di un partito un minimo "forte", in grado, se non di vincere, almeno di contrastare l'arroganza di Berlusconi e il grave pericolo che egli costituisce per la nostra democrazia e per la cultura politica ed etica del nostro Paese, mi ha fatto aderire, sollevata, a quel modello. Ora ho parecchio di più su cui riflettere (e far riflettere famigliari e amici) e un bel po' di ragioni per coltivare una visione più problematica e meno fideistica del PD. Circa il referendum avevo invece già di mio un bel po' di dubbi, che si sono rafforzati alla luce delle Sue considerazioni. Se Lei mi autorizza, girerei la Sua risposta a vari amici, appunto, con cui è attivo un dibattito molto vivace, attraverso il quale cerchiamo di sostenerci a vicenda e di non soccombere alla depressione. Grazie, grazie mille, di nuovo!
Alessandra, Ferrara

From: Raniero La Valle
To: Alessandra
Sent: Wednesday, April 29, 2009 3:56 PM
Subject: Re: elezioni europee
Sì, naturalmente può far conoscere la sua domanda e la mia risposta. Faccia anche conoscere l'indirizzo del mio blog elettorale: http://ranierolavalle.blogspot.com/. Un caro saluto
Raniero La Valle
Grazie! Alessandra

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domenica 3 maggio 2009

Grazie, Raniero, di darci la possibilità di un voto diverso

Caro Raniero,
la tua scelta di accettare la candidatura mi fa davvero felice e non mi sorprende.
Non mi sorprende: perché è in linea di perfetta coerenza con la storia delle tue scelte politiche ed etiche; non risalgo molto indietro nel tempo, come pure sarebbe possibile fare (dall'"Avvenire d'Italia" tuo e di Pratesi - quando ti incontrai per la prima volta - fino al lavoro meraviglioso da te svolto nella Sinistra Indipendente, al Senato e alla Camera).
Mi limito a ricordare un solo episodio, e lo ricordo io dato che non lo fa nessun altro: la tua diponibilità ad accettare un assessorato (peraltro marginale e per pochi mesi) nell'ultima Giunta Rutelli, e questo solo per favorire la ricomposizione fra il centrosinistra e Rifondazione; quell'obiettivo, anche grazie al tuo impegno, fu raggiunto, e Veltroni poté diventare Sindaco di Roma con l'appoggio organico e determinante di Rifondazione Comunista.
Ma in quei mesi di duro e fruttuoso lavoro (ricordo il fondamentale Convegno internazionale "Roma cambia Millennio" da te promosso) tu avevi commesso una 'colpa' inescusabile, quella di non unirti al coro di linciaggio di Rifondazione al tempo della rottura con Prodi (e - non scordiamocelo mai! - della guerra "umanitaria" in Jugoslavia); quella colpa ti fu fatta pagare con una nuova emarginazione dalla Giunta di Veltroni Sindaco, che peraltro usava (o copiava?) molte delle tue proposte.
Imperdonabile fu allora per Rifondazione accettare quella tua emarginazione, cioè di non difendere te, e con te la propria stessa dignità politica.
Credo che nessuno del mio Partito ti disse allora grazie, o ti chiese scusa: lo faccio oggi io pubblicamente qui, da semplice iscritto, eppure di certo a nome di tutti/e i/le comunisti/e di Rifondazione di Roma.
Ma la tua scelta mi fa anche felice: io sono convinto che una presenza politica comunista in Italia non si rifonda se non si rifondano assieme la democrazia e la politica.
Questo nesso è stato sempre chiaro nel tuo pensiero e nel tuo insegnamento: fuori dalla democrazia e dalla politica esiste solo il dominio del capitale, esiste solo l'anomìa e la rassegnazione delle grandi masse, esiste solo il "berlusconismo", anche nelle sue varianti, subalterne e grottesche, "di sinistra".
Sì, esiste, eccome!, anche un "berlusconismo" masochista "di sinistra": come definire altrimenti l'accettazione della guerra "umanitaria", della centralità del capitale finanziario, del federalismo fiscale e, sul piano istituzionale, del maggioritario, del presidenzialismo, della centralità del leader e della sua immagine?
Come definire altrimenti la scelta di proporre, sostenere, pretendere un referendum per ... dare il premio di maggioranza al PdL e distruggere tutti i Partiti, a cominaire da quelli di sinistra senza cui non si potrà mai battere Berlusconi?
La tua stessa figura di politico e di intellettuale - lasciamelo dire- è la prova di come nella Costituzione e nei suoi valori ci sia tutto ciò che ci serve, che ci servirebbe, che ci servirà, per uscire da questa notte della Repubblica.
Le cose nobili che scrivi - anche se, come sempre, con il garbo che ti caratterizza - a proposito della nostra ultima scissione (e della nostra prima ricomposizione!) sono una vera lezione di politica e di storia. Se non c'è democrazia senza politica e senza partecipazione diretta e protagonista delle grandi masse e delle loro organizzazioni, allora non c'è democrazia senza Partiti.
Si tratta di rinnovarli, anzi addirittura di ri-fondarli, facendo tesoro delgi errori vecchi e nuovi (e fra i nuovi errori micidiali c'è senza dubbio l'istituzionalismo, che è tanta parte del DNA di "Sinistra e libertà"), ma liberarsi dei Partiti, uscirne disinvoltamente, anzi pretendere di scioglierli in nome di un "nuovismo" occhettiano e senza princìpi, significa solo tagliare le radici della nostra storia collettiva, significa solo far (ri-)diventare la classe proletaria plebe, anzi "'ggente", con due 'g'. Gente isolata e inebetita, gli uni contro gli altri armati, i penultimi a odiare gli ultimi, tutti soli col telecomando in mano davanti alle Tv di Berlusconi che sarebbero libere (come sono state in questi ultimi anni) di forgiare il nuovo senso comune reazionario, razzista, sessista, clericale, in ultima analisi fascisteggiante.
No, non è questo il modello di democrazia della nostra Costituzione, che richiede invece coscienza, organizzazione, protagonismo dei cittadini, e dunque pluralismo necessario delle loro necessarie organizzazioni, sindacali e partitiche. E queste, a loro volta, non possono essere senza la propria storia, senza cioè rinnovare il nesso che lega, in un Partito tre elementi:
(a) dei settori di popolo (una classe, secondo me) con
(b) una intellettualità diffusa che in quel popolo si riconosce e
(c) con un sistema di idee e di valori, con una cultura, con una storia che conferisce identità e significato a quello stare insieme.
Gramsci chiama "connessione sentimentale" questo nesso che fonda il Partito, e sono certo che questa espressione ti piace, come piace a me.
Dunque la tua candidatura guarda al futuro, anzi, di più: ci indica una strada concreta da percorrere.Io credo che nel Parlamento europeo tu potrai portare tutto questo, e le cose che più sono tue e del tuo mondo, a cominciare dalla lotta per la pace.
Per questo ti voterò con convinzione e sosterrò la tua candidatura con tutto quel poco che sarò in grado di fare.
Con affetto pari alla stima, Raul Mordenti
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