lunedì 23 novembre 2009

Il mezzo è il messaggio

DI RANIERO LA VALLE

In una sciagurata intervista a “Linea Notte” il presidente dei deputati della Lega Nord, Roberto Cota, alla domanda sul perché fare il “processo breve” per il presidente del Consiglio e invece lasciare il “processo lungo” per gli immigrati, ha risposto che si tratta di dare, qui e in ogni altra occasione, la prova che “il contrasto alla immigrazione clandestina” è una indiscutibile politica e priorità della maggioranza e del governo. Non è questione di efficacia: alla sicurezza non aggiunge nulla che un immigrato possa essere processato a vita, mentre molto serve alle fantasie xenofobe sapere che nei suoi confronti la pretesa punitiva dello Stato non viene mai meno. In modo imprevisto si realizza il vecchio annuncio di Marshall Mac Luhan: il mezzo è il messaggio. Perché sia chiaro che gli stranieri che non ci servono devono stare fuori dai piedi, il mezzo è di assimilarli, nella procedura penale, ai terroristi e ai mafiosi, di lasciarli affondare coi barconi nel Mediterraneo, di incriminare chi li soccorre, di arrestarli se si sentono male e chiamano il 118 o vanno al Pronto Soccorso, di farli nascere come figli di nessuno, di braccarli se lavano i vetri o si improvvisano giocolieri ai crocicchi delle strade. Non serve a niente, ma serve a far capire che qui siamo inflessibili, e perciò non vengano e se ne vadano.
L’ultimo messaggio è quello del “White Christmas”, il bianco Natale, cioè il Natale pulito, inventato dal comune leghista di Coccaglio (Brescia) Si tratta di fare pulizia etnica, fino al 25 dicembre, andando a pescare in tutte le case gli immigrati non in regola, o non più, togliendo loro la residenza. E poi c’è il messaggio dell’ “Ambrogino”, con cui il comune di Milano ha premiato la squadra dei vigili che andava a caccia dei clandestini sugli autobus.
Ma ci sono altri messaggi. Il “processo breve” il premier Berlusconi se lo fa per sé, con ostentazione: tutto l’impegno del suo ministro e dei suoi avvocati messi in Parlamento è ora quello di aggirare la Costituzione scrivendo una legge che, senza veli, suonerebbe così: “Silvio Berlusconi non può essere sottoposto ad alcun procedimento penale”. Anche qui il mezzo è il messaggio; esso dice: Berlusconi è “il sovrano del popolo”, e pertanto è insindacabile, inviolabile e non punibile; che poi è il messaggio definitivo, finalmente svelato, della cosiddetta “governabilità”: chi riesce a farsi eleggere poi può fare quello che vuole e viene pulito anche il suo passato.
Insieme con questo è arrivato il messaggio che il ministro Bondi è andato a proclamare in TV: “la magistratura assedia la democrazia italiana”, il che vuol dire che il governo dichiara guerra alla magistratura; il sovversivismo delle classi dirigenti giunge qui fino all’orlo della guerra civile.
Poi ci sono i messaggi che le tasse sono un furto di Stato, che evaderle merita una legislazione premiale, che la corruzione non fa male e che per il resto gli italiani – disoccupati, licenziati, cassintegrati – si arrangino, tanto la crisi non c’è.
Di questi messaggi Berlusconi è la fonte, il cuore, il catalizzatore, la condizione, il garante. Messaggi che inesorabilmente diventano convinzione diffusa, cultura e senso comune, riflesso condizionato, vita quotidiana. E una società intera finirà per muoversi così, senza più neanche sapere che questi sono diventati i suoi parametri, i suoi moventi.
Per questo la permanenza di Berlusconi al potere è di per se stessa turbativa dell’ordine pubblico ed è un fattore gravemente inquinante della nostra comunità nazionale. È una lesione che diventa metastasi. Gli alti sondaggi non sono una legittimazione, sono un’aggravante. L’accanimento terapeutico con cui i suoi accoliti e alleati lo difendono, pur se non lo stimano e dissentono, si spiega solo col fatto che Berlusconi è il nome del loro stesso potere, e sanno che col voto, anticipato o no, esso finirà.
Dunque è giustificato non solo giudicare e criticare le politiche del governo, ma anche continuare a porre il problema personale del presidente del Consiglio, comprese le manifestazioni popolari come quella del 5 dicembre, perché la preoccupazione in almeno la metà del Paese è altissima, e il nostro sistema istituzionale, a causa della riuscita neutralizzazione del Parlamento, è rimasto privo di ogni strumento di difesa. E quanto alle nostre istituzioni educative, che potrebbero almeno lottare con altri e alternativi messaggi, in questo tempo hanno smesso di educarci.


Raniero La Valle
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LA SCHEDA/ Ecco le leggi che hanno aiutato Berlusconi


Qui di seguito tutte le leggi approvate dal 2001 ad oggi dai governi di centrodestra che hanno prodotto benefici effetti per Berlusconi e le sue società.

1 Legge n. 367/2001. Rogatorie internazionali. Limita l'utilizzabilità delle prove acquisite attraverso una rogatoria. La nuova disciplina ha lo scopo di coprire i movimenti illeciti sui conti svizzeri effettuati da Cesare Previti e Renato Squillante, al centro del processo "Sme-Ariosto1" (corruzione in atti giudiziari).
2 Legge n. 383/2001 (cosiddetta "Tremonti bis"). Abolizione dell'imposta su successioni e donazioni per grandi patrimoni. (Il governo dell'Ulivo l'aveva abolita per patrimoni fino a 350 milioni di lire). 3 Legge n.61/2001 (Riforma del diritto societario). Depenalizzazione del falso in bilancio. La nuova disciplina del falso in bilancio consente a Berlusconi di essere assolto perché "il fatto non è più previsto dalla legge come reato" nei processi "All Iberian 2" e "Sme-Ariosto2".
4 Legge 248/2002 (cosiddetta "legge Cirami sul legittimo sospetto"). Introduce il "legittimo sospetto" sull'imparzialità del giudice, quale causa di ricusazione e trasferimento del processo ("In ogni stato e grado del processo di merito, quando gravi situazioni locali, tali da turbare lo svolgimento del processo e non altrimenti eliminabili, pregiudicano la libera determinazione delle persone che partecipano al processo ovvero la sicurezza o l'incolumità pubblica, o determinano motivi di legittimo sospetto, la Corte di cassazione, su richiesta motivata del procuratore generale presso la Corte di appello o del pubblico ministero presso il giudice che procede o dell'imputato, rimette il processo ad altro giudice"). La norma è sistematicamente invocata dagli avvocati di Berlusconi e Previti nei processi che li vedono imputati.
5 Decreto legge n. 282/2002 (cosiddetto "decreto salva-calcio"). Introduce una norma che consente alle società sportive (tra cui il Milan) di diluire le svalutazioni dei giocatori sui bilanci in un arco di dieci anni, con importanti benefici economici in termini fiscali.
6 Legge n. 289/2002 (Legge finanziaria 2003). Condono fiscale. A beneficiare del condono "tombale" anche le imprese del gruppo Mediaset.
7 Legge n.140/2003 (cosiddetto "Lodo Schifani"). E' il primo tentativo per rendere immune Silvio Berlusconi. Introduce ildivieto di sottomissione a processi delle cinque più altre cariche dello Stato (presidenti della Repubblica, della Corte Costituzionale, del Senato, della Camera, del Consiglio). La legge è dichiarata incostituzionale dalla sentenza della Consulta n. 13 del 2004.
8 Decreto-legge n.352/2003 (cosiddetto "Decreto-salva Rete 4"). Introduce una norma ad hoc per consentire a rete 4 di continuare a trasmettere in analogico.
9 Legge n.350/2003 (Finanziaria 2004). Legge 311/2004 (Finanziaria 2005). Nelle norme sul digitale terrestre, è introdotto un incentivo statale all'acquisto di decoder. A beneficiare in forma prevalente dell'incentivo è la società Solari. com, il principale distributore in Italia dei decoder digitali Amstrad del tipo "Mhp". La società controllata al 51 per cento da Paolo e Alessia Berlusconi.
10 Legge 112/2004 (cosiddetta "Legge Gasparri"). Riordino del sistema radiotelevisivo e delle comunicazioni. Introduce il Sistema integrato delle comunicazioni. Scriverà il capo dello Stato, Carlo Azeglio Ciampi: "Il sistema integrato delle comunicazioni (Sic) - assunto dalla legge in esame come base di riferimento per il calcolo dei ricavi dei singoli operatori di comunicazione - potrebbe consentire, a causa della sua dimensione, a chi ne detenga il 20% di disporre di strumenti di comunicazione in misura tale da dar luogo alla formazione di posizioni dominanti".
11 Legge n.308/2004. Estensione del condono edilizio alle aree protette. Nella scia del condono edilizio introdotto dal decreto legge n. 269/2003, la nuova disciplina ammette le zone protette tra le aree condonabili. E quindi anche alle aree di Villa Certosa di proprietà della famiglia Berlusconi.
12 Legge n. 251/2005 (cosiddetta "ex Cirielli"). Introduce una riduzione dei termini di prescrizione. La norma consente l'estinzione per prescrizione dei reati di corruzione in atti giudiziari e falso in bilancio nei processi "Lodo Mondadori", "Lentini", "Diritti tv Mediaset".
13 Decreto legislativo n. 252 del 2005 (Testo unico della previdenza complementare). Nella scia della riforma della previdenza complementare, si inseriscono norme che favoriscono fiscalmente la previdenza integrativa individuale, a beneficio anche della società assicurative di proprietà della famiglia Berlusconi.
14 Legge 46/2006 (cosiddetta "legge Pecorella"). Introduce l'inappellabilità da parte del pubblico ministero per le sole sentenze di proscioglimento. La Corte Costituzionale la dichiara parzialmente incostituzionale con la sentenza n. 26 del 2007.
15 Legge n.124/2008 (cosiddetto "lodo Alfano"). Ripropone i contenuti del 2lodo Schifani". Sospende il processo penale per le alte cariche dello Stato. La nuova disciplina è emenata poco prima delle ultime udienze del processo per corruzione dell'avvocato inglese Davis Mills (testimone corrotto), in cui Berlusconi (corruttore) è coimputato. Mills sarà condannato in primo grado e in appello a quattro anni e sei mesi di carcere. La Consulta, sentenza n. 262 del 2009, dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 1 della legge per violazione degli articoli 3 e 138 della Costituzione.
16 Decreto legge n. 185/2008. Aumentata dal 10 al 20 per cento l'IVA sulla pay tv "Sky Italia", il principale competitore privato del gruppo Mediaset.
17 Aumento dal 10 al 20 per cento della quota di azione proprie che ogni società può acquistare e detenere in portafoglio. La disposizione è stata immediatamente utilizzata dalla Fininvest per aumentare il controllo su Mediaset.
18 Disegno di legge sul "processo breve". Per l'imputato incensurato, il processo non può durare più di sei anni (due anni per grado e due anni per il giudizio di legittimità). Una norma transitoria applica le nuove norme anche i processi di primo grado in corso. Berlusconi ne beneficerebbe nei processi per corruzione in atti giudiziari dell'avvocato David Mills e per reati societari nella compravendita di diritti tv Mediaset.

(da "Repubblica")
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sabato 21 novembre 2009

COMUNICATO DI ADESIONE ALLA MANIFESTAZIONE DEL 5 DICEMBRE 2009

La Sinistra Cristiana, servizio politico per la Costituzione, la laicità, la pace, promotore dell’appello per la Salvezza e la pace della Repubblica con il quale si invitano tutte le forze politiche democratiche, le associazioni ed i Comitati per la Costituzione a riunirsi in un supremo sforzo per arrestare il declino e ristabilire le condizioni di dignità, onore, cultura e libertà nel nostro paese, dando vita ad una costellazione democratica, aderisce, con piena condivisione di intenti, alla manifestazione del 5 dicembre.

La Costituzione è la nostra Patria. In questa contingenza storica un pericolo mortale minaccia la Patria-Costituzione. Come avvenne con la resistenza, ora come allora, occorre chiamare a raccolta tutte le energie spirituali, tutte le culture, tutte le forze politiche e tutti gli uomini di buona volontà, ad agire con fermezza per la salvezza della Repubblica. Solo una forte mobilitazione popolare dal basso può ricomporre l’unità delle forze democratiche intorno ai valori supremi della Costituzione.

Roma, 19 novembre 2009


Raniero La Valle
Domenico Gallo
Giovanni Pecora
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Se la giustizia diviene castale

di Domenico Gallo *

Anche se corre l’anno 2009, noi stiamo vivendo una stagione politica che ci rimanda al 1984, l’anno immaginario nel quale George Orwell collocava la sua profezia nera. In 1984 il potere rovesciava i significati delle parole per far sparire le sue malefatte, al punto da chiamare ministero dell’amore la struttura che organizzava e praticava la tortura. Evidentemente si è ispirato ad Orwell, l’on. Gasparri che ha intitolato la sua legge nientemeno che: “misure per la tutela del cittadino contro la durata indeterminata dei processi, in attuazione dell’art. 111 della Costituzione e dell’art. 6 della Convenzione europea sui diritti dell’uomo.”Il titolo lancia un messaggio accattivante di pace ed amore (al popolo bue). Non preoccupatevi cittadini italiani, il potere ha a cuore i vostri diritti, ed ha predisposto delle misure per attuare la Convenzione europea dei diritti dell’uomo che ci impone di assicurarvi un processo equo che deve svolgersi in un tempo ragionevole.
Effettivamente è difficile immaginare una falsificazione maggiore per presentare all’opinione pubblica una disciplina che per il suo contenuto dovrebbe intitolarsi: “norme per introdurre una giustizia castale”. Questo disegno di legge, in un solo articolo (l’art. 2), riesce a trasformare il processo penale ( che fino a prova contraria è un bene pubblico, indispensabile non solo per il funzionamento della democrazia, ma per l’esistenza stessa dello Stato), in uno strumento a disposizione di una casta per neutralizzare gli effetti dannosi dell’obbligo di rispettare le leggi penali, lasciando che la legge penale dispieghi in pieno la sua geometrica potenza nei confronti dei ceti sociali più deboli, degli emarginati e dei senza diritti (i migranti in condizione di irregolarità).Questa legge ci dice che, salvo casi eccezionali, i reati dei colletti bianchi non saranno più punibili. Non perché si tratti di fatti meno dannosi per la convivenza civile rispetto ai quali si potrebbe chiudere un occhio.

Al contrario nell’economia della questione criminale, i fatti più dannosi (esclusa la mafia) per la collettività sono proprio i reati dei colletti bianchi. Pensiamo al crack della Parmalat che ha comportato un danno alla famiglie italiane di 14 milioni di euro, oppure alle vicende della malasanità, come quella della clinica Santa Rita a Milano, dove si facevano operazioni chirurgiche estremamente invasive al solo scopo di lucrare i finanziamenti della Regione, oppure alle frodi per il conseguimento di erogazioni pubbliche che creano un danno enorme sottraendo risorse che dovrebbero essere destinate all’occupazione ed allo sviluppo economico.In questo modo si realizza una giustizia castale, che riflette una società castale. Al vertice c’è un ceto di privilegiati, uniti in famiglie di sangue e d’interesse per i quali non c’è legge che tenga. A costoro tutto è consentito ed è garantita per legge l’impunità, pagando solo un piccolo prezzo.

Il costo degli avvocati, che piloteranno il processo sul binario morto dell’estinzione inevitabile del processo. Tutti quelli che sono fuori da questa casta di privilegiati e che normalmente compiono reati minori collegati ad una condizione di emarginazione sociale continueranno ad essere soggetti ai rigori della legge penale. E’ sbagliato, pertanto, parlare di legge ad personam.

Quali che siano i motivi contingenti, quello che conta è che ci troviamo di fronte ad una disciplina che costruisce un privilegio castale, riservato ad un ceto sociale di privilegiati e porta a conseguenze estreme la politica della discriminazione consacrata nei vari pacchetti sicurezza.L’altra faccia della medaglia è il correlativo indebolimento dei beni pubblici a tutela dei quali sono poste le norme penali dribblate con il processo celere: la correttezza ed il buon andamento dell’amministrazione, l’efficienza della spesa pubblica, la salute dei cittadini garantita dal Servizio Sanitari nazionale, la correttezza nell’esercizio delle attività economiche e produttive.Così Il miglior governo che abbiamo avuto negli ultimi 150 anni ci sta conducendo verso un traguardo mai raggiunto nella nostra storia nazionale.

Nemmeno dal fascismo, che non si è mai sognato di agevolare la criminalità dei colletti bianchi, anche se amici del regime.


* Domenico Gallo, magistrato della Suprema Corte di Cassazione
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venerdì 6 novembre 2009

IL FATALISMO DELLA SCONFITTA

di Raniero La Valle


Le “primarie” del Partito Democratico sono andate a buon fine esprimendo una netta maggioranza a favore di Bersani. Da più parti è stato sottolineato il valore dei tre milioni di partecipanti al voto, e perciò è stato detto che le primarie sono una cosa bellissima e tutte le elezioni, anche di partito, si dovrebbero fare così. Ma che questa volta sia andata a finire bene non significa affatto che l’istituto ne esca convalidato.Anzitutto ha sequestrato per più di due mesi il Partito Democratico dalla vita politica attiva, facendolo concentrare su di sé e lasciando che il governo facesse il buono e cattivo tempo. In secondo luogo c’è mancato poco che mettesse in contrapposizione elettorato e partito, facendo uscire dai gazebo un segretario diverso da quello voluto dagli iscritti. In terzo luogo ha offerto a elettori di altri partiti, e anche della destra, la possibilità di interferire o addirittura determinare una scelta di partito in quello snodo delicatissimo che è la formazione della sua classe dirigente.
Se le primarie sono finalizzate alla scelta di candidati per cariche elettive pubbliche riguardanti tutti i cittadini (come avviene in America) esse sono giustificate perché anche un elettore repubblicano può essere interessato alla scelta del candidato democratico dal quale, se vince, sarà governato. Ma elezioni primarie per cariche interne di partito sono prive di senso, perché i partiti sono associazioni volontarie la cui responsabilità è degli associati, che si mettono insieme per uno specifico progetto politico e sociale, e non sono espressione di una generica società civile. I partiti sono voluti dalla Costituzione come strumenti, e non come fine a se stessi. L’idea che al Paese si debba promettere e fornire un bel partito, piuttosto che una buona politica, e rigirarselo tra le mani e contemplarlo in modo narcisistico, è una delle aberrazioni della cosiddetta transizione italiana.
In verità in questo innamoramento del vecchio gruppo dirigente del PD per le primarie, è tornata una vecchia sindrome autodistruttiva della sinistra italiana. C’è un partito “nuovo”, frutto di sacrifici e speranze, che gode di simpatie antiche ed è ancora radicato nel territorio? Bene, facciamo le primarie e mettiamolo in mano al primo che passa. C’era il partito comunista che pur con tutti i suoi limiti rappresentava il fulcro della sinistra e un architrave della democrazia? Bene, facciamo la Bolognina, togliamo il disturbo e mettiamone i resti alla mercé di un alveare impazzito. C’era una sinistra democristiana che era riuscita ad impedire che il “partito cattolico” si identificasse con una secca opzione conservatrice? Bene, sciogliamo la Democrazia cristiana e lasciamo la prateria alle scorrerie della Lega e alla colonizzazione berlusconiana. C’era la Costituzione, l’unica cosa che reggeva attraverso venti e maree, terrorismo e partitocrazia? Bene, picconiamola prima ancora della caduta del muro di Berlino (c’era un uomo “di sinistra” al Quirinale), rimettiamola in gioco come i pezzi di un meccano, facciamo vedere che con un po’ di maggioranza chiunque la Costituzione se la può cambiare anche da solo.
Poi ci si interroga sul perché del successo della destra. E anche qui la sinistra appare stregata: crede che la destra abbia messo in campo chissà quali risorse, per tirar fuori questo populismo autoritario che cavalca la crisi vendendo illusioni e godendo di alti sondaggi; si chiede a quali arti la destra abbia saputo ricorrere, per installarsi saldamente al potere; si chiede quale cultura, anche se non si vede, essa nasconda dietro l’evidente analfabetismo di molti dei suoi cantori; pensa che chissà di quali novità è stata capace per scalzare la vecchia egemonia della cultura democratica e progressista.
Ma non c’è bisogno di attribuire alla destra tali magie. Essa non ha inventato nulla di nuovo, non ha aperto una fase nuova. È la stessa destra italiana da Bava Beccaris al fascismo all’asse Bossi-Berlusconi. Il nuovo, che era venuto ad interrompere questa linea continua, è stata la Costituzione, sono stati i partiti popolari, i sindacati, le lotte sociali, la proporzionale, la scuola di massa, la televisione pubblica, l’unità delle forze democratiche. È questo nuovo che è stato rimosso. E nella misura in cui queste cose vengono tolte una a una, la destra riprende lo spazio e dilaga, usando tutti gli strumenti che la sinistra ha messo nelle sue mani.
L’elezione di Bersani è una buona notizia, perché sembra voler rovesciare il fatalismo della sconfitta, a cominciare dalla ripresa di una politica di larghe alleanze.

Raniero La Valle
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giovedì 5 novembre 2009

Sentenza della Corte Europea sul Crocefisso/ Non tutto è diritto

di Raniero La Valle

Vorrei dire il mio sentimento riguardo alla sentenza della Corte europea sul crocefisso nelle scuole. La sentenza è ineccepibile: una volta investita del caso, la Corte non poteva che decidere così; infatti in discussione non c’era l’utilità, l’opportunità, il significato, religioso o civile, del crocefisso, la percezione positiva o negativa che dei minori, per lo più ignari del cristianesimo, possono avere di un uomo “appeso nudo alla croce”, e così umiliato ed ucciso esposto alla vista di tutti. Non su questo verteva il giudizio e non su questo dovrebbe svilupparsi il dibattito sulla sentenza, in odio alle ragioni degli uni o degli altri, come ho visto fare anche in giornali amici. Il giudizio verteva sull’obbligo, imposto dallo Stato, di mettere il crocefisso nelle aule scolastiche; come dice la Corte di Strasburgo “sull’esposizione obbligatoria di un simbolo di una data confessione religiosa” nel contesto di una funzione pubblica gestita dal governo. È evidente che a quest’obbligo, derivante da decreti reali e da circolari fasciste che imponevano insieme al crocefisso il ritratto del re, si oppongono tutti i principi del moderno Stato di diritto, le norme della Costituzione, la Convenzione europea e forse anche la Dichiarazione conciliare “Dignitatis humane” sulla libertà religiosa.
Nondimeno vorrei dire il mio sentimento di dolore per ciò che è accaduto e ancor più per ciò che può accadere.
Anzitutto mi dispiace che ad attivare il procedimento nelle sue diverse fasi, con innegabile tenacia, sia stata una madre di due bambini che è anche socia dell’Unione Atei e Agnostici Razionalisti (UAAR), il che fa pensare che oltre alla difesa dei due figli da indesiderate interferenze religiose, tra i motivi del ricorso ci fosse un più generale interesse ideologico.
Mi dispiace anche che la giurisdizione amministrativa italiana e il governo siano stati così miopi, sia nella sostanza che nelle motivazioni, nel respingere le ragioni della ricorrente (mentre per darle ragione sarebbe bastata la Costituzione), da provocare l’appello alla Corte di Strasburgo e da chiamare perciò in causa addirittura la Convenzione dei diritti dell’uomo; testo normativo certo pertinente, ma alquanto sproporzionato se si pensa a quali e quanti diritti umani sono impunemente e atrocemente violati in tutto il mondo, e alla compressione vicino allo zero che per contro la presenza del crocefisso nelle aule scolastiche infligge ai diritti umani dei fanciulli che sono costretti a vederlo.
Inoltre mi dispiace che l’Italia, in una sede significativa come la Corte di Strasburgo, abbia mostrato il grado infimo a cui la considerazione del diritto è arrivata nel governo del nostro Paese, mettendo tra le motivazione della sua memoria difensiva “la necessità di trovare un compromesso con i partiti di ispirazione cristiana”, che nella migliore delle ipotesi è una ragione inerente alla politica politicante, cioè al potere, e non al diritto.
Ma soprattutto mi dispiace che, riconoscendosi da parte di tutti che non c’è più una religione di Stato, e che non si può imporre a tutti la rappresentazione simbolica di una sola confessione, ci sia una gara per dire che il crocefisso andrebbe mantenuto perché avrebbe cessato di essere un simbolo religioso, e sarebbe invece “un simbolo dello Stato italiano”, “un simbolo della storia e della cultura italiane”, un segno “dell’identità italiana”, “una bandiera della Chiesa cattolica, l’unica – ha osservato il tribunale amministrativo di Venezia – a essere nominata nella Costituzione italiana”; anzi, secondo il Consiglio di Stato, la croce sarebbe diventata un valore laico della Costituzione e rappresenterebbe i valori della vita civile. Come dice giustamente un terzo intervenuto nel giudizio di Strasburgo (un’organizzazione per l’attuazione dei principi di Helsinki), questa posizione “è offensiva per la Chiesa”.
Questa posizione è infatti atea, ma è devota, e tende a lucrare i benefici della religione come religione civile. E io dico la verità: se il Crocefisso diventasse la bandiera di un’identità, di un nazionalismo, di un razzismo, di una lotta religiosa, e se la sua difesa dovesse essere messa nelle mani di Gasparri, di Calderoli o di Pera, della Lega o di Villa Certosa, e cessasse di essere la memoria di un Dio che si è fatto uomo, per rendere gli uomini divini, e che “avendo amato i suoi fino alla fine” ha accettato dai suoi carnefici la sorte delle vittime, e continua a salire su tutti i patiboli innalzati dal potere, dal danaro e dalla guerra, allora io non vorrei più vedere un crocefisso in vita mia.
E mi dispiace infine che questa controversia abbia preso il via da una regolamentazione giudiziaria, norma contro norma, obbligazione contro abolizione. Il diritto non può che operare così, e quello che era obbligatorio prima può rendere illegittimo oggi. Ma io penso che non c’è solo il diritto scritto; ci sono le consuetudini, c’è una cultura comune, che pian piano muta, che ieri era “cristiana”, oggi è agnostica, domani sarà laica; si possono far crescere i processi, senza imposizioni e senza strozzature, accompagnando col variare delle proposte educative, dei mondi vitali, delle culture diffuse, delle etnie compresenti, il variare delle forme e dei simboli mediante i quali una società rappresenta se stessa. E non è detto che tutto il cambiamento debba avvenire tutto in una volta e in tutto il Paese, come quando a un solo segnale vennero rovesciati i ritratti del re e i simboli del fascismo.
Non credo che quello che oggi manca in Italia sia il riaccendersi di un conflitto religioso, di una guerra ideologica. Certo al governo piacerebbe, perché sarebbe ancora un altro modo per dirottare l’attenzione, per restare esente dal giudizio sul disastro prodotto dalle sue politiche reali.
Se dovessi dire come procedere, direi che lo Stato smetta di imporre alle scuole il crocefisso, e non impugni Strasburgo; che la Chiesa non ne rivendichi l’obbligo, tanto meno come simbolo d’identità e di radici, piuttosto che come simbolo di salvezza, e per ottenerlo non corra nelle braccia del governo; e che con buon senso, secondo le tradizioni e le esigenze dei luoghi, si trovi un consenso tra genitori, alunni e maestri, sul lasciare o togliere la croce. L’ultima cosa che vorrebbe quel Dio schiavo che vi si trova appeso, è di portare l’inquietudine, l’inimicizia e lo scontro nei luoghi dove una generazione sta scegliendo, e forse solo subendo, il suo futuro.

Raniero La Valle
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mercoledì 28 ottobre 2009

Il premio a una politica

di Raniero La Valle

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Il premio Nobel per la pace non è infallibile. Anzi molte volte ha preso delle autentiche cantonate (come la scelta di Kissinger, di Begin…) ma questa volta, finendo inopinatamente nella casa bianca di Obama, non ha sbagliato. E invece è nato un putiferio: perché proprio Obama, che finora ha fatto solo grandi discorsi senza realizzare niente? Perché Obama, che non si è ancora ritirato dall’Iraq, che non ha persuaso Israele, non ha messo a posto l’Iran, non sa che pesci pigliare in Afghanistan? Perché Obama, che ancora non è riuscito a chiudere Guantanamo? Perché Obama che ha spaventato le assicurazioni senza ancora riuscire a dare l’assistenza medica agli americani poveri? Perché Obama, che del premio non ha alcun bisogno, mentre molto ne avrebbero bisogno un dissidente cinese in lotta per la democrazia, o un militante per i diritti umani braccato dal potere?
È la prima volta, che io sappia, che si critica il Nobel non per quello che il premiato ha fatto, ma per quello che vorrebbe fare ma ancora non ha fatto; e si critica non perché il premio non se lo meriti, ma perché non gli serve; e perché il premiato non sta all’opposizione, ma sta al potere.
In realtà le critiche al Nobel per Obama sembrano ancora in cerca di motivazioni, ma una cosa la dicono chiaramente già subito: che dopo il coro di osanna al “primo presidente nero degli Stati Uniti” (sventolato come prova che essi sono una vera democrazia, che sono un modello di convivenza razziale, che sono un faro per tutti i popoli e che “non possiamo non dirci americani”), a molti Obama è caduto dal cuore, e proprio perché questi ammiratori delusi sono attaccati agli Stati Uniti di ieri, così muscolosi e “identitari” in nome di tutto l’Occidente, e temono gli Stati Uniti che vorrebbe fare Obama oggi: pacifici, internazionalisti e interreligiosi.
Intanto molte critiche sono infondate. Riguardo all’Iraq quello che conta non è l’immediatezza del ritiro delle truppe d’invasione, ma il fatto che gli Stati Uniti rinuncino, come ha annunciato Obama, a mantenervi basi militari permanenti. E ben si sa che col pretesto di Saddam Hussein, l’avanzamento dell’insediamento militare americano nel mondo arabo e verso l’Estremo Oriente, è stata la vera ragione (più che il petrolio) della seconda guerra contro l’Iraq. Per Guantanamo il Senato americano ha approvato in questi giorni una legge che stabilendo di giudicare negli Stati Uniti i prigionieri che non possono essere rilasciati, permetterà la chiusura di quel lager. Quanto alla lotta per il servizio sanitario nazionale, essa procede lentamente affrontando l’offensiva ideologica scatenata contro il presidente, accusato di essere “socialista”, ma non si è fermata. Con Israele effettivamente va male: ma lì sappiamo che c’è ben poco da fare senza un mutamento profondo di quello Stato, che gode di un grande potere sull’America, e davvero ha in mano il destino di Obama.
Ora è proprio perché il presidente americano vuol rendere pacifica, internazionalista e interreligiosa non una piccola ONLUS, ma la maggiore potenza militare ed economica del mondo, che merita il Nobel. Può darsi che non ci riuscirà, perché moltissimi nemici ed alleati si metteranno di traverso (altrimenti non sarebbero stati così corrivi e funzionali all’America di Bush); ma l’averlo deciso, aver vinto su questa linea una campagna elettorale, averlo proclamato nei punti topici del mondo, dal Cairo ad Accra all’Europa all’ONU, e aver avviato delle politiche che tendono a realizzare l’obiettivo di un mondo unito, pluralistico, senza armi nucleari e non violento, è il più alto servizio che si potesse fare alla pace; e meno male che quelli del Nobel se ne sono accorti e hanno voluto premiare non un uomo ma una politica, la cui finalità è tutta nel futuro, per attuare la quale ci vorrà più di una generazione e che perciò ha bisogno di tutto l’appoggio possibile, ivi compreso il Nobel per la pace.
Quando Giovanni XXIII, un mese prima di morire, ricevette il premio Balzan per la pace, aveva appena finito di scrivere l’enciclica “Pacem in terris” e aveva aperto il Concilio; la “Pacem in terris” era il manifesto di un mondo nuovo, e il Concilio era l’anticipazione di un’umanità ricomposta in unità, riconciliata con se stessa e con Dio. Ancora oggi quel programma giovanneo è ben lungi dall’essere attuato, anzi si è andati perfino indietro rispetto a quel mondo, a quell’umanità e a quella Chiesa che i segni dei tempi di allora facevano intravedere come possibili: ma nessuno potrebbe dire per questo che quel premio per la pace fosse sbagliato o che papa Giovanni non se lo fosse meritato.
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venerdì 9 ottobre 2009

PER LA SALVEZZA DELLA REPUBBLICA UNA SVOLTA DOPO QUINDICI ANNI: APPELLO PER LA CREAZIONE DI UNA “COSTELLAZIONE DEMOCRATICA”

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(per aderire inviare una e-mail a info@sinistracristiana.net)
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PER LA SALVEZZA DELLA REPUBBLICA UNA SVOLTA DOPO QUINDICI ANNI

In quindici anni il sistema politico e le idee portanti della società italiana hanno subito un sovvertimento profondo, in cui sono confluite le tendenze negative che già avevano piagato il Paese nei primi decenni della storia repubblicana, nonostante il rapido sviluppo economico e il graduale affermarsi degli istituti e delle pratiche della democrazia.
In breve tempo si è passati dall’esaltazione della sovranità popolare al mito della governabilità, ma si è dimenticato che secondo la Costituzione governare vuol dire mettere lo Stato dalla parte degli interessi generali e, quando gli interessi confliggono, dalla parte delle componenti sociali e degli esseri umani più deboli, ai quali ostacoli di ordine economico e sociale limitano la libertà e l’uguaglianza e impediscono il pieno sviluppo come persone.Si è passati dal dominio delle ideologie al rifiuto delle idee, al discredito delle culture politiche e alla marmellata delle posizioni etiche e religiose; non si spiegherebbe altrimenti l’imbarbarimento della lotta politica, né si spiegherebbe come la Lega potrebbe proclamarsi l’unica forza politica cristiana e cattolica, capace di dialogo con la Chiesa, quando disegna una società nella quale nessuno ha altro Dio che se stesso, i profughi sono respinti e fatti morire in mare, gli stranieri sono criminali a norma del diritto positivo, ai musulmani è negata la dignità umana inerente alla libertà religiosa e il Pronto soccorso, le sale parto, gli ospedali, gli uffici dello stato civile e talvolta anche le panchine e gli autobus sono vietati a chi non ha il permesso della Polizia.
Si è passati dalla frammentazione delle forze politiche, all’idea di due soli contenitori, uno di destra e uno di sinistra; però la sinistra è considerata dannosa e superflua, senza posto in Parlamento, e addirittura nel Partito democratico il candidato on. Bersani viene sollecitato a censurare la stessa parola “sinistra” se vuol essere eletto.
Si è passati da un sistema elettorale anche troppo proporzionale ed esposto a chi cercasse di procurarsi anche una briciola di potere, a un sistema seccamente oligarchico in cui moltissimi cittadini sono costretti a non votare, o a votare per risultati opposti a quelli desiderati, o a votare – anche se ciò è meno nuovo – turandosi il naso; e in ogni caso nessuno può votare per eleggere nessuno, ma può solo fornire il proprio voto alle nomine già effettuate dagli apparati di partito; nessuna minoranza, senza snaturarsi o vendersi, è più ammessa al festino.


Si è passati dalla divisione dei poteri e da un certo pluralismo dell’informazione all’attentato contro i tutti i poteri deputati a indirizzare, controllare e limitare il potere dell’esecutivo e del cosiddetto “premier”. Il Presidente della Repubblica è assediato al Quirinale, la magistratura è ogni giorno sfidata, ispezionata e minacciata, la televisione irresistibilmente attratta in un unico palinsesto, i direttori dei giornali sono costretti a cambiare mestiere, le interviste, a cui si risponde portando l’intervistatore in tribunale, potrà ormai permettersele solo chi abbia un editore pronto a rischiare per la pena qualche milione di euro.
Si è passati da un’idea perfino ipocrita della morale pubblica, all’idea della sua encomiabile trasgressione in privato, i palazzi del potere sono diventati vetrine di edonismo, il Muro è caduto e d’oltrecortina arriva il letto di Putin, siamo diventati spettacolo al mondo e dal vertice della ricchezza e del potere si sparge nel Paese una palpabile aura di corruzione. Ciò rende impossibile anche una serena trattazione legislativa di materie eticamente sensibili.
Si è passati da una eccessiva facilità di avvicendamento dei governi a una loro pretesa inamovibilità, qualunque cosa accada e qualunque cosa facciano, per una intera legislatura. Ma in una legislatura si può fare la guerra e si può espiantare la democrazia.
Questa analisi, formulata dagli uni, può essere non in tutto condivisa, può essere corretta o integrata da altri. Come ogni critica, essa stessa può essere sottoposta a critica. Non è dunque su questa analisi che si forma o si chiede il consenso. L’accordo unanime è però sull’azione che si ritiene ne debba seguire e qui viene proposta.

* * *

APPELLO PER LA CREAZIONE DI UNA “COSTELLAZIONE DEMOCRATICA”

Lo scadimento della lotta politica dal dibattito delle idee al linciaggio delle persone e le lunghe convulsioni che accompagnano la crisi micidiale del potere di Berlusconi, dimostrano l’elevato grado di inagibilità democratica di pericolosità sociale e di impotenza politica in cui è caduto il nostro sistema.
I firmatari di questo appello, le altre entità e persone che vi aderiscono e la Sinistra Cristiana che nella sua veste di “Servizio politico” lo promuove, scongiurano le forze politiche democratiche – a cominciare dal maggior partito di opposizione – a riunirsi in un supremo sforzo per arrestare il declino e ristabilire le condizioni di dignità, onore, cultura e libertà nel nostro Paese.
Nei tempi più rapidi sarebbe necessaria almeno una riforma elettorale che, fuori da forzature autoritarie, premi di maggioranza e lotta alle minoranze, restituisca rappresentanza ai cittadini, credito agli eletti, azionabilità agli interessi negati e udibilità alle idee anche critiche e innovatrici.
Tuttavia, nelle more di tale riforma, che certamente ha bisogno di un vasto consenso, e nell’attuale situazione di urgenza, a legislazione vigente rivolgiamo un pressante invito alle forze e ai partiti costituzionali, presenti o assenti in Parlamento, indipendentemente dal loro denominarsi come democratici, liberali, riformisti, antagonisti, comunisti, alle associazioni politiche democratiche e ai Comitati per la Costituzione, per dar vita a una coalizione di cultura e di governo che, in discontinuità con precedenti insoddisfacenti esperienze, si potrebbe definire “Costellazione democratica”.
La base comune su cui, in sintonia con i quattro punti dello storico discorso di Barak Obama al Cairo del 4 giugno scorso, tale Costellazione democratica potrebbe fondarsi, si può organizzare attorno a questi quattro valori:

1) Il valore della memoria come riserva critica della nostra identità democratica, dall’unità d’Italia al fascismo, dalla Shoà alla Resistenza, dalla Costituente alla Repubblica, e come antidoto al moltiplicarsi delle vittime della violenza economica e politica, dei “respingimenti” e delle guerre;


2) Il valore della legalità, come attuazione della Costituzione e dei suoi postulati fondamentali, a cominciare dalla laicità, condizione dell’uguaglianza e della convivenza pacifica in un universo che è plurietnico e plurireligioso; dal lavoro, come diritto e dignità di ogni persona e fondamento della Repubblica; dal ripristino della legalità soprattutto in ordine ai diritti fondamentali, alle libertà, alla giurisdizione, alla partecipazione politica e alla rappresentanza;


3) Il valore del ruolo della Repubblica per rimuovere gli ostacoli al pieno sviluppo degli esseri umani, sia nell’ordine economico e sociale, sia nel campo dell’informazione e dell’istruzione, con particolare riferimento alle politiche per l’occupazione, per l’edilizia abitativa, per l’infanzia, per standard di vita accettabili, per la salvaguardia del Welfare e il rilancio della scuola pubblica, nel riconoscimento della dimensione privata e pubblica dell’economia;


4) Il valore dell’unità delle Nazioni, della pace, della liberazione dei popoli, del concerto dei poteri pubblici per la stabilità e lo sviluppo economico internazionale, della salvaguardia e dell’uso dei beni comuni e della difesa della natura, condizioni della salvezza storica oggi necessaria.

La condivisione di questi valori non implica la rinuncia alle differenze. Ciascuna delle componenti della Costellazione democratica, tenendo fede alla propria ragione di essere, continuerà a coltivare i propri valori e a elaborare le proprie culture incrementando nel rispetto reciproco l’autonomia e il pluralismo.
Le componenti della Costellazione democratica uniscono però le proprie forze in forma visibile per un’azione comune nella società, volta alla crescita di una cultura costituzionale, e allo sviluppo della libertà e del pluralismo della comunicazione sociale e dell’informazione.
Esse contraggono nel contempo un’alleanza elettorale capace di competere per la conquista della maggioranza parlamentare, stabilendone le finalità in un patto di legislatura aperto all’adesione di tutti i cittadini.
La maggioranza parlamentare espressa da questa alleanza costituirà e sosterrà con la sua fiducia il governo. Esso viene formato nell’ambito della stessa maggioranza ma non necessariamente da tutte le sue componenti, mentre tutte le componenti della maggioranza e i loro singoli membri si vincolano a sostenere l’azione esecutiva e la legislazione qualificante del governo, secondo il patto stabilito coi cittadini. L’attività governativa non copre tutto lo spazio dei problemi e dell’esercizio politico, ed è distinta dall’attività legislativa, come sono distinti i relativi poteri. Non tutta la legislazione esprime e deve essere conforme alla volontà del governo. Nelle materie che non rientrano direttamente nello specifico programma di governo e in cui esso non ritiene implicata la fiducia al proprio operato (dal quadro istituzionale alla bioetica), la maggioranza parlamentare concorre alla legislazione senza vincolo di mandato.
La Costellazione democratica valorizza e pratica il dialogo e il confronto parlamentare, e approfondisce le relazioni con tutte le componenti della società italiana, nessuna delle quali è considerata nemica.
L’accordo per dar vita a tale Costellazione democratica non può essere rimandato al momento delle prossime elezioni politiche, ma fin da ora ne deve rappresentare la prefigurazione, l’urgenza e la prospettiva risolutiva. È questo l’appello che rivolgiamo a tutti i soggetti politici responsabili della vita del Paese.


16 ottobre 2009

PER ADERIRE ALL'APPELLO INVIARE UNA E-MAIL A costellazionedemocratica@email.it oppure a info@sinistracristiana.net
indicando nome, cognome, indirizzo ed eventualmente professione ed altre notizie utili. Le adesioni verranno aggiornate sul sito www.sinistracristiana.net
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sabato 3 ottobre 2009

IL MODELLO

DI RANIERO LA VALLE


Lo scandalo Berlusconi ha avuto una svolta. Lo scandalo consiste nel fatto che il sistema politico italiano non ha ancora trovato il modo di far uscire di scena un presidente del Consiglio che ammala l’Italia e l’ha resa uno spettacolo al mondo.
La svolta consiste nel fatto che lui e i suoi, abbandonando la tesi innocentista, hanno alfine rivendicato i suoi comportamenti trasgressivi presentandoli anzi come proprio quelli che gli garantiscono il consenso.
L’ultima e suprema ragione per la quale è giusto e salutare che egli resti al potere, secondo quanto hanno detto i suoi portavoce nei diversi scontri televisivi, è che egli sarebbe un modello per tutti gli uomini e le donne del Paese, i quali lo voterebbero in massa non perché toglie le tasse, protegge gli evasori e intrattiene le casalinghe con la TV, ma perché tutti lo invidiano e vorrebbero essere come lui.
Ora, la pretesa del modello è grave, perché sposta il problema dalla qualità del presidente del Consiglio alla qualità del Paese.
Pertanto la nuova, vera responsabilità politica, non solo del ceto politico e dei partiti, ma di tutti, è se davvero vogliamo che questa diventi la nuova qualità dell’Italia, e se non sia una colpa gravissima farsene complici.In particolare per la Chiesa la questione del modello è delicatissima, perché tutta la sua ragione di essere, per la quale essa sta o cade, consiste nel proporre e nel mostrare un nuovo modello di uomo, ovvero il modello di un uomo nuovo, che è quello di cui essa porta il nome.
E tutte le canonizzazioni di santi, così abbondanti fino a Benedetto XVI, altro non erano che la proposta ai fedeli di modelli di vita cristiana. E se si può capire che non siano oggi di molta attualità modelli come san Luigi Gonzaga o santa Maria Goretti, il loro rovesciamento nell’icona di Berlusconi sarebbe inconcepibile.Così come non si potrebbe capire che la Chiesa si dividesse in Italia tra Conferenza episcopale, segreteria di Stato, giornali cattolici e popolo fedele, sulla questione della maggiore o minore copertura da dare al governo Berlusconi, fino al limite di un rapporto simoniaco come quello contro cui si sarebbe messa anche “la celeste intercessione di Celestino V” di cui parlava Giancarlo Zizola nell’ultimo numero di Rocca.
Del resto se la Chiesa ha sentito il bisogno di ricordare all’Italia che per l’art. 54 della sua Costituzione quanti sono investiti di funzioni pubbliche hanno il dovere di adempierle “con onore”, si può anche ricordare alla Chiesa che secondo il Concordato del 1984 lo scopo della sua collaborazione con lo Stato non è un qualsiasi utile ecclesiale ma è “la promozione dell’uomo e il bene del Paese”.
Ma in che cosa il “modello Berlusconi” è letale per la qualità dell’Italia?
Non perché egli è ricco, ma per il modo in cui si è acquistato le ricchezze.
Non perché ha il potere, ma perché lo mischia coi soldi e lo usa per sé. Non perché ama le donne, ma perché ne acquista il corpo.
Non perché è un don Giovanni, ma perché mentre quel cavaliere le sue 1003 fanciulle le seduceva a una ad una, a lui invece sono portate a gruppi di venti.
Non perché nomina a suo beneplacito parlamentari europei, deputate, ministri e stallieri, ma perché le ragioni di queste scelte non hanno nulla a che fare con i rispettivi uffici. E infine perché tutto ciò non è ristretto all’ambito privato.
L’accusa ai critici di invadere la privacy di Berlusconi, di intromettersi nella sua vita e di approfittare di suoi fatti personali per attaccarlo nel suo ruolo pubblico, è infondata.
Il fatto che a tutte le ragazze fossero prescritti abitini neri e un trucco leggero, e che ci fosse un via vai di aerei privati e macchine schermate e che alle commensali fossero assegnati ruoli e paghe diverse, significa che a palazzo c’era una regia e anzi, trattandosi di palazzi del potere, che c’era un cerimoniale.
Il cerimoniale è il versante liturgico della vita pubblica. Il cerimoniale trasforma un incontro o un evento della vita reale in cerimonia, e la cerimonia in tradizione, e la tradizione in gesti così ripetuti che non c’è più neanche bisogno di discuterli, diventano costume. Forse è questo che voleva dire Berlusconi quando ha affermato che tra le maggiori innovazioni del suo governo, c’è quella di aver introdotto la moralità.
Raniero La Valle
2 ottobre 2009
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domenica 20 settembre 2009

Come ti nego i diritti di cittadinanza

DI DOMENICO GALLO

Unicuique suum: a ciascuno il suo. E’ questo il motto che potrebbe essere applicato al c.d. “pacchetto sicurezza”, approvato con la legge n. 94/2009 , entrata in vigore l’8 agosto.Questa legge è un coacervo di misure discriminatorie e persecutorie nei confronti dei gruppi sociali più deboli. Se hanno suscitato qualche protesta le misure persecutorie più assurde nei confronti degli immigrati irregolari (come il reato di clandestinità, il divieto di matrimonio ed il divieto per le madri di riconoscere i propri figli), poca attenzione è stata rivolta alle norme discriminatorie riservate ad altri gruppi sociali. In realtà, per quanto possano apparire disomogenee le materie trattate, c’è un filo conduttore che organizza le disposizioni in materia di sicurezza pubblica. C’è unalogica in questa follia: tutto gravita intorno al principio delle discriminazione dei soggetti deboli. Se gli immigrati (regolari o irregolari) sono particolarmente vessati, non per questo il legislatore leghista si è dimenticato dei Rom, dei senza casa, e dei poveri in genere, ed ha dato a ciascuno il suo.Per quanto riguarda il popolo Rom, a parte le misure penali di aggravamento dei reati connessi alla povertà, nel pacchetto sicurezza vi è una specifica disposizione discriminatoria, passata quasi inosservata. Si tratta della norma relativa alle iscrizioni anagrafiche (art. 1, comma 18).Questa norma, nella sua versione originaria, in pratica, impediva ai poveri di ottenere l’iscrizione nei registri dell’anagrafe, subordinando l’iscrizione e la richiesta di variazione anagrafica alla verifica, da parte dei competenti uffici comunali delle condizioni igienico-sanitarie dell’immobile in cui il richiedente intendeva fissare la propria residenza. In questo modo decine di migliaia di famiglie povere avrebbero perso – automaticamente - il diritto alla residenza. Si pensi, per es. alle migliaia di famiglie che ancora vivono nei “bassi” in una città come Napoli.Ciò avrebbe comportato qualche problema con l’opinione pubblica, specie in quelle fasce sociali, più umili, che vivono ancora nel mito del berlusconismo.Per questo la norma è stata cambiata alla Camera, con l’emendamento sul quale il Governo ha posto la fiducia. Nella nuova versione i comuni non devono più accertare la sussistenza del requisito igienico sanitario dell’immobile, tuttavia “l’iscrizione e la richiesta di variazione anagrafica possono dar luogo alla verifica da parte dei competenti uffici comunali delle condizioni igienico sanitarie dell’immobile”.Insomma ogni comune è libero – a sua discrezione – di non iscrivere nei registri anagrafici quelle persone che abitano in alloggi inadeguati. Quindi ogni comune è libero di scegliere quali poveri tenersi e quali buttare via.In questo modo si è realizzata la quadratura del cerchio. Il requisito igienico sanitario dell’alloggio diventerà un ottimo strumento politico per selezionare le minoranze indesiderabili ed escluderle dal circuito della cittadinanza, senza mettere a rischio il consenso politico di cui gode l’attuale maggioranza.Ci vuol poco a capire che questa minoranze indesiderabili per i cittadini del Bel Paese sono soprattutto, se non esclusivamente, i Rom. Chi vive in un campo nomadi è difficile che disponga di un alloggio dotato dei requisiti igienico-sanitari richiesti dalla norme vigenti. Conseguentemente costoro – a discrezione dei sindaci – possono perdere il diritto ad essere iscritti nell’anagrafe delle persone residenti.Senonchè l’iscrizione nell’anagrafe delle persone residenti è presupposto indispensabile per l’esercizio dei diritti di cittadinanza. A partire dall’esercizio del diritto di voto, per finire all’iscrizione al Servizio Sanitario nazionale, alla scelta del medico di base ed all’iscrizione dei propri figli alla scuola dell’obbligo. In conclusione, invece di rimuoverli, come impone l’art. 3 della Costituzione, la legge utilizza gli ostacoli di ordine economico e sociale come pretesto per limitare - di diritto - la libertà e l’eguaglianza delle persone ed escludere dalla cittadinanza quelle minoranze destinate ad essere discriminate.
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lunedì 14 settembre 2009

COME SE DIO NON CI FOSSE

DI RANIERO LA VALLE

A Mantova al Festival della Letteratura 10 settembre 2009, in Piazza Sordello


Come è noto, la formula del “politicamente corretto”, nel nostro Occidente, è fare “come se Dio non ci fosse”.“Come se Dio non ci fosse” è la formula di un Dio facoltativo. Se ti serve lo prendi, se ti incomoda, lo lasci. Dio come optional. Alla base non c’è l’idea biblica di servire Dio, ma l’idea “politica” di servirsi di Dio. Lo licenzio e lo richiamo in servizio, lo ignoro e lo uso. Un Dio utensile, un Dio tappabuchi, come lo chiamava Bonhoeffer.

È un Dio con cui si può fare quello che si vuole. Per esempio lo si rifiuta per sé, ma lo si mette sulle spalle degli altri. Io faccio quello che voglio, ma siccome Dio c’è, la proprietà è sacra. Io uccido, ma chi mi uccide è maledetto da Dio. Io rubo, ma se lo Stato mi mette le mani in tasca col fisco, mi appello al comandamento divino che dice “non rubare”. Io mi professo ateo, però voglio che il Papa difenda la società cristiana. Io sono pieno di amanti e prostitute, ma se arriva un musulmano con tre mogli, è un affronto alla nostra cultura. Io faccio come se Dio non ci fosse, però mi fa comodo che la Chiesa ci sia, perché insegna le buone maniere e assicura l’ordine sociale, e così si risparmia con la polizia. Io sono un mafioso, ma voglio la mia messa privata nel covo; sono un libertino, ma devoto. Questa si potrebbe chiamare la religione della convenzione: si conviene che… Non si tratta di decidere se Dio c’è o non c’è, si tratta di mettersi d’accordo su che cosa fare di lui. La società laica moderna si basa sull’accordo di fare a meno di Dio, anzi di non parlarne nemmeno. Ufficialmente non dice che Dio non c’è, e lascia la cosa al disbrigo privato. Se dicesse che Dio non c’è, sarebbe atea; ma tra società laica e società atea non corre buon sangue, e anzi nel Novecento esse si sono aspramente combattute, democrazie teiste contro comunismo ateo. La religione del come se, contro la religione del non c’è. La religione della convenzione, che lascia Dio come ipotesi, contrasta con la religione della rivelazione, che dà Dio per certo in quanto si è rivelato. La religione della convenzione pertanto è relativista, perché il “come se” non descrive una realtà, ma la finge. La religione della rivelazione è invece assoluta, perché dice che Dio è, e perciò non finge una realtà, ma la afferma. È abbastanza paradossale che la religione della rivelazione chieda soccorso alla religione della convenzione. È quello che fa la Chiesa quando chiede che gli uomini facciano per finzione ciò che non credono per fede. Lo ha fatto il cardinale Ratzinger nel discorso di Subiaco, poco prima di essere eletto papa: egli ha cercato di rovesciare il “come se” a favore della sua causa, e agli uomini moderni ha detto: se non credete in Dio, fate almeno come se Dio ci fosse. La sua idea era che ciò per gli uomini fosse comunque un guadagno; però in tal modo faceva suo il relativismo criticato negli altri, e riportava la Chiesa a ragionare, come ai tempi ottocenteschi, in termini di “tesi” e “ipotesi”. Questa idea, tutta moderna, di non credere ma fingere che Dio ci sia, non è affatto una rarità: sono in molti a praticarla, soprattutto tra i membri delle classi dirigenti, che siano esponenti dell’esecutivo o ex presidenti del Senato, e sono tutti quelli che vorrebbero una religione civile: radici cristiane, legge e ordine.Ora a me pare – e per questo ho scritto il libro “Se questo è un Dio”– che siamo giunti a un punto critico, per il quale è necessario abbandonare ogni religione del come se: sia quella del come se Dio non ci fosse, sia quella del come se Dio ci fosse; e una buona ragione è che queste non sono fedi, ma sono ideologie (non che le ideologie siano un male, ma lo sono se si pretendono religioni), e l’una è l’eguale e il rovescio dell’altra.Se si crede che Dio non c’è, e che la società non debba impicciarsi di lui, è molto meglio fare l’opzione atea; è una opzione perfettamente legittima che ha piena dignità intellettuale e non sminuisce in alcun modo la stima dovuta a chi la fa; nei Salmi si dice che “è stolto chi dice che Dio non c’è”; invece il papa Giovanni XXIII, nell’enciclica “Pacem in terris”, diceva che nel non credente è presente la luce della ragione e l’onestà naturale, e l’azione di Dio in lui non viene mai meno. Per quanto mi riguarda, attraversando la seconda metà del Novecento, spesso ho trovato più fede e più amore negli atei, o che si definivano tali, che negli osservanti. Se invece si pensa che Dio c’è, non lo si può introdurre di contrabbando, per esempio facendo appello a una legge naturale che sarebbe obbligatoria per tutti e dovrebbe essere imposta a tutti attraverso le vie del potere che non sono le vie di Dio. Ogni doppiezza nei riguardi di Dio deve essere esclusa. Dio è una cosa semplice, non è una cosa complicata o contorta; il linguaggio che lo riguarda è quello del sì sì, no no; ciò che resta oscuro di Lui è un problema di fede, non una questione enigmistica. Soprattutto i giovani hanno bisogno di chiarezza nei discorsi che riguardano Dio. Già troppo li abbiamo gettati in un mondo di incertezza, di precarietà, di false rappresentazioni, di ipocrisie; un mondo in cui la reality è in verità una fiction, il virtuale si mangia il reale, l’immagine travisa la visione, la visione sostituisce l’esperienza. Li abbiamo messi in una rete di comunicazioni, di messaggi, di codici cifrati, si può in tempo reale raggiungere chiunque e comunicare qualsiasi cosa. Ma dov’è la cosa da comunicare? Quali sono i loro maestri? Siamo stati capaci di dar loro libri da comodino, che non si lasciano, libri da leggere perfino in bagno, come noi facevamo? Perché li costringiamo a cercare guru esotici, ad andare in India, a uscire fuori di sé per trovare qualcosa di sé?I giovani salgono sull’onda, sono nel turbine, si piegano al vento, ma hanno bisogno di qualche sponda, di qualche affidamento, di qualche punto fermo. Se hanno un amico devono poter contare su di lui, se hanno un amore, che almeno non troppo presto finisca. Se hanno un lavoro, che non lo perdano domani. Non possono mettere anche Dio nella loro instabilità, nel vuoto delle risposte che non vengono date. Non possiamo parlare loro di un Dio che c’è ma facciamo finta che non ci sia, che non c’è ma facciamo finta che ci sia. Il vero problema non è il “se”, ma il “come” di Dio. Di quale Dio parliamo quando parliamo di Dio? Quale è il racconto che lo narra? Quale è il Dio di cui vale la pena che i giovani decidano se prenderlo o lasciarlo? Anche il papa dice che non ogni Dio è degno di fede. Ebbene, quale è il Dio di cui si possa dire: “Questo è un Dio”?Non si tratta di una domanda nuova. Sono almeno quattro secoli che questa domanda preme sulle frontiere della cristianità, è la domanda che non ha avuto soddisfacente risposta, e su questa domanda inevasa si è costruita la modernità. Perché la modernità ha detto alle Chiese e ai principi cristiani che si facevano le guerre religiose in Europa: se questo è il vostro Dio, allora facciamo come se Dio non ci fosse. Se Dio presidia i troni, se invade l’Impero per stabilirvi il potere temporale dei Papi, se istituisce censure e inquisizioni e nega libertà alle coscienze, allora facciamo come se Dio non ci fosse. E oggi si potrebbe dire alla Chiesa: se “chi è l’uomo?” lo chiedi alla biologia invece che al Vangelo, se cadi nel feticismo dell’embrione, se chiami il feto persona e gli sacrifichi la madre, se Dio sta nelle staminali e non nelle speranze di vita dei malati, se Dio preferisce una vita fisica inerte e incosciente attaccata alle macchine invece della “vita vera” nella casa del Padre, allora facciamo come se Dio non ci fosse.E d’altra parte, nella ricerca di ciò che Dio potrebbe essere per l’uomo, la società del XVI e XVII secolo ha detto alle Chiese: se Dio non si compiace della umana ricerca del vero, se non ci incoraggia nella nostra impresa di costruire l’età moderna e il futuro, se non ci stimola alle scoperte della scienza, se non presidia la nostra libertà quando rovesciamo i potenti dai troni e mettiamo le fondamenta al diritto, se non ci conferma quando alla giustizia offriamo gli strumenti della certezza giuridica e del diritto positivo, allora facciamo come se Dio non ci fosse.È da quattro secoli che la modernità sta su questo fronte, e per quattro secoli la cristianità non ha dato risposte, non ha aperto varchi alla critica; ancora nell’8oo la Chiesa cattolica lanciava col Sillabo l’anatema contro gli “errori” moderni, a cominciare dalla libertà; e solo nel Novecento, col Concilio, la Chiesa ha smesso di pronunciare condanne e ha cominciato a dare una risposta nuova a quella domanda. Dunque quella ipotesi, quella finzione, “facciamo come se Dio non ci fosse”, “etsi daremus non esse Deum”, si è rivelata una potente molla del progresso storico, ma anche una potente spinta alla conversione della Chiesa, e ad una qualificazione e purificazione del discorso su Dio.È interessante notare che questa formula potente che ha dato avvio alla modernità e ha sottoposto la Chiesa al pungolo della profezia, viene dalla letteratura, viene da un libro, e si potrebbe quindi assumere non solo come simbolo di un passaggio epocale, ma anche come simbolo della potenza della letteratura.L’espressione “anche nella blasfema ipotesi che Dio non esista o che Egli non si occupi dell’umanità”, figurava infatti nella Introduzione di un libro del 1625, in cui per la prima volta si cercava di stabilire un diritto della guerra e della pace. Ne era autore un cristianissimo giusnaturalista olandese, Ugo Grozio, che per costruire il suo edificio giuridico, autonomo e capace di funzionare da sé, sentì il bisogno di mettere Dio tra parentesi. Questa formula letteraria, come abbiamo visto, ha avuto una grandissima fortuna; e oggi ci permette di dire che la laicità moderna, che appunto fa come se Dio non ci fosse, ha avuto il suo rivestimento linguistico, all’inizio, non da un illuminista ateo, ma da un giusnaturalista cristiano.È inutile discutere adesso se era proprio necessario, allora, per entrare nella modernità, mettere Dio alla porta e fare come se Dio non ci fosse. Se è andata così, vuol dire che storicamente non hanno potuto affermarsi altre alternative. Ma se oggi ne parliamo è perché, a mio giudizio, la questione, bloccata da quattro secoli, si è in qualche modo riaperta; e a riaprirla non è stata la cultura laica, che su questa materia non ha prodotto un nuovo pensiero, ma è stata proprio la Chiesa; e ciò ha fatto col Concilio Vaticano II.Il Concilio ha rimesso in discussione la finzione pubblica “facciamo come se Dio non ci fosse”, e non lo ha fatto mettendosi ancora una volta su un piano controversistico ed apologetico, ma riaprendo il discorso su Dio. Finalmente, col Concilio, la Chiesa ha sentito il bisogno di rispondere alla domanda moderna su Dio, e per farlo ha dovuto prima rimettere in discussione se stessa, poi riprendere la strada degli antichi Padri della Chiesa, greci e latini, che per costruire la fede non enunciavano dei dogmi, ma raccontavano una storia, che chiamavano storia della salvezza, “historia salutis”.Ebbene il Concilio è tornato a narrare la storia della salvezza, dal disegno del Padre alla comparsa di Adamo all’incarnazione del Figlio e fino a noi; e a leggerla questa storia della salvezza raccontata dal Concilio appare abbastanza diversa, anzi molto diversa, dal modo in cui noi l’avevamo ascoltata e capita fino a ieri.Perciò oggi il Concilio è tanto contestato, perché riprendendo in mano la storia antica, apre a una storia nuova. Si può dire che non legga più la storia della salvezza come “storia sacra”, ma come storia umana, come storia laica e profana amata e sorretta da Dio. Perciò molti libri di cui sono pieni gli scaffali dei seminari e delle università cattoliche dovrebbero essere riscritti. Leggere la fede cristiana attraverso la historia salutis del Concilio è un esercizio fecondo, pieno di sorprese. E da lì si capisce la gioia, la forza liberatrice, l’immagine dolce e misericordiosa di Chiesa che dal Concilio voluto da papa Giovanni è stata trasmessa. Perché dal piano di Dio nella storia della salvezza che il Concilio ha ricostruito nell’alveo della grande Tradizione, emerge non un Dio bifronte, quale spesso si trovava nei vecchi catechismi, terribilis et fascinans, per usare il binomio di un famoso libro di Rudolf Otto, ma un Dio solamente buono, una sola faccia, nella sua indivisa bontà e nella gratuità del suo dono. Emerge un Dio che non si pente dell’uomo, che non lo scaccia dal giardino dell’Eden dandogli per punizione la morte, il sudore della fronte per il lavoro e i dolori del parto. Queste non sono pene del peccato, come diceva un’antropologia pessimistica, ma sono la condizione creaturale dell’uomo, la sua gloria; né la natura dell’uomo è decaduta, sfregiata dal peccato originale, perché mai, neanche dopo la caduta, dice il Concilio, Dio ha cessato di amarlo e di offrirgli i mezzi della salvezza. Il Dio raccontato dal Concilio perciò, non deve ottenere “soddisfazione” per l’offesa ricevuta, è un Dio che non deve essere “placato” da nessun sangue, non quello del Figlio, tanto meno quello delle innumerevoli vittime; la via sacrificale, nella religione come nella storia, nelle prigioni come nella guerra, è preclusa. È questo un Dio che non è un padrone sacro, ché anzi è più laico di noi, un Dio “relativista”, perché ama santi e peccatori ed è amico di tutte le culture, senza badare alle loro radici; un Dio che non difende i diritti di Dio, perché anzi se ne è svuotato entrando come carne nella nostra umanità; un Dio non classista, perché è entrato nel mondo non dalla parte dei signori, ma scegliendo la condizione del servo, e anzi dello schiavo, che era il “non uomo”, il migrante naufrago di allora; un Dio legislatore, ma nello stesso tempo obiettore, perché è il primo a essere felice se la legge è trasgredita per amore, come la trasgredirono Giuseppe e Maria, senza di che il figlio di Dio neanche sarebbe nato, e come la trasgredì Gesù che violò il sabato e mandò libera l’adultera; un Dio sofferente e addolorato, perché la sua creazione è ferita, e perché l’umanità è divisa, gravata dal peccato, preda del dominio e vittima della guerra; un Dio che non si sostituisce magicamente a ciò che gli uomini possono fare da soli, ma li rifornisce di amore perché possano farlo; un Dio dunque del quale non c’è bisogno di fare come “se non ci fosse”.
Continua...

sabato 12 settembre 2009

A Mantova, al Festival della Letteratura "Opposizione dura senza paura"

di MARIO BAUDINO



Ora e sempre
Fiera opposizione a Mantova. Luis Sepúlveda (nella foto) alza il pugno accolto da un’ovazione e tuona contro gli italiani che «hanno smesso di essere cittadini per essere telespettatori». Nadine Gordimer, premio Nobel, anche lei tra le ovazioni, ricorda che «in Italia ci sono innumerevoli esempi di corruzione», se la prende con Berlusconi e chiede al pubblico, a proposito di libertà di stampa: «Quanto liberi vi sentite voi di esprimere le vostre preoccupazioni?». Ricorda anche come in Sud Africa «chiunque abbia la sensazione di essere stato danneggiato da un articolo può aprire una vertenza legale in tribunale a porte aperte».



Chi l’avrebbe mai detto.
Gad Lerner è interrotto dagli applausi quando ironizza sulla Padania; persino il serissimo Raniero La Valle, parlando di fede e di esistenza di Dio, si concede una battuta su chi frequenta troppe ragazze disponibili: giù battimani.
Così, forse contagiati dal clima, i giovani industriali di Mantova sponsorizzano l’incontro con il sociologo Luciano Gallino e il giornalista Luca De Biase, dedicato alla crisi economica e finanziaria, e al modo in cui investiamo i nostri risparmi. Titolo, esemplato su una celebre frase di un giurista americano degli Anni Venti: «Non esiste un azionista innocente». Chi l’avrebbe mai detto.


Proustiana
Muriel Barbery racconta la genesi del suo best seller, dove il personaggio della portinaia inaspettatamente colta e raffinata è di certo uno degli elementi che più seducono il lettore. Nella prima versione, spiega, la portinaia Renée parlava un po’ come una caricatura di se stessa, aveva insomma un linguaggio basso e approssimativo.Poi l’editore le disse: «Per lei, in quanto scrittrice, tutto è possibile. Basta che lo voglia, e la sua portinaia può parlare come la duchessa di Guermantes». Detto fatto, nacque L’eleganza del riccio. Du côté de chez l’hérisson.



Off Mantova
Una presentazione «fuori festival», e anche un po’ polemica. L’ha organizzata l’editore Fanucci, oggi alle 17 nella libreria Mondadori di Mantova. L’autore invitato è Rina Frank, un’importante scrittrice israeliana, col nuovo romanzo Vite Fragili. Dialogherà con lei Pino Roveredo, autore che ha all’attivo anche un Campiello. Nasce così l’Off-festival. L’editore non fa mistero del fatto che ormai si sentiva un po’ snobbato dagli organizzatori. Negli anni, dice, lo hanno per lo più ignorato. «Ma se la loro ambizione è mettere il lettore al centro, non dovrebbero dimenticare quanti sono i lettori che seguono i nostri libri».
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martedì 8 settembre 2009

La scossa

di RANIERO LA VALLE

La nostra vita politica è entrata in una fase selvaggia a causa dell’anomalia, tutta italiana, di un potere che è finito, ma che non c’è modo di rimuovere con i mezzi politici normali, a causa di un sistema istituzionale perverso che lo tiene in vita oltre ogni decenza. La lotta politica prende allora altre strade, scava ferite, semina vittime, travolge venerande istituzioni; in tal modo il crepuscolo del berlusconismo manifesta tutta la forza distruttiva e corruttrice che questa forma politica ha avuto fin dall’inizio. La settimana di fuoco culminata con le dimissioni di Boffo dall’Avvenire ne è stata un’impressionante conferma.Ricordiamo i fatti. Berlusconi è assediato dalle macerie della sua reputazione. Non può andare in TV, non può andare in Parlamento, non può fare una vera conferenza stampa, non può fare una politica; debole com’è, se non fa quello che gli chiedono perde Bossi, o perde Fini, o perde la Chiesa.
Allora decide la sortita. I giornalisti devono cambiare mestiere, gli accusatori devono essere diffamati, i moralisti accusati di immoralità. C’è lo strumento mediatico: Il Giornale. Ma il suo direttore, Mario Giordano, a suo modo è un idealista; ha in mente ancora la dignità professionale di Montanelli, i toni mai esagerati del fondatore Mario Cervi. E il 21 agosto annuncia: “Cari lettori, mi dispiace ma vi devo dire addio”: lui non vorrebbe, ma non ci sta a fare un giornale “che non riuscisse a fermare la barbarie e si trasformasse nel gioco dello sputtanamento sulle rispettive alcove”. E svela, in una parentesi, che le camere da letto predestinate a questo gioco al massacro sono, nell’ordine, dopo quella del premier, quelle di “direttori di giornali, editori, ingegneri” e, via assortendo, “first lady, body guard o avvocati”. Incautamente scopriva le carte; ed era lui il primo direttore a cadere.
Non passava una settimana e il 28 agosto il nuovo direttore Vittorio Feltri passava alla barbarie, e aggrediva Dino Boffo con il trasparente sottinteso che se tutti sono colpevoli, nessuno è colpevole. Ma qui c’era una eterogenesi dei fini: perché Boffo è l’Avvenire, l’Avvenire è la Chiesa, la Chiesa sono il Papa, il segretario di Stato e i Vescovi, e nella solidarietà a Dino Boffo saltava il lavacro della Perdonanza per Berlusconi all’Aquila e c’era la rottura tra Chiesa e governo, un governo con cui la Chiesa aveva avuto i più stretti rapporti (“eccellenti”, continuava a dire il direttore dell’Osservatore Romano) e che aveva apprezzato siccome omogeneo ai valori cristiani, come neanche nei riguardi dei governi democristiani era mai avvenuto.
A quel punto la partita si faceva grossa; ed era lo stesso Dino Boffo, nella sua lettera di dimissioni, ad evocarla: “Feltri non si illuda. C’è già dietro di lui chi, fregandosi le mani, si sta preparando a incamerare il risultato di questa insperata operazione”; nei giornali di quei giorni, aggiunge, “non si menavano solo fendenti micidiali, l’operazione è presto diventata qualcosa di più articolato”.
Quale operazione? Si può fare l’ipotesi che si sia aperta una partita di potere nella destra italiana, nel capitalismo italiano (la sinistra non c’è più), e che la sua ala non confessionale voglia chiudere i conti non solo con Berlusconi, ormai inaffidabile, ma anche con la Chiesa, sofferta come troppo invasiva.
Sarebbe sbagliato, però, per la Chiesa, rispondere sullo stesso terreno, cercando di ricostruire, in altre forme, un fronte clerico-moderato. La lezione è che la saldatura tra la Chiesa e un governo espone a un fortissimo disagio la variegata e pluralistica base cattolica che spesso si sente ferita nelle sue convinzioni più profonde; in questo caso, essa si è fatta largo a forza attraverso il pur prudente filtro delle lettere al direttore dell’Avvenire.
E l’altra lezione è che forse l’esperimento di un giornale “dei vescovi”, dove ogni parola, magari scritta alle undici di sera sotto l’urgenza della chiusura, viene fatta risalire alla CEI, al Papa, o addirittura al Vangelo, non ha dato buoni risultati. Si crea un corto circuito che trasmette la scossa da una modesta scrivania redazionale alla suprema cattedra nei Sacri Palazzi. Forse la Chiesa ha bisogno non di un giornale in tal modo “cattolico”, ma di un giornale cristiano. Ricordandosi di tutte quelle belle cose che si è detto dovrebbero fare i laici, senza "rivendicare esclusivamente in favore della propria opinione l'autorità della Chiesa” e senza pensare “che i loro pastori siano sempre esperti a tal punto che, ad ogni nuovo problema che sorge, anche a quelli gravi, essi possano avere pronta una soluzione concreta, o che proprio a questo li chiami la loro missione”. È il Concilio, alla lettera, interpretato nella Tradizione.


Raniero La Valle
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martedì 28 luglio 2009

Il complotto


di Raniero La Valle

In occasione del cosiddetto G8 a L’Aquila la stampa mondiale ha concentrato la sua attenzione sull’Italia e sul suo Primo ministro, in un momento non molto felice della sua fama. E poiché tra i giornali stranieri non ce n’è nessuno di proprietà di Berlusconi, tutti, nella loro copertura informativa, hanno descritto con toni molto crudi e severi le abitudini del leader italiano, l’inconcepibile intreccio tra la sua vita pubblica e privata, la confusione tra sedi rappresentative del potere e case di piacere, il contrasto tra la sua politica di lesina e di rinunzie per i cittadini, e il suo uso spregiudicato del denaro per comprarsi cose e persone, e non solo donne, diffondendo così corruzione in tutto il Paese.
Alcuni giornali sono andati sopra le righe nello scherno, ma a parte questi eccessi l’informazione è stata obiettiva; e la domanda piena di meraviglia dei giornali stranieri era: “come mai gli italiani amano tanto Berlusconi e se lo tengono al potere?”.
Ma, complice la scarsa conoscenza che la stampa estera ha delle cose italiane, questa non era la domanda giusta. La domanda giusta è: “come mai Berlusconi non è ancora caduto?”. E qui la risposta giusta non è, come qualcuno ha detto, che Berlusconi si è salvato col vertice dell’Aquila, per averlo saputo così bene organizzare e senza inciampare in nessun incidente di percorso, come per esempio avrebbe potuto essere una vera conferenza stampa nella quale ai giornalisti fosse concesso fare domande. In realtà il G8, pur fatto sponsorizzare dal terremoto, non ha migliorato la posizione del presidente del Consiglio: perché ha mostrato come egli ormai cammini sulle uova, e ciononostante continui a fare clamorosi errori, a cominciare da uno sfrontato spreco di denaro pubblico, come quello profuso per trasformare in un grande complesso alberghiero la cittadella della Finanza, che non è di proprietà dello Stato ma di un gruppo di banche a cui lo Stato l’aveva venduta e a cui paga un salatissimo affitto, e che ora incassano l’incremento di valore dell’area; o come l’errore di volersi ingraziare gli ospiti stranieri regalando loro scrigni di mogano rifiniti in foglie d’oro e altri monili, e perfino un “libro” sul Canova, con una “copertina” in marmo pregiato del peso di 24 chili, carta fatta a mano e rilegatura in broccati di seta e fili d’oro; cosa che se ha potuto impressionare gli ospiti culturalmente più deboli, ha peggiorato l’immagine dell’Italia all’estero che oltre ad apparire “libertina” (come scrisse l’Economist) e “crudele” (come dice l’ONU per i “respingimenti”), si mostra ora anche pacchiana, come la sua raffinata civiltà non meriterebbe.
In realtà in nessun Paese di serie tradizioni democratiche un capo del governo così moralmente e politicamente sinistrato starebbe ancora al suo posto. I meccanismi di autotutela e di decoro propri di una democrazia, avrebbero già provveduto al cambiamento. Se in Italia ciò non accade è perché, con lucida premeditazione o con sciocca imprevidenza, da quindici anni si è costruito un sistema privo di qualsiasi uscita di sicurezza che rischia continuamente di trasformare la politica da farsa in tragedia. Al vincitore politico pro tempore si è dato un potere blindato, incontrollabile dal Parlamento, non perseguibile dalla magistratura, insindacabile da altri poteri dello Stato ormai ridotti a grida manzoniane, e legittimato da una cultura della governabilità che in realtà è la cultura dell’ “oggi a te domani a me”, per cui la stessa opposizione non immagina nemmeno di poter far cadere il governo “prima della fine naturale della legislatura”, e perfino nelle mozioni di censura lo loda. Ma in questo tempo di governabilità inviolabile si possono fare leggi razziali e liberticide, trasformare gli stranieri in criminali, disfare la scuola e usare le tasse dei poveri per fare i condoni ai ricchi, e compromettere la stessa democrazia.
In questa situazione di impotenza politica e di inagibilità istituzionale, è vero, come dice Berlusconi, che il governo non può cadere che per un “complotto”; ma ciò perché il vero complotto c’è stato già prima, con l’aver creato un sistema di potere immunizzato da ogni interferenza esterna. Pertanto l’unica insidia può venire dall’interno, può venire da soci, alleati, clienti, beneficati, famigli, e perciò prendere le forme di un complotto. Se questo ancora non accade è perché il potere di tutti questi soggetti è inscindibilmente legato al potere del premier: se cade lui, tutti gli altri diventano nessuno. Ma la dipendenza è reciproca: e ciò spiega perché Berlusconi deve fare tutto quello che gli chiedono i suoi alleati, e dichiara esplicitamente di farlo per non cadere; e quanto più è personalmente indebolito, tanto più lo deve fare; e perciò, come anatra zoppa, egli è più pericoloso di quando era in pieno fulgore; perché i veri padroni del governo diventano i ministri della Lega, i colonnelli di AN e i padroni del mercato.


Raniero La Valle
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Il colle non firmi



di Domenico Gallo (*)


La dichiarazione universale dei diritti dell'uomo, in perfetta concordanza con la Costituzione italiana considera che il riconoscimento della dignità inerente a tutti i membri della famiglia umana e dei loro diritti uguali ed inalienabili costituisce il fondamento della libertà, della pace e della giustizia nel mondo. Sono questi i fondamenti dell'ordine costituzionale e della civiltà del diritto. Proprio questi fondamenti sono inesorabilmente travolti dal pacchetto sicurezza. Con questo provvedimento sono state approvate una serie di misure persecutorie e discriminatorie nei confronti dei gruppi sociali più deboli, che nel nostro Paese non si vedevano dai tempi delle leggi razziali. In modo mascherato sono stati riesumati istituti tipici delle leggi razziali, come il divieto dei matrimoni misti (fra italiani e immigrati irregolari). Soprattutto nei confronti degli immigrati sono state articolate una serie di misure, (reato di clandestinità, divieto di matrimonio, divieto di avere un'abitazione, ostacoli per l'accesso alle cure mediche, all’abitazione e per il trasferimento dei fondi alle proprie famiglie) che attentano all'intima dignità inerente a ciascun membro della famiglia umana e sono destinate a fare terra bruciata intorno ad una popolazione di centinaia di migliaia di persone, aprendo una sconcertante caccia all'uomo. Queste misure persecutorie, per la loro gravità, superano persino quelle introdotte con le leggi razziali. Infatti le leggi razziali non sottraevano alle madri ebree i figli dalle stesse generate. L'Italia del 1938, sebbene piegata dalla dittatura fascista, non avrebbe mai potuto accettare un insulto così grave all'etica della famiglia, quale la scissione del suo nucleo fondamentale. Ed invece questo è proprio quello che succederà, attraverso il divieto imposto alla madri immigrate irregolari di fare dichiarazioni di stato civile. Non potendo essere riconosciuti, i figli saranno sottratti alle madri che li hanno generati e confiscati dallo Stato che li darà in adozione. Questa norma si pone al vertice delle misure discriminatorie del pacchetto sicurezza ed ha un grande valore simbolico, in quanto si tratta di una norma "ontologicamente ingiusta", che incarna un diritto completamente svincolato dalla giustizia. Adesso che con l’ultimo voto al Senato si è compiuto il percorso parlamentare di questo mostruoso provvedimento siamo arrivati su una soglia al di là della quale c’è una trasformazione irreversibile della natura della Repubblica. Se la giustizia viene espulsa dal diritto, cambia la natura del diritto e si verifica un cambiamento del regime politico. In questo modo verrebbe cancellata per sempre la lezione del Novecento. Però questo mostro non è ancora diventato legge. Le garanzie previste dai Costituenti consentono di correggere questi abusi. Per questo, Presidente Napolitano, ti chiediamo di non firmare, di non promulgare questa legge. Risparmia al nostro paese il disonore di aver reintrodotto in Europa le leggi razziali e tradito il sacrificio della resistenza.
(*) magistrato della Suprema Corte di Cassazione
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Il ritorno di don Rodrigo


di Domenico Gallo (*)

Giovanni, 30 anni, grafico pubblicitario di Gallarate, è fidanzato da due anni con Irina, una sua coetanea, dagli occhi azzurri e capelli biondi.
I due ragazzi hanno cominciato a convivere ed hanno già fissato la data del matrimonio per il mese di maggio del 2010. Irina è una ragazza ucraina, emigrata otto anni fa in Italia in cerca di lavoro. Dopo l’ultima sanatoria ha ottenuto un regolare permesso di soggiorno ed è stata assunta da un Supermercato.
Purtroppo sei mesi fa il Supermercato è fallito.
Irina ha perso il lavoro, proprio quando gli è scaduto il permesso di soggiorno, e non ha potuto ottenerne il rinnovo.

Mario ha 40 anni. E’ un impiegato bancario di Pesaro.
Dopo una serie di insuccessi sentimentali, ha trovato il grande amore della sua vita. Si è fidanzato con Josephine, una donna di Capoverde che ha conosciuto, come sua insegnante, ad un corso di merengue.
Josephine è venuta in Italia con un visto turistico poi è stata regolarizzata come badante da una famiglia italiana.
Quando la famiglia non ha avuto più bisogno di lei si è dedicata al ballo per il quale ha una passione innata ed ha cominciato ad organizzare corsi di danza.
Dopo la seconda scadenza non è riuscita ad ottenere il rinnovo del suo permesso di soggiorno.
Ernesto è un pensionato, ha 65 anni e vive a Napoli. Da quando sua moglie è deceduta per un tumore al seno è rimasto solo è si è molto intristito perché la coppia non aveva figli.
La sua vita è cambiata da quando ha conosciuto Natascia, una donna Moldava di 50 anni, divorziata, che da diversi anni vive in Italia, lavorando al nero per accudire gli anziani.
Ernesto e Natascia hanno deciso di contrarre matrimonio ed hanno già fissato la data delle nozze.Tuttavia queste tre coppie, come migliaia di altre coppie in Italia, hanno fatto i conti senza l’oste: non hanno preveduto il ritorno di Don Rodrigo.
“Questo matrimonio non s’ha da fare!” esclamò il principe conte, don Rodrigo, riferendosi al matrimonio fra Renzo e Lucia. Non c’è dubbio che “i promessi sposi” sono entrati nel DNA del popolo italiano, come il coro del Nabucco o l’inno di Mameli.
Dopo Alessandro Manzoni, il prototipo dell’ingiustizia più ingiusta e dell’esercizio più arbitrario del potere è rappresentato proprio dalla rottura di quel legame di coppia, che la religione consacra attraverso il matrimonio.
Quando, da ragazzi, studiavamo i Promessi Sposi tutto avremmo potuto immaginare tranne il ritorno di Don Rodrigo. Eppure è proprio quello che è successo con l’entrata in vigore della legge sulla sicurezza che il Presidente Napolitano ha promulgato, il 16 luglio, obtorto collo.Don Rodrigo si è reincarnato ed ha assunto le sembianze umane del Ministro dell’Interno Maroni.
A differenza di don Rodrigo, però, Maroni è molto più potente del suo predecessore. Se don Rodrigo voleva interdire un solo matrimonio, Maroni ne vuole interdire 10, 100, 1.000, come succederà non appena andrà in vigore la nuova legge sulla “sicurezza”.
Don Rodrigo aveva le sue ragioni per interdire il matrimonio: si era invaghito di Lucia. Ma quali sono le ragioni di Maroni?
E’ difficile che Maroni si sia invaghito di tutte le badanti, le colf, le ballerine e le donne delle pulizie che meditano di contrarre matrimonio in Italia. Ci deve essere un altro motivo. Ce lo dice lo stesso Maroni.
In una nota del Viminale è scritto che la legge mira a impedire i matrimoni di comodo. Un intento decisamente encomiabile, ma perché Maroni non ha fatto nulla per impedire il matrimonio fra Briatore e la Gregoraci?

(*) magistrato Suprema Corte di Cassazione

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venerdì 3 luglio 2009

CONTRO IL RITORNO DELLE LEGGI RAZZIALI IN EUROPA


Alla cultura democratica europea e ai giornali che la esprimono


Le cose accadute in Italia hanno sempre avuto, nel bene e nel male, una straordinaria influenza sulla intera società europea, dal Rinascimento italiano al fascismo. Non sempre sono state però conosciute in tempo. In questo momento c’è una grande attenzione sui giornali europei per alcuni aspetti della crisi che sta investendo il nostro paese, riteniamo, però, un dovere di quanti viviamo in Italia richiamare l’attenzione dell’opinione pubblica europea su altri aspetti rimasti oscuri. Si tratta di alcuni passaggi della politica e della legislazione italiana che, se non si riuscirà ad impedire, rischiano di sfigurare il volto dell’Europa e di far arretrare la causa dei diritti umani nel mondo intero.Il governo Berlusconi, agitando il pretesto della sicurezza, ha imposto al Parlamento, di cui ha il pieno controllo, l’adozione di norme discriminatorie nei confronti degli immigrati, quali in Europa non si vedevano dai tempi delle leggi razziali.È stato sostituito il soggetto passivo della discriminazione, non più gli ebrei bensì la popolazione degli immigrati irregolari, che conta centinaia di migliaia di persone; ma non sono stati cambiati gli istituti previsti dalle leggi razziali, come il divieto dei matrimoni misti. Con tale divieto si impedisce, in ragione della nazionalità, l’esercizio di un diritto fondamentale quale è quello di contrarre matrimonio senza vincoli di etnia o di religione; diritto fondamentale che in tal modo viene sottratto non solo agli stranieri ma agli stessi italiani. Con una norma ancora più lesiva della dignità e della stessa qualità umana, è stato inoltre introdotto il divieto per le donne straniere, in condizioni di irregolarità amministrativa, di riconoscere i figli da loro stesse generati. Pertanto in forza di una tale decisione politica di una maggioranza transeunte, i figli generati dalle madri straniere irregolari diverranno per tutta la vita figli di nessuno, saranno sottratti alle madri e messi nelle mani dello Stato. Neanche il fascismo si era spinto fino a questo punto. Infatti le leggi razziali introdotte da quel regime nel 1938 non privavano le madri ebree dei loro figli, né le costringevano all’aborto per evitare la confisca dei loro bambini da parte dello Stato.Non ci rivolgeremmo all’opinione pubblica europea se la gravità di queste misure non fosse tale da superare ogni confine nazionale e non richiedesse una reazione responsabile di tutte le persone che credono a una comune umanità. L’Europa non può ammettere che uno dei suoi Paesi fondatori regredisca a livelli primitivi di convivenza, contraddicendo le leggi internazionali e i principi garantisti e di civiltà giuridica su cui si basa la stessa costruzione politica europea.È interesse e onore di tutti noi europei che ciò non accada. La cultura democratica europea deve prendere coscienza della patologia che viene dall’Italia e mobilitarsi per impedire che possa dilagare in Europa.A ciascuno la scelta delle forme opportune per manifestare e far valere la propria opposizione.

Roma, 29 giugno 2009
Andrea Camilleri, Antonio Tabucchi, Dacia Maraini, Dario Fo, Franca Rame, Moni Ovadia, Maurizio Scaparro, Gianni Amelio Continua...

Appello: un gesto di generosità a favore degli amici antimafiosi siciliani!


APPELLO PER "I SICILIANI"
Dopo l'assassinio mafioso di Giuseppe Fava, il 5 gennaio 1984, iredattori de I Siciliani scelsero di non sbandarsi, di tenere apertoil giornale e di portare avanti per molti anni la cooperativagiornalistica fondata dal loro direttore, affrontando un tempo disacrifici durissimi in nome della lotta alla mafia e della liberainformazione. Anni di rischi personali, di stipendi (mai) pagati, diconcreta solitudine istituzionale (non una pagina di pubblicità percinque anni!).Oggi, a un quarto di secolo dalla morte di Fava, alcuni di loro(Graziella Proto, Elena Brancati, Claudio Fava, Rosario Lanza e LilloVenezia, membri allora del CdA della cooperativa) rischiano di perderele loro case per il puntiglio di una sentenza di fallimento che sipresenta - venticinque anni dopo - a reclamare il dovuto sui poveridebiti della cooperativa. Il precetto di pignoramento è stato giànotificato, senza curarsi d'attendere nemmeno la sentenza d'appello.Per paradosso, il creditore principale, l'Ircac, è un ente regionaledisciolto da anni.
E' chiaro che non si tratta di vicende personali: la redazione de ISiciliani in quegli anni rappresentò molto di più che se stessa, in uncontesto estremamente difficile e rischioso. Da soli, quei giovanigiornalisti diedero voce udibile e forte alla Sicilia onesta, alledecine di migliaia di siciliani che non si rassegnavano a conviverecon la mafia. Il loro torto fu quello di non dar spazio al dolore perla morte del direttore, di non chiudere il giornale, di non accettarefacili e comodi ripieghi professionali ma di andare avanti. Queltorto di coerenza, per il tribunale fallimentare vale oggi quasicentomila euro, tra interessi, more e spese. Centomila euro che lagiustizia catanese, con imbarazzante ostinazione, pretende adesso diincassare per mano degli ufficiali giudiziari.
Ci saranno momenti e luoghi per approfondire questa vicenda, perscrutarne ragioni e meccanismi che a noi sfuggono. Adesso c'è dasalvare le nostre case: già pignorate. Una di queste, per la cronaca,è quella in cui nacque Giuseppe Fava e che adesso, ereditata daifigli, è già finita sotto i sigilli. Un modo per affiancare al prezzodella morte anche quello della beffa.
La Fondazione Giuseppe Fava ha aperto un conto corrente (che trovatein basso) e una sottoscrizione: vi chiediamo di darci il vostrocontribuito e di far girare questa richiesta. Altrimenti sarà un'altramalinconica vittoria della mafia su chi i mafiosi e i loro amici hacontinuato a combatterli per un quarto di secolo.
Elena Brancati, Claudio Fava, Rosario Lanza, Graziella Proto, Lillo Venezia
I bonifici vanno fatti sul cc della "Fondazione Giuseppe Fava"Credito Siciliano, ag. di Cannizzaro, 95021 Acicastello (CT)iban: IT22A0301926122000000557524causale di ogni bonifico: per "I siciliani".
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