domenica 3 marzo 2024

 LA PEDAGOGIA DELLA VIOLENZA-

Se c’era una cosa che nella spietata guerra di Gaza Israele doveva evitare. era di fornire un simbolo che per la sua forza evocativa fosse pari all’orrore suscitato dalla strage compiuta il 7 ottobre da Hamas al confine settentrionale della Striscia.
Questa colpì gli inermi civili e i giovani che partecipavano a un festival musicale nel kibbutz di Re’im, mentre l’ultimo attacco israeliano contro la folla nel Nord della Striscia ha colpito civili e giovani innocenti che mossi dalla disperazione cercavano di strappare qualche frammento degli aiuti umanitari per lenire la fame, ciò che ha provocato oltre 100 morti e 700 feriti.
In tal modo l’azione dell’esercito israeliano ha messo a nudo la natura della violenza e la sua pedagogia: essa rende simili aggressori e vittime e omologa i nemici che precipitano nella imitazione gli uni dei comportamenti degli altri. È ciò che gli studiosi (René Girard) hanno chiamato la mimesi della violenza, la quale induce gli uni a replicare e superare le azioni violente degli altri. Non a caso Israele, fornendo tre versioni diverse di quanto accaduto, non ha potuto fornirne alcuna giustificazione plausibile.
È questa l’esperienza di tutte le guerre, passate e presenti. La lezione che ne scaturisce per l’Europa, per noi e per tutta la comunità internazionale, è che la prosecuzione e l’aggravarsi dei conflitti e dello scontro in atto sono di per sé, anche oltre le responsabilità di ciascuno, una sicura promessa di violenze e guerre sempre maggiori, dal Mediterraneo all’Ucraina, dall’Atlantico al Pacifico.
Per questo la priorità assoluta della politica di oggi è di fermare le armi e di promuovere un’opposta imitazione reciproca nella ricerca dei modi di convivenza e della pace.
C’è da dire inoltre che lo sdegno suscitato in tutto il mondo da questa azione israeliana comporta il rischio di un eccitamento all'avversione verso lo Stato di Israele e di un incoraggiamento all'antisemitismo. Perciò, come opportunamente ha esortato a fare “Pace Terra Dignità”, occorre non addossare la responsabilità di tale azione militare agli Ebrei come tali, né allo stesso Stato di Israele come è oggi sotto Netanhiau (ma come non può continuare ad essere), uno Stato di cui già oggi i fanno parte anche minoranze di cittadini non ebrei, ma occorre imputarla alle Forze Armate israeliane (IDF) e al governo di Tel Aviv e ai suoi ministri oltranzisti, che sono artefici di questa sempre più incontrollata violenza, Questa, prendendo di mira la distribuzione degli aiuti a Gaza si è anche presentata come un puntuale rovesciamento del precetto evangelico di dare da mangiare agli affamati, da bere agli assetati e dare soccorso ai poveri, ferendo la sensibilità dei fedeli di altre confessioni che si ispirano alle stesse sante Scritture. Pertanto mentre esprimiamo il nostro dolore per questa nuova prova del popolo palestinese, ribadiamo come sia necessario che si mantenga sul piano strettamente politico la condanna della politica dello Stato d’Israele,, che occorre che tale Stato venga a distinguersi dagli Ebrei della Diaspora e che gli attori europei e internazionali compiano ogni azione utile a ottenere con la massima urgenza l'arresto della lotta fratricida in corso.
Continua...

giovedì 29 febbraio 2024


DEPORRE I POTENTI DAI TRONI

 

Ieri mattina ci siamo svegliati e abbiamo trovato che il presidente Macron aveva riunito attorno a un grande tavolo più di venti capi di Stato e di governo dei Paesi europei (Germania, Spagna, Inghilterra in testa) e il nostro sottosegretario Ciriello, per chiedere a tali Stati di disporsi a partecipare con le loro Forze Armate alla guerra d’Ucraina per sconfiggere la Russia. Ha aggiunto che altrimenti molti di tali Paesi, seduti attorno a quel tavolo, prima o poi sarebbero stati invasi. Formulando tale minaccia il capo francese dà per scontato, all’insaputa di governi, Parlamenti e popoli, che l’Unione europea sia in guerra con la Russia e che questa guerra debba concludersi con la sua disfatta. Che dopo 79 anni di tregua, che non è mai riuscita a diventare vera pace, il popolo europeo si svegli una mattina scoprendo di essere di nuovo gettato in una guerra che come la precedente, cominciata con i patti e le nefaste dichiarazioni di guerra della Germania e dell’Italia, non potrebbe che tradursi in una guerra mondiale, è cosa che fino a ieri sarebbe stata considerata impensabile e inaudita. L’Ucraina ha tutto il diritto, anche se non il vanto, di decidere per legge di non voler uscire dalla guerra con un negoziato e una ricomposizione dei rapporti transfrontalieri con il suo inquietante vicino, ma una Potenza come la Francia, che nella sua storia ha soggiogato popoli interi, non può arrogarsi in un sussulto di onnipotenza il diritto di trascinare il mondo  in una definitiva rovina; e ciò quando sono in corso già altre guerre e addirittura processi per  genocidio. 

La richiesta francese non è stata recepita da nessuno, incorrendo in una sonora sconfitta. Resta però come un inquietante segno dei tempi. La Lista “Pace Terra Dignità” ne ha tratto occasione per chiamare in causa il Presidente della Repubblica e ammonire il governo a tenere ben fermo che gli art. 21 e 52 della Costituzione in nessun modo consentirebbero la partecipazione dell’Italia a questa guerra, mancando ogni presupposto, se non nei processi alle intenzioni e nelle fantasie ammalate, di una sacra difesa della Patria. Pace Terra e Dignità ha inoltre fatto appello ai giornali, alle Televisioni, alle  Università, ai centri di ricerca, alla Conferenza episcopale italiana, alle Amicizie ebraico cristiane, alla Tavola valdese, alle comunità islamiche come alle altre confessioni, e a tutti i  partiti, di maggioranza e di opposizione, perché incessantemente si dedichino a prendere coscienza e a illustrare dinanzi a tutto il popolo le ragioni di salvare la pur precaria pace e di  stornare dalla presente e dalle future generazioni il flagello e l’inumana strage della guerra.

Ciò è tanto più necessario perché contrariata dall’insuccesso dell’iniziativa francese Ursula von der Leyen ha rilanciato la minaccia prospettando un massiccio incremento della produzione di armi in Europa, una crescita esponenziale delle industrie degli armamenti, una pioggia di denari e di appalti per la difesa, come si è fatto per i vaccini, sostenendo che l’illusione di “una pace permanente è andata in frantumi”, “che il mondo è pericoloso come è stato per generazioni”, e pertanto sarebbe la guerra, non la pace, a essere permanente. 

Non si può restare passivi alla sorte che stanno preparando per noi.  E se fino a ieri pensavamo che la soluzione stesse nel promuovere una bella unica Costituzione per tutta la Terra, ora pensiamo che la soluzione stia nel deporre i potenti dai troni, e nel dare ascolto ai poveri.  In Sardegna, nello stesso giorno, sembra che ciò sia cominciato ad avvenire.

Continua...

sabato 17 febbraio 2024

 IL GENOCIDIO E I SUOI CONTI

Mercoledì 14 febbraio nella nuova sede della Federazione della Stampa in via delle Botteghe Oscure a Roma, Michele Santoro ed io abbiamo presentato in una conferenza stampa il nuovo soggetto politico “Pace Terra Dignità” e il suo disperato grido all’Europa in vista delle prossime elezioni europee, alle quali intende partecipare. Questo soggetto politico, nato da un appello firmato da me e da Santoro nel settembre scorso per “dare una rappresentanza a tre soggetti ideali che ancora non l’hanno o l’hanno perduta, a tre beni comuni: la PACE, la TERRA e la DIGNITÀ”, vede ufficialmente la luce nel momento in cui nell’ecatombe di Gaza la guerra, come è stata finora pensata e istituzionalizzata, a cominciare dall’Occidente, è giunta al punto di caduta finale oltre il quale c’è solo o la conversione delle politiche in atto o la catastrofe. La registrazione della conferenza stampa si trova in Youtube , mentre il testo della mia introduzione ai giornalisti è pubblicato nel sito "Costituente terra.it"
Una parola chiarificatrice si deve dire sull’uso del termine genocidio che è diventato motivo di scandalo nella politica italiana e nelle prese di posizione di Israele, quando la vera questione non è quella di regolare l’uso di questa parola, ma di porre termine al crimine che essa significa, come ha chiesto avanzandone la massima urgenza la Corte Internazionale di Giustizia dell’Aja. Le migliaia di morti, i milioni di persone braccate, in fuga e ammassate nell’ultimo lembo della striscia di Gaza e gli stessi ostaggi israeliani ancora in mano ad Hamas sono indifferenti al modo in cui viene chiamato il loro olocausto, ne sono vittime e basta. Tanto più che nella insensata diatriba sul nome da dare alla carneficina di Gaza e allo scempio del 7 ottobre che l’ha provocata, dopo “56 anni di soffocante occupazione”, come aveva ricordato il segretario generale dell’ONU Guterres, si è giunti a sostenere che il criterio in base al quale decidere se si deve parlare di genocidio o no sarebbe la “proporzione” tra l’entità dell’offesa e l’entità della rappresaglia o vendetta. Da un certo momento in poi perfino Biden, Macron e Tajani hanno cominciato a dire che non c’è proporzione tra il terrorismo del 7 ottobre e il terrore delle 19 settimane che vi hanno fatto seguito fin qui, anche se non è stato precisato a quale punto di questa singolare contabilità di costi e ricavi si doveva fissare l’asticella: giusta la proporzione tra le 1400 vittime tra uccisi ed ostaggi del 7 ottobre e i due milioni e duecentomila persone dell’intera popolazione di Gaza perseguita come colpevole, 1500 per uno? Giusto il prezzo di 28.000 morti palestinesi in cambio dei 105 ostaggi rilasciati grazie al primo negoziato, 267 palestinesi morti per ogni israeliano vivo? Appropriato radere al suolo un gran pezzo di Rafah e almeno 70 morti accertati in cambio della liberazione di due ostaggi? E ha ragione Netaniahu quando dice che non si fermerà finché non avrà finito il lavoro e liberato i 103 ostaggi residui, uno per uno, contro il milione di persone che ha fatto concentrate e fatto bersaglio a Rafah, rendendole per ciò stesso ultimi “scudi umani” di Hamas? Anche il cardinale Parolin ha definito “certamente non proporzionato, con 30 mila morti, il diritto alla difesa invocato da Israele per giustificare questa operazione”, e l’ambasciatore di Israele presso la Santa Sede ha bollato come “deplorevole” questa dichiarazione; ma lui stesso ne ha fatto una questione di proporzione, rivendicando come giusta la percentuale delle vittime di Gaza, che sarebbe di “tre civili per ogni militante di Hamas ucciso”, quando “nelle guerre e nelle operazioni passate delle forze Nato o delle forze occidentali in Siria, Iraq o Afghanistan, la proporzione era di 9 o 10 civili per ogni terrorista”, perciò di tre volte superiore “alla percentuale dell’esercito di Israele”.
Quando si arriva a questa contabilità, vuol dire che l’anima del mondo è perduta, e se ingrandiamo il campo della crisi, fino a comprendervi e a vedervi le altre guerre e l’intera crisi mondiale, scopriamo che l’intera realtà umana e fisica del mondo, e la sua stessa dignità è oggi al punto da poter essere perduta. E giustamente l’”Osservatore Romano” ha replicato che “nessuno può definire quanto sta accadendo nella Striscia un 'danno collaterale' della lotta al terrorismo. Il diritto alla difesa, il diritto di Israele di assicurare alla giustizia i responsabili del massacro di ottobre, non può giustificare questa carneficina".
Si può tornare così all’uso della parola “genocidio”. È una parola nuova che non esisteva anche se popoli interi erano stati sterminati, dagli Indiani d’America agli Armeni in Turchia. Essa è stata coniata dal giurista ebreo polacco Raphael Lemkin, prima ancora che venisse a definire l’olocausto del popolo ebreo, ciò per cui fu adottata nella Convenzione dell’ONU per la prevenzione e repressione del crimine di genocidio, perché questo non avesse a ripetersi mai più nella forma di “distruggere, in tutto o in parte, un gruppo nazionale, etnico, razziale o religiose, come tale”. Genocidio è perciò una parola comune, mentre Shoà è la parola di specie che definisce quello perpetrato contro gli Ebrei. Esso è stato tale da essere considerato non paragonabile con qualunque altro, e per gli Ebrei stessi è diventata una parola sacra che non può riferirsi ad altro che al loro olocausto. Questa è la ragione per cui si può capire la ferita profonda che questa parola apre nella coscienza del mondo, e il rischio che sia confusa con l’antisemitismo, anche se purtroppo essa è atta a nominare altre realtà. Ma è anche la ragione per cui, per amore degli Ebrei e della fraterna amicizia che si desidera mantenere con loro, si può benissimo fare a meno di usarla, non per questo chiudendo gli occhi su altre tragedie. Ma per la stessa avvedutezza occorrerebbe che lo Stato di Israele non fornisse un’autorappresentazione di sé, avanzata come espressione autentica dell’intero Israele, che facesse apparire un popolo vittima di un genocidio come legittimato a infliggerlo ad altri.
Continua...

venerdì 8 dicembre 2023

NESSUN BAMBINO NASCERÀ QUEST'ANNO A BETLEMME


Con immenso dolore vi annunciamo che nessun bambino nascerà quest’anno a Betlemme per Natale. Intanto nessuna famiglia non censita o araba può spostarsi da Nazaret a Betlemme, perché tra questa città e Gerusalemme c’è un muro alto otto metri che non si può varcare senza un’attesa di ore attraversando check point presidiati da coloni agguerriti e dall’esercito. A Betlemme poi, in mancanza di albergo, non si può andare a partorire in una grotta, perché c’è il rischio che essa sia allagata da pompe capaci di trasportare migliaia di metri cubi d’acqua dal mare, come si minaccia di fare nei tunnel di Gaza per uccidere quanti vi sono riparati, liberi o ostaggi che siano. È anche un tempo non adatto per partorire, perché non si sa che futuro potrebbero avere i bambini messi alla luce, già ai primi vagiti, perché potrebbero d’improvviso spegnersi le incubatrici o dopo, perché potrebbero finire in mezzo a una strage degli innocenti, come succede a Gaza dove secondo l’organizzazione internazionale “Save the children” sono stati tolti alla vita già più di 3.257 bambini, un numero superiore a quello dei bambini uccisi in conflitti armati a livello globale in più di 20 Paesi nel corso di un intero anno; e questo rischio correrebbero anche in Israele, dove ne sono periti 29, e in Cisgiordania dove di bambini ne sono morti 33. Né si può cercare di portarli in salvo fuggendo in Egitto, perché non si può passare al valico di Rafah e l’Egitto non li vuole. E anche per gli altri bambini non si sa che futuro avranno se gli adulti maschi si uccidono a vicenda in guerre insensate, che è il primo e vero crimine del patriarcato.
In questa situazione tutte le Chiese cristiane di Gerusalemme hanno deciso che quest’anno non si celebrerà il Natale a Betlemme, sono cancellate le liturgie, fermati i pellegrinaggi, perché non ce ne sono le condizioni, c’è poco da celebrare.
Eppure i bambini “sono sacri” ha scritto Liliana Segre in una lettera alla comunità ebraica romana riunitasi a piazza del Popolo per reagire a un antisemitismo di ritorno che va di pari passo con il perdurare del genocidio di Gaza. Ha scritto la senatrice Segre: "L'eterno ritorno della guerra mi fa sentire prigioniera di una trappola mentale senza uscita, spettatrice impotente, in pena per Israele ma anche per tutti i palestinesi innocenti, entrambi intrappolati nella catena delle violenze e dei rancori. E non ho soluzioni. E non ho più parole. Ho solo pensieri tristi. Provo angoscia per gli ostaggi e per le loro famiglie. Provo pietà per tutti i bambini, che sono sacri senza distinzione di nazionalità o di fede, che soffrono e muoiono. Che pagano perché altri non hanno saputo trovare le vie della pace".
In effetti a pagare sono tutti, dentro e fuori la Palestina, Gaza e Israele. Anche i coloni, che se per mettersi fuori della guerra volessero andare in America non potrebbero farlo perché gli Stati Uniti hanno deciso di non dare loro i visti per quello che stanno facendo ai palestinesi insieme con l’esercito.
Il ritorno dell’antisemitismo si può sconfiggere se risulta ben chiaro che l’“inferno” (per dirla con l’ONU) che ha preso possesso dei palestinesi e di Gaza (con il rischio di espandersi in modo incontrollato nell’area mediterranea e nel mondo) non è imputabile né al popolo ebraico come tale, né alla fede di Israele, né al messianismo del ritorno alla terra. perché, anche ad una lettura fondamentalista delle Scritture, un simile esito non è compatibile con la Torah e con i Profeti. Se per la propria sicurezza futura il prezzo fosse lo sterminio degli altri sulla terra, nessun Dio potrebbe invocarsi nei cieli. Responsabile invece è solo lo Stato come istituzione, moloch o leviatano che sia, come il mostro preso ad esempio dalla Bibbia. Si rivela così la forza profetica del giudizio che Primo Levi nel 1984 esprimeva in una intervista a Gad Lerner (oggi ripubblicata dal “Fatto”) in cui si diceva convinto che “il ruolo d’Israele come centro unificatore dell’ebraismo” dovesse rovesciarsi, tornare fuori d’Israele, “tornare fra noi Ebrei della Diaspora che abbiamo il compito di ricordare ai nostri amici israeliani che essere ebrei vuol dire un’altra cosa. Custodire gelosamente il filone ebraico della tolleranza”. Se i mostri si sfidano fino a minacciare Beirut ed il Libano meridionale di fare la fine di Gaza e di Khan Yunis, nessuno può essere complice e confondersi con essi.
È questo il cambiamento profondo che si richiede allo Stato d’Israele e al suo rapporto con gli altri Ebrei e con i popoli, ed anche alla nostra concezione belluina dello Stato, se si vuole che l’antisemitismo sia cancellato in radice, e che il mondo possa trovare la pace.
Continua...

domenica 19 novembre 2023

 

 

IL RIBALTONE COSTITUZIONALE

 

Durante il fascismo i treni arrivavano in orario e gli scioperi erano proibiti. Adesso è Salvini che provvede ad ambedue le cose, precetta e fa ponti d’oro ai treni, forse per rinverdire l’idea che il fascismo non era poi tanto male. Deve pensarlo anche Giorgia Meloni se vuole fare una riforma costituzionale che al fascismo faciliterebbe la strada: se infatti a qualcuno venisse in mente di riprovarci, cosa ci sarebbe di meglio per farlo che un Capo del governo o un insieme di governo che sia padrone del potere e inamovibile per cinque anni, non revocabile per il venir meno della fiducia dei cittadini e del Parlamento? Ce la presentano come una riforma per il premierato, opinabile perché comunque un premier ci vuole, ed è invece un ribaltone per abolire il controllo della perdurante fiducia al governo Un governo così sarebbe del tutto in grado di instaurare il fascismo. Né lo impedirebbe la foglia di fico di un Presidente della Repubblica figurativo con 88 corazzieri di altezza superiore alla media.

La nostra memoria storica ci dice di non permetterlo. Non possiamo permetterci di ripetere un errore e una tragedia già accaduti. Ogni popolo ha avuto la sua sciagura originaria che ha poi spesso portato inenarrabili sciagure ad altri popoli e Nazioni. Noi abbiamo avuto il fascismo dopo la legge Acerbo, i Tedeschi il nazismo dopo le elezioni del 1932, gli Americani la guerra di secessione per la contesa sulla schiavitù, i Russi la domenica di sangue e il massacro al Palazzo d’Inverno nel 1905 per mano dello Zar, gli Armeni il genocidio, gli Ebrei la Shoà, i Palestinesi l’espulsione e la Nakba, i popoli dell’America Latina le dittature plebiscitarie con i cittadini gettati in mare o “scomparsi”, la maggior parte delle altre Nazioni sono state assoggettate a regimi militari, Imperi e colonie.  
Quasi sempre cinque anni sono bastati a ciascuno, spesso dietro finzioni democratiche o a causa di sbagliate elezioni, per cadere nella catastrofe e avere un battesimo di sangue.
Perciò dobbiamo avvertire il pericolo e non permettere l’uscita dalla Repubblica parlamentare, “Prima” o “Seconda Repubblica” che la si voglia chiamare, che pur con tutti i suoi difetti e le perduranti irrisolte povertà, ha il sapore della Costituzione e delle libertà conquistate. Come cittadini, Italiani per nascita o per accoglienza, dobbiamo contrastare questa “madre” di tutte le riforme. “Tutte”. È la madre del fascismo che è sempre incinta, e anche oggi non fa che partorire l’ennesimo decreto di sicurezza, che moltiplica pene e reati, dai mendicanti alle donne incinte, dall'intralcio alla circolazione stradale alle occupazioni abusive, alle proteste nelle carceri e nei centri dei migranti, che siano in Italia o nella discarica dell’Albania ,  e distribuisce più manette e più armi.

.

 

Continua...

giovedì 26 ottobre 2023

 

Continua...

giovedì 19 ottobre 2023

 QUALE FUTURO

Dopo la Shoà inflitta dall’Europa al popolo ebreo, il mondo ha detto “Mai più!” e ha stabilito che i popoli non devono uccidersi l’un l’altro ma farsi concittadini e fratelli. Con la fondazione dell’ONU il mondo si è poi chiarito le idee sul delitto di genocidio e sulla la sua singolarità rispetto a ogni altra forma di carneficina, eccidio o strage: una differenza tanto forte da inventargli un nome nuovo, dato che non esisteva la parola né la fattispecie del crimine di genocidio prima della risoluzione delle Nazioni Unite dell’11 dicembre 1946 seguita poi dalla Convenzione internazionale del 1948. Questa definiva il genocidio, indipendentemente dal fatto che fosse perpetrato in tempo di pace o in tempo di guerra, come ciascuno degli atti che venisse commesso “con l’intenzione di distruggere, in tutto o in parte, un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso come tale”. Tra questi atti era esplicitamente citato “il fatto di sottoporre deliberatamente il gruppo a condizioni di vita intese a provocare la sua distruzione fisica, totale o parziale”. Crimine veniva considerato anche “il tentativo di genocidio” e non venivano chiamati “scudi umani”, quali vittime dell’attacco, i membri del gruppo uccisi o esposti a “lesioni gravi alla loro integrità fisica o mentale”.
Istruiti da tale statuizione, possiamo chiamare per nome gli avvenimenti che stanno dilaniando Israele e Gaza, dalla turpe carneficina di Hamas alla terra bruciata frutto della punizione collettiva di Israele, fino alla strage degli innocenti malati e feriti nell’ospedale di Gaza
In piena guerra è impossibile fare un bilancio complessivo delle vittime; si sa per certo che 1200 israeliani sono stati uccisi nel raid di Hamas e circa 200 sono gli ostaggi. Quanto ai palestinesi, l’intera popolazione di Gaza, fatta oggetto della ritorsione israeliana, assomma a 2.200.000 persone, di cui più della metà sono minori e non hanno alcuna responsabilità per le gesta di Hamas, essendo nati dopo che questa nel 2006 aveva vinto le elezioni.
Purtroppo né l’Europa, né l’Occidente sono in grado di fare alcunché per alleviare le sofferenze in atto e promuovere la riconciliazione e la pace. Da noi non c’è che una rissa per demonizzare gli uni o gli altri, non c’è una visione capace di prospettare un diverso futuro. È chiaro invece che, fallita la soluzione dei due popoli in due Stati, inutilmente perseguita nei passati decenni, occorrerà mettere in campo nuove idee e proporre nuovi ordinamenti anche al di là dei modelli esistenti. Non è detto che la sovranità degli Stati debba continuare ad essere quella incondizionata del modello hobbesiano, né che i conflitti identitari si possano risolvere solo nella perdita delle rispettive peculiarità religiose e culturali secondo il modello della laicizzazione occidentale. E se da un lato l’identificazione di Israele come Stato ebraico potrebbe volgere a una interpretazione più magnanima e anche più fedele al cuore delle Scritture di quanto sia l’attuale forma dello Stato di Israele, nell’Islam può diventare cultura comune e immune dalle sacche di estremismi violenti la visione di recente enunciata nel documento islamo-cristiano di Abu Dhabi e nella lettera che 126 leaders e sapienti musulmani nel 2014 inviarono ad Al-Baghdadi e all’Isis, rivendicando il primato delle misericordia nel Corano e una lettura storicizzata delle passate guerre religiose con l’affermazione che l’Islam non avanza con la spada: “È proibito accomunare la “spada”, e quindi la collera e il rigore, alla “misericordia” – diceva la lettera – “Non è altresì lecito subordinare l’idea di “misericordia per tutti i mondi” (attribuita a Maometto) “all’espressione “inviato con la spada”, perché ciò sarebbe come dire che la grazia è subordinata alla spada, cosa che è evidentemente falsa. .”.
Non c’è dunque nulla che si deve fare che sia fuori della cultura ebraica e di quella musulmana; al contrario c’è scritto in Isaia 61, lo ha riproposto Gesù nella sinagoga di Nazaret, ed è affermato nella teologia islamica. E anche il Papa è d’accordo contro tutta la tradizione della Cristianità armata, “da Costantino ad Hitler”, come dice lo storico Heer ben noto a papa Francesco.
Se non si mettono in campo queste alternative, nemmeno noi ci salviamo. Perché tutti siamo responsabili, “Sono tutti traviati, tutti corrotti, non c’è chi agisca bene, neppure uno” (Salmi), “tutti hanno smarrito la via, insieme si sono corrotti, non c’è chi compia il bene, neppure uno) (Paolo). Sono detti sapienziali, laici, non confessionali.

Continua...

martedì 10 ottobre 2023

 

PIANGERE SU GERUSALEMME

 

Dinanzi allo scempio che dilania la Palestina, apriamo il Vangelo e leggiamo che Gesù, ebreo di Galilea, salendo a Gerusalemme, alla vista della città pianse su di essa dicendo: “Gerusalemme, se tu avessi conosciuto ciò che giova alla tua pace!”. Così oggi, come allora Gerusalemme non ha capito dove fosse la sua pace, ha creduto che fosse nella vittoria, mentre la guerra ora caduta su di lei è proprio il salario della vittoria.

Aveva vinto infatti Israele, o almeno così credeva, tanto che i partiti religiosi erano saliti al potere, dimentichi dei moniti a “non forzare il Messia”, e Netaniahu aveva istituito un “governo di annessione ed esproprio”, come scrive Haaretz, e anche il diritto interno era stato piegato, e le difese allentate, come se la pace fosse stata raggiunta, l’atto di fondazione fosse stato innocente e il problema palestinese fosse ormai cancellato e risolto.

A Israele non era bastato vincere tornando nella terra dei padri. Non era bastato occupare la Cisgiordania, non era bastato riaprire i kibbutz che ne erano stati espulsi, non era bastato aprire le terre occupate ai coloni, non era bastato demolire le case dei palestinesi e segregarli oltre muri e chekpoint, non era bastato salire a sfidarli sulla spianata delle Moschee, non era bastato sigillare le frontiere di Gaza e colpirla di embargo, come ora l’affama, le toglie l’acqua e la luce. Israele voleva ormai anche negare, come ha fatto il suo ministro delle finanze Bezalel Smotrich in piena Europa, a Parigi, che i palestinesi esistano: «non esiste un popolo palestinese”», aveva detto, si tratterebbe di una «finzione» elaborata un secolo fa per lottare contro il movimento sionista; dunque, causa finita.  

Non ha capito Israele ciò che Raimundo Panikkar aveva letto in quei circa 8000 trattati di pace, scritti anche sui mattoni, che si sono susseguiti nella storia da prima di Hammurabi ai giorni nostri: che la pace non si raggiunge mai con la vittoria, sicché mentre l’inchiostro o i mattoni sono ancora freschi, già si approntano le lance e i cannoni, e prima o poi il vinto risorge e si vendica. Perciò Israele piange ora sulla vittoria  e il rischio è che voglia vincere ancora, e procacciandosi sicurezze ancora maggiori, e devastanti per gli altri, quando il primo a piangere, nella sua tomba, è il premier Rabin, che al suo popolo voleva dare e stava per dare un’altra pace, fondata sulla riconciliazione e sul rispetto l’uno del volto dell’altro (secondo l’invito dell’ebreo Levinas), israeliani e palestinesi insieme: ma prima che la pace fiorisse, e perché non fiorisse, fu abbattuto da fuoco amico.

Non erano mancate altre voci che a Israele avevano indicato un’altra strada, e voci che addirittura venivano da reduci del genocidio nazista, scampati alla Shoà, come Yehuda Elkana, illustre filosofo e storico della scienza in Israele. Nato in Serbia, aveva raccontato su Haaretz (2.3.1988) di essere stato portato con i suoi genitori ad Auschwitz a soli dieci anni, di essere sopravvissuto all’Olocausto, liberato dall’Armata Rossa e poi immigrato in Israele nel 1948 dopo aver passato alcuni mesi in un “campo di liberazione russo”.  E aveva scritto: “Dalle ceneri di Auschwitz sono emerse una minoranza che afferma che “questo non deve accadere mai più” e una maggioranza spaventata e tormentata che dice “questo non deve accaderci mai più.” É evidente che, se queste sono le uniche lezioni possibili, io ho sempre creduto nella prima e considerato l’altra una catastrofe... Se l’Olocausto non fosse penetrato così profondamente nella coscienza nazionale, dubito che il conflitto tra israeliani e palestinesi avrebbe condotto a così tante “anomalie” e che il processo politico di pace si sarebbe trovato oggi in un vicolo cieco.…”.

E in Italia Bruno Segre, nel raccontare in una lunga intervista “Che razza di ebreo sono io”, ha denunciato l’uso strumentale della memoria della Shoah, come si mostrò nella “menzogna raccontata senza pudore” al Congresso sionista mondiale nell’autunno 2015 dal premier Netanyahu, secondo la quale l’idea della Shoah sarebbe stata suggerita a Hitler da Amin al-Husseini, il gran muftì di Gerusalemme. Una bugia “inventata dal premier israeliano – ha detto Segre - per insinuare l’idea che la colpa della Shoah vada attribuita ai palestinesi”, e che vi fosse una continuità fra la Shoah e l’intifada.

E ha scritto Ali Rashid, palestinese a Roma:  Come in una “discarica”, sono finiti a Gaza gli abitanti della costa meridionale della Palestina, vittime della pulizia etnica. Secondo i nuovi storici israeliani, per svuotare ogni città o villaggio palestinese furono compiuti piccoli o grande massacri, lo stesso è avvenuto nei luoghi dove sono sorte le nuove città e insediamenti intorno a Gaza che sono stati teatro degli ultimi eccidi compiuti da noi palestinesi. Mi addolora il fatto che abbiamo adottato il terrore e l’orrore che abbiamo subito per affermare il nostro impellente diritto alla vita. Ma questa catena di morte è inarrestabile? Eppure una volta eravamo fratelli.”

Noi dunque piangiamo con Israele su Gerusalemme, la città divisa che pur unisce due popoli nel dolore,  e li abbracciamo nello stesso amore. Ma non così possono piangere quanti hanno concorso alla sciagura di oggi, facendo propria e promulgando senza remore l’ideologia della vittoria, incurante della giustizia e tributaria solo della forza.

Continua...