lunedì 28 luglio 2014

APPELLO DEI COMITATI DOSSETTI - SALVARE IL PRESTIGIO DELLA COSTITUZIONE


I Comitati Dossetti per la Costituzione lanciano un grido di vivissimo allarme per le modalità non prive di forzature autoritarie attraverso cui sta procedendo e viene presentata all’opinione pubblica la revisione della Costituzione. Non basta che non ci siano intenzioni autoritarie nei riformatori, né nella nuova Costituzione stessa, se sono autoritarie le forme in cui essa viene progettata e “portata a casa”, come si dice con orribile senso di appropriazione, dagli esponenti del governo. La Costituzione repubblicana gode di un altissimo prestigio presso i cittadini, non solo per i suoi contenuti, ma anche per il modo in cui essa è stata pensata, discussa e consegnata al Paese. Il rischio è che oggi una riforma, anche eventualmente ben fatta, per le modalità e i linguaggi che la configurano, possa far perdere alla Costituzione il suo prestigio, e farla cadere dal cuore degli italiani. Rischio tanto maggiore in quanto l’obiezione sollevata dalla Corte Costituzionale sulla illegittimità del modo in cui gli attuali parlamentari sono stati eletti, potrebbe tradursi in una percezione popolare dell’illegittimità dell’intera Costituzione, quale da loro modificata e riscritta.   Occorre anche tener conto del fatto che si sta rifacendo la Costituzione in un momento di crisi del Paese e di altissimo lutto nella situazione internazionale per l’ecatombe di Gaza e l’abbattimento dell’aereo passeggeri in Ucraina, ciò che richiama a quanto è in gioco nel rapporto tra istituzioni e vita reale e dovrebbe indurre a maneggiare la materia con estrema delicatezza, gravità e misura.
I Comitati Dossetti per la Costituzione sono altrettanto allarmati per possibili esiti incontrollati e imprevisti della revisione in corso, quali sono fatti balenare dai suoi promotori col riferimento a una ulteriore fase di passaggio al presidenzialismo.  
Essi pertanto rivolgono un pressante appello al Partito Democratico perché tenga alta la guardia e nell’operazione politica in atto ripristini e salvaguardi la normalità democratica.  Giuseppe Dossetti aveva impegnato i Comitati da lui fondati a promuovere la Costituzione senza alcuna preferenza di partito; i Comitati ritengono oggi però di doversi rivolgere principalmente al Partito Democratico perché temono che la democrazia costituzionale potrebbe essere travolta nel nostro Paese se le venisse meno la garanzia, la difesa e il rispetto che finora le sono venuti dalle forze che fanno riferimento al PD e alla sua tradizione. Certamente non si può negare al governo espresso dal PD il diritto all’iniziativa legislativa anche in materia costituzionale, ma nel sistema democratico italiano è escluso che il governo possa fungere da padrone della Costituzione, delle due Camere, dei tempi e dei modi delle relative riforme, fino a fare del “delendo Senato” un trofeo al quale consacrare lavori forzati diurni e notturni feriali e festivi.
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mercoledì 16 luglio 2014

PIU’ POVERTA’ PIU’ FORTI I POTERI

Come sarebbe la nuova Costituzione 
di Raniero La Valle 
  
C’è un dato di apparente incomprensibilità nel fatto che mentre s’infiamma la situazione del mondo (da Gaza al progetto di Califfato islamico, dalla Siria all’Ucraina) e mentre la catastrofe economico-sociale italiana esplode nella insopportabile cifra di 6 milioni di poveri, pari al 10 per cento della popolazione, la lotta politica è scatenata sull’abolizione del Senato e la sostituzione del “Porcellum” con un “Porcellum” aggravato.
Il governo dice che se non facciamo subito queste riforme l’Europa si inalbera e la crisi economica peggiorerà, ma l’Europa non sa nemmeno che noi abbiamo due Camere né mai se ne è data il minimo pensiero; per contro la disoccupazione continuerà a devastare famiglie e giovani, neolaureati ed esuberi, cittadini e immigrati anche se i senatori senza più Senato invece dell’indennità  prenderanno la pensione e se alla Camera invece di sette od otto partiti ce ne saranno solo due, e magari uno.
Sembra un paradosso e invece non lo è; non è mai vero che quello che succede in politica sia del tutto incomprensibile e privo di ragioni. Del resto qualche sprazzo di verità talvolta perfora la coltre della disinformazione in cui sono avvolti i mezzi di informazione. In questo caso il guizzo di verità è venuto fuori al Senato all’inizio della discussione in aula sulle riforme costituzionali, quando il senatore Calderoli, autore del “Porcellum” e coautore della precedente riforma costituzionale tentata da Berlusconi ha detto, beffardo, che avergli dato l’incarico di relatore sulla riforma renziana è stato come mettere una pistola in mano a un “serial killer”. Il sottinteso era che il soggetto da abbattere fosse la Costituzione, e del resto non c’era niente da nascondere perché se la Lega ha come suo programma di spiantare l’Italia, certo non può essere pensata come paladina delle migliori riforme e fortune della sua Costituzione.

Non più limiti e contrappesi al potere

Dunque quello che succede si può capire. Si capisce come sia in corso in Italia, che è l’anello più debole delle democrazie avanzate, un esperimento che se riesce potrà diventare normativo per tutta l’economia globalizzata; esso dice che il gioco delle garanzie e dei limiti imposti al potere - di cui è stata fatta finora la storia della democrazia - è finito, e che ora si restituisce al potere autonomia, decisione, rapidità e potenza; se aumenta la povertà devono aumentare i poteri per governarla; la sovranità popolare, i sindacati, gli scioperi, i diritti, la libera scelta dei parlamentari andavano bene quando c’erano le dogane e l’economia e la finanza stavano nello spazio degli Stati, cioè della comunità politica, ma ora si fa sul serio, l’economia è salita sul tetto del mondo, domina le frontiere, si è avocata la sovranità, ha dato lo scettro al denaro e ai suoi derivati, ai suoi sacerdoti e ministri. E ora essa si fa le sue Costituzioni, di cui l’ultima in dirittura d’arrivo è il Trattato Transatlantico sul commercio e gli investimenti che fa delle imprese i nuovi Principati  che possono chiamare in giudizio gli Stati e avere ragione contro di loro.
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giovedì 10 luglio 2014

LA RIFORMA COSTITUZIONALE LO SCIOPERO E IL VOTO


di Raniero La Valle

            Si è tenuto a Roma, martedì 8 luglio, nella Sala della Camera dei Deputati in Santa Maria in Aquiro un seminario dedicato alla riforma costituzionale. Hanno parlato tra gli altri Domenico Gallo, i senatori Felice Casson, Mario Mauro e Vannino Chiti, nonché Gaetano Azzariti, Alessandro Pace, Lorenza Carlassare, Massimo Villone, Gianni Ferrara, Nino Galloni, Alfiero Grandi, Pietro Adami, Natalia Maglio, Raniero La Valle.
          Sulla riforma costituzionale in corso il giudizio unanime è stato molto severo, sia riguardo alla sua stessa legittimita sostanziale in quanto emana da un Parlamento risultato eletto, secondo la sentenza della Corte, in modo incostituzionale, sia riguardo al metodo e al merito delle scelte già fatte. Pubblichiamo qui l’intervento che a titolo personale vi ha tenuto Raniero La Valle, presidente dei Comitati Dossetti per la Costituzione.

          Come Presidente dei Comitati Dossetti per la Costituzione non ho una scelta da fare tra Senato della Repubblica e Senato delle Autonomie. I Comitati Dossetti sono in campo per difendere e promuovero lo sviluppo del costituzionalismo interno e internazionale, e certo in via di principio si può dire che l’uno o l’altro Senato o addirittura nessun Senato, siano compatibili con la democrazia realizzabile e realizzata. Perciò, parlando in astratto, i Comitati Dossetti potrebbero astenersi dal prendere posizione. Però per restare neutrali dovrebbero credere che veramente di questo si tratti, della qualità del bicameralismo e del ruolo di un evenutale Senato delle Regioni, cose in cui nella base e tra gli amici, anche giuristi, dei Comitati, c’è una disparità di opinioni, come c’erano alternative teoriche e aperture nella stessa riflessione e azione politica di Giuseppe Dossetti.
          Tuttavia non siamo affatto sicuri che di questo si tratti; noi non vediamo infatti una riforma fatta secondo verità, di cui siano dichiarati cioè i veri obiettivi, ma ci pare che sotto la veste della riforma si giochi una tutt’altra partita, come hanno detto il senatore Mauro e il prof. Villone; una partita al ribasso, che per dirla in poche battute secondo lo stile di oggi, direi volta a “abolire metà del Parlamento per lasciare una democrazia dimezzata”.
          Perciò faremo una consultazione nei Comitati Dossetti per sapere se e come schierarsi in questa battaglia che certo non può essere disertata; intanto io parlo qui oggi a titolo personale.
          La prima cosa da dire di questa riforma è che è inaccettabile il metodo ed è inaccettabile la cultura che è messa a suo fondamento. Il Senato potrà anche essere discusso, ma non si può buttar via con gli stessi motivi delle auto blu, e nemmeno il Senato è uno scalpo, o un olocausto da offrire in sacrificio ai mercati o all’Europa, in cento o in mille giorni, per avere in cambio la benevolenza di una flessibilità che peraltro nè viene veramente chiesta (nessuno a Ypres ha messo in discussione il Fiscal Compact) nè viene concessa. Non si possono fare le riforme costituzionali sotto ricatto, in forza di un Hatti-Humayun, un rescritto califfale emanato dal Sultano, nè si può essere qualificati come ribelli se ad esso ci si oppone; e nemmeno la soluzione è che uno si salvi la coscienza, votando contro come Palmiro Togliatti permise di fare a Concetto Marchesi, lasciando che la casa vada in rovina.
          Nel merito il Senato delle Autonomie significa distruggere le Autonomie, decapitandole dei loro rappresentanti eletti – sindaci, consiglieri regionali o Presidenti di giunta che siano – togliendoli dal territorio. Se gli eletti come sindaci o come esponenti delle Regioni devono davvero contribuire alla legislazione come senatori e sono pagati per questo dai loro cittadini, devono venire a Roma ogni settimana perchè per chiedere di intervenire sulle leggi approvate dalla Camera il Senato ha tempi strettissimi, dieci giorni dalla trasmissione della legge da Montecitorio e solo cinque giorni se le leggi sono approvate con la procedura della “ghigliottina”; e poi il Senato ha trenta giorni o solo quindici per proporre le modifiche; e ha solo quindici giorni per le modifiche alle leggi riguardanti il bilancio ex articolo 81; questo vuol dire che se un senatore o il Senato stesso salta una settimana, passa il treno e sulle leggi fatte dalla Camera non ci si può fare niente; perciò il Senato deve sedere in permanenza come la Camera. Quindi o i senatori fanno morire il Senato disertandolo, o il Senato fa morire le autonomie rubando i loro rappresentanti politici e togliendoli  dal territorio. 
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