di Raniero La Valle
Si è tenuto a Roma , martedì 8 luglio, nella Sala della Camera dei
Deputati in Santa Maria in Aquiro un seminario dedicato alla riforma
costituzionale. Hanno parlato tra gli altri Domenico Gallo , i
senatori Felice Casson, Mario
Mauro e Vannino Chiti, nonché Gaetano Azzariti , Alessandro Pace , Lorenza Carlassare ,
Massimo Villone, Gianni Ferrara, Nino Galloni , Alfiero Grandi, Pietro Adami , Natalia
Maglio, Raniero La Valle.
Sulla
riforma costituzionale in corso il giudizio unanime è stato molto severo, sia riguardo alla sua stessa legittimita sostanziale in quanto emana da
un Parlamento risultato eletto, secondo la sentenza della Corte, in modo
incostituzionale, sia riguardo al metodo e al merito delle scelte già fatte.
Pubblichiamo qui l’intervento che a titolo personale vi ha tenuto Raniero La Valle ,
presidente dei Comitati Dossetti per
la Costituzione.
Come
Presidente dei Comitati Dossetti per
la Costituzione non ho una scelta da fare tra Senato della Repubblica e Senato
delle Autonomie. I Comitati
Dossetti sono in campo per difendere e promuovero lo sviluppo del
costituzionalismo interno e internazionale, e certo in via di principio si può
dire che l’uno o l’altro Senato o addirittura nessun Senato, siano compatibili
con la democrazia realizzabile e realizzata. Perciò, parlando in astratto, i Comitati Dossetti
potrebbero astenersi dal prendere posizione. Però per restare neutrali
dovrebbero credere che veramente di questo si tratti, della qualità del
bicameralismo e del ruolo di un evenutale Senato delle Regioni, cose in cui
nella base e tra gli amici, anche giuristi, dei Comitati, c’è una disparità di
opinioni, come c’erano alternative teoriche e aperture nella stessa riflessione
e azione politica di Giuseppe Dossetti.
Tuttavia
non siamo affatto sicuri che di questo si tratti; noi non vediamo infatti una
riforma fatta secondo verità, di cui siano dichiarati cioè i veri obiettivi, ma
ci pare che sotto la veste della riforma si giochi una tutt’altra partita, come
hanno detto il senatore Mauro e il prof. Villone; una partita al ribasso, che
per dirla in poche battute secondo lo stile di oggi, direi volta a “abolire
metà del Parlamento per lasciare una democrazia dimezzata”.
Perciò
faremo una consultazione nei Comitati
Dossetti per sapere se e come schierarsi in
questa battaglia che certo non può essere disertata; intanto io parlo qui oggi
a titolo personale.
La
prima cosa da dire di questa riforma è che è inaccettabile il metodo ed è
inaccettabile la cultura che è messa a suo fondamento. Il Senato potrà anche
essere discusso, ma non si può buttar via con gli stessi motivi delle auto blu,
e nemmeno il Senato è uno scalpo, o un olocausto da offrire in sacrificio ai
mercati o all’Europa, in cento o in mille giorni, per avere in cambio la
benevolenza di una flessibilità che peraltro nè viene veramente chiesta
(nessuno a Ypres ha messo in discussione il Fiscal
Compact) nè viene concessa. Non si possono fare le riforme costituzionali
sotto ricatto, in forza di un Hatti-Humayun,
un rescritto califfale emanato dal Sultano, nè si può essere qualificati come
ribelli se ad esso ci si oppone; e nemmeno la soluzione è che uno si salvi la
coscienza, votando contro come Palmiro Togliatti permise di fare a Concetto
Marchesi, lasciando che la casa vada in rovina.
Nel
merito il Senato delle Autonomie significa distruggere le Autonomie,
decapitandole dei loro rappresentanti eletti – sindaci, consiglieri regionali o
Presidenti di giunta che siano – togliendoli dal territorio. Se gli eletti come
sindaci o come esponenti delle Regioni devono davvero contribuire alla
legislazione come senatori e sono pagati per questo dai loro cittadini, devono
venire a Roma
ogni settimana perchè per chiedere di intervenire sulle leggi approvate dalla
Camera il Senato ha tempi strettissimi, dieci giorni dalla trasmissione della
legge da Montecitorio e solo cinque giorni se le leggi sono approvate con la
procedura della “ghigliottina”; e poi il Senato ha trenta giorni o solo quindici per
proporre le modifiche; e ha solo quindici giorni per le modifiche alle leggi
riguardanti il bilancio ex articolo 81; questo vuol dire che se un senatore o
il Senato stesso salta una settimana, passa il treno e sulle leggi fatte dalla
Camera non ci si può fare niente; perciò il Senato deve sedere in permanenza
come la Camera. Quindi
o i senatori fanno morire il Senato disertandolo, o il Senato fa morire le
autonomie rubando i loro rappresentanti politici e togliendoli dal territorio.
D’altra
parte il Senato come uscirebbe dalla riforma sarebbe già un morto che cammina:
gli si toglie la legislazione, il potere di indirizzo politico sul governo, il
potere di inchiesta su materie non attinenti le autonomie territoriali, la
competenza sui trattati internazionali e le modifiche del territorio e perfino
il potere di deliberare sullo stato di guerra; la guerra la fa il governo con
la sua maggioranza di deputati, e se la maggioranza è fatta con l’Italicum,
questo vuol dire che una piccola parte di elettori di fatto ha in mano il
destino, la vita o la morte di tutto il popolo.
Ma
questo non succederebbe solo per la guerra; su ogni legge il governo può
pretendere il voto della Camera entro sessanta giorni, e un ritardo, magari
provocato dallo stesso governo, costerebbe alla Camera la perdita di ogni
potere di emendamento e la legge sarebbe approvata nel testo uscito da Palazzo
Chigi.
In
questo modo i cittadini perderebbero qualsiasi possibilità di concorrere con
metodo democratico attraverso i loro rappresentanti alla determinazione della
politica nazionale.
Allora
quello a cui assistiamo è un percorso a ritroso. La storia moderna della
libertà e del costituzionalismo è stata una storia che è partita da un potere
insindacabile e non revocabile, a cui via via si sono posti limiti e garanzie;
è stata la storia di governi a cui la Costituzione e i Parlamenti hanno detto
che cosa in nessun caso potevano fare – come ad esempio togliere i diritti di
libertà – e che cosa non poteveno non fare, cioè non potevano non rendere
effettivi i diritti dei cittadini anche sul piano economico e sociale.
Il percorso a ritroso consiste nel
fatto che dai limiti e dalle garanzie contro l’onnipotenza del potere si torna
alla insindacabilità, irresponsabilità e non revocabilità del potere. La
“generazione di Telemaco” in tal modo non porta a compimento l’opera dei padri.
Fa male Renzi ad evocare fantasmi di miti e tragedie antiche che gli si
rivoltano contro. Quella che vediamo all’opera è infatti piuttosto la
generazione di Edipo, che uccide il padre e carpisce e porta al suicidio la madre. Il problema è che
i padri uccisi non sono D’Alema, Bersani
o Letta – quelli sono rottamati – ma sono il Senato, il
pluralismo politico, il costituzionalismo democratico; e la madre abusata e
costretta al suicidio è la Repubblica democratica e parlamentare.
Noi non sappiamo se i riformatori di
oggi sono consapevoli delle conseguenze di quello che stanno facendo. In genere
i politici non lo sono. Non erano consapevoli delle conseguenze quelli che
hanno fatto Maastricht, quelli che hanno fatto l’euro non per visione ma per
ideologia, quelli che hanno sbagliato il cambio tra la lira e l’euro, quelli
che hanno fatto la guerra all’Iraq, alla Jugoslavia, all’Afghanistan, quelli
che hanno fatto i compiti a casa mettendo in Costituzione il pareggio di
bilancio, quelli che hanno fatto il Fiscal
Compact e ora stanno facendo il Trattato Transatlantico per il commercio e
gli investimenti con gli Stati Uniti. I riformatori di oggi non hanno cattive
intenzioni, piuttosto mancano di profezia, sono come gli apprendisti stregoni
di un film un tempo famoso; non sono neanche in grado di salvaguardare il loro
potere. Per questo io non temo il primo Renzi, ma temo il secondo Renzi o il
dopo Renzi, quando saremo senza Senato elettivo e senza controllo sul governo e
avremo l’Italicum che fa il deserto delle opposizioni e istituisce un Aventino per
obbligo di legge, lasciando solo due partiti, cioè due rotaie su cui può
passare un unico treno. E’ possibile che non ci sarà un regime di Renzi, che è
troppo conflittivo e provocatorio per essere accettato alla lunga dal sistema
politico, ma stiamo creando grandi chances
per un regime dopo Renzi, o che sia lui stesso a riproporsi come quello che
voleva salvare l’Italia e l’Europa e che ne è stato impedito da conservatori di
ogni natura e dai ribelli del suo stesso partito, o che sia qualcun altro dopo
di lui. La destra palese è sempre pronta in Italia a venire fuori dalla destra
occulta.
In questo quadro è chiaro che oggi – domani
non so - l’unica risorsa ancora
disponibile per la difesa della democrazia e del costituzionalismo è il Partito
Democratico. Possiamo accettare che esso smonti le difese e passi tra i
guastatori? Io credo che non possiamo; e qui allora c’è una responsabilità che
non è più degli iscritti al PD, perché
gli iscritti si sono fatti togliere di mano il partito con le primarie “selfie” e non hanno più il controllo
della sua linea politica. La responsabilità è invece degli elettori del Partito
Democratico; se gli elettori di altri partiti possono decidere la segreteria e
le sorti del Partito Democratico, tanto più sono abilitati a farlo e dovrebbero
farlo gli elettori stessi del Partito Democratico.
Si potrà allora pensare a
un’iniziativa di elettori democratici
che al PD. chiedano null’altro che di farsi baluardo della democrazia
parlamentare, e perciò della democrazia tout
court; ciò vuol dire ripensare sotto questo profilo sia la legge elettorale
in senso veramente rappresentativo sia la questione del Senato, perché altro è
fare della questione del bicameralismo una questione di efficienza, altro è
fare della battaglia per un Senato elettivo di cui il governo debba non perdere
la fiducia, una battaglia di libertà.
E per avere forza politica nei confronti
del partito che lo deve difendere, l’elettorato democratico ha tutto il diritto
di giungere fino a minacciare di astenersi la prossima volta dal voto al
Partito Democratico. Come diceva don Milani, sciopero e voto vanno insieme,
sono le due armi pacifiche che il popolo può usare nel confronto col potere.
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