lunedì 26 agosto 2019

CHE COSA BACIARE

Tra il 7 e il 20 agosto si è consumata la sconfitta di Salvini già annunciata un anno fa in una nostra newsletter del 18 luglio 2018 (che ora si trova in: Raniero La Valle, Lettere in bottiglia, Gabrielli editore, pag. 176). Questo ultimo tempo del film della sconfitta si è andato svolgendo nello stesso tempo della tragedia dei naufraghi della Open Arms, non a caso conclusasi con lo sbarco a Lampedusa la sera stessa della caduta del governo.
Anche il simbolo conferma perciò che la causa della sconfitta è stata la spietatezza. Il sistema non l’ha retta, esso ha ancora (non per sempre) le risorse per farlo, e l’ha rigettata. La spietatezza della cultura e della politica di Salvini e della Lega non era solo nei confronti dei profughi, degli stranieri, degli immigrati, dei piagati, dei sommersi. Stava nell’idea stessa che c’è chi è prima e chi è dopo nella spartizione non solo delle ricchezze, ma del minimo vitale, della dignità umana, della vita stessa. E non c’era pietà nemmeno verso gli Italiani, che per un proprio interesse di parte si voleva gettare nell’avventura di restare soli ed invisi nell’Europa e nel mondo, sovrani solo nell’arroganza e nella loro procurata miseria. Non c’era pietà verso l’Europa che con tutte le sue storture e ingiustizie è pur sempre la nostra madre, la storia da cui veniamo e che siamo. Non c’era pietà verso istituzioni di democrazia e di diritto che sono costate secoli di lotte e sangue di martiri; non pietà verso gli investiti di cariche pubbliche, tutti degradati alla simbiosi di culo e poltrona; non pietà verso i senatori, insultati come non liberi, di contro all’unico “libero” di quell’aula che voleva intestarsi pieni poteri; e non c’era pietas verso il crocefisso e il rosario sbaciucchiati ad uso di telecamere sui banchi del governo.
Occorre fermarsi ancora un momento, prima di voltare pagina su questa crisi, sulla controversia intorno all’uso dei simboli religiosi esplosa sui giornali e in Parlamento,.  Si è già detto che quest’uso politico dei segni della devozione cristiana offende il sentire religioso dei credenti e la laicità dello Stato. Il presidente Conte ha aggiunto che è una forma di “incoscienza religiosa” e padre Spadaro, direttore della “Civiltà Cattolica”, è rimasto impressionato della forza di questa espressione. Si potrebbe chiudere qui, ma c’è un’insidia nascosta in quanto è avvenuto, c’è un pericolo ancora maggiore e rischi imprevisti che vanno identificati, per l’impatto devastante che potrebbero avere in futuro.
Deve essere chiaro che la controversia non è sulla fede e nemmeno sulla religione, ma su gesti e simboli devozionali della religione e della fede che sono del tutto legittimi e anzi spesso hanno radici profonde nelle tradizioni dei credenti e nell’immaginario popolare, ma che possono essere deviati, distorti, banalizzati e perfino rovesciati nel loro significato. Ne ha offerto una preziosa traccia nella discussione al Senato il presidente della Commissione Antimafia Nicola Morra, quando ha detto che in Calabria la ndrangheta ha deciso di “consegnarsi” a un santuario della Madonna, di farlo suo, e perciò l’uso politico di rosari e madonne può lì trasmettere messaggi in codice. Ma al di là di questi casi limite c’è il rischio di un uso e di un’esibizione in chiave superstiziosa magica e scaramantica dei segni religiosi, che immessi nel circuito sociale possono deturpare e intercettare la fede, funzionando da dissuasori, vaccini e anticorpi all’aprirsi al rapporto con Dio.
Il caso del calciatore di riserva mandato in campo dalla panchina che si fa il segno della croce e manda un bacio a Dio un po’ per grazia ricevuta un po’ per procacciarsi il miracolo di un goal, non è diverso dal caso di Salvini che bacia il rosario in piazza per aver vinto le elezioni e si appella  all’Immacolata in Senato per esorcizzare la fine della sua ascesa politica.  Con una certa inclemenza  sono chiamati baciapile quelli che baciano le acquasantiere invece che praticare la misericordia. Il bacio è un evento umano sublime e un gesto religioso potente, non si può buttar via. Nella liturgia il bacio si dà prima della comunione per consegnarsi la pace, è il bacio che si depone il venerdì santo sulla croce di Gesù; c’è stato il bacio della Maddalena al Signore nel giardino della resurrezione; Dio stesso è un bacio, diceva il camaldolese Benedetto Calati e al bacio sono dedicati i nove sermoni di san Bernardo da Chiaravalle sul “Cantico dei Cantici” in cui, chiosava lo stesso padre Benedetto, “questo grande monaco nel gesto più naturale dell’amore ha saputo riassumere il segreto mistico della vita divina ed umana”.
Ed allora il rischio qual è? È che per mettere al riparo la politica dalle incursioni del sacro,  sia pure nelle forme del devozionismo magico e incosciente alla Salvini, per prevenire ricadute identitarie in politiche “cristiane” e magari democristiane, si ritorni alle care vecchie battaglie laiciste, si torni ad erigere muri invalicabili tra fede e politica, si professi l’illegittimità di ogni ispirazione religiosa dell’azione laica in politica. Si tornerebbe all’idea della religione come oppio, dell’ateismo come sinonimo della modernità e del sapere, della fede come negatrice del pluralismo e fattore di esclusione; si tornerebbe a prima del Vaticano II, a prima dell’incontro fraterno tra le religioni e delle religioni col mondo, a prima dell’ascolto prestato a papa Francesco, a prima dei suoi dialoghi “politici” coi movimenti popolari e della sua critica all’economia che scarta e che uccide, a prima della “Laudato Sì” per la salvezza della terra. E poiché la salvezza della terra, problema del tutto rimosso dalla politica attuale, può farsi solo attraverso un grande cambiamento dell’animo umano e del sentire dei popoli che si rifletta poi nell’azione politica, questa ricaduta negli storici steccati del passato la renderebbe impossibile. Continua...

martedì 13 agosto 2019

RIMETTERSI IN PIEDI PERCHÉ LA STORIA CONTINUI


 Nei giorni in cui, sulla soglia del Ferragosto, cadeva il governo, la temperatura a terra giungeva in Puglia e in Sardegna a punte di 51 gradi; a Genova veniva portata a termine la demolizione del ponte Morandi e della case ad esso sottostanti; nel Mediterraneo tra Malta e Lampedusa due o tre navi si trovavano i porti chiusi in faccia avendo a bordo centinaia di indesiderati e di scartati privati del diritto di vivere. E molte altre simili cose erano in corso nel mondo, ma già queste tre dicono tutto. La prima parla di un clima fuori controllo, che invece dovrebbe essere governato dagli uomini; la seconda parla di una tecnologia che crea opere sorprendenti e impensate ma non le cura, non le vigila e ne fa ragione di morte; la terza parla della vanagloria di un potere che si compiace di se stesso e si prostituisce al consenso che chiede, offrendo il prezzo di un obbligo al naufragio, di un sacrificio degli innocenti, di un viatico alle stragi degli innocenti.
Ciò che in tutto questo si mostra è la sproporzione tra la tragica grandezza di questi fatti e la qualità delle risposte date in sede politica. Uno dice ossessivamente che il rimedio è tagliare 345 “poltrone” tra l’una e l’altra Camera; un altro apostrofa i parlamentari ingiungendo loro, anzi a una parte del loro corpo presa per il tutto, di precipitarsi a Roma per votare, data la sua urgenza di prendersi dalle urne le poltrone che secondo lui gli toccano come “capitale” guadagnato nelle elezioni europee; un altro vuole andare all’incasso dei popcorn mangiati sull’Aventino aspettando che sul fiume passasse il cadavere del suo nemico; e sullo sfondo c’è il coro del popolo che non recita più la parte che gli era stata assegnata in commedia ma scende in piazza con grida e striscioni chiamando “buffone” e “sciacallo” proprio colui che si era presentato come suo salvatore.
Vedremo ora come ne verranno fuori: e devono venirne fuori perché loro è la responsabilità della crisi così creata.
Ma, al di là dei meriti e dei demeriti dei protagonisti di questa fase, quello che emerge con potente evidenza è che lo strumentario politico e le risorse di cui si è fatto uso fin qui tra tutte quelle offerte dal sistema democratico (soprattutto a partire dall’ubriacatura del maggioritario), non sono più in grado di reggere la sfida e di far fronte ai problemi veramente nuovi che la storia oggi ci propone. Noi, cui la  Costituzione attribuisce il compito di determinare le politiche nazionali,  siamo, con i pochi mezzi che ci hanno lasciato tra le mani, incapaci di prendere il controllo politico e pubblico, e perciò il governo di fenomeni come il dissesto della Terra e del clima, l’onnipotenza autoreferenziale della tecnologia e dei suoi apprendisti stregoni con la loro Intelligenza Artificiale, il movimento di popoli in esodo o in fuga da una parte all’altra di un mondo irto di armi e di violenza, il tracotante “benservito” al diritto e alla giustizia sulla terra. E se, come ha cominciato a fare, si scioglie tutta la Groenlandia, come ci dicono gli esperti (e l’aumento di 3 gradi della temperatura terrestre avverrà nel 2050, dicono gli australiani), le acque saliranno di sette metri; neanche Roma resterà all’asciutto, fortuna che ci sono i sette colli.
Per la prima volta il tema della fine del mondo non è più esclusivo delle religioni, è il problema attuale della politica. Non possiamo aspettarci un Dio che scende dal Sinai per porre rimedio ai guasti causati dalle nostre idolatrie. Lo dice anche papa Francesco: la Chiesa non offre miracoli, la Chiesa “vede chi è in difficoltà, non chiude gli occhi, sa guardare il mondo in faccia” e lo rimette in piedi, “nella posizione dei viventi”, come fece Pietro con il paralitico. E, messi in piedi, tocca a noi: “Dio vuole la fede, loro vogliono i miracoli”, aveva già detto il papa il 3 febbraio scorso.
L’impresa dunque la dobbiamo compiere noi. Occorre riprendere in mano il controllo politico dei processi, ma ormai questo è il compito non di questa o quella identità, non di questo o quel sovrano etnico o imperiale. Il loro ciclo storico si è estinto nelle fiammeggianti apocalissi del Novecento. È il compito invece della intera comunità umana, come nuovo soggetto costituzionale e politico.
 È questa l’eresia pelagiana dell’uomo che si salva da sé? No, è sapere che Dio starà col suo popolo, con i popoli tutti non “con braccio possente e ira scatenata”, ma con la forza liberante della sua misericordia.
Pertanto, passata l’attuale bufera, bisognerà pensare a dar luogo a nuove offerte politiche, porre mano a nuovi strumenti di azione e decisione politica, nell’agone democratico, non per contendere il potere ma perché sia salva la terra e la storia continui. Ci vorranno un’aggregazione, un’alleanza, un partito, che guardino anche oltre i confini dell’Europa, non come eterna ripetizione dell’identico, ma come risposta nuova a problemi nuovi, non di una parte contro l’altra, ma dalla parte della Terra, un partito della terra.
Continua...