La
giustizia e la pace sono le due grandi conquiste della Resistenza su cui è
stato costruito l’intero edificio della nostra Costituzione. Esse non erano
però solo delle stazioni di partenza ma traguardi da raggiungere e non solo per
noi, ma per tutti. A cominciare dal centro, dal Mediterraneo
Raniero La Valle
(dal sito “Questione giustizia” di
Magistratura Democratica)
È una grande giornata di pace.
Perché il 25 aprile 1945 non solo finì una guerra, ma si aprì una nuova pagina
della storia d’Italia e della storia del mondo. Noi siamo dentro questa pagina,
e ora la dobbiamo scrivere a partire da questo vero centro del mondo che è oggi
il Mediterraneo, che deve essere un mare di pace e non di afflizione.
Per questo non è solo un grande
onore, ma una gioia per me celebrare la Liberazione qui a Reggio, e non, ad
esempio, a Milano, dove soffiò il vento del Nord, o a Roma dove la nuova
Repubblica prese inizio. Perché celebrarla qui a Reggio vuol dire cambiare
prospettiva, guardare le cose dal futuro, da dove i problemi massimamente si
pongono, da questo bacino del Mediterraneo dove la nostra civiltà è nata, e ora
deve ripartire per portare a pienezza la civiltà stessa del mondo.
Come ci ha detto la splendida
partigiana Anna Condò, noi oggi prima di tutto abbiamo un dovere della memoria.
La memoria però non è un deposito dove sono ammassati inerti i fatti del
passato, ma è una miccia che accende il presente, che lo fa muovere e vivere;
la memoria non è conservatrice, è sovversiva. Per questo ci sono ancora i
partigiani. Noi infatti riceviamo il passato come dono, mentre viviamo il
futuro come promessa. La Resistenza, la Liberazione, la democrazia, la
Costituzione sono i doni che abbiamo ricevuto e che ora dobbiamo mettere a
frutto; noi siamo la speranza, concepita nel passato, che ora si realizza.
Siamo noi, qui, ciascuno di noi, che decidiamo il destino del mondo.
Che cosa dunque ci porta la memoria?
Io allora ero troppo piccolo per fare la Resistenza, ma abbastanza grande per
capire da dove venivamo. Lasciatemelo dire con le parole di un grande poeta e
di un grande resistente del tempo, un monaco, padre David Maria Turoldo.
Per padre Turoldo la Resistenza era stata una fuoruscita
dalla notte oscura del nazifascismo, nel patimento di un Paese occupato,
calpestato da neri stivali. «Aquile e svastiche e canti di morte – come
scriverà nella sua poesia – salmi e canti e benedizioni di reggimenti col
teschio sui berretti neri sulle camicie nere sui gagliardetti neri...». Contro
«quella notte oscura» egli aveva scelto la sua Parte. «Sì, insieme al mio
fratello di convento, Camillo de Piaz – racconterà quarant’anni dopo – ho fatto
la Resistenza: con molti giovani cattolici, e comunisti, e socialisti, e del
Partito d’azione, e altri; con Curiel e Gillo Pontecorvo, e Teresio Olivelli,
quello della Preghiera del Ribelle; e con Mario Apollonio e amici
dell’Università Cattolica, e altri ancora. Sì, in molti avevamo lottato e
sperato insieme».
Continua...