martedì 17 settembre 2019

DARE IL NOME ALLE COSE

DARE IL NOME ALLE COSE

I due passaggi parlamentari in cui si è sancita la caduta di Salvini, minoranza nel Parlamento e nel Paese, e si è formato il nuovo governo di salute pubblica, sono stati contraddistinti da una straordinaria passionalità e inusitata violenza. I giovani dicono che mai avevano visto una cosa simile al Senato e alla Camera, i vecchi invece l'avevano vista nei primi anni della Repubblica quando De Gasperi e Truman, elargitore del piano Marshall per rimettere in piedi l'Italia, espulsero i comunisti dal governo e cominciò il grande scontro che aveva per posta una scelta di campo (tra Est e Ovest) e di sistema (tra capitalismo e comunismo).
È proprio quando è in gioco una scelta di campo e di sistema che il Parlamento acquista (o riacquista, se l'ha perduta) la sua centralità, e che le passioni si accendono. Negli anni del dopoguerra volavano le tavolette degli scranni parlamentari (poi furono meglio imbullonate) e Pajetta giovane saltava i banchi per andare a scontrarsi con i democristiani; oggi le tavolette vengono sbattute con veemenza per impedire agli altri di parlare, si indossano magliette infamanti degli avversari, si innalzano tricolori altre volte destinati alle latrine e si agitano rosari blasfemi e altri simboli religiosi; e la scena si è ripetuta ("li ho visti in Pontida", come cantava Giovanni Berchet) nel pratone invaso dalla Lega e soprattutto da un grande telone dove era scritto, con alto sprezzo del pericolo: "le donne con Salvini".
Dunque tutti i segni convergono a dire che quella in atto in Italia, come in altri momenti di analoga criticità, è una scelta di campo e di sistema. 
La scelta di campo implicata nella crisi di governo era pro o contro l'Europa; è stata scelta l'Europa, ma  non si può considerare che tale scelta sia stata messa al sicuro; soprattutto occorre dire però che oggi il campo non è più solo l'Europa e l'Occidente, è il mondo, nella sua unità di destino e nel rischio della fine a cui lo espongono le minacce ambientali, politiche, economiche e militari che la politica non sa contenere; e questo è il nuovo vero campo che va scelto per dare una risposta alla crisi epocale in atto. 
Quanto alla scelta di sistema è chiaro ormai che bisogna abbandonare gli eufemismi e le illusioni di pudiche parole, e dare il vero nome alle cose: non si tratta di sovranismi, di salvinismi, di populismi, si tratta di fascismo. Pane al pane, al di là delle diverse forme che esso storicamente può assumere, lo specifico identitario del fascismo è la negazione della democrazia come istituzioni di regole e di diritti e il realizzarsi del vero sogno dell'assolutismo, che è il solo uomo al comando, e i cittadini come parti del corpo di lui. Non importa che in Italia oggi il fascismo prenda le forme del Capitano che non lascia scampo ai naufraghi, che grida alla vittoria tradita, che si atteggia a difensore dei sacri confini e dà ai suoi la consegna irrevocabile di vincere, né importa che prenda le forme del fascismo popolano delle massaie rurali di un tempo, che ieri osannavano il duce e oggi invocano il presidenzialismo. Né deve ingannare che la via per l'uscita dalla democrazia sia cercata nei modi ancora formalmente democratici della legge maggioritaria. Quello che conta è la pretesa, brandita come una clava, che con un solo voto in più si governi, cioé si realizzi l'obiettivo di un solo uomo al comando. E questo traguardo  sarebbe tanto più facile da raggiungere se il maggioritario si abbattesse su una società ricca di pluralismo politico e sociale, sicché tra molti contendenti sarebbe più agevole ottenere un voto in più di ciascuno degli altri.  Dalla legge Acerbo in poi è il metodo classico della vittoria dei fascismi: una ristretta minoranza prende il potere - "i pieni poteri" - e non lo rende più negoziabile, lo toglie dal mercato, fino alla tragedia. 
È altrettanto chiaro che gli unici due strumenti per salvare la democrazia e non avere il fascismo grazie a un pugno di voti o anche a uno solo, sono sul piano del diritto la Costituzione e sul piano della politica l'unità di tutte le forze e le anime che fasciste non sono. Per questo è grave che proprio ora, nel momento cruciale della lotta, venga rotta l'unità del Partito Democratico per inseguire, nel versante opposto, lo stesso obiettivo di un solo che comandi o almeno di un protagonista assoluto. È il vecchio demone delle scissioni. D'altronde è pur vero che chi ce l'ha messa tutta per distruggere un partito possa non sentirsi a suo agio a rimanere al suo interno. 

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mercoledì 4 settembre 2019

UN MIRACOLO DELL’ANTIFASCISMO



È una giornata di grazia quella in cui il governo italiano, nascendo da un nuovo giuramento, cessa di essere l’istituzione che sbandierava “politiche crudeli” che stavano “avvelenando e incattivendo la società, seminando la paura e l’odio per i diversi, logorando i legami sociali e fascistizzando il senso comune”, come diceva Ferrajoli il 6 aprile scorso a Roma; è una giornata felice quella in cui il governo cessa di essere l’officina in cui si cambiava “l’idea di giustizia avvicinandola sempre più all’idea di vendetta” e si elaborava “una nuova politica penale autoritaria che enfatizza le esigenze di ordine e sicurezza e torna ad investire sulla repressione massima come strumento di governo della società e di esclusione di soggetti marginali all’insegna di un’antropologia razzista della diseguaglianza”, come diceva nella stessa occasione Mariarosaria Guglielmi.
Trova risposta così  il grido a cui aveva prestato ascolto la recente assemblea di “Chiesa di tutti Chiesa dei poveri” – il grido dei popoli, dei migranti, dei naufraghi, degli esclusi – ciò che dimostra come quell’assemblea del 6 aprile non sia stata né visionaria né vana.
Nel passaggio di fase intercorso durante il mese della crisi di governo, si è verificato un paradosso. Dicono che, per quanto criticabile, la forza politica ed elettorale di Salvini non sia fascismo. Di per sé infatti il sovranismo è il nuovo nome del nazionalismo, non del fascismo. Però la risposta che gli è stata data con la formazione del nuovo governo, invece che con la corsa temeraria alle urne, è stata un miracolo dell’antifascismo. Certo a questo miracolo  è stato dato un innesco fortemente emotivo e una motivazione esauriente quando qualcuno che non sa quello che dice ha chiesto “i pieni poteri”; ma resta il fatto che l’antifascismo si conferma in Italia come il DNA della Repubblica, e della Costituzione che la garantisce. Risuonano qui le parole profetiche pronunciate da Aldo Moro all’Assemblea costituente, quando rispondendo al monarchico on. Lucifero che voleva fare una Costituzione “afascista”, disse: “Non possiamo fare una Costituzione afascista, cioè non possiamo prescindere da quello che è stato nel nostro Paese un movimento storico di importanza grandissima il quale nella sua negatività ha travolto per anni la coscienza e le istituzioni. Non possiamo dimenticare quello che è stato perché questa Costituzione oggi emerge da quella Resistenza, da quella lotta, da quella negazione, per le quali ci siamo trovati insieme sul fronte della resistenza e della guerra rivoluzionaria ed ora ci troviamo insieme per questo impegno di affermazione dei valori supremi della dignità umana e della vita sociale… Non avremmo ancora detto nulla se ci limitassimo ad affermare che l’Italia è una repubblica, o una repubblica democratica”.
Non c’è che l’antifascismo – non un’altra politica, ma un’altra idea dell’umano – che può fare il miracolo di unire forze tanto diverse - che si tratti di lottare o di governare insieme - trasformando il loro “essere contro” in un “essere per”: perché non basta mettersi contro per salvarsi, occorre mettersi insieme per farne scaturire un maggior bene per tutti. 
Che cosa c’era di più diverso sulle montagne emiliane che il cristiano Dossetti, capo del Comitato di Liberazione Nazionale di Reggio Emilia, e i partigiani comunisti che operavano sotto la sua guida? Eppure noi siamo oggi qui anche per loro. Si potrebbero fare moltissimi altri esempi, ma ora ne facciamo solo due, che sono i più importanti e normativi per la storia presente e per i compiti oggi da assumere.
Il primo è quello già detto dell’unità realizzatasi in Italia per resistere al fascismo e fondare la Repubblica; il secondo è quello dell’unità delle Nazioni che a San Francisco, dopo Auschwitz, Dresda e Hiroshima, chiusero l’età delle sovranità signore della guerra, l’età dei genocidi, delle culture della diseguaglianza tra gli esseri umani, del lavoro alienato e schiavo, e prefigurarono un nuovo ordine politico mondiale; due esempi che rinviano alle due grandi rivoluzioni del dopoguerra che si tratta ora di riprendere e far avanzare: il costituzionalismo interno e il costituzionalismo internazionale, e questo ormai necessariamente mondiale e globale. Sono queste le due grandi opere che con quegli stessi moventi sono oggi da compiere.  
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