di Raniero La Valle
L’intervento
della Civiltà Cattolica nella
campagna referendaria sulla nuova Costituzione renziana, offre l’opportunità
per fare un po’ di storia di una controversia cattolica che si è accesa in
questa occasione, e non tra le curie ecclesiastiche, di cui solitamente si
occupa l’informazione religiosa, ma tra gli stessi cittadini.
Che la
controversia sia esplosa sulla Carta fondativa della Repubblica è una novità,
perché c’è stata finora una unanimità cattolica sulla Costituzione, nei cui
confronti, come ha notato Alberto
Melloni, il mondo cattolico nutre una sorta di “istinto
materno”, e ciò per la buona ragione che la Carta del ’48 è in buona parte sua
fattura. Forse non sempre si è trattato di un’identificazione argomentata, però
nella coscienza cattolica la Costituzione aveva messo radici, tant’è che quando
nel 1994 Giuseppe
Dossetti chiamò alla sua difesa, la sorpresa non fu che i
cattolici si mobilitassero per essa, ma che fosse stato un monaco a svegliarli
scendendo dal suo eremo.
Nel
referendum del 2006 contro la riscrittura fattane da Berlusconi e Calderoli il
mondo cattolico fu unanime. La Costituzione, interiorizzata, non strideva con
la qualità di cittadino, e non sarebbe stata allora concepibile un’antinomia
come quella enfatizzata ora da Renzi: “Ho giurato sulla Costituzione, non sul
Vangelo”.
Oggi invece
la scissura si è consumata, e con una foga che ha ben presto travalicato i
limiti di un ordinario dissenso politico.
Da un lato c’è infatti chi rivendica
il diritto di essere e di dirsi cristiani anche nella scelta del modello
costituzionale, dall’altro c’è chi vibratamente lo nega; e contro entrambi c’è
chi del proprio modello alternativo fa un idolo, un assoluto, così da
sacrificargli ogni cosa, al punto da far voto di immolare ad esso lo stesso
proprio destino politico, e quello del Paese: una drammatizzazione da ultima
spiaggia, che ha accompagnato tutto l’iter parlamentare della riforma
Renzi-Boschi e che ha finito per contagiare l’ambiente culturale e politico al
punto che oggi anche i maggiori critici della riforma – dai competenti
giudicata addirittura un “orrore” - la candidano al “Sì” nel referendum per una
sorta di ineluttabilità del destino, per un fatalismo costituzionale che non
lascerebbe altra alternativa che la resa alla pretesa sovvertitrice, con la
velleitaria speranza di correggerla dopo.
E’ in questo
clima che si è aperta una specifica vertenza interna al mondo cattolico
sull’interpretazione della laicità. La storia comincia il 21 gennaio scorso quando, dopo
l’approvazione in seconda lettura, senza i due terzi dei voti, della nuova Carta costituzionale da
parte del Senato, si cominciano a raccogliere firme per un appello di
“Cattolici del No”, intenzionati a prendere parte come tali alla ormai
imminente battaglia referendaria. Il precedente è quello di una significativa
partecipazione di molti cattolici, spinti dal rinnovamento conciliare, alla
battaglia per il “No” all’abrogazione del divorzio nel primo referendum del
1974. Questa volta la ragione che spinge quanti si sentono chiamati in causa
come cristiani - senza peraltro voler parlare a nome di tutti né della Chiesa -
è il rifiuto di una “democrazia dimezzata” e di un’inedita onnipotenza del
potere che ritengono inscritte nel nuovo disegno costituzionale.
Raccolte
duecento firme, l’appello veniva presentato in un incontro pubblico il 21 marzo alla Federazione
Nazionale della Stampa a Roma.
Contro
l’iniziativa dei “Cattolici del No” scendevano in campo, dicendosi “costretti”
ad intervenire per salvaguardare la laicità da poco conquistata dalla
regressione a “un modo integrista di intendere la fede”, alcuni membri della
Comunità romana di San Paolo che si servivano del “postino” della stessa
comunità e della sua rete di contatti informatici per diffondere il 19 aprile il loro
contro-appello “dentro e fuori la comunità”, e instradare le firme di adesione
ad esso all’indirizzo email unasceltadilaicità@gmail.com.
Non mancava un esagerato riduzionismo riguardo alla posta in gioco, che non
sarebbe stata altro, a loro parere, che dare o no il consenso “a un nuovo
assetto parlamentare”.
Il documento
era severo verso l’Appello dei Cattolici del No, giudicato “sbagliato e
regressivo sul piano culturale, civile e politico”, però apparve subito poco
plausibile che il suo movente fosse il richiamo a un integrismo laico inteso
come rigida esclusione di ogni riferimento alla fede nelle scelte politiche e
costituzionali. Non era credibile sia perché tale motivo non era stato
invocato, dalle stesse persone, nella vicenda referendaria del 1974, sia perché
l’intero mondo delle riviste cattoliche e cristiane, a cominciare da quelle
delle comunità di base e da quella romana “Confronti”, si era mobilitato per il
No contro la riforma costituzionale di Berlusconi, nel ben più recente
referendum del 2006, con argomenti molto simili a quelli validi oggi. Ma
soprattutto perché la stessa comunità di san Paolo era nata, distaccandosi col
suo abate dalla basilica di san Paolo fuori le mura, da una ipotesi di teologia
politica, che aveva avuto la sua più alta espressione nella lettera pastorale
del 1973 dello stesso Franzoni, “La terra è di Dio”, e si sarebbe poi
manifestata nei decenni successivi in molteplici modi, a cominciare dallo
strenuo impegno per la causa politica palestinese.
In effetti la
nuova interpretazione rigorista e “apolitica” della laicità, che ritiene di
potersi presentare come neutrale e liberamente disponibile al “sì” e al “no”
nel referendum, è tanto politica come l’altra, produce evidenti effetti
politici ed è immediatamente utilizzabile in una logica di schieramento. Lo si
è subito visto quando i membri della comunità promotori della cosiddetta
“scelta di laicità” (benché altri protestassero e si dissociassero) decidevano
di trasferire in un ambito più vasto, attraverso il quotidiano La Repubblica, la loro polemica con i
“cattolici del No”. Lo facevano il 29 aprile con una lettera alla rubrica di Corrado Augias (Mario
Campli, “Il referendum non è una scelta
di fede”) e da allora, nelle successive due settimane, per ben cinque volte
la Repubblica ne rilanciava il
messaggio sostenendo la tesi della interdizione della fede nel confronto
costituzionale. Tuttavia, secondo i ripetuti interventi di Augias, ciò non era dovuto a “una questione di
principio”, ma a un impedimento rappresentato dalle indebite commistioni tra
fede e politica perpetrate “per secoli” dalla Chiesa, da Pio IX che si
contrappose a Camillo Benso di Cavour nella difesa del potere temporale,
all’”accanimento” con cui si volle “il
famigerato articolo 7”
nella Costituzione, al contrasto tra Pio XII e De Gasperi sulle elezioni a
Roma, alle più recenti intromissioni dei vescovi italiani e alle loro pressioni
sugli uomini delle istituzioni: insomma un richiamo ai morti perché non si
muovano i vivi. Ciò accadeva fino al 13 maggio, quando la Repubblica esultava per l’auspicio della Civiltà Cattolica di un “sì” nel referendum, e il promotore dell’iniziativa
“per la laicità”, nella solita rete della comunità romana, vi si appellava con
gusto opponendo il “Sì” del gesuita al “No” che aveva stigmatizzato degli altri
cristiani.
A nome dei cattolici del No, Raniero La Valle
interveniva due volte nel dibattito. La prima volta, il 1 maggio, in risposta a
Mario Campli:
Caro Augias, non credo si possa dubitare che Aldo Moro fosse laico. Ma nel
suo discorso alla Costituente del 13 marzo 1947, convenendo con l'on. Togliatti
che la Costituzione non dovesse essere ideologica, aggiungeva che costruire un
nuovo Stato non voleva dire solo architettarne l'organizzazione, ma
"prendere posizione intorno ad alcuni punti fondamentali inerenti alla
concezione dell'uomo e del mondo"; per questo non si poteva fare una
Costituzione "afascista", come voleva l'on. Lucifero, ma, mettendo
insieme i primi tre articoli, occorreva fare la Costituzione di uno Stato che,
posto a fondamento il lavoro, "avesse come fine supremo la
dignità, la libertà, l'autonomia della persona umana". Perché dunque
qualche suo lettore non tollera che dei "cattolici del No", senza
parlare che per sé e senza voler imporre la propria visione a nessuno, motivino
anche con la loro fede la propria contrarietà alla rottamazione del nostro
ordinamento costituzionale (ben oltre il Senato)? Forse la fede è diventata
così pericolosa per il potere nel tempo di papa Francesco, ed essere
"laici" significa nascondersi "come cristiani" nella vita
pubblica? Ma il papa a Lesbo, a propugnare una tutt'altra politica europea, c'è
andato come un vescovo cristiano, o come un profugo argentino?
La seconda
volta, il 13 maggio, dopo l’intervento nel dibattito del prof. Gianfranco Fioravanti,
medievalista dell’Università di Pisa ed ex cattolico del no (nel referendum del
74), che aveva scritto polemicamente “Se Dio finisce nell’urna elettorale”:
Caro Augias, i cattolici sono interessati alla
Costituzione perché attraverso i poteri e le tecniche, per nulla banali e
neutrali, che essa istituisce, intendono come cittadini e sovrani concorrere a
determinare una politica nazionale che riscatti la sofferenza di 7 milioni di
poveri, torni a salvare in mare i profughi che l’Europa con l’operazione
“Frontex” preferisce invece naufraghi, faccia che l’Italia non sia complice del
genocidio del popolo dei migranti percosso e respinto su tutte le frontiere,
faccia sì che i giovani abbiano un tetto, mezzi di produzione e lavoro per un
futuro di dignità e libertà in questo Paese: tutte cose a cui come cristiani
tali cittadini sono sommamente sensibili. Vedo però che per quattro volte in
pochi giorni vengono qui attaccati i cattolici del no nel referendum
costituzionale, come se solo loro fossero di ostacolo al trionfo di un disegno
a cui l’attuale governante si dice pronto a sacrificare tutto come a un idolo.
Quanto a Dio non siamo noi a decidere dove “finisce”, ma mi sembra invecchiata
l’idea che egli stia altrove solo per smistare i trapassati tra inferno
purgatorio e paradiso. Sorprende che la cultura italiana così avanti in tutti i
campi, per la cultura religiosa sia
ancora ferma a quella della Divina Commedia.
Augias
rispondeva che non c’era nulla da obiettare a questa nobile visione, ma
insisteva sui “pericoli della nostra storia” Lo stesso giorno compariva,
festeggiatissimo, l’articolo della Civiltà
Cattolica.
Raniero La Valle
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