Discorso tenuto a Brescia il 6 maggio 2016 per l’apertura della
campagna sul referendum
Raniero La Valle
Per partire,
come sempre si deve fare, dal contesto in cui si svolge questo evento, possiamo
citare una notizia meravigliosa che si trova sui giornali di oggi: a Palmira,
l’antica città romana in Siria appena liberata dall’ISIS, l’Orchestra di San
Pietroburgo ha tenuto un concerto con musiche di Bach e di Prokofiev
nell’anfiteatro romano che era stato fino a ieri la sede di feroci esecuzioni.
Questo vuol dire che la distruzione non è per sempre. Questo vale anche per la
Costituzione: se anche riusciranno ora a distruggerla, essa rinascerà, l’Italia
non sarà senza Costituzione, non perderà il patrimonio ormai acquisito del
costituzionalismo democratico.
Popolo
Nel merito
dell’incontro di stasera, devo dire che, nonostante qualche difficoltà sono
venuto a Brescia per l’apertura di questa campagna sul referendum
costituzionale, per una ragione precisa: per parlare della Costituzione nel
nome di un mio amico bresciano, l’amico più caro che ho avuto nella mia vita,
Franco Salvi, che alla Costituzione, alla Repubblica, al bene comune ha
consacrato tutta la sua vita. Franco
Salvi sognava la Costituzione quando faceva il partigiano: in
seguito lui non ha mai parlato della sua
esperienza di lotta armata, né nel periodo della sua militanza nella FUCI, né nel periodo
della sua vita politica, nella quale è stato il più stretto collaboratore di Aldo Moro, dalla cui morte fu
alla fine letteralmente straziato; cattolico e non violento, Franco Salvi,
schivo e riservato com’era, non si è mai gloriato di aver combattuto con le
Fiamme Verdi: io conservo – ma credo di essere uno dei pochi – una sua
rarissima fotografia da partigiano con il fucile in mano.
Per lui la
Resistenza, come per tanti come lui, non era ragione né di vanto né di
retorica; è stata semplicemente la porta stretta, il parto doloroso attraverso
cui tutto il resto è stato possibile, e grazie a cui la sua vita stessa ha preso il suo senso;
la Resistenza è stato il varco attraverso cui è passata la Repubblica, la
Costituzione, la libertà, i diritti e, sopra tutto, la dignità del lavoro e la
dignità dei cittadini.
Dunque io
vengo qui stasera, in nome di Franco
Salvi e di tutti quelli che hanno resistito e combattuto come
lui, per farvi una domanda, per rivolgervi una petizione, come si farebbe
davanti a un sovrano; non ci sono del resto altri sovrani a cui si possa fare
questa domanda. Noi siamo infatti oggi in Italia in una specie di sede vacante
della sovranità. Il sovrano se n’è andato.
Abbiamo perso
la sovranità monetaria, perché non possiamo più battere moneta, l’euro è
governato a Bruxelles e a Francoforte, e ci sono una quantità di banche e
centri finanziari che creano moneta dal nulla, una falsa moneta speculativa
pari a decine di volte il prodotto lordo mondiale, senza alcuna possibilità di
controllo.
Non abbiamo
più la sovranità economica, perché l’abbiamo trasferita all’Europa, cioè ai
mercati. Quando impongono a noi o alla Grecia politiche suicide, dicono: “lo
vuole l’Europa”, ed è vero. Cioè lo vogliono i mercati.
Abbiamo perso
la sovranità politica, non possiamo più decidere il giusto: avevamo
l’operazione “Mare Nostrum” per salvare i profughi nel Mediterraneo, ne abbiamo
salvato decine di migliaia (189.741 migranti assistiti) e ce l’hanno fatta
chiudere perché l’Europa ha voluto sigillare le frontiere e tenere lontano i
naufraghi con l’operazione Frontex, per finire poi ad alzare muri e barriere da
cui si spara sui profughi con proiettili di gomma e lacrimogeni.
Non abbiamo
più la sovranità del Parlamento, perché con la legge Calderoli
prima e con l’Italicum poi abbiamo
distrutto la rappresentanza, i parlamentari non sono eletti in rapporto ai
voti, ma assegnati per legge, e sono
nominati dai capi e notabili dei partiti, perciò sono funzionari di
apparato e non delegati del popolo.
Ed ora
abbiamo perso anche la sovranità della Costituzione: noi siamo di fatto senza
Costituzione perché il 12 aprile scorso il Parlamento, senza i due terzi dei
voti e addirittura a Camera vuota (erano pieni solo i banchi del governo), ha
approvato una nuova Costituzione licenziando l’antica. Dunque la vecchia Costituzione
non c’è più, perché i suoi custodi l’hanno abbandonata, sono fuggiti, mentre la nuova Costituzione
non c’è ancora, entrerà in vigore tra diversi mesi, solo se supererà il vaglio
del referendum popolare oppositivo.
Dunque in
questo momento neanche la Costituzione è sovrana, non può garantire i nostri
diritti, è lì per l’ordinaria amministrazione, in stato di transizione; per chi
se lo ricorda, è come Umberto di Savoia che prima del referendum del ’46 non
era re ma luogotenente del Regno, faceva le funzioni di sovrano ma non era
sovrano.
Ma allora, se
la sovranità se n’è andata, il Parlamento è delegittimato, la Costituzione è in
una condizione di sovranità limitata e sospesa, dov’è oggi il sovrano?
Eccolo qui,
il sovrano, è qui davanti a noi, la sovranità torna alla sua origine, alla
fonte da cui promana, al soggetto cui primariamente appartiene, al popolo, e lo
scettro torna nelle mani del popolo.
Perciò chi ha
promosso questo incontro è come se venisse davanti a voi come dinanzi al
sovrano a porvi una domanda. È una domanda semplice, a cui si può rispondere
solo con un sì o con un no, come si dovrà rispondere col sì o col no nel
prossimo referendum costituzionale, senza scelte intermedie e condizionate.
Non si può
dire: voterei no, perché la riforma non mi piace, ma in realtà voterò sì perché
non si può far vedere che ancora una volta, dopo tanti anni, le riforme non si
fanno (è la dichiarazione di voto che ha fatto in TV dalla Gruber il nuovo
direttore di “Repubblica”, Mario Calabresi); non si può dire: voterei no perché
la riforma è dannosa e brutta, come hanno detto costituzionalisti anche
governativi, però voterò sì perché se no cade il governo; non si può dire, come
dice Renzi, che siate per il sì o per il no alla nuova Costituzione, votate sì
perché se no me ne vado.
Questi sì e
questi no condizionati non sono ammissibili; qui il vostro linguaggio deve
essere sì-sì, no-no, come dice il Vangelo, il resto viene dal Maligno.
Ma allora, se
si può dire solo sì-sì, no-no, bisogna vedere bene qual è la domanda. Bisogna
intendere bene qual è la vera domanda, e smascherare la falsa domanda.
Finora noi
siamo stati dominati da una falsa domanda, perché tutti quelli che vogliono
cambiare la forma democratica della Repubblica non vogliono dirlo e non
vogliono che il popolo sovrano se ne accorga, e dicono che vogliono solo cambiare
un po’ il Senato e mandare a casa 200 senatori. Negli eccessi di sincerità la
falsa domanda arriva a formularsi così: volete buttare a mare il Senato? Ma questa appunto è una falsa
domanda, volta a ingannare il sovrano; perché se al sovrano, cioè al popolo, si
dice: vuoi buttare a mare la tua sovranità, il sovrano naturalmente dice di no;
invece se gli si dice: che te ne fai di due Camere, te ne basta una così spendi
di meno e fai presto le leggi, è più facile che il sovrano dica di sì. Ma se
davvero fosse questione di questo non ci sarebbe bisogno di prendersela tanto,
né di scomodare la memoria di Franco Salvi, che pur era senatore, ma non certo
per questo ha combattuto.
Costituzione
La domanda
vera non è: volete mandare a casa il Senato; la domanda vera è: volete mandare
a casa la Costituzione del ’48, e sostituirla con la Costituzione uscita ora
dalle stanze del governo?
Per
nascondere questa domanda dicono che la Costituzione rimane la stessa, la prima
parte, cioè la parte dei principi, dei valori e dei diritti non viene toccata.
Ma se si cambiano 50 articoli di una Costituzione che ne ha 139, e se questi 50
articoli sono quelli che mettono in campo gli strumenti, le garanzie e i
controlli perché principi, valori e diritti diventino effettivi, perché la
libertà non sia impedita, l’eguaglianza sia promossa e sia realizzata nei fatti, come volle che fosse scritto Teresa Mattei, allora non
si può dire che la Costituzione resta la stessa.
E se la
Costituzione non resta la stessa, la domanda immediatamente successiva che
bisogna porsi è questa: ma allora che società vogliono fare? Ovvero quale
diversa società è stata creata in questi anni. così da aver bisogno di una
diversa Costituzione?
Perché le Costituzioni non sono indipendenti dalla società,
il vero problema è quello della corrispondenza tra la Costituzione e l’identità
di un Paese. Le costituzioni non precedono le società, ne sono l'espressione,
anche se proiettata in avanti. La Costituzione del '48 ad esempio fu la
conseguenza della grande rigenerazione spirituale e sociale prodotta
dall'immenso dolore della guerra, e sentimenti come eguaglianza, libertà,
dignità, solidarietà erano nelle masse prima di giungere alla formulazione
costituzionale. Ma l'errore è di ritenere che solo i valori fossero legati allo
spirito pubblico di quel tempo, e non anche le scelte dei costituenti sulle
forme e le regole del sistema politico. Non è così: non solo la prima parte, ma
anche la seconda parte della Costituzione era legata allo spirito del tempo. È evidente
ad esempio che il ritrovato pluralismo politico affratellato nel sangue della
Resistenza e nel percorso verso la Costituente, faceva ritenere così scontata,
da non doversi nemmeno menzionare, ma dare come presupposta in tutti gli
articoli della Costituzione, la proporzionale come metodo normale per le
elezioni. Perché nessun valore, nessuna idea, nessuna energia doveva andare
perduta; tutte erano degne, e anzi necessarie, tutte dovevano essere convocate
per l’impresa comune; perciò, la proporzionale.
Né meno forte è stato il rapporto tra il sentimento diffuso
e la scelta bicamerale. Il passaggio alla Repubblica e quindi la rivalsa su
tutta la forma politica che l'Italia aveva avuto fino allora, aveva la sua
massima espressione simbolica e reale nel Parlamento; caduto il re, questo era
il sovrano, ovvero la sovranità visibile del popolo. E proprio perché c'era
stato un Senato del Regno doveva esserci un Senato della Repubblica (mentre non
era concepibile, né l’hanno chiamato così neanche oggi, un Senato delle
autonomie). Però il Senato, che era di nominati a vita (e per questo c'erano
rimasti dei senatori non fascisti nel tempo di Mussolini), doveva essere
anch'esso di eletti dal popolo, e così realizzare un parlamentarismo
differenziato e ricco, non solo in rapporto al governo, ma ancora di più in
rapporto al territorio. In questo senso le decisioni dei Costituenti erano
fortemente influenzate dal sentire comune, che non solo voleva la democrazia,
ma una democrazia abbondante. Senato e Camera volevano dire una democrazia
abbondante, una democrazia più garantita; due Camere voleva dire che se una
mascalzonata, una legge liberticida, una legge sbagliata passava a una Camera,
poteva essere fermata dall’altra, poteva essere raddrizzata. Ricordo solo la
legge sull’aborto. Se essa è stata alla fine accettata dalla coscienza
pubblica, anche cattolica, e ha superato referendum e giudizi di
costituzionalità, è perché la legge di impronta radicale uscita dalla prima
lettura della Camera è stata poi completamente ripensata e rifatta dal Senato.
E basterebbe ricordare la
legge Gozzini sull’umanizzazione delle carceri, che senza il
Senato non esisterebbe nemmeno. E così per moltissime altre leggi.
Ma c'erano delle ragioni ancora più profonde che spingevano
la Costituente alla scelta di un Parlamento veramente rappresentativo e di una
proporzionale sincera, senza forzature nè esclusioni. La prima era il grande
prestigio che godeva la prima rappresentanza repubblicana, che veniva
dall'impegno politico, dalle carceri e dalla clandestinità, conduceva vita
austera, era mal pagata (Teresa
Mattei voleva darle il salario di un operaio romano) e certo
non poteva essere sospettata di carrierismo. E la seconda era la grande stima
che non solo circondava la rappresentanza politica in generale, anche per il
legame di importanti masse popolari con i loro partiti e i loro leaders, ma
altresì caratterizzava i rapporti degli stessi rappresentanti, pur avversari
politici, tra loro; basti ricordare le parole di altissima considerazione che
il partigiano Dossetti ebbe a pronunciare riferendosi alla testimonianza di un
partigiano comunista del Reggiano.
Così la Costituente scrisse la prima parte e, indissolubile
da questa, la seconda parte della Costituzione; era la Costituzione naturale,
omogenea, anche se "presbite", dell'Italia e della società di allora.
E l’idea era che l’Italia e la Costituzione crescessero insieme.
Invece questa corrispondenza
si è rotta. Lo sviluppo
economico, il mutamento dei costumi, i sovvertimenti dell'ordine politico ed
economico internazionale hanno cambiato radicalmente il quadro, hanno inaridito
e reciso i legami sociali senza che le grandi agenzie religiose culturali e
informative fornissero la linfa per rigenerarli. Né le dottrine politiche, né
il pensiero politico comune, né i comportamenti dei cittadini si sono portati
all'altezza delle nuove sfide. Sopratutto dopo l'89, finita la guerra fredda,
non si sono prodotte analisi adeguate, non si è progettata la nuova società
della pace. Nessuno ha denunciato la presa del potere da parte del Denaro,
nessuno ha accusato la società mondiale dell'esclusione, nessuno l'economia che
uccide. Nessuno fino a papa Francesco.
Oggi la società è più barbara di quella nella quale è stata
concepita e stipulata la Costituzione del '48. Secondo le ultime statistiche
europee in Italia ci sono 7 milioni di poveri reali: ma, come i profughi, sono
dei numeri, non dei visi, delle storie, delle famiglie. Il costo di produzione
che si cerca di abbattere, fino a renderlo residuale, è il costo del lavoro.
Ciò toglie ragione alla stessa produzione e alla stessa economia, lasciando il
primato alla finanza e alla speculazione. Sessantadue persone nel mondo hanno
una ricchezza pari a quella di tre miliardi e mezzo di persone. E l'Europa dopo
aver compiuto il reato di omissione di soccorso, ovvero di stragi, nei suoi
mari, spara sui profughi e i fuggiaschi sopravvissuti. Spara, per ora, con
proiettili di gomma, perché gli invasori sono venuti senza asce e bastoni. E
con alchimie prive di qualsiasi relazione con la realtà, discrimina tra i presi
e i lasciati, distingue tra chi, essendo in fuga dalla fame, non ha alcun
diritto e chi, provenendo da mattatoi più violenti, può implorare asilo dalle
burocrazie europee; e su queste basi firma con la Turchia un contratto di
deportazione dei senza speranza.
Cosa ci sta a fare in un mondo così la Costituzione
italiana, il bicameralismo, il Senato, la democrazia abbondante, il controllo
parlamentare degli atti di governo? Ci vuole una Camera unica, ci vuole un deputato
unico spalmato in 340 seggi che risponda a chi l'ha nominato e forse lo
nominerà ancora. Ci vuole un partito unico, ci vuole un comando unico di
governo e partito, ci vuole un capo unico che decida avendo come suo Primo
Consigliere la Bugia. E
non importa nemmeno che questo solo al comando sia di destra o di sinistra; ai
riformatori della Costituzione questo appare del tutto irrilevante, e dal loro
punto di vista infatti lo è.
Quello che conta è il disegno complessivo che viene
perseguito, cioè il passaggio dalla democrazia rappresentativa alla democrazia
dell’investitura, dalla democrazia fondata sul Parlamento alla democrazia
fondata sul governo, dal rapporto di fiducia per cui il Parlamento è artefice e
giudice del governo, al rapporto di potere per cui il governo è padre e padrone
del Parlamento, dal popolo che ogni giorno concorre in diversi modi a
determinare la politica nazionale, al popolo che una sola volta ogni cinque
anni attribuisce il potere a qualcuno e gli altri giorni è solo spettatore manipolato
dai sondaggi.
E il risultato è l’annichilimento della politica, per cui si
crea un’onnipotenza del potere nell’impotenza della politica e nella
subordinazione di ambedue – potere e politica – al dominio incontrastato delle potenze finanziarie e dei mercati.
La riflessione pertanto durante la battaglia referendaria
dovrà prendere in carico e approfondire l'analisi di questo scarto che si è
venuto a creare tra la Costituzione italiana e la natura barbara di questa fase
della storia d'Italia, d'Europa e del mondo, scarto che politici zelanti
vorrebbero cancellare schiacciando la Costituzione sull’esistente e addirittura
riportandola indietro verso il passato pre-costituzionale, che è quello
dell’assolutismo.
Perciò la partita è molto grossa e sono in gioco grandi
valori. Non si tratta solo del trucco per cui i consiglieri regionali diventano
senatori, si tratta dell’intera concezione della società e della storia. Si
tratta della necessità che il pensiero unico che oggi vuole assoggettare le
istituzioni politiche sia criticato non solo dall’interno delle stesse
istituzioni, che non devono arretrare dalle posizioni raggiunte, ma sia
criticato da un punto di vista esterno, cioè a partire da visioni e ideali che
vadano oltre la gabbia del sistema vigente, credano a un altro mondo possibile
e postulino una ben diversa interazione tra società e Costituzione. Ossia c’è la
necessità di una rivoluzione.
Rivoluzione
Questo punto di vista esterno al sistema può essere
un’ideologia, un’altra concezione della politica, un’etica, una fede. Anche una
fede: è questa la ragione per cui in questa campagna referendaria sono scesi in
campo anche i “cattolici del No”, che hanno dichiarato di voler affermare,
proprio come cristiani, i valori della Costituzione vigente, di opporsi al suo
sovvertimento e di volerne spingere l’attuazione verso traguardi ancora più
alti e avanzati. Ciò ha provocato la riapertura della grande questione,
particolarmente provocante in Italia, del rapporto tra fede e politica, che in
questo caso vuol dire il rapporto tra Vangelo e Costituzione.
Quelli che (come alcuni cattolici vetero-maritainiani di una
comunità romana) sostengono un’indifferenza (ovvero una sterilizzazione) della
fede rispetto alla battaglia sulla società e la Costituzione, si rifanno a una
concezione molto vecchia della laicità, che era giustamente polemica nei
confronti del clericalismo, ma che non corrisponde più allo stato di cose
presenti e non è degna della Chiesa di papa Francesco, che rende onore all’autonomia
dell’umano e ha rivendicato la libertà dei laici cristiani, dichiarando che non
sono mandatari di nessun clero e portano in proprio, come tutti, la comune responsabilità
del mondo.
Questo tema è però utile perché ci porta a evocare una
novità di enorme importanza. Se nella società, in Europa, nel mondo, occorre
una rivoluzione, non si può non rilevare che proprio nell’ambito della fede una
straordinaria rivoluzione è avvenuta nell’arco dei 50 anni che vanno dal
Concilio del Novecento al pontificato di papa Francesco. Senza che forse ce ne
accorgessimo, c’è stata ed è in corso una svolta epocale del cristianesimo - non
solo della Chiesa, ma dello stesso annunzio di fede – e forse dell’idea stessa
di religione, che potrebbe avere conseguenze durature non solo sulle altre
confessioni cristiane, ma sull’Islam, sulle diverse culture, e sullo stesso
rapporto tra l’idea di Dio e l’umanità come tale.
Di questo
“aggiornamento” fanno parte la rivalutazione, con papa Giovanni, della libertà umana (non più espropriata in
nome della verità), l’ammissione del pluralismo religioso e della non
esclusività della Chiesa cattolica come via di salvezza (col Concilio), il definitivo
congedo da ogni idea di un Dio violento (col cardinale Muller, prefetto del
dicastero della Fede), il superamento della concezione sacrificale per cui il
Padre per essere risarcito del peccato umano esigesse la morte cruenta del
Figlio (cosa “in sé del tutto errata” secondo il papa emerito Benedetto), il
riconoscimento di un unico popolo di Dio comprendente già ora l’umanità tutta
intera, testimoniato da papa Francesco, e infine l’affermazione della
misericordia come culmine del messaggio evangelico. A ben vedere il primato sempre
richiamato della misericordia suggerisce una comprensione della religione della
misericordia non come complemento ma come alternativa alla religione del
sacrificio, ovvero il passaggio dalla religione del sacrificio, del “sacrum facere”, che consiste
nell’alienazione al sacro dell’umano, alla religione della misericordia che
consiste nel dono del cuore divino e nella sua accoglienza nel cuore dell’umano. E’ il farsi uomo e il
donarsi di Dio come alternativa all’assorbimento del profano nel sacro. è l’acquisto
di Dio nell’umano e non lo svuotamento dell’umano nel divino, secondo la parola
della Scrittura, di Gesù, e del cristianesimo stesso: “misericordia voglio e
non sacrifici”.
Se questo è
avvenuto, sul terreno più difficile, vuol dire che la rivoluzione è possibile
su ogni altro terreno. E se la società umana, la comunità internazionale,
l’Europa, hanno bisogno di una rivoluzione, essa è già concepita, è già
invocata, è già nei cantieri del futuro; l’ha indicata papa Francesco questa
mattina (nella cerimonia per il “Carlo Magno”) all’intera classe dirigente
europea: non si tratta di correggere
qualche trattato con compromessi tortuosi, si tratta di costruire ponti e
abbattere muri, di passare da un’economia che punta al reddito e al profitto in
base alla speculazione e all’usura, ad un’economia sociale che investa sulle
persone, che garantisca l’accesso alla terra, cioè ai mezzi di produzione, al
tetto e al lavoro in modo tale che le persone e le comunità possano mettere in
gioco tutte le dimensioni della vita, fino a un atteggiamento di adorazione; si
tratta non di rivendicare le radici cristiane dell’Europa, ma di riconoscere le
radici europee dell’incontro di popoli e
di culture diverse, e irrorarle con l’acqua del Vangelo; non si tratta dell’ora
di religione nelle scuole, ma della cultura trasversale del dialogo in tutti i
curriculi scolastici per una società integrata e riconciliata; si tratta della
rivoluzione di un‘Europa ancora capace di essere madre, non la sterile che non
partorisce, un’Europa di cui non si possa dire che l’impegno per i diritti
umani sia stata la sua ultima utopia, e oggi, soprattutto, si tratta di un
mondo dove migrare non sia un delitto.
Questa
rivoluzione deve avere un’anima che porti impressi i tratti di varie culture e
bellezze, contro ogni chiusura.
E se questa
sarà la società, così saranno anche le Costituzioni.
Raniero La Valle
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