Ai partecipanti alla
presentazione del libro: Raniero La Valle, "Cronache ottomane di Renato La
Valle", Bordeaux edizioni, di mercoledì 7 dicembre 2016 alla Fiera del
libro a Roma.
Ai firmatari
dell'appello dei cattolici del No nel referendum costituzionale del 4 dicembre
e ad altre persone interessate.
Cari Amici, a partire
dal 20 novembre uno scompenso cardiaco mi ha tagliato fuori dalle battute finali
della campagna elettorale, non senza però che vi potessi intervenire con un
ultimo appello per il NO in nome di Moro martire e di Dossetti costituente.
Questo stesso motivo mi
impedisce di partecipare all’incontro di oggi quando ancora non sono guarito.
Però sento l'obbligo di ringraziare la casa editrice coraggiosa che pubblica
ora questo volume: un libro che partendo dalle “cronache ottomane” di Renato La
Valle da Costantinopoli, quando perfino l'Islam accarezzò l'idea della
Costituzione, attraversa un secolo di dolori, dall'Italia laica ma
"potenza cristiana" che conquista la Libia, alla shari'a sempre
attuale, fino ai genocidi dell'900, per giungere alla folgorante conclusione
che la guerra santa non c'è più. Proprio quando più la si evoca ed esalta, la
guerra santa è finita, non la si può più fare sotto qualsiasi forma, perché il
Dio della guerra non esiste e la religione, qualsiasi religione, che sia
cristianità, o sionismo, o islamismo, o teismo, se non prende congedo
definitivo da ogni idea di un Dio violento e vendicatore, non è più nemmeno una
religione, e nei confronti di questo Dio ogni abitante della terra, papa in
testa, ė giustamente ateo; anzi la definitiva separazione dall'eredità di un
Dio della sovranità terrena e del dominio, come dice oggi Roma, produce una
svolta nella storia dell'umanità e cambia l'idea stessa di religione.
In questi stessi giorni
tra la chiusura dell'Anno santo e il referendum del 4 dicembre, un papa non più
costruito dottrinalmente come sostituto numinoso di Dio ma venuto dalla terra,
ha mostrato nella sua lettera "Misericordia et misera" come tutto
l'investimento fatto da Dio sul mondo e sulla storia, dai racconti sulla
creazione all’incarnazione del Figlio, precipita e si concentra raggiungendo il
suo compimento nella scena dell'incontro di Gesù con l'adultera del Vangelo di
Giovanni. Qui c'è un Dio ignoto a Scribi e Farisei di tutti i tempi che è solo
misericordia, e una donna, una "misera" che contro una prassi di
millenni non è condannata.
Ma papa Francesco va
oltre una lettura restrittiva di quanto accaduto allora nel tempio di
Gerusalemme perché nella Lettera apostolica a conclusione dell’Anno santo egli
reintegra nell’umanità non solo una singola adultera o peccatrice, ma toglie la
scomunica, cioè la minaccia di esclusione dalla fede e dalla stessa comunità
umana, all'intera umanità femminile considerata fin qui come potenzialmente
colpevole di omicidio a causa dell’aborto; essa infatti insieme all'onere
esclusivo del parto, onde la vita si perpetua, è stata nella Chiesa indiziata
di assassinio, per ogni vita non nata, come se a ogni gravidanza nel ventre di
una donna si installasse un drago che ne fosse padrone e giudice; uno stigma da
cui le donne sono state marcate per secoli e dai “movimenti per la vita” fino
ad ora, con effetto di una rottura dell'unità umana, tra uomini e donne, che
gli uni destinava comunque alla comunione, le altre alla scomunica.
Ciò finisce ora, nel 2016,
anno in cui si apre un nuovo spazio della misericordia di Dio. E io credo che
questo sia più importante del referendum perché se a questa profondità
antropologica é ricomposta l'unità della famiglia umana, vuol dire che l'unità
si può ricomporre tra tutte le soggettività, popoli, nazioni, culture,
religioni e la pace si può fare e il mondo non dell'esclusione si può costruire
e anche se Dio non è chiamato per nome, sono comunque la guerra, la violenza,
la condanna che non possono più avere il nome di Dio o di un qualsiasi
surrogato di lui.
In queste settimane di
eventi religiosi e politici così complessi, i cattolici italiani sono stati
partecipi nei modi più vari di profonde sollecitazioni interiori e pubbliche.
Io ho temuto, di fronte a certe reazioni di neutralità, di opportunismo, di
indifferenza, un tradimento dei cattolici italiani rispetto alla causa della
Costituzione e agli stessi valori più alti della loro storia politica, o almeno
ne ho temuto la caduta in una singolare
fase di cecità.
C'è stato anche il caso
di gruppi progressisti che si appellavano a una arcaica concezione
fondamentalista della laicità, per motivare una messa a tacere del movente di
fede dell'idealismo politico e rischiare così una conseguente ricaduta nella
conservazione, secondo un fenomeno ben noto della trasformazione dei
progressisti in archeologi.
Ma questi allarmi si
sono rivelati infondati. In verità i cattolici italiani hanno dovuto pensare a
cose più grandi, al d là di uno scontro politico sentito come pretestuoso e
abusivo; ma dalle parrocchie, ai movimenti, alle comunità, alla molteplice
presenza dei cattolici del NO, una corrente potente, carsica, ha mosso una
grande quantità di credenti che, unendosi a tutti gli altri, non hanno permesso
che proprio dall'Italia, più per ignoranza che per malafede, partisse il
modello di una Costituzione più brutta del mondo.
Ora tutto questo è
avvenuto, e il grande spavento è passato. Ma come abbiamo criticato una riforma
che tendeva a spaccare l'Italia in vincitori e sconfitti e a fare della
politica stessa il teatro delle vittorie e delle disfatte, così ora non
vogliamo dire che noi abbiamo vinto e neanche che ha vinto la Costituzione. Ciò
che è successo piuttosto è che con straordinario moto di popolo la sapienza è
tornata nelle strade, ha riaperto le porte delle case, ha detto il popolo
c'è, la Costituzione resiste, ma attenti
a preservarne le radici che molti roditori sono intenti a divorare e
distruggere. Dunque bisogna ripartire da qui. Riapriamo le case del popolo, riapriamo
le case delle culture, torniamo alle 150 ore, riapriamo le scuole politiche e
sindacali, attiviamo nuove comunità ed esperienze associative, interculturali, e di dialoghi tra ogni
religione.
Torniamo alle ragioni
dell'impegno e della speranza e, come diceva padre David Maria Turoldo, di cui
ricordiamo il centenario della nascita, "torniamo ai giorni del
rischio".
Raniero
La Valle
Nessun commento:
Posta un commento