lunedì 14 novembre 2016

Il vero quesito: Approvate una revisione della II parte della Costituzione che rende la Costituzione non costituzionale?



Raniero La Valle

Sesto discorso su “La verità del referendum” tenuto il 12 novembre a Modena

È abbastanza paradossale che mentre si scatena il ciclone della vittoria di Trump e tutto si muove, noi dobbiamo discutere di un falso referendum, fatto di piccole vendette contro la casta dei politici, di un CNEL che non è mai esistito e a cui togliamo la targhetta dalla porta, di un bicameralismo che non è affatto superato, e di 90 centesimi di risparmio a testa per ogni italiano come compenso per lo sconquasso del Senato e l’uscita dalla democrazia parlamentare. Ciò si deve al fatto che mentre parlava di alta velocità, Renzi mandava la politica italiana su un binario morto.
Ma noi sappiamo che il vero referendum è un altro, è quello che decide la transizione da un regime politico ed economico a un altro, da un’idea di Repubblica a un’altra; è per questo che ci tengono tanto, addirittura da spedire quattro milioni di lettere ad altrettanti italiani che stanno all’estero, e che magari in Italia non ci sono mai stati. Ma dopo Trump è chiaro che invece dobbiamo uscire dal binario morto, salvare la Costituzione e riaprire la partita del futuro.
La vittoria di Trump è il segno di un duplice fallimento. È fallita la globalizzazione, la quale pretendeva di realizzare il mito del liberalismo classico: nel libero mercato l’eterna pace. Non è successo: il libero mercato ha ripristinato la schiavitù del lavoro, e la guerra è dappertutto.
Poi è fallita la risposta alla caduta del Muro: doveva nascere un mondo senza muri, dove non solo i capitali ma popoli e lavoratori potessero incontrarsi e liberamente muoversi da un luogo all’altro, e abbiamo invece fili spinati e barriere dappertutto, in Palestina, in Messico, in Ungheria, a Calais, a Ventimiglia per non parlare del fossato del cimitero mediterraneo; e i popoli si chiudono a riccio, uno contro l’altro, e come dice il papa i poveri dei Paesi ricchi temono l’accoglienza dei poveri che vengono dai Paesi poveri.
In questa crisi profonda gli elettorati reagiscono in modo angoscioso e votano contro i poteri stabiliti.
Perché le classi dirigenti al potere, perché gli “establishment” sono sconfitti? Perché non hanno semplicemente subito questa crisi, l’hanno creata.
La scelta della globalizzazione, dopo la rimozione del muro di Berlino, è stata la scelta fatta dai vincitori della guerra fredda di estendere il capitalismo in tutto il mondo, cambiandogli il nome. Capitalismo era un nome ideologico, inevitabile finché un socialismo gli si contrapponeva. Si chiamava capitalismo perché Marx aveva messo a tema teoria e prassi del “capitale”. Venuto meno il socialismo, non c’era bisogno di chiamarlo capitalismo, bastava un nome che lo mostrasse innocuo, che lo facesse coincidere con la realtà stessa, con il “globo”, col mondo (i francesi la chiamano “mondialisation”), che lo facesse diventare un fatto di natura, buono per tutti i luoghi e tutti i tempi. Anche in Europa non si è chiamato più capitalismo, si è chiamato semplicemente Europa (“ce lo chiede l’Europa”, si dice); ma quelli che hanno firmato Maastricht, che hanno firmato Lisbona, che hanno firmato il Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea, sapevano benissimo – ma non ce l’hanno detto – che firmavano la trasformazione del capitalismo da ideologia a regime, da dottrina economica a Costituzione politica: la concorrenza, la competizione, il mercato, il profitto diventavano la Costituzione europea.
È per questo che ora vogliono cambiare la Costituzione italiana: perché le due Costituzioni non sono compatibili.
Questa constatazione diventa tanto più drammatica di fronte a eventi come la vittoria di Trump. Essa dimostra che cosa succede quando a governare sono le banche e il denaro. Gli effetti sono devastanti, la gente ne dà la responsabilità alla politica e cerca un’altra offerta politica; e se questa non c’è o non è all’altezza del dramma, la scelta diventa quella dell’antipolitica, e possono avere libero corso pulsioni populiste, identitarie, difensive nei confronti degli altri, degli stranieri, nazionaliste e razziste. Ora vediamo come il blocco di potere che sostiene, con Renzi, il Sì al referendum tenta di giocare la carta Trump per accreditare la continuità del potere esistente come unica difesa rispetto al rischio di un sovvertimento. E insiste nel dire che ormai non conterebbe più, “svapora” il “merito” del quesito referendario, di fronte all’unica domanda che conta, che è quella del potere.
La lezione di quanto è avvenuto è invece esattamente l’opposto. E’ proprio se arriva un’incognita come quella rappresentata da Trump, che è necessario che resti ben ferma la Costituzione che c’è, perché non si annulli la differenza esistente tra ciò che miseramente accade, e ciò che invece dovrebbe accadere, tra l’essere e il dover essere, tra il fatto e il diritto, tra la società che c’è e quella che secondo la Costituzione si dovrebbe costruire.
Si dice che in ogni caso sarebbe meglio cambiare perché è da trent’anni che si attende un cambiamento che non arriva.
Questo vuol dire che il cambiamento che si vuole introdurre è precisamente quello di trent’anni fa. Il problema era allora quello posto da Gelli, da Craxi: il grande  bene da conseguire era che avesse più potere il potere. C’erano troppi diritti, troppi movimenti, troppa partecipazione politica, troppa democrazia in fabbrica, troppi sindacati, troppi nuovi diritti riconosciuti alle persone, alle famiglie.
C’era stato il Concilio, che aveva messo in movimento la Chiesa, a Parma si occupava la cattedrale, e c’era stato il ’68 che aveva portato la rivoluzione della vita quotidiana. Il potere si sentiva in difficoltà e dunque ci voleva più potere per arginare le spinte verso una società diversa. Ma non è vero che la riforma non c’è stata. C’è stata, ma di segno opposto: il sequestro e l’uccisione di Moro, il periodo  della repressione, l’installazione dei missili a Comiso, l’ubriacatura craxiana,  e poi Cossiga che con un messaggio alle Camere dichiara la Costituzione superata dopo il crollo del Muro, e infine il ripristino della guerra con l’esaltazione della guerra del Golfo e addirittura l’intervento in essa.
Ma oggi? La politica è distrutta, i partiti non ci sono più, i sindacati sono indeboliti, la Fiat se n’è andata in America, il miracolo economico è stato sacrificato al mito della globalizzazione. Di che cos’altro ha bisogno il potere?  Che cosa ancora vogliono da noi i sacerdoti del “mercato interno” (europeo) di Bruxelles, la banca Morgan, la Commissione Trilaterale, il Wall Street Journal americano, l’Economist inglese? Quali altri sacrifici ed olocausti sull’altare della privatizzazione, dell’austerità, del pareggio di bilancio, della sottomissione alle prerogative sacrali dell’euro? Una riforma che arriva trent’anni dopo è una riforma vecchia, che appunto ci riporta al passato, non affronta i nuovi problemi, la guerra, la pace, i profughi, lo straniero.
Il problema è però se la nuova Costituzione italiana, resa conforme ai principi dottrinali ed economici della costituzione europea, è ancora una Costituzione costituzionale; è il problema della legittimità costituzionale della  nuova Costituzione. Non alludo qui al problema già rilevante della contestabile legittimità di una Costituzione modificata da un Parlamento eletto con legge dichiarata incostituzionale dalla Consulta. Parlo di una incostituzionalità sostanziale: il vero problema, l’ultima verità del referendum è che esso propone al nostro voto una Costituzione non costituzionale.
Non si tratta di un gioco di parole. Qualcuno dirà che una Costituzione incostituzionale è impossibile per definizione: un ossimoro. Per di più la ministra Boschi e tutti i fautori del Sì dicono che non è in causa la Costituzione come tale perché la riforma riguarda solo la seconda parte e non lambisce nemmeno i principi fondamentali e i valori che sono enunciati nella prima.
Però non è affatto detto che sia così, perché resta una verifica da fare. Secondo
una sentenza della Corte Costituzionale del 15-29 dicembre 1988, neppure le leggi di revisione costituzionale o altre leggi costituzionali possono sovvertire o modificare nel loro contenuto essenziale alcuni principi supremi contenuti nella Costituzione italiana. E non soltanto i principi che la stessa Costituzione dichiara indisponibili, come quello della forma repubblicana dello Stato, ma anche “i principi che, pur non essendo espressamente menzionati fra quelli non assoggettabili al procedimento di revisione costituzionale, appartengono all’essenza dei valori supremi sui quali si fonda la Costituzione italiana”. Questi principi non possono essere disattesi.
Questa affermazione della Corte aveva tanta più autorità, perché espressa in una sentenza in cui essa sottoponeva a un giudizio di costituzionalità, per una norma sulle immunità, lo stesso Statuto del Trentino-Alto Adige, che è un sistema normativo di rango costituzionale. Anche quello, dicevano i giudici della Consulta, era soggetto al vaglio di costituzionalità. Pertanto, nella misura in cui questi principi supremi sono enunciati nella prima parte della Costituzione, il loro sovvertimento o abbandono nella seconda parte comporta un contrasto tra la prima e la seconda parte della Carta, e quindi produce una Costituzione incostituzionale.
Quali sono questi principi supremi su cui dobbiamo fare la verifica della riforma proposta? Sono almeno cinque: il principio della sovranità popolare, il principio lavorista, il principio della democrazia parlamentare, il principio pacifista, il principio internazionalista.
Tutti e cinque questi valori supremi sono di fatto traditi dalla riforma della Costituzione che ci viene proposta.  E’ su questo che gli italiani devono meditare e su cui noi stessi dovremo riflettere.

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