di Raniero la Valle
Discorso tenuto il 10 dicembre 2015 alla Fondazione Stensen di Firenze
Si parla
della svolta di papa Francesco. Ma dal primo di dicembre a Bangui, e dall’8
dicembre a Roma non è più la svolta di papa Francesco; è la svolta di tutta la
Chiesa che in Africa come in Occidente spalanca tutte le porte e dice: queste
sono porte sante, tutte le porte sono sante, anche quelle delle case, delle
carceri, e di ogni persona umana, se attraverso di esse passa la misericordia.
Dunque che
svolta è?
1. Anzitutto
è la svolta della Chiesa cattolica romana, cominciata col Concilio che papa
Francesco ha tirato fuori dagli scogli in cui si era incagliato nel conflitto
delle interpretazioni, e ha riconosciuto non solo come un cofanetto di
documenti, ma come un evento, come aveva sempre sostenuto la cosiddetta “scuola
di Bologna”, i Dossetti, i Lercaro, gli Alberigo.
Ha detto
infatti il papa in tutta la solennità di Piazza san Pietro nella messa di
apertura dell’Anno Santo: “In primo luogo il Concilio è stato un incontro. Un
vero incontro tra la Chiesa e gli uomini del nostro tempo. Un incontro segnato
dalla forza dello Spirito che spingeva la sua Chiesa ad uscire dalle secche che
per molti anni l’avevano chiusa in se stessa”. “In primo luogo” il Concilio è
stato questo, ha detto il papa. E perciò solo in secondo luogo il Concilio può
essere ricordato “per la ricchezza dei documenti prodotti che fino ai nostri
giorni permettono di verificare il grande progresso compiuto nella fede”. I documenti
di cui parla il papa sono i testi che enunciano la fede del Concilio, e nello
stesso tempo mostrano come la fede non sia una merce che sta in “deposito”, nel
deposito della fede, ma progredisce, anzi compie nel tempo un “grande
progresso”.
Quali erano le
secche in cui prima del Concilio la Chiesa era rimasta rinchiusa? L’aveva già
detto il papa nella Bolla di indizione dell’Anno Santo, Misercordiae vultus, l’11 aprile. Erano “le muraglie che per troppo
tempo avevano rinchiuso la Chiesa in una cittadella privilegiata”. Il Concilio
è l’evento che abbatte quelle muraglie, e quel muro è il primo muro abbattuto
nel Novecento. Ne cadranno altri, ma quello della Chiesa costantiniana è stato
il primo.
Per la Chiesa,
diceva la Bolla, “iniziava un nuovo percorso della sua storia. I Padri riuniti
nel Concilio avevano percepito forte, come un vero soffio dello Spirito,
l’esigenza di parlare di Dio agli uomini del loro tempo in un modo più
comprensibile”. Abbattuto il muro “era giunto il tempo di annunciare il Vangelo
in modo nuovo”. La vera novità del Concilio dunque, non era la riforma della
Chiesa, era il Vangelo “reinvestigato” ed “enunciato” in modo nuovo.
Dal Concilio
all’Anno Santo questo è dunque l’arco che fa scoccare verso il futuro la
freccia del Vangelo della misericordia. In realtà è il Concilio che apre la
porta santa della misericordia, il Concilio e papa Francesco sono una cosa
sola, non sono due eventi a distanza di cinquant’anni uno dall’altro, sono un
unico evento pur con la parentesi di un passaggio di cinquant’anni nel deserto.
Questa è la ragione per cui alla domanda se “il papa ce la farà”, si può
rispondere che il papa ce la farà.
Certo le resistenze,
i siluri, le inimicizie interne alla Chiesa e l’ostilità del mondo, perfino gli
odii, sono imponenti, come del resto è previsto nel Vangelo, sicché se il papa
fosse da solo potrebbe soccombere. Ma poiché fa corpo con il Concilio e con la
Chiesa, una Chiesa che lui ha messo decisamente sulla strada sinodale, la
svolta continuerà.
Perché appunto
è una svolta di tutta la Chiesa.
2.
Ma in secondo luogo, più specificatamente, è una svolta
della Chiesa italiana che con Roncalli, Lercaro, Montini, ha dato vita al
Concilio, che con il Cardinale Martini ha messo in cattedra i non credenti e
che a Firenze, qualche giorno fa, nel segno di un nuovo umanesimo che ha il
volto sofferente di Gesù, si è finalmente incontrata col papa, ha cominciato a
sciogliersi ascoltando la sua parola; è una svolta della Chiesa italiana che
con il nuovo arcivescovo di Palermo Corrado Lorefice, piange di commozione
sull’articolo 3 della Costituzione, quello che dice che la Repubblica deve
essere artefice di eguaglianza e libertà, e rivendica la lezione del
costituente Dossetti come di padre Puglisi e del comunista martire Peppino Impastato.
3.
In terzo luogo, al di là della Chiesa universale, al di
là della Chiesa italiana, la svolta di papa Francesco è una svolta proposta a
tutto il mondo. E’ un invito a cominciare non solo un anno di misericordia, ma
a cominciare un tempo nuovo, a entrare in una età della misericordia. Perché
che cosa ce ne facciamo di un solo anno in cui ritorni la pietà, se poi deve
ricominciare un inferno? La vera svolta è di passare a un tempo di
misericordia, cioè di passare da una storia di genocidi, quale è quella che
abbiamo vissuto e che stiamo vivendo, a un’età di pace e di accoglienza, e di
passare da una situazione di ecocidio, come quello che stiamo perpetrando
contro la terra, alla custodia e alla pietà per la terra e per tutti gli
animali.
Si tratta infatti
di interrompere due processi che stanno per portarci alla catastrofe, se non
addirittura alla fine traumatica, antropica, della storia del mondo. Due
processi distruttivi, che secondo il papa ci lasciano poco tempo per salvarci,
come ha detto ai movimenti popolari a Santa Cruz de la Sierra, in Bolivia, il 9
luglio 2015: “Il tempo, fratelli, sorelle, il tempo sembra che stia per
giungere al termine; non è bastato combattere tra di noi ma siamo arrivati ad
accanirci contro la nostra casa. Questo sistema non regge più…”. Ossia gli
uomini e la terra non sopportano più le conseguenze del combatterci tra noi,
che è il primo processo, ma nemmeno le conseguenze del secondo processo, quello
per il quale ci accaniamo contro la nostra casa comune, fino a evocare scenari
che alludono alla fine del mondo, come nei dibattiti sul riscaldamento
climatico che accompagnano la Conferenza in corso a Parigi.
Se così stanno
le cose, dobbiamo reinterpretare il sintagma, l’enunciato che parla di
Bergoglio come del “papa venuto dalla fine del mondo”. Dalla fine del mondo ma
non più nel senso dello spazio, cioè dall’Argentina, ma dalla fine del mondo
nel senso del tempo, del tempo della fine. Papa Francesco vede profeticamente
un mondo che rischia la fine, e prima che questo accada gli indica la via per scongiurare
la fine.
A tale scopo
mette in campo le sue risorse: da un lato richiama Dio dall’esilio a cui la
modernità lo aveva costretto, riaprendo la questione di Dio; dall’altro mette
in campo la grande risorsa, mai veramente praticata, della misericordia.
La
misericordia è l’intero programma del pontificato, l’unica sua grande giocata.
Nella misericordia di Dio, di cui è certo, il gesuita Bergoglio rovescia la
scommessa, il pari di Pascal, che con
i giansenisti di Port Royal accusava i gesuiti di essere “pelagiani”, di non
contare sulla grazia.
Perché la
misericordia? Perché la misericordia – la misericordia umana ad immagine e
somiglianza di quella divina - è l’unica alternativa storica alla distruzione
della nostra casa provocata da noi. Questi sono i due processi che ci stanno
portando alla rovina:
1. Ci
siamo dilaniati tra di noi per tutta la storia da quando Eraclito ha detto che pólemos – la guerra – è il padre e il
principio di tutte le cose, fino ai genocidi, alle bombe atomiche del
Novecento, fino all’ISIS.
2. Abbiamo
adorato l’idolo del denaro per tutta la storia e così, se per il denaro siamo
stati spinti ad aprire nuove vie e a scoprire nuove terre, ora per il denaro
stiamo schiacciando gli uomini, le donne, i bambini, listiamo annegando nel
Mediterraneo, ne stiamo impedendo la vita, e stiamo distruggendo la terra.
Contro l’esito distruttivo di questi due processi, papa Francesco
avanza l’alternativa della misericordia, in nome di un’ecologia integrale che
sa leggere la pervasività della violenza che investe sia la natura che la
storia, e capisce come la violenza che c’è nel cuore umano si manifesta
ugualmente – come dice l’enciclica Laudato
Sì “nei sintomi di malattia che
avvertiamo nel suolo, nell’acqua, nell’aria e negli esseri viventi” e nelle
ferite che dilaniano “la nostra oppressa e devastata terra”, che è anch’essa “fra i poveri più
abbandonati e maltrattati”. In questa luce la misericordia invocata non è più
intesa solo come un insieme di opere buone, non è più assunta solo come virtù
privata, ma diventa la precondizione della continuazione della vita sulla
terra, diventa il nuovo criterio del politico, al posto del criterio belluino
dell’amico-nemico, cioè diventa criterio e regola di comportamento della vita
pubblica degli uomini organizzati sulla terra, della politica come infra del rapporto fra gli uomini come
diceva Hannah Arendt, del
rapporto tra i popoli, le
nazioni e “ogni abitante del pianeta”.
Se il mondo prenderà questa strada, la svolta di papa Francesco sarà
riuscita.
Raniero La Valle
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