RANIERO LA VALLE
Brindisi 15 OTTOBRE 2015 (Palazzo Nervegna)
Ci mettiamo nel contesto di quello che
sta accadendo per capire in che modo le cose di cui parliamo hanno rilevanza
rispetto alla situazione in cui ci troviamo. Cito due contesti per la nostra
riunione di stasera.
Il primo contesto: la perdita della
Costituzione
Ieri l’Italia ha perduto la sua Costituzione. L’ha perduta, con il voto del Senato del 13
ottobre che ha approvato in prima lettura la nuova Carta Dico che l’ha perduta perché il tema della
riforma non era affatto quello di cui unicamente si è parlato, cioè la
questione del Senato. Il tema era il rapporto della democrazia con il potere.
La modifica che è stata introdotta consiste nella sostituzione della
Costituzione del ’47 con una nuova Costituzione. Infatti sostituire tutta la seconda parte
della Carta vuol dire che la Costituzione del ‘47 finisce qui. Ci sarà un’altra
Costituzione che è ispirata a dei principi ben identificabili e molto precisi. Essi
corrispondono alla richiesta che è venuta alla nostra democrazia di modificare
i principi, di abolire le conquiste, gli ideali che hanno animato le
Costituzioni del dopoguerra: quelle Costituzioni cioè che sono state scritte
dopo l’esperienza terribile del fascismo e del nazismo. La nuova Costituzione è
fatta per dare più poteri al potere. Questa richiesta fu formalizzata nel 2013
in un documento della GP Morgan, che è una banca di affari americana,
espressione del capitalismo finanziario di oggi. Questa banca in nome del
capitalismo vincente, affermava che le Costituzioni post-fasciste, espressioni
di un nuovo costituzionalismo democratico, erano influenzate dalle idee
socialiste. Esse pertanto dovevano essere criticate e corrette per almeno
quattro difetti che così erano enunciati: a) queste Costituzioni comportavano
una debolezza degli esecutivi nei
confronti dei Parlamenti; b) queste Costituzioni davano un’eccessiva capacità
di decisione alle Regioni nei confronti dello Stato, cioè davano poteri alle
popolazioni locali nei confronti del potere centrale; c) queste Costituzioni
tutelavano il diritto del lavoro; d)
queste Costituzioni consentivano che si potesse protestare quando il potere
faceva qualche cosa che veniva giudicato non positivo. Ebbene, tutte e quattro
queste impugnazioni sono state accolte nella riforma della Costituzione
italiana che è in corso d’opera..
Infatti: il Parlamento è stato drasticamente
indebolito per dare poteri all’esecutivo. Delle due Camere di fatto è rimasta
una sola, come a dire: cominciamo con una e poi si vedrà. Questo è il significato
dell’avere tolto dal circuito del rapporto di fiducia tra il Parlamento e il governo
uno dei due soggetti che erano votati a questo compito. Già per questo ci sarà una
prevalenza del potere esecutivo; ma esso sarà anche padrone del calendario dei
lavori parlamentari, in quanto gli è stato dato il potere di decidere quali
leggi dovranno essere approvate a data certa. Il rapporto di fiducia tra il
Parlamento ed il governo viene poi vanificato non solo perché l’esecutivo non
avrà più bisogno di fare i conti con quello che resta del Senato, ma perché dovrà
ottenere la fiducia da un solo partito. La fiducia della Camera viene data con
la maggioranza relativa dei membri del Parlamento. Ma questa maggioranza da chi
sarà formata? Dato che è stata fatta nel contempo una legge elettorale detta Italicum in cui si prevede che un solo
partito (non in coalizione con altri) avrà - quale che sia il suo risultato
elettorale al primo turno o al ballottaggio - la maggioranza assoluta dei seggi
(340 deputati su 615), il problema della fiducia si riduce ad un rapporto tra
il capo del governo e il suo partito e perciò ricadrà sotto la legge della
disciplina di partito. Sarà la disciplina di partito a imporre ai deputati di quell’unico
gruppo parlamentare che esprime il governo, di dare la fiducia. Quindi non sarà
più una fiducia libera, non sarà una vera fiducia, sarà per così dire un atto
interno di partito.
Per quanto riguarda la seconda richiesta
dei poteri economici, i diritti del lavoro sono stati già compromessi dal Jobs act.
Riguardo alla terza richiesta, relativa
al rapporto tra Stato e Regioni, la riforma del Senato come Senato delle
autonomie funziona in realtà come lo strumento per spostare le competenze e mutare
il rapporto di potere tra Stato e Regioni. E’ evidente nel nuovo testo
costituzionale una forzatura centralistica nel rapporto tra Stato ed enti
territoriali.
Per quanto riguarda la capacità del
popolo di esprimersi, di protestare, di discutere, c’è una riduzione del
pluralismo politico, ci sono delle procedure che renderanno più difficili le
forme di democrazia diretta come i referendum o le leggi di iniziativa popolare,
e quindi ci sarà una diminuzione della possibilità per i cittadini di
intervenire nei confronti del potere.
Questo è il quadro di un’altra
Costituzione. La storia delle Costituzioni è la storia di una progressiva
limitazione del potere di chi ha il potere, perché appunto le libertà dipendono
dal fatto che chi ha il potere non abbia un potere assoluto, incontrollato,
incondizionato, ma un potere che sia convalidato dalla fiducia dei parlamenti e
sia garantito dal costante controllo dei cittadini in senso democratico. E’
questo che ora viene smontato. Certo la battaglia non è finita. Ci sarà il
referendum su questa riforma. Però noi dobbiamo sapere che da questo momento la
democrazia in Italia non è più al sicuro. La possiamo salvare, possiamo
salvarne ancora dei residui, possiamo salvare probabilmente le libertà
pubbliche, però certamente il sistema dei limiti, delle garanzie, delle libertà,
dei diritti che era previsto nella Costituzione del ’47 non c’è più.
Il
secondo contesto: le resistenze a papa Francesco
L’altro contesto riguarda invece la Chiesa.
E’ in atto nella Chiesa un durissimo confronto sulla linea pastorale di papa
Francesco. Quello che sta avvenendo al
Sinodo dimostra che non siamo di fronte ad una Chiesa silenziosa, una Chiesa
obbediente che segue docilmente gli indirizzi dati dal papa, ma a una Chiesa
che in gran parte vischiosamente esprime la vecchia Chiesa, una Chiesa che
resiste, che non accetta quel primato del Vangelo su cui la Chiesa di papa
Francesco è fondata. Il Vangelo fa troppo scandalo, è troppo difficile ad
essere accettato. E’ un segno di contraddizione, lo è sempre stato. Lo si può
predicare in chiesa, leggere la domenica e poi si può lasciare in disparte. Ma
se del Vangelo si fa il contenuto dell’azione della Chiesa e dei fedeli, le
cose diventano molto più difficili. Penso che una delle ragioni per cui l’opposizione
a papa Francesco stia uscendo ora alla luce del sole, sia che questo modo di
annunciare il Vangelo, iniziato due anni fa, è arrivato a porre problemi che rispetto all’assetto dei poteri esistenti sono
molto duri e esigenti. Per esempio nella Laudato
Sì c’è un punto (il n. 57) in cui il
papa, dopo aver descritto le conseguenze drammatiche dell’attuale gestione del
sistema sociale economico e ambientale, chiede perché si vuole oggi il
mantenimento di questo potere, che non è stato capace di intervenire per
salvare la terra,. quando, invece, era urgente e necessario farlo. Quindi il papa
pone la questione di una rimessa in causa dei poteri esistenti.
-
Quando va alle Nazioni Unite a dire che
negli ultimi decenni, se non ci fossero stati l’ONU e il diritto
internazionale, probabilmente la specie umana non sarebbe sopravvissuta, sicché
addirittura poteva scomparire la vita sulla terra, fa un’analisi e dà un
giudizio molto drammatico. Pertanto sostiene che bisogna riconoscere la “sovranità
del diritto”, perché se non ristabiliamo la sovranità del diritto non salviamo
la terra. E quando il papa pone il diritto contro il potere, il potere
naturalmente si ribella.
-
Perciò l’attacco che viene al papa sia
nel Sinodo che fuori è un attacco che viene nel momento in cui egli non si
limita a parlare di buoni sentimenti ma traduce e converte questo mandato che
viene dal Vangelo in norme di comportamento, in obiettivi da raggiungere, in cambiamenti
da fare. Quando ha incontrato nel
viaggio che ha fatto in America Latina a Santa Cruz della Sierra in Bolivia i
movimenti popolari, (che vuol dire i cartoneros, i contadini senza terra, quelli che
frugano nei rifiuti, i venditori ambulanti, gli esclusi dai diritti che
però rappresentano una soggettività anche
politica), il papa ha detto: “bisogna cambiare” perché questo sistema
che uccide, che esclude, che sta
uccidendo i popoli non è più tollerato dai poveri, non è più tollerato dai contadini, dalle
comunità, dalla Terra, da questa sorella madre Terra, come la chiamava S.
Francesco.
-
Oltre a porre il discorso del
cambiamento, il Papa dice anche: “state attenti, perché non c’è tanto tempo per
fare questo cambiamento”, i nodi si stanno stringendo. E ha detto una frase
inquietante, in questo incontro: il tempo è giunto al suo termine, perché non
solo ci siamo combattuti tra di noi (come l’umanità ha fatto in tutto il corso
della sua storia) ma ci siamo accaniti anche contro la nostra casa comune, cioè
la Terra. Queste due azioni congiunte, l’odio, l’inimicizia, le guerre tra gli
uomini, tra i popoli e l’omertà di tutti per aggredire la terra, per sfruttarla,
senza tener conto del lascito che dobbiamo fare alle generazioni future,
pongono un problema di urgenza. Questi processi potrebbero andare alla loro
conclusione drammatica e anche molto presto.
Dunque, contestualizzando il discorso, dobbiamo
sapere che siamo in un momento in cui c’è una difficoltà dell’azione politica
perché non c’è più un quadro costituzionale di partecipazione, di democrazia e
di pluralismo come c’è stato finora, e c’è un problema della Chiesa.
Riguardo alla Chiesa, non possiamo
essere solamente dei fedeli passivi, che si riconoscono nella Chiesa, che sono
dei fruitori della Parola, ma dobbiamo assumere la nostra responsabilità di
cristiani. E questo vuol dire prendere parte in questa contraddizione che si è
aperta al vertice della Chiesa, tra il papa e una parte della nomenclatura
ecclesiastica. Prima del Sinodo è stato pubblicato un libro di cinque cardinali
dal titolo “Permanere nella verità di
Cristo”. Era un libro polemico nei confronti delle aperture di papa
Francesco riguardo alla misericordia da esercitare verso gli uomini, le donne
in difficoltà, verso le famiglie difficili, le coppie di fatto, ecc.. Se cinque
cardinali scrivono un libro contro il papa dicendogli di permanere nella verità
di Cristo, in qualche modo accusano il papa di non stare nella verità di
Cristo. La durezza dello scontro è data anche dalla lettera di 13 cardinali
che, in questi giorni, accusano la leadership del Sinodo di manipolare i
dibattiti, di voler cambiare le dottrine, di voler abolire l’indissolubilità
del matrimonio ecc.. E quindi c’è una difficoltà. Adesso si capisce la
richiesta che dal primo momento ha fatto papa Francesco quando si è affacciato al
balcone di San Pietro senza insegne, senza mozzetta rossa, senza paludamenti
imperiali, dicendo: “adesso io vi benedico ma prima siate voi a benedire me”, si
capisce perché da quel momento ha chiesto e chiede sempre: “pregate per me”.
Pregate per me perché lui ha bisogno di essere sostenuto, ha bisogno di una
comunione profonda, della unità di una Chiesa che lo aiuti ad andare avanti per predicare la misericordia, che è la grande
novità, la grande svolta della Chiesa e del pontificato.
Questo dunque è il contesto in cui
parliamo.
Ecologia
integrale
Dentro questo contesto capiamo tutto il
discorso di una ecologia integrale che fa papa Francesco nella Laudato sì. Un primo elemento di novità
è proprio questo concetto di ecologia integrale, cioè la inscindibilità tra
l’uomo e l’ambiente e perciò tra l’ambiente e la giustizia. Il problema
dell’ecologia non è un problema di tecnici che cercano di diminuire un po’ il
calore della terra, di ridurre le emissioni. Il problema dell’ecologia è il
problema di assumere la responsabilità del mondo. E il mondo comprende quelli
che lo abitano, comprende gli esseri viventi. Anzitutto quelli che hanno dentro
di se il principio divino che è proprio dell’uomo, perché l’uomo non è solo
animale ma è anche divino. Ma non ci sono solo gli esseri viventi umani,
bisogna aver cura anche degli altri esseri viventi non umani, a cui non a caso San Francesco si rivolgeva, e
bisogna aver cura anche delle cose inanimate. C’è una unità profonda nella
mente di Dio tra la terra e quelli che appartengono a questa creazione, uomini
animali e cose inanimate.
L’enciclica non si rivolge solamente ai
cattolici. Papa Giovanni si rivolse agli uomini di buona volontà. Però in quel
rivolgersi agli uomini di buona volontà si poteva ancora vedere un residuo di
discriminazione perché si può pensare che ci siano uomini e donne non di buona
volontà. Papa Francesco si rivolge a tutti gli abitanti della terra. L’interlocuzione
della Chiesa di oggi non è con i cattolici, non è neanche con i cristiani, con
i credenti di una religione, ma è con gli abitanti della terra. E’ con
l’umanità tutta intera. Vi è un compito che riguarda l’umanità tutta intera. E
se avesse potuto osare ancora di più, probabilmente papa Francesco avrebbe
rivolto questa enciclica, come san Francesco, non solo agli esseri umani ma
anche agli animali, agli uccelli, ai pesci del mare e così via, perché c’è una
unità cosmica di questo mondo fatto da Dio, che è abitato da noi e popolato da
tante altre creature.
Un esempio di ecologia integrale, cioè
di corrispondenza tra l’uomo e l’ambiente, nella Laudato Sì è la lettura dell’uso della violenza nei confronti
dell’ambiente. La violenza che c’è nel cuore umano, secondo papa Francesco, si
manifesta nei sintomi di malattie e nelle ferite che sono nella terra, ad
esempio quando straripano i fiumi, ci sono le alluvioni. Le ferite della terra
sono nell’ordine materiale, fisico, biologico. Il papa dice che c’è un rapporto
tra la violenza di queste ferite della terra e la violenza che c’è nel cuore
umano.
Ancora, che cosa vuol dire questa
ecologia integrale, questo guardare insieme gli uomini pensanti e le cose in
mezzo a cui viviamo? Il papa dice che non dobbiamo dimenticare che noi stessi
siamo terra. Non ce ne dobbiamo ricordare solo quando ci dicono: “polvere sei e
polvere ritornerai”: questo serve solo in previsione della morte. Ma noi adesso
siamo viventi, siamo parti della terra che camminano nel mondo, che si amano,
che vivono. Siamo la terra animata, attraverso di noi essa vive. Il nostro
stesso corpo, dice il papa, è costituito dagli elementi del pianeta, respira
con l’aria, si vivifica e ristora con l’acqua (L.S. n. 2). E non è una novità che lo dica Papa Francesco. Lo
dicevano anche i papi di prima. Benedetto XVI nell’Enciclica Caritas in veritate diceva: “il libro
della natura è uno e indivisibile e include l’ambiente, la vita, la sessualità,
la famiglia, le relazioni sociali e altri aspetti”. E non lo dicono solo i capi
cattolici. Lo dicono anche gli ortodossi.
Lo dice il patriarca Bartolomeo in un discorso bellissimo che Francesco
cita (il papa cita sempre i cristiani delle altre confessioni, che ascolta
nella comune novità dello Spirito). Bartolomeo, il Patriarca di Costantinopoli,
dice: “è nostra umile convinzione che il divino e l’umano si incontrino nel più
piccolo dettaglio della veste senza cuciture della creazione di Dio, persino
nell’ultimo granello di polvere del nostro pianeta”.
Le
religioni non solo per i cieli, ma per la terra
Da una ecologia integrale emerge un
compito delle religioni nei confronti del mondo. Se è vero che gli uomini sono
parte della terra, vuol dire che il compito delle religioni non può essere solo
per il regno dei cieli ma anche per la terra. Se è vero quello che stiamo
dicendo, che la terra è in pericolo, che c’è poco tempo perché la stiamo
distruggendo, che dobbiamo convertirci perché la terra sia salvata, e se questo
lo dicono le Chiese, che cosa significa? Significa che la Chiesa non si occupa
soltanto del regno dei cieli, perché se si occupasse soltanto del regno dei
cieli lascerebbe questo tema agli ecologisti, ai filosofi, ai sociologi; se
invece questo tema viene assunto con questa forza all’interno della riflessione religiosa e
delle esperienze di fede vuol dire che
la fede ha a che fare con la terra. Non
ha a che fare soltanto con l’aldilà, non ha a che fare solo con il regno dei
cieli, ha a che fare con il regno della terra. Questo già succedeva prima,
perché quando papa Giovanni nella Pacem
in Terris cercava di indicare le fondamenta per la pace, pensava anche lui alla
pace sulla terra non alla pace dei cieli. Però riguardava un tema specifico, l’etica
e la politica delle relazioni umane. Qui invece il discorso è più generale
perché riguarda la salvezza stessa della terra.
Che
cosa ci sta succedendo?
Ma come mai c’è un problema di salvezza
della terra? Che cosa ci sta succedendo? Il primo capitolo dell’Enciclica Laudato Sì è intitolato così: “quello
che sta accadendo alla nostra casa”. E sapete da dove ha preso il Papa questo
titolo? L’ha preso da una lettera pastorale dei vescovi delle Filippine (What
is Happening to our Beatiful.Land?,
del 29 gennaio 1988) Questo significa che il Papa scrive le sue encicliche
raccogliendo le voci e i punti alti della riflessione di tutte le Chiese.
Veramente in questo senso c’è una collegialità profonda, non puramente
giuridicistica.
Che cosa ci sta accadendo? Questa
domanda è la domanda fondamentale da cui comincia tutto. Perché stiamo facendo
questi discorsi, perché è stata pubblicata questa enciclica? Che cosa ci sta
accadendo? E’ una domanda che c’è nel Vangelo. Ricordate l’episodio delle nozze
di Cana raccontato nel Vangelo di Giovanni, da cui poi comincia la vita
pubblica di Gesù. E’ il primo episodio, il primo racconto che Giovanni fa
dell’azione di Gesù: il miracolo, il cambiamento dell’acqua in vino. In quel
racconto Maria dice a Gesù che non hanno più vino, e Gesù le risponde in un
modo che gli interpreti non hanno mai saputo ben tradurre: “che cosa è tra me e
te donna”, oppure “Donna, che vuoi da me?”. Letteralmente però vuol dire: “che
cosa ci sta accadendo”. Il greco di
Giovanni dice questo: “che cosa sta accadendo
a me e a te donna?” Quindi la
domanda da cui parte tutto il ministero di Gesù
è: “che cosa accade”. Che cosa accade a lui e cosa accade alla Madre e
che cosa accade al mondo. Quindi questo “che cosa ci sta accadendo” è una
questione assolutamente decisiva. Il
greco dice: “Tí emoì kaì soì, gùnaì” che
cosa a te e a me donna?.
Quello che sta accadendo l’abbiamo
detto: i processi che sono in atto nella terra, sia quello che sta accadendo nei
processi economici e sociali, nei rapporti tra i popoli e le classi, sia quello
che sta accadendo all’ambiente fisico,
cioè le devastazioni, l’aumento della temperatura, la deforestazione,
l’inquinamento, aprono un problema: allora noi che cosa facciamo? Che cosa noi
possiamo fare se c’è di mezzo la salvezza della terra?
Ce
la possiamo fare
Ci sono due risposte. C’è una risposta
che dice: non possiamo farci niente, noi siamo sostanzialmente dominati da
forze che ci superano, non abbiamo la capacità di gestire le cose della terra. E
questo lo dice la filosofia. E lo dice in qualche modo anche una fede mal
pensata.
Lo dice la filosofia: ricordo a metà del
‘900 un grande filosofo, Heidegger, di fronte alla prevaricazione della
tecnica, rilascia una intervista che il Der
Spiegel pubblica con il titolo “Ormai solo un Dio ci può salvare”.
Heidegger non era un uomo religioso, non era un credente, parlava da
filosofo. Però era arrivato ad un tale
punto di disperazione, non credeva che gli uomini potessero farcela a
risollevare la Terra, che ad un certo punto ha espresso questa posizione di sgomento.
Solo un Dio, cioè solo un miracolo, ci può salvare. Però questa posizione, che qui
era espressa all’interno di una filosofia laica, è molto presente soprattutto dentro
le esperienze religiose. C’è infatti tutta una tendenza spiritualistica,
soprannaturalista nelle religioni, in particolare nel cattolicesimo, che dice
che l’unico che può farci qualcosa è Dio, perché l’uomo di per sè non può farci
niente. E qui c’è tutta una storia, una tradizione. Voglio ricordare Pascal,
voglio ricordare i giansenisti che dicevano che senza la grazia, senza cioè un
Dio che fa quello di cui l’uomo non è capace, non c’è niente da fare. L’uomo ha
perduto la sua natura integra, e quindi non può porre rimedio al male. Su questo
si è accesa una grande polemica nel ‘600 tra Pascal e i gesuiti. I gesuiti
dicevano: noi ce la possiamo fare, non è vero che l’uomo non ha le capacità in
se stesso di interpretare e di realizzare i desideri di Dio. Mentre Pascal e i
soprannaturalisti dicevano che solo Dio può agire, solo la Provvidenza può
agire, in quanto tutto è Provvidenza, nulla era dovuto all’azione umana. Applicata alla nostra situazione la questione
si riassume così: “può prodursi la fine del mondo, speriamo che Dio ci salvi”.
E questa è una posizione.
L’altra posizione dice: è responsabilità
nostra e noi ce la possiamo fare, Dio (secondo la nostra attuale percezione di
fede ricevuta nella Chiesa) ci ha messo in mano le potenze, la capacità, la
libertà per cui l’uomo ce la può fare. L’uomo può gestire la storia, l’uomo può
salvare la Terra. E questa cosa non ce la stiamo inventando stasera, questa
cosa l’ha detta il Concilio Vaticano II, è stato questo uno dei doni che ci ha
lasciato il Concilio che precisamente ha abbandonato la vecchia teoria secondo
cui all’uomo dopo il peccato originale Dio avrebbe tolto l’immortalità, la
capacità di scelta, avrebbe dato il lavoro come pena, la sessualità come
concupiscenza ecc.. L’uomo, secondo queste vecchie dottrine, non poteva fare
niente se non c’era un Dio che prendeva in mano le cose e si metteva al posto
della sua creatura tirandola coi fili. Il Concilio questa cosa non la dice più;
questa idea di un uomo abbandonato da Dio dopo il peccato non c’è più, anzi il
Concilio Vaticano II dice che, anche dopo la caduta, Dio non abbandonò l’uomo,
non l’ha lasciato in balìa di se stesso, non gli ha tolto i doni che gli aveva
dato creandolo, ma lo ha sostenuto e gli ha dato continuamente gli aiuti
necessari alla salvezza. Quindi quest’uomo è stato riconosciuto nella sua
capacità di causare le cose, e c’è stato un mutamento anche nell’antropologia
cristiana. L’essere umano è stato riconosciuto
in tutta la sua libertà, autonomia, dignità nei confronti di Dio. Questa non è
una dottrina di innovatori. San Tommaso
dice che ciò che fa Dio non è di intervenire direttamente nelle cose del mondo
ma di agire attraverso gli uomini. Dio non è una causa tra le altre ma è la
causa che permette, che fa sì che le altre cause siano attive ed efficaci. Dice
San Tommaso che Dio ha dato agli uomini la dignitas
causandi, la dignità di causare le cose. Noi siamo capaci di causare le
cose perché Dio ci ha dato la dignità di poterlo fare. Certo c’è bisogno naturalmente di eticità, di
moralità. Non è a buon mercato l’azione umana. Però gli atteggiamenti
rinunciatari, dimissionari, gli atteggiamenti pessimisti, gli atteggiamenti
spiritualisti non sono fondati. L’umanità
ce la può fare ed è per questo che papa Francesco si rivolge con fiducia
all’umanità e non solo all’umanità credente ma all’umanità non credente.
In sintesi: l’ecologia integrale, la
politica, la sociologia, l’economia, il diritto possono farcela ad alleggerire
la terra.
La
rottura della Chiesa con la modernità
Ma in che modo possiamo farcela? Con la
politica. Chi è che decide il da farsi? Una cosa è l’analisi, la proposizione
di ideali, e questo è il compito del pensiero; ma un’altra cosa è cambiare le
cose, modificarle. E questo è la politica che lo fa. E allora la domanda è: la
Chiesa fa politica?
Noi veniamo da un tempo in cui abbiamo avuto
questa fermissima convinzione che la Chiesa non deve far politica. Ma allora tutto questo discorso dove si
appende? Fare politica non vuol dire lottare per il potere. Fare politica vuol
dire assumere questi problemi che sono di tutti, cercare tutti insieme di dare
soluzioni sia attraverso gli strumenti dell’amministrazione, sia attraverso gli
strumenti della legislazione, del diritto, delle riforme economiche, del
potere, sia attraverso l’esercizio della solidarietà, dell’amore e delle virtù
personali, a partire dalla vita di tutti. Allora perché il rapporto tra Chiesa
e politica è una cosa che suona così singolare, eccentrica nel mondo di oggi?
La Chiesa ha avuto un problema con l’età
moderna per cui di fatto le loro strade si sono completamente divaricate. Che
cosa è successo? Da quale storia veniamo? La modernità vuol dire il momento in
cui il mondo esce da quella vecchia concezione integralista della
religione-stato, della fede costantiniana, secondo la quale la Chiesa
determinava la vita di tutti, aveva il potere sopra ogni altro potere e il
papa, in virtù dell’assolutismo della dottrina romana, doveva dominare “super reges et regna”. Ad un certo punto
con la modernità nasce la scienza, nasce il diritto, nasce il pluralismo delle
culture e delle religioni, perfino nell’ambito del cristianesimo occidentale.
Ed è a partire da lì che, come ha affermato Benedetto XVI quando ha messo in
luce la vera discontinuità del Concilio Vaticano II, si è aperto il conflitto
tra la Chiesa e la modernità. Questo
conflitto, ha detto ben a ragione Benedetto XVI, si è aperto in tre ambiti: il conflitto
con la scienza, a partire dal processo a Galilei; il conflitto con il diritto e
lo Stato moderno, quando gli uomini cominciano ad elaborare un diritto positivo, che non è solamente un
diritto che sta scritto nelle stelle, un diritto naturale che viene tradotto in norme positive, ma è il
diritto che gli uomini stessi elaborano attraverso le loro esperienze, le loro
esigenze, le loro lotte. La Chiesa non ammette questa autonomia del diritto.
Non ammette lo Stato moderno, non ammette le libertà moderne, e questo fino
all’800. Il terzo conflitto della Chiesa con l’età moderna si apre perché la
Chiesa non riconosce la libertà di religione, non riconosce le altre religioni,
solo la verità ha diritti, dunque solo la Chiesa, gli altri non ne hanno
alcuno. Gli altri, quelli che appartengono ad altre religioni, sono eretici,
sono una “massa dannata” come diceva S. Agostino. Quindi su questi tre campi,
la scienza, il diritto e la libertà religiosa, si apre il conflitto tra la
Chiesa e la modernità, attraverso il quale la Chiesa cerca di fermare il
progresso dell’uomo moderno. Però la modernità non ci sta. Gli uomini non pensano di poter essere
fermati in questa ricerca di un mondo più loro, di un mondo costruito da loro.
Il famoso conflitto con l’Illuminismo è questo. La società moderna, la
modernità, la cultura moderna, la scienza, il diritto, i positivisti non pensano
di poter accettare questa negazione che viene dalla Chiesa che dice: voi questo
non lo dovete fare: lo Stato moderno no, l’uomo moderno no, le libertà moderne
no, la scienza moderna no. Questo la modernità non l’accetta. E come reagisce
la modernità? Non reagisce mettendosi subito in lotta, non reagisce con
l’ateismo ma con un’operazione straordinaria che è fatta da gente
cristianissima, cattolici e non cattolici.
Uno dei più importanti era Grozio, un calvinista olandese il quale scrive:
“facciamo come se Dio non ci fosse”. Non dicono: “Dio non c’è”, dicono:
“facciamo come se non ci fosse”, non ci facciamo intralciare, sviluppiamo la
nostra scienza, il nostro diritto, la nostra idea di società senza entrare in
lotta con Dio ma come se non ci fosse. Magari lo confiniamo nell’area privata,
però non deve avere a che fare con le nostre cose. E con questo artificio
(perché era un artificio) questa gente cristianissima non diceva che Dio non
c’era, diceva: “anche nella blasfema ipotesi che Dio non ci fosse e non si
occupasse dell’umanità, la ragione la morale e il diritto dovrebbero funzionare
così”. E siamo arrivati fino ad oggi.
La laicità moderna - non il laicismo -
la separazione tra Chiesa e Stato, il rifiuto del confessionalismo nasce da
questo artificio: “facciamo come se Dio non ci fosse”. E la Chiesa in questo
scontro col mondo che diventa adulto finisce per perdere via via una grande
quantità di fedeli: prima, con Galilei, perde gli scienziati, poi con la lotta
contro il diritto perde i giuristi, poi con la condanna delle libertà moderne e
del pluralismo politico perde gli operai, poi, con la sua posizione sulla
sessualità, perde le donne; la Chiesa della severità e delle condanne si riduce
sempre di più ad una comunità autoreferenziale, che non ha più capacità di
parlare al mondo, di parlare all’umanità. Questo è il problema che affronta il
Concilio Vaticano II.
Quando ora parliamo di Francesco non ci
dobbiamo dimenticare che se non ci fosse stato il Concilio Vaticano II,
Francesco non ci sarebbe, perché non ci sarebbe stata una Chiesa dell’America
Latina che dopo il Concilio Vaticano II ha sviluppato la teologia popolare, la
teologia della liberazione, la scelta preferenziale dei poveri, la fiera
resistenza di molti alle dittature sanguinarie. Senza il Concilio non ci
sarebbe stata questa Chiesa popolare, non ci sarebbero stati i gesuiti martiri
dell’America Latina, non ci sarebbe stato il martirio di Mons. Romero, non ci
sarebbe stata questa ricchezza di Chiesa da cui poi viene uno come Bergoglio.
Quindi è dal Concilio che viene fuori
questa novità. E’ un Concilio in cui la Chiesa si riconcilia con l’età moderna.
Lo sostiene, come si è visto, anche Benedetto XVI: la Chiesa ammette il suo
errore, si scusa, per così dire, per Galileo, ristabilisce la dignità e il
valore del diritto e dello Stato moderno, proclama la libertà religiosa riconoscendo
nella libertà il dono più grande di Dio e la stessa dignità umana. Con il Concilio
c’è una conversione profonda della Chiesa, e non dobbiamo spaventarci a dirlo.
La Chiesa può cambiare e cambia se anche noi la facciamo cambiare, se c’è una
conversione che viene dal profondo attraverso una fedeltà maggiore alle Scritture
e anche attraverso un discernimento maggiore delle Scritture, perché ci sono
delle cose nelle Scritture che possono essere state e sono devianti rispetto
alla corretta percezione di Dio.
L’abbaglio
del Dio violento
Un
abbaglio su Dio che è venuto da un’errata lettura della Bibbia, è quello di un
Dio violento, dato che le Scritture ci consegnano anche l’immagine di un Dio
violento. Non in tutta la Scrittura, ma nell’Antico Testamento ci sono molte
pagine che sono di difficile sopportazione per una coscienza moderna. Un Dio
capo di eserciti, un Dio sacrificatore che incute terrore negli altri popoli,
che non sono quello che lui ha scelto, il Dio che chiede lo sterminio di Gerico
e delle altre città cananee, che vuole che tutti i loro abitanti siano passati
a fil di spada, uomini, donne bambini e anche animali. Questo è il Dio che
viene raccontato in alcune pagine della Scrittura, perché la Bibbia è anche
questo. E’ il racconto di una esperienza storica, di una esperienza di fede del
popolo di Israele, con tutte le sue ferite. E allora se noi ci fermiamo a
questa rappresentazione come se non fosse stata revocata dal Vangelo, non
capiamo più niente e non sappiamo a chi ci dobbiamo rivolgere per affermare
oggi il primato della misericordia. Se
Dio è il Dio come era pensato nelle guerre di Giosuè, che misericordia è
questa? In realtà quel Dio era stato frainteso, era un Dio sbagliato. C’è un
documento straordinario su questo tema della Commissione Teologica
Internazionale. E’ una commissione formata da grandi teologi nominati dal Papa,
presieduta dal Prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, che si pronunzia
su determinati temi. Nel 2013 ha pubblicato un documento sul rapporto tra
monoteismo e violenza. Nel 2013 Francesco è stato appena eletto, però questo documento
era in preparazione da cinque anni, era stato voluto da Benedetto XVI. Prefetto
della Congregazione era, allora come oggi, il cardinale Muller, lo stesso che
ora non sembra d’accordo col papa. In questo documento si dice che queste
immagini del Dio violento dipendono da un fraintendimento in cui sono caduti
gli uomini e le Chiese riguardo a Dio e anche dal fatto che la Scrittura è
stata letta in una maniera non selettiva, senza discernimento critico. Si sono
prese per corrispondenti alla vera identità di Dio delle espressioni, delle
raffigurazioni che non corrispondono al vero volto del Dio svelato da Gesù.
Dice il documento che l’acquisizione nel patrimonio di fede di un Dio non
violento, di un Dio nel cui nome non si può uccidere nessuno, del Dio che non
può legittimare nessuna violenza, è irreversibile, che essa segna il definitivo
congedo della Chiesa da ogni idea di un Dio violento. Questo definitivo congedo
dal Dio violento, dice il documento romano, ha un valore epocale ed è tale da
cambiare anche l’idea di religione: dunque vale non solo per i cattolici, ma
per tutti. Il Dio vendicativo, il Dio della condanna certo è depositato nei
racconti dell’esperienza religiosa dell’umanità, ma attraverso un processo
doloroso, e attraverso prove dolorose nelle quali abbiamo fatto uso della
violenza nel nome della religione, oggi siamo pervenuti a questo definitivo
abbandono dell’idea della violenza di Dio.
Oggi abbiamo questa solare, chiarissima
percezione, che Dio è non violento. Ed è questo l’oggetto della predicazione del Papa; anche quando
il Papa parla dell’Islam, di quella fazione
estremistica, che ammazza, che tortura, che decapita, non si appella a
ragioni politiche ma si appella a questa identità di Dio, a questo Dio non
violento e chiama tutte le religioni a convertirsi.
Molti collegamenti si possono fare tra la
storia, la politica, l’ecologia e la teologia. Però oggi quello che è
necessario è precisamente rendersi conto di questa totalità, di questa nostra
immersione in un mondo che certamente così come è non può andare avanti. Deve essere cambiato perché c’è troppa gente
che muore, che soffre, che ha fame, c’è troppa gente che viene stracciata dalla
vita e allora qui c’è l’annuncio della misericordia. Sembrerebbe una cosa ovvia
(un papa che cosa deve annunciare e chiedere se non la misericordia?), però
dentro questo contesto, dentro questa sofferenza, l’annuncio della misericordia
che fa questo Papa è unico.
Il
Dio della misericordia
Con il Dio della misericordia papa
Francesco riapre la questione di Dio nei confronti del mondo moderno, e lo fa
con tutta la sua vita. L’idea della misericordia di Dio ce l’ha nel sangue. Il
suo motto episcopale (che è poi quello pontificio) è Miserando atque eligendo, che vuol dire avendo misericordia e
scegliendo. Come nasce questo motto? Quando era giovane seminarista viveva a
Roma, a via della Scrofa. Gli piaceva andare spesso alla chiesa di S. Luigi dei
Francesi. In questa chiesa ci sono meravigliosi quadri del Caravaggio. Uno di
essi è la vocazione di Matteo. Arriva Gesù, vede il pubblicano che è seduto al
banchetto degli esattori con i soldi e che ha paura che glieli portino via. Gesù lo
indica e lo sceglie. Dice Bergoglio che nel commentare questo episodio del
Vangelo di Matteo, un monaco inglese del settimo-ottavo secolo, Beda il
venerabile, usa, scrivendo in latino, l’espressione Miserando atque eligendo. Gesù guarda con animo di misericordia,
cioè di amore, il pubblicano Matteo e lo sceglie. E Bergoglio prende questo
motto, Miserando atque eligendo e lo usa come motto della sua vita. Poi non sa come tradurre Miserando, non c’è una traduzione di questo gerundio, né in
italiano né in spagnolo e allora si inventa un neologismo e dice “misericordiando”. Dunque Francesco è uno che esprime la
misericordia per il mondo, è uno che è stato scelto per questo. Quando viene
eletto papa e il cardinale brasiliano Hummes lo abbraccia e gli dice:
“ricordati dei poveri”, lui sceglie il nome di Francesco. Poi, al primo Angelus
dalla finestra, comincia a parlare della misericordia: “Sapete che vi dico? Ho
letto un bellissimo libro di un cardinale (Kasper) sulla misericordia. Bellissimo”.
E poi ricorda l’episodio di una vecchia signora di Buenos Aires che in una
certa occasione, in una festa religiosa, vuole confessarsi e Bergoglio le dice:
“lei ha bisogno di perdono?” e la donna gli dice: “Dio perdona sempre”. “Come
lo sa lei?” dice il vescovo. “Perché se il Signore non perdonasse sempre – risponde
la donna - il mondo non esisterebbe”. Questa certezza che viene da una donna
del popolo diventa il programma di Francesco.
Cioè senza la misericordia il mondo non sta in piedi. E senza un Dio di
misericordia, se non si annuncia il Dio di misericordia, si annuncia un Dio che
non è il vero Dio. Ed è per questo che il papa indice l’anno santo della misericordia.
Non è la solita cosa, il fatto che i papi ad un certo punto fanno un Giubileo.
Questa è una cosa nuova, diversa, perché l’anno della misericordia è l’anno dove
il problema non è di andare a Roma a passare la porta santa, il problema è che
tutte le porte, anche di ogni casa, diventino la porta santa; tutte le porte
cioè devono diventare la porta attraverso cui si passa per avere e dare
misericordia. Nel messaggio a mons. Fisichella, che si occupa dell’Anno Santo, il
papa ha scritto che non solo si devono aprire le porte sante delle quattro basiliche
romane ma anche di tutte le cattedrali, concattedrali, di tutte le chiese
importanti, dei santuari e così via. E anche i carcerati, ogni volta che
attraverseranno la porta della loro cella se rivolgeranno il loro pensiero al
Dio misericordioso avranno salvezza, avranno misericordia. Ogni cella di un
carcere così diventa porta santa. In tal modo la fede, la religione che
sembrava confinata agli spiriti eletti, ai cattolici militanti, diventa invece una
realtà della vita quotidiana, comune, e soprattutto di quelli che soffrono.
Quando Francesco va a trovare i carcerati dice sempre: “quello che è successo a
voi può succedere a chiunque, può succedere anche a me”. Perché tutti noi
possiamo sbagliare, possiamo fare qualcosa per cui finiamo in carcere. È così
che il discorso della misericordia diventa il leitmotiv dell’Anno Santo: non vuol dire facciamo una bella festa a
Roma e poi tutto finisce lì. Al contrario è il punto di arrivo e di partenza di
un itinerario, perché è tutta la Chiesa che deve diventare la Chiesa della misericordia.
La Chiesa non deve più pensare di
mettersi al posto di Dio. Lei è solo la testimone di Dio, il segno dell’unione
con lui, è un ospedale da campo, è una struttura di servizio alla vita, alla
salvezza, alla felicità, al bene, alla santità delle persone. Dunque tutta la
Chiesa deve diventare Chiesa di misericordia in contrasto con l’assurda
ostinazione di chi dice no: no, quelli sono divorziati, non devono fare la comunione.
Ma chi sei tu per impedire a qualcuno di accostarsi all’eucaristia? Chi sei tu?
dice il papa. Nella Chiesa c’è sempre stato il ministero dell’ostiario, vale a
dire di chi sta alla porta. Il compito del ministero dell’ostiario è quello di
aprire le porte non chiuderle, dice Francesco. Chi sono io per rifiutare la
grazia, chi sono io per rifiutare i sacramenti?. Francesco ha un precedente
illustre. Il suo predecessore, il primo dei papi, Pietro. Che cosa fa Pietro nella
casa di Cornelio quando arrivano i pagani per essere battezzati e lui non può
perché la legge dice che non si possono battezzare, non si possono accogliere i
non circoncisi? E’ bloccato. Se deve applicare la legge, come fanno i farisei,
deve dire no, voi state fuori, voi non entrate nella comunione della Chiesa. Ma
c’è qualcuno che si sostituisce a Pietro, ed è lo Spirito Santo che irrompe in
quell’assemblea, che battezza, e Pietro accoglie i pagani. E quando i fratelli
di Gerusalemme contestano a Pietro di aver aperto le porte, e gli dicono: “tu
non lo dovevi fare, dovevi stare alla legge, devi obbedire, non devi cambiare
la tradizione”, lui dice una frase (decisiva nella storia di Bergoglio): “chi
ero io per oppormi allo Spirito che dava il battesimo?”. Anche il papa non è il
padreterno che decide, che fa quello che vuole. E’ uno che interpreta, è uno
che testimonia, e quindi è lui stesso che può dire: “ma chi sono io per dire no,
tu no, tu stai fuori?”. Per rispondere invece in positivo a questa domanda, la
risposta è quella della misericordia. La misericordia è l’apertura per tutti.
Però la misericordia non è una cosa
soave, non conflittuale. Invece è’ un
termine, una realtà agonica.
La misericordia è un termine dialettico,
un termine agonico, un termine di contraddizione, perché va sempre in contrasto
con un atteggiamento opposto. Per esempio, nella religione che cos’è che si
oppone alla misericordia? Gesù, citando Osea, dice due volte: “misericordia
voglio e non sacrifici”. Nella religione l’opposizione è tra la misericordia e
il sacrificio. Questo vuol dire far cadere tutta l’impalcatura delle religioni
espiatorie, delle religioni sacrificali, delle religioni della riparazione. E
il Dio della misericordia cosa vuol dire? Un Dio non violento, un Dio che non
usa il giudizio per infliggere punizioni o esclusioni ma la cui misericordia
stessa è il giudizio. E che cos’è la
misericordia applicata alla politica? Vuol dire che bisogna compiere delle
azioni, bisogna compiere degli atti, bisogna fare delle leggi, bisogna creare
delle istituzioni tali per cui diminuisca la sofferenza del mondo, aumenti la
felicità, aumenti la capacità di vivere, di amare, di crescere e di realizzare
se stessi. Questo vuol dire la misericordia per la politica. Ed oggi ci sono
alcuni punti che sono cruciali.
Primo la questione degli stranieri. Non
è possibile che continuiamo a considerare un mondo diviso in cittadini e
stranieri, europei ed extracomunitari. Il mondo è uno. La globalizzazione ha
accelerato questo processo. Ma anche
senza la globalizzazione, quando si scoprì l’America sembrò ai giuristi e ai
teologi spagnoli di dire una grande cosa, a legittimazione della loro
conquista, con l’introduzione dello jus
migrandi cioè il diritto di emigrare. E’ un diritto umano universale,
affermato dal 1492 dai teologi spagnoli per giustificare la conquista
dell’America. Dobbiamo constatare, purtroppo, che ancora non ci siamo, ancora
non esiste lo jus migrandi. Il
diritto di migrare non c’è. Li lasciamo affogare in mare, li lasciamo in mano
agli scafisti che li chiudono con i bulloni sui coperchi nelle stive. Questo
stiamo facendo con gli stranieri. La misericordia che cos’è? Chiedere di
distribuire un po’ di profughi e di stranieri nei vari Paesi europei, oppure
vuol dire abbattere le frontiere, aprire i porti, aprire gli aeroporti, aprire
gli spazi affinché tutti possano andare e vivere dove è possibile per loro
vivere? E questa è una cosa.
Il secondo punto è la questione
dell’esclusione, che il papa lamenta, la grande esclusione delle grandi masse
dalla vita, dal lavoro. Nella teoria economica c’è un preciso teorema secondo
cui non ci deve essere la piena occupazione. Se c’è la piena occupazione il
lavoro costa di più, i sindacati sono più forti e i profitti diminuiscono. Quindi è una norma precisa dell’attuale sistema
economico che non ci debba essere lavoro per tutti. Non è che non si trova, non
ci deve essere. Se tutti lavorano, l’economia non va bene, almeno quel tipo di
economia che loro pensano. Qui la misericordia vuol dire che questa teoria
economica è inaccettabile, va rovesciata. Non possiamo su questo fondare le
nostre politiche. L’esclusione va sanata.
Tutti devono poter entrare, devono poter prendere parte al banchetto della
vita. Si potrebbero fare tante altre semplificazioni ma per questa sera ci
possiamo fermare qui.
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