Pubblichiamo
il discorso tenuto in occasione dell’8 marzo alla Casa delle Donne di Roma da
Raniero La Valle, a proposito del libro di Marcella Delle Donne, “Voce donna,
femmina dell’uomo” (Edizioni Albatros, 2013)
Abbiamo tra
le mani un libro, un piccolo grande libro.
Piccolo
perché sono 96 pagine, neanche scritte tutte. Grande perché non sai che libro
è, e intanto ci vuole una densissima prefazione di un’antropologa, Alessandra
Broccolini, per cominciare a capire di che libro si tratta e quali problemi ci
pone.
Un libro di storie
Intanto è un
libro di storie. Storie di donne. Ma qui c’è una prima sorpresa. Perché subito
ti accorgi che non è solo storia di donne, ma inevitabilmente è storia anche di
uomini. E’ vero, a scandire tutti i racconti ci sono nomi di donna – Fabiana,
la fanciulla bruciata, Amina, la vittima innocente del Darfur, Fatima, la
musulmana innamorata, Carmelina, la fuggiasca pugliese suicida, Giuseppina, la
ribelle antimafia dell’Aspromonte, Sonia, la primaria dell’ospedale multietnico
di Sarajevo, Jole, la pittrice mancata, Fiore, l’italiana di patria tedesca e
con una zingara come samaritana, e infine c’è la stessa Marcella, combattuta
tra l’istante e l’eterno -; ma ecco dietro i nomi di donna ci sono sempre i
nomi dell’uomo, David, il figlio della mafia, Pietro, l’illuminato volterriano,
Berlusconi, il cavaliere orgiastico, Peppe il pittore infedele, Elio, il
piccolo contadino divenuto ingegnere, Ercole, l’agricoltore che mieteva il grano
vicino a San Pancrazio, quando Roma era ancora in campagna.
Poi ti
accorgi che in queste storie dove sempre serpeggia la violenza, non sempre è
l’uomo il nemico delle donne; spesso invece altre donne sono nemiche delle
donne e come nemiche ci sono anche comunità intere; nel caso degli aborti
selettivi a danno delle bambine, misogine – quando non costrette – sono anche
le mancate madri; Amina, violentata presso la fonte, subisce l’ostracismo ed è
condannato da tutto il villaggio, maschile e femminile; di Carmelina, abbattuta
sulla via della fuga dalla famiglia e violata dagli stupratori, dice il
vicinato che se l’è andata a cercare, la gente sussurra, si scuotono le teste,
non solo quelle virili; Fiore subisce il diktat
materno che le stronca la vocazione, le cambia la vita.
Naturalmente
c’è la ragione di questo, è la cultura patriarcale interiorizzata anche dalle
donne; ma questo basta a dire che per cambiare la società la lotta non è di un
genere contro l’altro genere, ma è di tutta la specie; ed è una lotta anche
dentro lo stesso genere: infatti come gli uomini obiettori di coscienza si
oppongono al potere maschilista della guerra, così le donne in nero si
oppongono alle donne in grigioverde o in mimetica del loro esercito che
partecipano alla repressione.
E qui c’è il
primo pregio di questo libro, che essendo un libro di storie, non è il libro di
una ideologia, fosse pure un’ideologia femminista; perché ci sono più cose e
più ricchezze nelle storie, di quante non possano essere racchiuse nelle
ideologie. E da qui viene una prima avvertenza e cioè che il destino del
femminismo non sta nell’elaborare la separazione conflittuale tra i sessi, ma
nel rendere veramente umano il loro intreccio.
Un libro di poesia
Questa era la
prima cosa da dire. La seconda, è che questo non è solo un libro di storia, è
anche un libro di poesia. E qui vale quello che Alessandra Broccolini ha scritto nella sua prefazione per
spiegare perché ad un certo punto la sociologia deve tacere e deve cedere il
posto alla poesia.
Come dice la
Broccolini, “il messaggio che la poesia può raggiungere in pochi versi,
rispetto alle centinaia di pagine e alle ore di lettura che una monografia
richiede” rende la poesia “un mezzo espressivo di gran lunga superiore alla
scrittura scientifica. La poesia, al pari della musica e della preghiera …
arriva più lontano e ci rimane più a lungo di qualsiasi altro genere di
scrittura, perché … arriva al cuore delle cose”.
In effetti è
proprio così. Consentitemi solo due citazioni. Una è sul desiderio femminile.
Sul desiderio femminile ci sono biblioteche intere. Ma alla poesia di Marcella Delle
Donne bastano quattro parole per dire l’indicibile, inarginabile desiderio
femminile di Fabiana: “quindici anni una fanciulla - il desiderio segreto di
Fabiana - raggiungere la vetta - della danza tra le stelle”. L’altra citazione
è su un suicidio. Si tratta di Amina, la ragazza del villaggio devastato del
Darfur. Alla poesia di Marcella Delle Donne bastano pochi versi per fare del
suicidio di Amina dalla cima di un colle un’ascensione al cielo: “guarda il
paesaggio - a mó d’ali . le braccia solleva - dalla ripa nel vuoto - il volo
spicca”.
Ma per quale
ragione quando si parla della donna la poesia arriva più lontano della
sociologia? Ciò non succede quando si tratta di altre realtà del mondo fisico.
Di come è fatto il mondo fisico la scienza riesce a dare conto, e quello che
non conosce oggi, certamente lo conoscerà domani. Questa è la fiducia nella
scienza che ci ha dato la modernità. Ma quando si tratta della donna, e
dell’uomo, questa autosufficienza del pensiero scientifico viene meno. C’è un
limite oltre il quale la sociologia, ma anche la psicologia, la psicanalisi, le
cosi dette scienze dell’uomo non possono andare. Succede infatti per la donna e
per l’uomo quello che succede per Dio. Di Dio non si può dire tutto, neanche la
teologia può farlo; c’è una ineffabilità, una indicibilità di Dio che sfugge
alla nostra pretesa di imprigionare il divino in categorie chiare e distinte.
La Chiesa orientale lo chiama apofatismo: vuol dire che non si può dare fondo
alla conoscenza di Dio. Era la Chiesa cattolica che credeva di avere in pugno
tutta la scienza divina, e con quella pretendeva di conoscere e di dominare
tutta la realtà. Oggi anche lei ha capito che con gli strumenti del conoscere né
si può esaurire il discorso su Dio, né si può afferrare tutto l’umano, e nel
suo ultimo documento Papa Francesco ha detto che per poter parlare dello stato
del mondo, della globalizzazione, non basta uno sguardo puramente sociologico, ma
ci vuole un “discernimento evangelico”.
La ragione
per cui non si può dire tutto della donna e dell’uomo, come non si può dire
tutto di Dio, è che si somigliano. Sono immagine l’uno dell’altro. Se l’uomo e
la donna non fossero immagini di Dio sarebbero conclusi in se stessi, la
sociologia ci potrebbe arrivare a descriverli, la psicologia a capirli, la
morale a guidarli, il diritto a garantirli, il potere a governarli,
l’antropologia a conoscerli. Ma siccome confinano con Dio, sono fatti a
immagine della sua libertà, svettano verso l’infinito, e perciò la sociologia
non ce la fa, come non ce la fa la teologia con Dio, e ci vuole la poesia, la
musica, la preghiera come dice la Broccolini, ci vuole il discernimento
evangelico come dice Papa Francesco.
Tra
l’istante e l’eterno
Allora a
leggere il libro di Marcella Delle Donne a partire da questa scoperta ci sono
due questioni che si possono affrontare.
La prima è la
relazione, nella donna, tra l’istante e l’evento. Qui c’è un’ambivalenza nel
libro di Marcella perché da una parte quando lei con fare materno prende in
braccio la bambina rom, dice che per un istante la bimba “non più negletta e
misera si sente”, dove è chiaro che finito l’istante ricadrà nel suo abbandono;
d’altra parte Marcella dice in altro luogo che “per anima di donna eternità è
l’istante”.
Dunque la
donna è in bilico tra l’istante e l’eternità. Ma è l’istante il vero nemico.
Dove la donna è caduta, dove è stata discriminata, dove è stata negata, dove è
nata la questione femminista e femminile è dalla parte dell’istante, non dalla
parte dell’eterno.
Almeno in
Occidente non è mai esistita una questione ontologica delle donne, non è vero
che nel Medio Evo si discutesse se avessero l’anima; non c’è stata una
riduzione della donna per natura a un rango non umano; nella Bibbia è
chiarissimo che Dio maschio e femmina fece l’uomo, ambedue a sua immagine e
somiglianza, in perfetta eguaglianza. In Occidente è stata più dura a morire la
discriminazione ontologica tra servi e signori, tra schiavi e liberi, che
quella tra uomini e donne.
È invece sul
versante dell’istante, cioè della storia, della cultura, del diritto, anche del
diritto canonico, se volete, è sul piano della vita familiare e sociale che la
donna è stata conculcata, occultata, violentata, non in pari son se stessa e
con l’uomo, e ancora giustamente si combatte perché l’istante sia riscattato.
Ma sul lato dell’eterno, dell’essenza, la donna già non è più “la femmina
dell’uomo”, nel senso dei vocabolari, ma è la creatura umana in quanto femmina;
e perfino a Dio ora non si dice più solo Padre ma anche Madre.
Perciò la
questione della donna, la questione denunciata l’8 marzo non si risolve con la
fuga nella metafisica, rivendicando anche per la donna il “cogito” cartesiano e “l’esistere in assoluto di ogni essere donna”,
come dice Marcella Delle Donne (pag. 41); il problema non è metafisico, è
culturale, e la lotta è politica, economica, giuslavoristica, sociale. Le
Costituzioni, e anche le teologie, l’eguaglianza originaria e per natura delle
donne l’hanno già proclamata da tempo.
Due universi, una sola carne
L’altra
questione che vorrei porre, che è un po’ anche quella conclusiva, risponde a
questa domanda: se l’uomo e la donna, ciascuno a suo modo, rappresentano
l’assoluto, travalicano i confini dell’umano, svettano verso l’infinito, che
cosa tiene insieme il mondo? Che cosa impedisce che nel mondo si scatenino
forze centrifughe, che ognuno di questi due universi infiniti si ponga come
totale, come sufficiente a se stesso; che cosa impedisce che l’uomo e la donna partano
su due traiettorie diverse, verso le stelle, e il mondo non possa più stare
insieme?
La risposta
sta nella seconda parte del libro, e qui non è più questione di storie. Quello
che impedisce la disintegrazione, quello che fa prevalere la forza di gravità
verso il centro della terra sulla forza centrifuga verso il niente, è la forza
dell’Eros. È l’intreccio, nonostante tutto mai smentito, tra l’universo
maschile e quello femminile, è il fatto che la donna è pensata come femmina
dell’uomo, e l’uomo è pensato come il maschio della donna. Ciò che tiene in
piedi il mondo è l’unità indissolubile, in una sola carne, dell’uomo e della
donna.
Ciò ci
riporta ai racconti della Creazione, ma ce ne permette una interpretazione
diversa, che proprio in questi giorni si sta chiarendo. Infatti si è
ricominciato a discutere sul significato della parola di Gesù, che si trova nel
Vangelo di Matteo: “da principio Dio li creò maschio e femmina e disse: per
questo l’uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due
saranno una carne sola…Quello dunque che Dio ha congiunto l’uomo non lo
separi”. Questa parola Gesù la disse rispondendo ai farisei, che gli avevano
posto il problema del divorzio, che poi allora era il ripudio. Il detto di Gesù
è stato interpretato come una prescrizione giuridica dell’indissolubilità del
matrimonio di ogni singola coppia umana. Ma parlandone pochi giorni fa papa
Francesco ha osservato che i farisei presentano a Gesù una casistica, e che
dietro il pensiero casistico c’è sempre una trappola. “Sempre! Contro la gente,
contro di noi e contro Dio, sempre!” Invece quello che fa Gesù, dice il
papa, è di riportare il rapporto
tra uomo e donna all’ordine della creazione, all’averli Dio creati maschio e
femmina, a non volere l’uomo da solo, ma “con la sua compagna di cammino”. E
questo “è l’inizio dell’amore: andate insieme come una sola carne”. Cioè, ha
concluso il papa, “il Signore sempre prende il pensiero casistico e lo porta
all’inizio della rivelazione”. Non è per caso che in questi stessi giorni il
cardinale Kasper, parlando al Concistoro, superando la casistica, ha aperto la
strada alla riammissione dei divorziati risposati alla comunione sacramentale,
nonostante l’impedimento finora fatto valere dell’indissolubilità matrimoniale:
una rivoluzione.
Ma allora
questo vuol dire che quella unità indissolubile tra l’uomo e la donna,
riportata da Gesù all’inizio della creazione, prima di ogni casistica, non
riguardava tanto il singolo matrimonio monogamico, che allora neanche esisteva,
ma riguarda l’unità tra i due universi, maschile e femminile. È questa unità in
una sola carne umana, è questa alleanza ontologica tra uomini e donne, è questo
intreccio tra maschile femminile tenuto insieme dalla forza dell’Eros e da
quella dell’ Agápe, che non si dovranno mai sciogliere; è questa l’unità che
tiene in piedi e fa vivere il mondo, e che veramente realizza per tutti, non
per gli uomini da soli e non per le donne da sole, il rapporto tra l’istante e
l’eterno.
Raniero
La Valle
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