C'è un appello ineludibile del missionario Alex
Zanotelli a ricordarsi dell'Africa, ad aprire gli occhi sulla disperazione
dell'Africa, a squarciare la cortina di silenzio che nasconde il dolore del
continente che noi abbiamo depredato e che l'Europa vorrebbe ora trasformare in
un immenso campo di detenzione in cui sigillare e stremare i suoi abitanti
perché non si
azzardino a passare il mare per venire a disturbare i sonni delle fratricide
borghesie europee.
L'Europa ha consumato il suo proprio rinnegamento, ha proclamato
a gran voce ciò che
già era senza
confessarlo: un tempio di cambiavalute chiuso alle genti e presidiato alle
porte da guardiani armati e buttafuori governativi.
Questo è
stato alla fine il risultato dell'iniziativa brutale di Salvini, fino al
paradosso che mentre egli chiedeva la
redistribuzione in Europa dei migranti arrivati in Italia, nella sua stessa
logica, in nome della sua stessa cultura egoistica del "verboten" e
dello scarto, è stato
chiesto all'Italia di riprendersi i profughi che dall'Italia erano riusciti a
passare in Germania o in altri Paesi. È
la perenne lezione della violenza: quando si usa violenza c'è sempre una
violenza più forte
e più incisiva
che prevale.
L'Europa, chiamata a pronunziarsi sulla rivoluzione migratoria
dalla forte iniziativa italiana, ha scelto, senza se e senza ma, la
controrivoluzione, da Macron a Seehofer a Salvini ai Paesi di Visegrad.
Frontiere chiuse e avviso ai naviganti di lasciar perdere in mare i naufraghi
(anche i bambini dei papà,
come direbbe Salvini) o di destinarli alle motovedette penitenziarie libiche.
Nello stesso tempo l'Europa rimetteva a intese volontarie tra i singoli Paesi
un'eventuale ricollocazione dei profughi tra loro. In quell'istante nel vertice
di Bruxelles finiva l'Unione Europea e restava un'unione intergovernativa
europea, singoli Stati sovrani correlati da intese e trattati tra loro. Finiva
l'Europa ma restava l'euro: lui, l'unico sovrano. E da questo momento in poi il
problema non ê più quello di uscire
dall'euro, ma di farvi entrare l'Europa.
Si è avverato
così ciò che era stato
predetto da molti, e in particolare tra noi da
Luigi Ferrajoli: un'unione monetaria senza una democrazia politica è destinata a
fallire.
Ma l'Europa che chiude porti e frontiere, che fa la
controrivoluzione con campi di espulsione e di detenzione (di
"ancoraggio"!) dentro e fuori i confini del proprio territorio, è veramente
l'Europa, è cioè quella "idea
d'Europa" che corrisponde all'immaginario di un italiano, di un francese,
di un berlinese quando sente parlare d'Europa?
Noi, quando diciamo Europa, inevitabilmente pensiamo alla
"piccola Europa", quella di Altiero Spinelli, di De Gasperi,
Schumann, Spaak, Adenauer, che nacque sulla spinta ideale del superamento dei
conflitti culminati nella seconda guerra mondiale. Era un'Europa figlia della
Resistenza e dell'antifascismo, aveva le stesse origini della Costituzione
italiana, per questo le due andavano d'accordo. Essa escludeva l'Est, nata com'era
a ridosso della cortina di ferro, era parte integrante della NATO, incorporata
nel sistema Occidente. Noi ne lamentavamo la ristrettezza e il settarismo
atlantico, ma le culture erano omogenee, le classi politiche di governo
pensavano allo stesso modo.
L'Europa dei 28 ha invece una tutt'altra origine, nasce dal
capitalismo vincente che si è
proclamato globale alla caduta del Muro, si è europeizzato a Maastricht e con Prodi
ha integrato nell'Unione Europea e nel sistema Occidente i Paesi dell'Est, precipitosamente
sottratti all'influenza russa (intesa come ex-sovietica). Questa Europa, figlia
di un'altra storia, non ha parentele con la Costituzione italiana, e si vede.
Non è che da
noi ê venuto
meno l'europeismo, è l'Europa
che non si trova più.
A questo punto deve essere chiaro che se la partita politica è importante, quella
culturale lo è ancora
di più. Perciò il magistero del
governo è pericoloso,
e gli eventi seguiti al 4 marzo ne portano la responsabilità. Ora infatti tutto
deve essere cominciato di nuovo e la cultura che abbiamo perduto o stiamo
perdendo, quella che un tempo fu l'anima dell'Europa e anche nostra, dovrà essere il primo
scalino per salire a una nuova cultura, a un'anima più dilatata e fraterna.
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