domenica 10 novembre 2024

LA CRUDELTA' E I VOLTI

lLa vittoria di Trump ha sdoganato una crudeltà che prima era nascosta. L’abbiamo vista con sgomento nei volti di alcuni partecipanti a uno dei consueti talk show televisivi, un professore, un imprenditore, una parlamentare di governo, sia che si parlasse di Gaza sia che si discutesse della “deterrenza” con cui il governo vuol dissuadere i migranti dal venire in Italia suscitando in loro il terrore di finire in Albania e di qui essere rispediti là da dove, per tremende ragioni, sono fuggiti. Sui volti di questi interlocutori televisivi abbiamo visto i tratti di una singolare durezza nell’imperativo della “difesa dei confini”, e più ancora abbiamo visto addirittura un sorriso beffardo di fronte alle immagini degli uccisi, degli scacciati, degli affamati e dei disperati di Gaza con l’alibi di dire che nulla vi fosse di vero. Ci siamo ricordati allora della invocazione di Italo Mancini il cui auspicio, per uscire dai tormenti di questa nostra modernità, era che “tornino i volti”, cioè che si torni a rapportarsi con l’infinito valore e l’unicità di ogni persona, i volti, “questi inauditi centri di alterità che sono i volti, volti da guardare, da rispettare, da accarezzare”: ma oggi sono i volti di Gaza, i volti nascosti dalla fitta selva di mani alzate per cercare di strappare un frammento di cibo o una ciotola di minestra sfuggiti al blocco degli aiuti impediti dall’assedio per fame. E abbiamo pensato a quello che oggi l’Occidente non vuole vedere dei tormenti che esso stesso ha inflitto e infligge a popoli interi, a milioni di volti, per quella falsa coscienza che esalta la violenza travestita da democrazia e da Stato di diritto come difesa della nostra identità e dei “nostri” valori. È quello che dice Roberta De Monticelli denunciando la “catastrofe intellettuale e morale” in cui si è trasformato il dibattito pubblico sull’eccidio di Gaza, su questa “umanità violata”, come recita il titolo del suo libro dedicato alla “Palestina e l’inferno della ragione”. È il libro che mancava sulla guerra in corso nel Vicino Oriente, della quale sono piene le cronache, mentre non viene scandagliata la sua ragione profonda, la filosofia che la interpreta, la fenomenologia che la spiega: la Palestina come un “nodo del pensiero”. Un libro che perciò non si può fare a meno di leggere perché, se nulla possiamo fare per lenire la sofferenza anche di un solo volto a Gaza o a Nablus, almeno abbiamo il dovere di capire e sapere, per immaginare, sperare e promuovere un altro futuro per Israele, i palestinesi, e anche per noi. Quel futuro che oggi, come spiega la De Monticelli, è oggetto di rimozione, perché come riconosceva un autorevole articolo a più voci pubblicato su Foreign Affairs, c’è un “innegabile” che è anche “indicibile”: l’innegabile è che “una soluzione a uno Stato non è una futura possibilità, esiste già un unico Stato tra il Mediterraneo e il Giordano”, ciò che per Israele è irreversibile benché l’annessione non sia stata dichiarata, e si risolve in un regime di apartheid; ma questo innegabile è “indicibile” perché fingendo che sia ancora in corso il processo per la soluzione a due Stati si può ancora mascherare la contraddizione tra l’ebraicità e la democraticità dello Stato di Israele, come è stato finora concepito. La soluzione è perciò che la realtà innegabile e indicibile sia resa visibile, presa in carico e trasformata attraverso un processo di riconciliazione fino a fare di Israele uno Stato binazionale, con due tradizioni, due culture, due popoli con pieni e identici diritti. Solo allora la crudeltà sarà sconfitta, e torneranno i volti da amare. Continua...

sabato 12 ottobre 2024

L'IPOTESI ESCLUSA

Non hanno conosciuto pausa finora né il genocidio a Gaza, né la guerra in Ucraina, e ciò che è ancora più grave è che non se ne vede la fine, perché sia nell’uno che nell’altro conflitto una delle parti esclude di porvi termine fino a quando non abbia raggiunto il suo obiettivo o, come dice uno di loro, “finché non abbia finito il lavoro”. E l’obiettivo, o il lavoro da finire, è irraggiungibile sia per l’uno che per l’altro: per lo Stato di Israele si tratterebbe di chiudere definitivamente la questione palestinese, estirpando il popolo palestinese da tutta la terra, dal mare al Giordano, che esso considera sua, e lo sta facendo con la devastazione di Gaza programmata con gli algoritmi e guidata dall’Intelligenza Artificiale; l’Ucraina, a sua volta, insieme all’Europa e agli Stati Uniti che ne sono i mandanti, perseguono l’obiettivo della sconfitta o in ogni caso dell’annichilimento della Russia. Dunque dalla crisi innescata da queste due guerre, che danzano sul ciglio di una possibile guerra nucleare e mondiale, non sembra possibile un’uscita attraverso le vie della politica e della razionalità umana. E il discorso di Netanyahu all’ONU del 27 settembre scorso ha dato il colpo di grazia non solo all’idea che possa aver termine la spietata mattanza di Gaza, ma anche che possa esserci un mondo decente nel nostro prossimo futuro. Attribuendone il movente direttamente a Mosè, e quindi a un comando divino, il primo ministro israeliano ha infatti difeso i crimini del suo governo come protesi alla “vittoria totale”. Questa consisterebbe nel dar luogo a un mondo raffigurato in due mappe che egli ha esibito all’attonita assemblea dell’ONU (dimezzata per l’assenza polemica di un gran numero di Stati non gravanti nell’orbita occidentale). Nella sua descrizione queste due mappe sono l’una di benedizione e l’altra di maledizione, la prima è quella di una metà del mondo sotto lo scettro di Israele, dall’Arabia Saudita all’Oceano Indiano, e l’altra siamo noi. Israele ha peraltro cominciato ad attuare questo disegno con l’invasione del Libano, l’assalto alle forze di interposizione dell’ONU, tra cui gli Italiani, e perciò la rottura anche militare con la comunità delle Nazioni, l’attacco all’Iran. Netanyahu non è il primo a fare il mondo a pezzi. L’altro è il Corriere della Sera che ama celebrare le glorie dell’Occidente come quelle che lo dividono dal “resto del mondo”, “democrazie” contro “autocrazie”. Ma c’è anche il mondo teatro della “competizione strategica” indetta dagli Stati Uniti, dove la sfida sta nel mettere al tappeto la Russia e la Cina, c’è l’Europa che manda l’Ucraina a morire e ghettizza i mondi che una volta andava a scoprire, e c’è il vecchio fantasma della cortina di ferro che torna a dividere l’Est e l’Ovest. In un mondo così frantumato sarebbe molto strano che non ci fossero guerre su guerre, infinite, pervasive e non convenzionali. Siamo ancora in grado di uscirne? Se “la casa brucia”, come ha gridato un convegno fiorentino a ciò dedicato, e la politica non è in grado di dare risposte, non se ne deve chiedere conto non solo a questo o a quel governo, a questa o a quella cultura, ma alla stessa modernità fondata sul vecchio presupposto, ben noto a Mosè, di mettere un idolo manufatto al posto di Dio? L’idolo è oggi la tecnologia grazie alla quale, come denunciò papa Giovanni nella “Pacem in terris”, siamo entrati nell’età che si gloria della potenza atomica, e che ora, con l’Intelligenza Artificiale, dà ragione a Heidegger per il quale la tecnica non ha più nulla a che fare con gli strumenti, ma “nella sua essenza è qualcosa che l’uomo di per sè non è in grado di dominare”. Messo di fronte a questo abisso, lo stesso Heidegger in una estrema riflessione consegnata alla rivista tedesca “Der Spiegel”, apriva un vertiginoso spazio alla domanda se “solo un Dio ci può salvare”. Era un’ipotesi temeraria, non “politicamente corretta”, in quanto proferita nel cuore di una modernità fondata sull’ipotesi opposta, che “Dio non ci sia e non si occupi dell’umanità”, che provocatoriamente era stata avanzata dal cristiano Ugo Grozio nell’Olanda riformata del XVII secolo per aprire la stagione dell’età adulta dell’uomo. Senonché di questa ipotesi la modernità ha fatto un assoluto e su questo presupposto ha fondato tutta la sua identità, la sua feconda laicità e il dogma del secolarismo, escludendo come dismessa e infantile l’ipotesi opposta. Ma oggi, di fronte alla guerra perpetua e alla minaccia della fine non è forse venuto il momento di rimettere in questione questo assunto, e chiederci se l’ipotesi esclusa della presenza amorevole di Dio nella storia non debba avere la stessa legittimità di quella assunta per vera? Ciò non vuol dire invocare un miracolo, un intervento straordinario da parte di Dio, abbandonarsi a una trascendenza che non possiamo controllare, ma vuol dire sapere come in rapporto con questo Dio gli uomini possano cambiare, possano convertirsi, possano abbandonare i loro propositi di guerra di sterminio e di odio; e questo è possibile perfino se non credono in Dio e se non sanno nulla della grazia, perché come dice papa Francesco con un neologismo spagnolo, Dio “primerea”, cioè arriva col suo amore prima ancora dell’invocazione o del peccato dell’uomo. È questo il messianismo cristiano, fondato sull’incarnazione, sullo “scambiarsi” degli uomini con Dio, sulla vocazione a farsi come lui, di cui parla san Paolo nella seconda lettera ai Corinzi. Se rimettiamo in gioco l’ipotesi esclusa, forse possiamo chiedere a noi stessi e agli altri che sono con noi in questa vita, di rimettere in discussione le loro scelte, di rimettere in discussione le loro guerre, di rimettere in discussione la loro idea del Nemico, e dar mano a costruire una società diversa, un mondo diverso, un mondo che non finisca. Continua...

sabato 27 luglio 2024

O i giochi o la guerra

Lo scandalo non è che il Presidente di Israele, Herzog, mentre è in corso il lungo terrorismo di Stato a Gaza, che ai sensi della Convenzione dell’ONU sarebbe già genocidio, sia venuto a Roma e sia stato ricevuto da Mattarella, né che, come di rito, sia stata invocata la soluzione “due popoli due Stati” e la necessità di evitare il rischio dell’allargamento del conflitto. Né sorprende che Herzog sia stato tanto edificato dall’incontro col Capo dello Stato da ringraziarlo “per la sua chiarezza morale e per il suo essere al nostro fianco”. Lo scandalo non è nemmeno che poi, di cortesia in cortesia come si usa tra i governi, egli sia passato da palazzo Chigi, dove la Presidente del consiglio lo ha accolto reiterando “la necessità” dei due popoli e due Stati in Palestina, pur sapendo che questo è ormai uno stereotipo cerimoniale, perché per fare uno Stato palestinese in Cisgiordania e a Gerusalemme Est occorrerebbe che Israele facesse ciò che solo pochi giorni fa, il 20 luglio, ha stabilito la Corte Internazionale dell’Aja, in un parere fornito all’Assemblea Generale dell’ONU. Secondo la Corte la continua presenza di Israele nei Territori palestinesi occupati è illegale ed è un’annessione di fatto a cui Israele deve porre fine, cessando immediatamente ogni attività di insediamento, evacuando tutti i coloni, risarcendo i danni arrecati e restituendo le terre e i beni sequestrati dall’inizio della sua occupazione nel 1967. Richiesta a cui Netanyahu ha risposto che non se ne parla nemmeno perché il popolo ebreo non è conquistatore nella propria terra, né a Gerusalemme né in Giudea e Samaria. Lo scandalo sta nel fatto che passando da Roma Herzog stava andando a Parigi per i giochi olimpici. È nota la tradizione delle Olimpiadi, come alternativa alla guerra o perlomeno come un tempo di pausa della guerra, e tanto più di uno sterminio. Lo scandalo, non certo per il popolo ebreo che è del tutto innocente, ma per lo Stato che se ne arroga la rappresentanza, è di uccidere andando ai giochi, e di partecipare ai giochi uccidendo. È come per la tragedia del Titanic, l’orchestra suonava mentre la nave affondava. È questo il grande pericolo per lo Stato di Israele: ad affondare non è il popolo palestinese, che è abbastanza giovane, resistente e prolifico, ad affondare può essere lo Stato di Israele perché perde il grandissimo ascendente che ha su tutta la comunità internazionale e quando si sarà attenuato il tragico ricordo della Shoà e l’America sarà giunta al declino, rischia di venir meno o di dover usare la bomba. Israele credeva che il pericolo fosse nel dover stare insieme a un altro popolo nella stessa terra, e invece la sua pace e la sua sicurezza starebbe nel vivere in quella terra riconciliato col popolo a cui ha preso le case. Certo si parla di prospettive lontane, e intanto ci si può illudere di garantirsi la sicurezza con “la migliore difesa” che, secondo le nuove strategie atlantiche, “è una buona offesa”. Sono tempi lunghi ma il popolo ebreo è abituato a pensare in termini di millenni: la promessa della terra fatta da Dio ad Abramo e reiterata a Mosè è di tremila anni fa, ed è stata per lungo tempo inadempiuta. Continua...

domenica 7 luglio 2024

VACILLA L'EUROPA DI ARMI E DI GUERRA

Noi amiamo l’Ungheria, non perché l’ama la signora Meloni e nemmeno perché Salvini è entusiasta di raggiungere Orban nel nuovo gruppo di destra, "I Patrioti” del Parlamento europeo. Amiamo invece l’Ungheria perché era quello l’obiettivo da distruggere assegnato all’Italia, per mezzo dei missili nucleari installati a Comiso, nella distribuzione internazionale del lavoro tra i Paesi dell’area atlantica, nel caso fosse scoppiata la guerra atomica. Chissà perché proprio l’Ungheria! Fatto sta che, pur non sapendo che l’obiettivo fosse l’Ungheria, un imponente movimento popolare insorse in Italia contro i missili di Comiso. Solo in Sicilia, per sloggiare i Cruise, furono raccolte un milione di firme. Infine quei missili non furono sparati, l’Ungheria fu salva e anche noi. Fu quella l’ultima volta in cui l’Europa e il mondo rischiarono una guerra mondiale e un’ecatombe nucleare. E ora ci siamo un’altra volta, a causa della insensata decisione europea di tornare a ballare col Nemico e di non voler fare finire la guerra tra la Russia e l’Ucraina, forse per sdebitarsi con gli Stati Uniti che le danno la copertura militare della NATO e che hanno tutto l’interesse, almeno a stare ai documenti della Casa Bianca e del Pentagono, che la guerra continui. Senonché l’Europa sbadatamente ha stabilito che di sei mesi in sei mesi cambi lo Stato che ha la presidenza dell’Unione, e ora questo Stato è l’Ungheria, e l’Ungheria si è permessa di rompere l’unanimità violenta dei Paesi europei, annunziando che tutto il suo semestre sarà dedicato al tentativo di riportare la pace in Europa, ponendo termine, mediante un negoziato, alla guerra tra la Russia e l’Ucraina. Per questo il premier ungherese Orban, come primo atto della sua presidenza, si è recato a Kiev e Mosca, per tentare di propiziare un dialogo tra le due capitali per mettere fine alla guerra. Nessun leader europeo l’aveva fatto prima di lui. Non l'inglese Johnson, che fu il primo a precipitarsi a Kiev per dire a Zelensky che doveva stracciare l’accordo appena fatto con Putin nel negoziato di Ankara, quindici giorni dopo l’inizio della guerra, non il francese Macron che voleva mandare i soldati europei a dar man forte sul terreno all’esercito ucraino in via di estinzione, non il tedesco Scholz che aveva subito seguito Macron nel consentire alla pretesa di Stoltenberg di togliere i vincoli all’uso delle armi della NATO per colpire in profondità il territorio russo. Ma nemmeno l’aveva fatto il presidente Mattarella, che gode della maggior fiducia tra i politici italiani, avendola avuta due volte dal Parlamento per i suoi due mandati e giungendo nei sondaggi al 73 per cento dei consensi; eppure sulla guerra è andato più avanti di tutti dando credito alle più fosche illazioni col dire che la pace deve essere come l’Ucraina la vuole e che se essa fosse sconfitta ci sarebbe una deriva di aggressioni ad altri Paesi ai confini con la Russia e di lì si giungerebbe a “un conflitto generale e devastante” come quello provocato dalla Germania tra il 1938 e il ’39. L’ha fatto invece ora l’Ungheria, suscitando l’ira funesta delle burocrazie europee (ma non della NATO), da Charles Michel, alla von der Leyen, a Borrel, come alla Polonia e alla Lituania; secondo questa, per amor di pace, a Mosca si dovrebbero portare le manette, non le strette di mano. C’è una verità però in tutto questo: l’Europa delle armi e della guerra vacilla, e va in crisi come tutti i giganti armati che hanno i piedi d’argilla; lo sanno bene gli Stati Uniti dal Vietnam all’Afghanistan, lo sa Netanyahu a cui viene meno sul più bello del "suo lavoro” il sostegno dell’esercito, ed ora lo sa l’Europa che per un sassolino lanciato dalla piccola Ungheria entra nel panico, non sa più che fare, e sconfessa la presidenza stessa dell’Unione. > > Continua...

domenica 16 giugno 2024

L'INTELLIGENZA E' FINITA

Ci voleva papa Francesco per svelare la verità del G7 svoltosi in Puglia e mostrare che il re è nudo, rompendo ogni consuetudine con l’andare a un convegno di Potenti, Nello sfarzoso scenario di Borgo Egnatia, che non è un borgo antico, ma un albergo di lusso edificato sugli scavi archeologici nel comune brindisino di Fasano, è andata in scena una finzione (non solo il borgo era finto), quella di un potere mondiale in capo a sette grandi Potenze dell’Occidente (compreso l’orientale Giappone) che credono di avere in mano il mondo e di poterne disporre a proprio piacimento e soprattutto di rappresentarne il vertice di civiltà e di sapienza come se fossero il nuovo Celeste Impero. Invece sono capaci solo di officiare i decrepiti riti della guerra, portata fino alla soglia della guerra mondiale, perché la pace è “indecente” come titola a tutta pagina la Repubblica, e di vegliare sull’agonia di un mondo fuori controllo devastato dalla crisi climatica e ambientale. Un assortimento di debolezze è stato in realtà l’esibizione della potenza dei Grandi: c’era Biden che con gambe malferme e la sfida di Trump in America ha promesso futura sicurezza all’Ucraina per i prossimi dieci anni, di fatto accettando per l’oggi le conquiste russe del Donbass e della Crimea, cosa che quando è chiesta da Putin è definita come una “resa”: ma sono stati l’Ucraina e l’Occidente che hanno voluto che la partita si risolvesse non con il negoziato (come era stato fatto a Istanbul) ma con la guerra, e nella guerra c’è chi vince e chi perde, e la Russia, che doveva essere sconfitta invece l’ha vinta. C’erano Macron e Scholz che a loro volta si erano trovati con le urne piene di voti sovranisti e neo-nazisti di elettori che in Francia e Germania privilegiano gli orrori del passato rispetto alle presunte virtù democratiche dei signori della guerra di oggi. C’era la Meloni che usa le effusioni degli Ospiti estatici di fronte ai paracadutisti che scendono dal cielo con le loro bandiere, per rilanciare il mito dei Premier forti e insindacabili, dimenticando gli esempi in corso di governanti inamovibili e suicidi come Zelensky e Netanyahu. E prova di debolezza è stata anche la generale sottomissione agli interessi geo-strategici degli Stati Uniti, che prendendo Zelensky come mascotte e pifferaio tragico, ansioso com’è di intestarsi la fine del mondo, vogliono giocare la partita della sconfitta della Russia prima e della “competizione strategica” con la Cina poi (ma entro il prossimo decennio). È nel bel mezzo di questo concentrato di debolezze e velleità, che è esplosa la verità di papa Francesco: ma dove state andando? Papa Francesco è arrivato sulla sedia a rotelle ma con gli occhi da fanciullo, ha gridato: “il re è nudo”, e ha avvertito tutti i re della Terra che stanno passando dall’umano al post-umano, avendo inventato un’Intelligenza Artificiale che non si fa strumento ma si sostituisce all’intelligenza umana, ed è molto più irragionevole e incontrollata di quella Naturale, tanto da portare il mondo alla tempesta. La macchina, ha spiegato Francesco, è stata addestrata alla scelta tra possibilità diverse, ma la decisione non si può trasferire dall’uomo alla macchina, che è animata non dalla ragione e dallo Spirito ma dall’algebra e dagli algoritmi. “Condanneremmo l’umanità a un futuro senza speranza, se sottraessimo alle persone la capacità di decidere su loro stesse e sulla loro vita condannandole a dipendere dalle scelte delle macchine”, ha affermato il Papa, e perderne il controllo significherebbe perdere la stessa dignità umana. Già lo si vede nei conflitti armati dove si usano dispositivi come le cosiddette “armi letali autonome” quando “nessuna macchina dovrebbe mai scegliere se togliere la vita ad un essere umano”. E noi sappiamo che Israele ha affidato all’Intelligenza Artificiale l’individuazione degli obiettivi da colpire, e ne ha uccisi 37.000, senza distinguere adulti e bambini, e forse anche senza distinguere ostaggi da salvare e ostaggi da far morire con i “terroristi”. Per non parlare poi dell’uso dell’Intelligenza artificiale da parte dei magistrati, ha esemplificato il Papa, quando essi nelle decisioni relative alla concessione dei domiciliari, chiedono a quel cervello Innaturale di valutare la probabilità di recidiva dei condannati “a partire da categorie prefissate (tipo di reato, comportamento in prigione, valutazione psicologiche ed altro)”, rischiando “di delegare de facto a una macchina l’ultima parola sul destino di una persona”, eventualmente in base anche a “pregiudizi insiti alle categorie di dati - (come l’appartenenza a un certo gruppo etnico) - utilizzati dall’Intelligenza artificiale”. In effetti un uso incontrollato delle macchine che ci controllano non farebbe che esacerbare la sottomissione dell’uomo alla cosa, che è la vera forma di dominio dell’età moderna. È interessante riguardo a tutto ciò notare che appellandosi allo scrutinio dell’etica per decidere i criteri con cui utilizzare l’Intelligenza artificiale, il Papa non abbia invocato il “solo insieme di valori globali”, considerati normativi dalla Chiesa cattolica, ma abbia affermato che “nell’analisi etica possiamo ricorrere anche ad altri tipi di strumenti” ovvero “trovare dei principi condivisi con cui affrontare e sciogliere eventuali dilemmi o conflitti del vivere”. E infine l’indicazione dello strumento universale di controllo: la politica, come alternativa e “baluardo” contro l’espansione del paradigma tecnocratico. “Può funzionare il mondo senza politica? Può trovare una via efficace verso la fraternità universale e la pace sociale senza una buona politica? La nostra risposta è: no! La politica serve! La grandezza politica si mostra quando, in momenti difficili, si opera sulla base di grandi principi e pensando al bene comune a lungo termine”, ha concluso papa Francesco. Così al G7, o meglio ai governi della Terra, è stata posta una questione e affidata una cruciale responsabilità al momento di questo nuovo cambiamento d’epoca: attenti a che fare quando le macchine in sostituzione dell’essere umano stanno aprendo una fase nuova nella storia del mondo, più ancora di quanto lo fece l’invenzione della bomba atomica, che secondo papa Giovanni nella “Pacem in terris” inaugurò una nuova “età che si gloria della potenza atomica”. Quanto sarebbe importante che questo monito, che non fu avvertito allora nel deserto di Alamogordo, fosse ascoltato ora, così come è risuonato a Borgo Egnatia! Continua...

giovedì 30 maggio 2024

 

 

IN RIGA ED IN ARMI

 

Un fantasma si aggira per l’Europa: l’esercito europeo da istituire, come se non bastassero quelli che ci sono.  Non tutti i partiti e le liste che si contendono il potere in Europa dicono esplicitamente di volerlo, ma tutti dicono di volere una politica estera e di difesa comune, il cui avvento sarebbe il coronamento dell’Unione Europea, cioè il suo pervenire a uno stato di perfezione. Di questo adempimento finale l’esercito europeo sarebbe la condizione e lo strumento. Quelli del governo e i politici di Bruxelles dicono poi di volere uno sviluppo dell’industria delle armi, di cui l’esercito europeo sarebbe il primo committente e cliente.  Il Partito Democratico e l’aggregato Sinistra-Verdi danno ad intendere che questa evoluzione verso il decisionismo europeo sarebbe una cosa di sinistra; del resto D’Alema dopo la guerra jugoslava sostenne che politica estera e difesa vanno insieme e che senza guerra una politica estera e uno Stato non esistono nemmeno.

Al contrario non si tratta di una cosa di sinistra, bensì di una politica di destra e di guerra. Essa è congeniale allo Stato moderno, come è stato inventato da Thomas Hobbes, che lo ha descritto come un Leviatano, un mostro biblico, ovvero un uomo collettivo, un lupo artificiale dai denti di ferro. Si tratta dello Stato sovrano, che non riconosce nessuno sopra di sé, che perciò per farsi giustizia non ha altro mezzo che la guerra, e si identifica con lo “ius ad bellum”, col diritto di guerra.

Nella prossima legislatura del Parlamento europeo, in cui questo nodo verrà al pettine, l’Europa si suicida o si salva.

Si suicida se vorrà inseguire e afferrare questa chimera della “difesa comune”. Prima di tutto, che cosa significa “difesa”? Oggi si chiama “difesa”, ma è un eufemismo, le è stato solo cambiato nome, sono della Difesa i ministeri che prima erano della guerra. Un’Europa che si conformi definitivamente a questo modello, non sarebbe più né una Comunità né un’Unione, ma diventerebbe un Super-Stato, come gli altri che sono sulla scena, e che non riescono a convertirsi in qualche altra cosa di più umano, sia sul piano interno che sul piano internazionale.

Ma in secondo luogo, difesa da chi? Chi ci minaccia? Si dice che si tratta della difesa dei confini esterni dell’Unione. Secondo l’attuale governo si tratterebbe di difenderli anche dall’ingresso dei migranti, ma al di fuori di questa aberrazione non è chiaro da chi l’Europa dovrebbe difendersi. Quello che oggi viene venduto come il “casus belli” più incombente, ovvero un’invasione russa che seguirebbe a quella dell’Ucraina, non è che una “fake news” non creduta nemmeno da chi la propaga; al contrario ciò che si dovrebbe fare con la Russia sarebbe di riconoscere che anch’essa è Europa ed è qui che la Russia deve ritrovare il suo posto: sarebbe questa la “grande Europa” geografica e storica, di cui parla il Papa e che era prefigurata già da de Gaulle, “dall’Atlantico agli Urali”. All’infuori di ciò non si vede da che cosa l’Europa dovrebbe difendersi, se non si pensa a un’offesa che venga dall’America, dalla Cina, o dai Paesi del BRICS, il vecchio Terzo Mondo. O forse ci vuole la guerra per propagare e difendere i famosi “valori occidentali” rispetto al “resto del mondo”?

E chi deciderebbe in materia di guerra e pace, e dei rapporti da Potenza a Potenza? Si parla con riprovazione della regola del voto all’unanimità, che viene stigmatizzato come “diritto di veto” da liquidare mediante una riforma dei Trattati. Dunque una guerra che venisse decisa da una maggioranza, sia pure qualificata di Stati, obbligherebbe tutti gli altri a combatterla? E se a fare la differenza fossero piccoli Stati, o Stati sacrificali, come è oggi l’Ucraina, e fossimo costretti alla guerra da Cipro, Malta, Lussemburgo, Lituania e simili (non San Marino, che non fa parte dell’Unione), dovremmo senza discutere “ruere ad armas”, correre alle armi? E in un’Europa distrutta che ne sarebbe della Svizzera, che non c’entra niente? Ma questa è la democrazia, dicono. Ma la democrazia non è fatta solo di obbedienze e di sì, è fatta anche di “no”, col “no” abbiamo salvato la Costituzione dalle cattive riforme, i “cattolici del no” non ci sarebbero stati, e non potremmo opporci all’avvento del premierato forte, di quelli che decidono guerra e immolazione per tutti, come alcuni di quelli che sono in giro e che vorrebbe introdurre la Premier reversibile Meloni. Che se poi tutti i 27 non fossero in riga e in armi, l’Europa,  come soggetto politico. si dissolverebbe.

Raniero La Valle

 

 

 

Tutto questo vuol do 

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lunedì 20 maggio 2024

 

APPELLO ALLA SOCIETÀ CIVILE PACIFICA

 

Da molte parti, in occasione delle elezioni europee, si fa appello alla società civile e alle sue esternazioni e iniziative di pace, in contrapposizione alle politiche dei partiti indifferenti o consenzienti alla guerra.

Ma come fa la società civile, ignorando o “snobbando” le elezioni, a lasciare che la guerra, e il sistema di guerra, restino in queste mani?

Eppure la società civile, misurandosi con la politica, cioè con i luoghi e i soggetti cui si devono le decisioni, a cominciare da quelli elettorali, ha potuto in passato influire sul corso delle cose.

Venendo dalla società civile siamo andati a Sarajevo per rompere l’assedio e ci siamo arrivati in cinquecento. Abbiamo promosso una missione parlamentare indipendente a Bagdad per scongiurare Saddam Hussein a non esporsi alla violenza della potenza militare americana, di cui avevamo fatto esperienza nella nostra ultima guerra, e magari fossimo stati ascoltati. I giovani delle università americane stracciando le cartoline precetto hanno concorso a far finire la guerra del Vietnam. Abbiamo raccolto un milione di firme in Sicilia contro i missili a Comiso, e infine sono stati rimossi non solo i Cruise ma anche i Pershing. Abbiamo contribuito, attraverso gli apporti alla Televisione di Stato, a far crescere nel Paese la coscienza della pace, e a far ripudiare come ormai obsoleta la guerra. Abbiamo lottato contro la “piccola Europa” che finiva alla cortina di ferro, sognando l’”Europa dall’Atlantico agli Urali”, amica ma autonoma degli Stati Uniti, come proposta per primo dal generale De Gaulle, e poi da molti altri leader europei, fino a Gorbaciov, Sarkozy, Medvedev e alla Russia di Putin. Abbiamo obiettato contro la nuova cortina di ferro e il Mediterraneo blindato che dividono tutto l’Occidente dal “resto del mondo”, ascoltando il grido di pace di papa Francesco; e non parliamo qui delle vittime della società civile che hanno pagato con la vita pace lavoro e democrazia, da Pio La Torre a Vittorio Bachelet, da Falcone a Borsellino, da Marco Biagi a Bologna ad Accursio Miraglia a Sciacca. E tutto ciò sempre in rapporto alle istituzioni diversamente competenti.

Oggi la società civile è chiamata a dire a Biden che non è con la “competizione strategica”, cioè con la minaccia militare più forte e più letale di tutte, che si ottiene se non il dominio almeno l’egemonia sul mondo, e che il mondo è più grande e variato e complesso di quanto lui pensi, così da non poter essere soggiogato sotto un unico potere e un unico dollaro. La società civile non può continuare a vedere senza batter ciglio gli arti perduti, i corpi mutilati, le donne gravide sventrate, le incubatrici rovesciate, i medici uccisi, le moschee e le chiese distrutte, i corpi insepolti, la popolazione braccata dell’eccidio di Gaza; non può vedere il popolo ebreo sparso nel mondo di nuovo in pericolo e ingiustamente messo sotto accusa a causa delle azioni del governo e dei soldati di Israele, non può rassegnarsi al fatto che ebrei e palestinesi si ritengano alternativi, che non possano riconciliarsi e vivere insieme in una terra oltraggiata ma da entrambi amata e non solo agli uni promessa. La società civile sa che l’Europa comprende anche la Russia, che essa non deve essere divisa da nuove più micidiali cortine, e se un’alleanza la difende un’alta ed altra politica la può pacificare ed unire. La società civile sa che la guerra mondiale a pezzi si è insediata nei pensieri e nelle armi dei potenti, ma non nel cuore dei popoli, e che se non noi, dovranno i nostri figli trovare le vie della pace e scongiurare la fine.

E allora pensiamo che la società civile abbia la forza per fare dell’Europa un soggetto politico autorevole al fine di promuovere un’altra idea del mondo e salvaguardarlo oggi e per le generazioni future; che perciò la società civile, a cominciare dalla galassia pacifista o dai monasteri contemplativi a cui scriveva La Pira nel pieno della guerra fredda,  non possa dare per perdute o vane le elezioni europee, non  possa mettersene fuori rincorrendo altrimenti i suoi ideali e possa invece esprimere un voto non inutile,  se candidati degni e avversi alla guerra si offrono in diversi modi al suffragio e c’è anche una lista di scopo che privilegia Pace, Terra e Dignità per tutte le creature. Pensiamo infine che sia questo il momento in cui i venti milioni di astenuti debbano tornare alle urne per rivalutare la democrazia rappresentativa, dopo aver visto come due premierati forti, perché inarginati da elettorati e Parlamenti, quelli cioè di Netanyau e Zelensky, abbiano trasformato la difesa in vendetta e in suicidio sacrificando i loro stessi popoli. È questo il momento in cui si deve tornare dalla propaganda al pensiero politico, e dal personalismo al primato del bene comune.  Perché anche quelli che dicono di volere la pace, non sanno come si fa, non sanno che non se ne può salvare uno alla volta, si devono salvare tutti insieme.

 

Roma, Pentecoste 2024

 

Raniero La Valle, Domenico Gallo, Agata Cancelliere, Domenico Mogavero, già vescovo di Mazara Del Vallo, Maurizio Serofilli (Comitati Dossetti per la Costituzione), Michele Santoro, Alberto Benzoni (Movimento per il Socialismo), Enrico Peyretti, Giancarla Codrignani, Anna Sabatini……….

Continua...

giovedì 11 aprile 2024

 LE FIRME PER PACE TERRA DIGNITÀ

Si avvicina il 25 aprile, e non lontane sono ormai anche le elezioni europee. Che legame c’è tra queste due cose? Il legame consiste nel fatto che se non ci fosse stato il 25 aprile, non ci sarebbe nemmeno l’Europa unita e tanto meno il Parlamento europeo. Basta leggere le lettere dei condannati a morte della Resistenza europea. E non ci sarebbe nemmeno la pace che stiamo perdendo, o meglio che abbiamo perduto.
Ma chi mette insieme le cose? C’è un libro, di Salvatore Maira, che racconta come perfino le lotte contadine in Sicilia furono stroncate da chi cancellava il ricordo della Resistenza: è la storia di Ettore Messana che era stato questore fascista di Trieste ma prima aveva installato e diretto la Questura di Lubiana in Slovenia durante l’occupazione italiana, organizzando camere di tortura, espulsioni, internamenti e persecuzioni di ebrei e di altri cittadini sospetti : fu indicato come criminale di guerra dalla Commissione delle Nazioni Unite ma poi riciclato e inviato come Ispettore generale di Polizia in Sicilia, dove ha trescato con la mafia favorendo nei processi i padroni espropriati dei feudi e rapportandosi con la banda Giuliano fino alla strage di Portella della Ginestra. E in questa storia c’è pure l’uccisione di Accursio Miraglia, un sindacalista di Sciacca, a cui è dedicato il romanzo di Salvatore Maira.
E mentre alle elezioni europee i partiti si preparano dilaniandosi tra loro, e perciò allontanando sempre più i cittadini dalla politica e dal voto, considerati ormai come ininfluenti sulla vita quotidiana delle persone, ci sono anche richiami più seri che avvertono come tutto invece può dipendere dalla politica e dall’Europa, perché è da loro che viene la pace o la guerra, come si vede in Ucraina e a Gaza.
Tra questi richiami c’è un libro di mons. Vincenzo Paglia, il presidente dell’Accademia per la vita, scritto in dialogo con Giuliano Amato e Giancarlo Bosetti, in cui si ricorda il sogno di Nicola Cusano, che ai tempi delle Crociate sostenne che da un incontro tra le religioni e le culture potesse scaturire la riconciliazione e la pace. E di mezzo non c’è solo l’incessante perorazione di papa Francesco, c’è anche un bel documento del Consiglio pastorale di Milano, e del suo Arcivescovo Delpini, esplicitamente dedicato alle prossime elezioni europee, per raccomandare alla responsabilità dei cristiani il “sogno d’Europa”, messo alla prova dalle istituzioni e dal Parlamento europeo che dalle elezioni derivano. Ed è un fatto notevole dopo che per tanto tempo la Chiesa è sembrata prendere le distanze dalla politica, a cominciare dalla politica italiana.
Ma chi può rovesciare l’attuale politica europea? Di questo infatti si dovrebbe trattare, dato che l’attuale scelta dell’Europa sembra tutta per la guerra e per le armi, e per un dirottamento di una parte significativa del Prodotto interno lordo (il famoso PIL) verso la spesa per l’industria delle armi. C’è una delle ultime risoluzioni del Parlamento europeo approvata a schiacciante maggioranza (451 a 97 tra contrari e astenuti) che praticamente dichiara guerra alla Russia e addirittura dettaglia quanto è necessario alla guerra: “sofisticati sistemi di difesa aerea, missili a lungo raggio, come i missili TAURUS, Storm Shadow/SCALP e altri, moderni aerei da combattimento, vari tipi di artiglieria e munizioni (in particolare da 155 mm), droni e armi per contrastarli”; IL Parlamento europeo inoltre “sollecita i governi degli Stati membri ad avviare immediatamente un dialogo con le imprese del settore della difesa al fine di garantire che la produzione e la consegna, in particolare, di munizioni, proiettili e missili” e a “ esplorare le possibilità di joint venture e di stretta cooperazione con le industrie della difesa al fine di fornire le munizioni necessarie”.
Tra le iniziative di contrasto c’è anche la lista “Pace Terra Dignità” targata La Valle-Santoro, che afferma come “la salvezza può cominciare dall’Europa se riscopre se stessa e, a partire dalla riconciliazione tra la Russia, gli Stati Uniti e l’Occidente si rivolge al mondo per costruire la pace” ma anche per preservare la Terra e rivendicare la Dignità di tutte le creature. C’è però una legge di contrasto alle nuove formazioni politiche, che richiede entro il 25 aprile (data simbolica!) 75.000 firme autenticate (e 5000 in ogni regione) per poter partecipare alle elezioni; ciò che soprattutto in regioni molo piccole, come la Val d’Aosta e molto grandi come la Sicilia insieme alla Sardegna, è assai difficile da conseguire. Perciò mi permetto chiedere a tutti gli amici di darci una mano a raccogliere queste firme. L’invito è a farlo in molte piazze e città dove sabato pomeriggio e domenica saranno allestiti appositi banchetti. Per il resto, la mail a cui ci si può rivolgere è organizzazione@paceterradignita.it; se si usa il telefonino, potrebbe essere necessario ruotare lo schermo. In alternativa occorre impostare “Sito desktop” dal menu del browser (i tre puntini verticali in alto a destra).
Continua...