sabato 23 gennaio 2010

Il mondo di Craxi

 di Raniero La Valle

Con le grandi celebrazioni per Craxi, dieci anni dopo la sua morte in contumacia ad Hammamet, la destra berlusconiana ha rivendicato la sua vera ascendenza, dissipando gli equivoci che potevano essere stati ingenerati da precedenti annunci, o meglio da precedenti vanterie. I veri precursori di Berlusconi non sono né Sturzo – anche lui andato in esilio ma non come latitante – né De Gasperi – anche lui processato e condannato ma da un tribunale fascista – e tanto meno Aldo Moro che vittima sacrificale e martire della politica lo è stato davvero; il vero iniziatore dell’era berlusconiana è stato Bettino Craxi. Lo è stato in un senso materiale, perché senza il decreto con cui il presidente socialista dette il potere televisivo alla Fininvest, Berlusconi non avrebbe potuto avere la fama ed i soldi per intraprendere la sua avventura politica; e lo è stato in senso politico, perché senza la demolizione dei grandi partiti di
massa, la DC e il PCI, tenacemente perseguita da Craxi (che amava invece Proudhon), senza la decisiva sconfitta inflitta ai lavoratori con l’abolizione della scala mobile, senza la riforma in senso decisionista dei regolamenti parlamentari, e senza il precedente di un partito-spettacolo, con la sua corte, come ironizzava Formica, in cui c’erano meno politici che ballerine, un fenomeno come Forza Italia e un governo come quello che abbiamo non sarebbero stati possibili.
È chiaro che il movente della glorificazione postuma di Craxi (i discorsi, le strade, le celebrazioni TV) è stato tutto e immediatamente politico: si trattava di fare dell’esule di Hammamet la prima vittima ingiustificata caduta sotto i colpi di una magistratura uscita dalla soggezione al potere politico; si trattava di reclamare l’immunità del potere, esattamente come Craxi aveva fatto con due discorsi alla Camera, in cui non aveva negato i reati, ma li aveva trasformati in problemi politici; si trattava di rivendicare il diritto per i politici in carriera di sottrarsi in ogni modo – con la latitanza, con il legittimo impedimento, con i processi brevi o addirittura non celebrati – al giudizio di magistrati interpreti della legge ma non eletti dal popolo.
Per fare questa operazione era necessario montare la novità mediatica di un Craxi ingiustamente perseguitato, sorvolare sulle condanne da lui subite in regolari processi, e ignorare che i fatti a lui imputati non erano stati solo quelli del finanziamento illecito dei partiti, ma anche la corruzione e il lucro privato. Non c’era dunque da fare alcuna apologia; sicché anche la consolazione offerta da Napolitano nella sua lettera alla vedova di Craxi, secondo cui il peso della responsabilità per i fenomeni degenerativi del sistema politico era caduto su di lui “con durezza senza eguali”, è sembrata eccessiva.
Si è sostenuto però che, a parte la questione giudiziaria e il triste epilogo, Craxi deve essere ricordato per la sua opera di statista. Certo che in questa ci sono state, come pure è stato detto, luci ed ombre. Luce fu la difesa della sovranità nazionale che egli fece contro gli americani a Sigonella, ma notte fonda fu la sua caparbia decisione di fare installare i missili nucleari a Comiso. Con quell’atto l’Italia si sposava al demone nucleare, e diventava potenzialmente genocida (l’obiettivo assegnatole, se ci fosse stata la guerra, era l’Ungheria).
Si è lodata quella sua scelta; senza di lui i missili in Sicilia non ci sarebbero stati, e senza i missili a Comiso non ci sarebbero stati neanche i Pershing 2 in Germania perché, come poi si è saputo, la Germania, se fosse stata sola, non li avrebbe accolti. Può darsi, come molti dicono, che se quei missili non fossero stati messi, l’economia sovietica non sarebbe stata travolta dal dissesto per le spese della corsa agli armamenti, l’URSS non sarebbe crollata, e la guerra fredda non sarebbe finita.
Ma era davvero questo l’unico modo in cui la guerra fredda doveva finire? Non si erano avviati, proprio in quegli anni, diversi e più civili modi per uscire dalla contrapposizione dei blocchi?
Non si era avvistata, come possibile, la pace “in un mondo senza armi nucleari e non violento”, come diceva Gorbaciov?
E il mondo che è succeduto a quello che allora finì, questo mondo attuale senza guerra fredda ma con vere guerre perpetue e infinite, un mondo senza Marx ma anche senza Proudhon, è davvero un mondo migliore?

Raniero La Valle
 

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