Pubblichiamo
l’intervento tenuto da Raniero
La Valle il 30 ottobre 2014 all’assemblea tenutasi nella Sala delle Colonne
della Camera dei Deputati sul tema: “Riforme istituzionali e legge elettorale:
innovazione o restaurazione?
Sono state fatte qui molte e decisive critiche alla nuova
Costituzione che è in gestazione alla Camera. Ma chi le ha fatte non è stato
alla Leopolda. Se infatti fosse andato alla Leopolda avrebbe avuto la
rivelazione, sarebbe caduto da cavallo e avrebbe capito che tutto quello che si
è pensato fin qui era sbagliato. Un testimone oculare, il costituzionalista
Stefano Ceccanti, ha riferito che alla Leopolda erano presenti giovani di tutta
Italia, soprattutto tra i 25 e i 35 anni, “quasi tutti universitari o laureati,
con una forte propensione all’intervento in pubblico e con una cultura consolidata
di sinistra liberale. Indistinguibili le provenienze familiari, le culture
originarie, la linea di frattura per appartenenza religiosa. Se parlassimo loro
di queste cose, per loro irrilevanti, sarebbe come parlare di Jurassik Park. Da
questo punto di vista l’attuale configurazione dei sindacati che risale alla
Guerra Fredda mi sembra che per loro rientri in questa categoria”.
Dunque secondo osservatori che vi erano presenti, alla
Leopolda si sarebbero smaltite, come reperti da rottamare, famiglie, culture e
religioni. Sono cose da reduci, da mangiatori di gettoni e fotografi non
digitali. Per quelli per cui “il futuro è solo un inizio” provenienze familiari,
vecchie culture e identità religiose sono irrilevanti. E perciò sono anche
obsolete tutte le lotte che si sono fatte o si possono fare per queste cose.
Questo a Firenze. Ma da Roma è venuta una grande risposta.
La risposta che ci sono e sono ben vivi quanti “subiscono l’ingiustizia ma
anche lottano contro di essa”; è venuta la risposta che il lavoro ha una
dignità, per cui “non esiste peggiore povertà materiale”che la mancanza di
lavoro; che in Italia i giovani disoccupati sono più del 40 per cento, e questo
vuol dire “annullare un’intera generazione” per riequilibrare un sistema in
crisi che mette il denaro e i profitti al di sopra dell’uomo; che non si può
affrontare questo scandalo con “strategie di contenimento che unicamente
tranquillizzano e trasformano i poveri in esseri addomesticati e inoffensivi” e
che invece “dobbiamo cambiare il sistema, vanno costruite le strutture sociali
alternative di cui abbiamo bisogno”, che occorre “continuare la lotta”.
Questa risposta a Firenze è venuta da Roma; ma non sto dicendo
di piazza san Giovanni, sto dicendo dell’aula del “Vecchio Sinodo” dove ha
parlato il papa Francesco ai rappresentanti dei movimenti popolari di tutto il
mondo, per raccoglierne la voce e benedirne la lotta. Erano stati
infatti invitati in Vaticano esponenti di organizzazioni popolari di ogni
provenienza, in rappresentanza dei contadini senza terra, degli indigeni, dei
precari, dei lavoratori del settore informale e dell’economia popolare, dei
migranti, di quanti vivono nelle periferie urbane e in insediamenti di fortuna,
e sono risuonate le tesi degli indignados
spagnoli, degli americani di Occupy Wall
Street, degli italiani del Leoncavallo, della fabbrica recuperata Rimaflow,
della rete “Genuino clandestino”, e si sono ascoltate le analisi del presidente
indio della Bolivia Morales.
Nel suo discorso papa Francesco ha ripreso in mano le tre
grandi bandiere che furono della sinistra, la terra, la casa e il lavoro, e ha
invitato i movimenti popolari a combattere “perché nessuna famiglia sia senza
casa, nessun contadino sia senza terra, nessun lavoratore senza diritti,
nessuna persona senza la dignità data dal lavoro”, concludendo con l’invito a
continuare la lotta, “con coraggio ma anche con intelligenza, con passione ma
senza violenza”: “sigan con su lucha”.
Terra, casa, lavoro: “E’ strano, ha detto il papa. Se parlo
di queste cose dicono che il papa è comunista. Ma terra, casa, lavoro, quello
per cui lottate, sono diritti sacri, stanno nel Vangelo, nella dottrina sociale
cristiana”. Il papa non è un reduce. Certo, se la Chiesa prima di lui avesse
detto che lottare per i diritti non vuol dire essere comunisti, ma vuol dire
lottare in quanto uomini e donne responsabili, molte cose sarebbero state
diverse, forse le “ideologie” non sarebbero state licenziate, Moro non sarebbe
stato sequestrato e ucciso. In ogni caso quanti lottano per la giustizia oggi
hanno un leader religioso, in attesa di averne uno politico, in attesa di avere
una prospettiva, un’organizzazione politica. Perché senza politica i diritti
non si instaurano e non si difendono. Ma certo è che mentre da una parte la
lotta per il lavoro e per i diritti è rottamata come una lotta di reduci,
dall’altra è proposta come la lotta del futuro, per costruire il mondo umano
del futuro. Dunque la sepoltura del progetto democratico non è riuscita.
Messa dentro questa alternativa, tra una liquidazione e una
ripresa della prospettiva democratica e popolare, la nuova Costituzione
proposta dal governo Renzi è per l’appunto la Costituzione di Jurassik Park, di
un mondo finto, virtuale, digitale, che sta solo nei display dell’ I-phone e
dei computer; però è un mondo abitato da bestie feroci. Renzi lo chiama il
mondo dell’opportunità, che sarebbe “la nuova parola della sinistra”; ma questo
vorrebbe dire lasciare fuori milioni di persone a cui tutte le opportunità sono
state tolte o negate, a cominciare dagli immigrati che Salvini non vuole e dai
licenziati picchiati dalla polizia, a cominciare dai bambini che secondo
l’ultimo rapporto dell’UNICEF sono sempre più poveri: un bambino su tre in Italia è nella povertà,
mentre dal 2008 in
Italia ci sono 600.000 bambini poveri in più, come i morti della prima guerra
mondiale. Ma la Costituzione non è per gli scalatori sociali, per i vincenti
virtuali, essa prende in carico le persone reali, nelle loro condizioni “di
fatto” (come volle che fosse scritto Teresa Mattei), le cui opportunità sono impedite
dagli ostacoli di ordine economico e sociale che è compito della Repubblica
rimuovere (art. 3).
E dunque è ormai per una divergenza profonda sull’idea
stessa di società, che noi continuiamo a volere come società di libertà e di
diritti, di famiglie, di aggregazioni intermedie e di persone, di culture e di
fedi, che non possiamo accettare le riforme istituzionali apocrife del P.D. di
Renzi (apocrife in quanto ascritte al Partito Democratico come tale).
Certo, come dice Fassina, bisogna entrare nel merito. Ma
riguardo al merito vanno almeno citati tre punti irrinunciabili che sono stati
enunciati dallo stesso Presidente della I Commissione della Camera, Francesco Paolo Sisto
(Forza Italia) in un’audizione alla quale anch’io ho partecipato. Essi mi
sembrano dirimenti anche per noi: 1) Non giustificare una riforma
costituzionale maldestra, per il
fatto che vi sia qualche punto positivo (bicameralismo o
altro), sacrificando tutto il resto, in base al principio “il meglio è nemico
del bene”; al contrario, in tema di Costituzione “ogni passaggio deve essere
assolutamente calibrato: non si può sacrificare nulla”. 2) Non accettare una
riforma che fa prevaricare il governo sui poteri del Parlamento, che privilegia
il governo su una “Camera residuale” e un “Senato lillipuziano”; è
inammissibile il voto a data bloccata che, scaduto il termine fissato (60
giorni) permetterebbe al governo di far votare una legge nel testo da lui
proposto o accolto, con la caduta di tutti gli emendamenti anche già approvati,
magari anche per effetto di un facile gioco di ostruzionismo della maggioranza;
ciò “afferma e consolida in capo al governo un potere che forse non è neanche
del Parlamento” (Sisto). 3) Non aggravare le forme di democrazia diretta,
rendendole più difficili (firme necessarie per le leggi di iniziativa popolare,
quorum dei referendum). “Si ha
l’impressione – ha detto Sisto – che questa sia una riforma che lungi
dall’ampliare le garanzie del Parlamento e della democrazia diretta le
restringa”.
Per la difesa della democrazia non possiamo chiedere di meno
di quanto si chiede in Parlamento anche da banchi inconsueti. E se le garanzie
saranno compromesse, tanto più se in sistema con una legge elettorale
monocratica e a liste bloccate, non ci sarà altra strada che il referendum.
Raniero La Valle
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