Un discorso per la celebrazione del 70° anniversario della Carta. Le tre stagioni costituenti: il progetto e le speranze delle origini, il rilancio del ’76 finito nel sangue, la nuova risposta da dare al fallimento dell’economia mondiale
Raniero La Valle
Discorso tenuto alla Biblioteca del Senato il 27 dicembre 2017 per la celebrazione del 70° anniversario della firma della Costituzione promossa dal Coordinamento per la democrazia costituzionale
La Costituzione ed io siamo cresciuti insieme. Siamo fratelli, se non proprio coetanei. Lei è un po’ più giovane di me, perché quando è nata io avevo 16 anni; non molti, ma abbastanza per aver conosciuto, pur da bambino, il fascismo, il re, il duce, la guerra, le bombe in via Nomentana, i rastrellamenti tedeschi a Porta Pia, la fame e la liberazione. Tutto questo mi aveva fatto diventare adulto prima del tempo, sicché quando la Costituzione nacque stavo già all’università, studiavo diritto, e potevo capire cos’era. Però non sapevo nulla di Dossetti, di Fanfani, di Moro, di Lelio Basso, di Nenni, di Togliatti che sarebbero poi stati così importanti per la mia vita. In ogni caso avevo vissuto abbastanza per rendermi conto, e non per sentito dire, quale cambiamento essa rappresentasse, non solo rispetto alla mia vita precedente, ma rispetto a tutta la storia da cui venivamo. Per chi aveva vissuto, anche di sfuggita, il fascismo, la Costituzione si presentava come una novità, come la notizia che un altro tipo di regime, di Stato, un’altra politica erano possibili. Solo più tardi, tuttavia, mi resi conto che la Costituzione non rappresentava solo una novità, ma un’alternativa. E potei capire il significato più profondo dell’affermazione di Moro, che la Costituzione doveva essere non afascista, ma antifascista; essa non era infatti solo una regola del gioco, per qualunque gioco, ma doveva essere la scelta di una strada invece di un’altra, che non era solo la scelta tra due ordinamenti politici, ma tra due visioni dell’uomo e del mondo.
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