di Raniero La Valle
Il presidente americano Trump ha deciso di spostare la sua ambasciata da Tel
Aviv a Gerusalemme. È una decisione molto grave: essa non solo riconosce
Gerusalemme come capitale dello Stato di Israele, cosa che in se stessa sarebbe
del tutto legittima se riguardasse la parte israeliana della città dove già
hanno sede il governo e la Knesset, ma suggella l’occupazione militare della
parte di Gerusalemme conquistata nel 1967 che, secondo il diritto
internazionale, è un territorio occupato di cui non è lecito mutare lo status;
al contrario la decisione di Trump legittima l’annessione, che di fatto è
annessione ad Israele di tutta la Palestina, cioè anche della Palestina
palestinese ed araba la cui esatta definizione è “Territori occupati” e che dovrebbe essere,
secondo gli impegni internazionali sempre ripetuti in questi sessant’anni, il
territorio dello Stato palestinese. Trump dice di mantenere l’opzione a favore
dei due Stati in Palestina, ebraico l’uno, arabo-palestinese l’altro, ma di
fatto sotterra questa ipotesi e lascia quindi tragicamente insoluta la
questione del popolo palestinese, per il quale non è pensata ormai da nessuno
altra sorte che quella di una minoranza non riconosciuta e discriminata
all’interno dell’unico Stato di Israele, che la Knesset sta definendo per legge
come uno “Stato per gli ebrei”, nel quale ai soli ebrei è riconosciuto il
diritto all’autodeterminazione. In tal modo per il momento il padre di tutte le
crisi del Medio Oriente e non solo, ovvero il conflitto israelo-palestinese,
assume dimensioni catastrofiche e appare non solo ancora insoluto dopo sette
decenni, ma di fatto, senza un vero ripensamento di tutti i termini del
problema – politici, culturali e religiosi – insolubile. Ma può la comunità
internazionale lasciarlo insoluto e insolubile?
Non è questa
tuttavia la sola novità che viene dagli Stati Uniti e da Trump. Nello stesso
momento in cui il presidente americano ha assunto come decisione dell'Impero la
decisione sionista di fare di Gerusalemme la capitale dei soli ebrei dello
Stato d'Israele, egli ha ritirato
l'adesione degli Stati Uniti al Trattato dell'ONU "Global Compact"
che, almeno in via di principio, cerca di dare una risposta, giuridica e
civile, all'angosciosa tragedia dei flussi migratori che attraversano tutto il
mondo, per dar loro protezione e regola, al di là della distinzione tra
fuggiaschi dalla guerra e migranti in fuga dalla fame.
Infatti sabato 2 dicembre la rappresentanza americana al Palazzo di Vetro emetteva il seguente proclama: “ Il Global Compact sulle migrazioni è incompatibile con le politiche di questa Amministrazione su immigrati e rifugiati e in contraddizione con i principi di Donald Trump sull'immigrazione. Pertanto gli Stati Uniti mettono fine alla loro partecipazione".
Infatti sabato 2 dicembre la rappresentanza americana al Palazzo di Vetro emetteva il seguente proclama: “ Il Global Compact sulle migrazioni è incompatibile con le politiche di questa Amministrazione su immigrati e rifugiati e in contraddizione con i principi di Donald Trump sull'immigrazione. Pertanto gli Stati Uniti mettono fine alla loro partecipazione".
Questa
decisione viene dopo la denuncia degli accordi di Parigi sul clima, l'uscita
dall'UNESCO e i tagli ai contributi alle missioni dell'ONU; non la si può liquidare
come una bravata estemporanea di Trump, essa è fino a prova contraria una
decisione del governo e del popolo degli Stati Uniti. Essa significa che gli
Stati Uniti passano (o restano) dalla parte del genocidio, perché, come ha
detto il medico di Lampedusa Pietro Bartolo alla riunione fondativa del nuovo
movimento politico "Liberi ed eguali" ed è stato sottolineato in
quella sede da una standing ovation, le stragi di migranti e profughi, come
quelle che si ripetono nel Mediterraneo, sono un genocidio, sono un olocausto,
oggi a tutti noto come invece non era noto settant'anni fa il genocidio della
Shoà. Ma, nel momento in cui i responsabili della politica e del potere fanno
la scelta del genocidio, come ora la fa Trump, essi decidono in realtà per il
suicidio del loro stesso popolo: è chiaro infatti in questo caso che votare
contro la vita dei migranti, significa votare contro la vita degli Stati Uniti,
che sono essi stessi un popolo di migranti; i suoi cittadini non sarebbero
neanche là se non vi fossero sbarcati un giorno, come del resto il popolo
d'Israele non sarebbe neanche là, se non vi fosse arrivato da terre lontane,
nel primo e nel secondo esodo. Perciò lo ius migrandi che noi rivendichiamo non
è una novità di oggi, e non è nemmeno un'invenzione di Francisco De Vitoria
all'inizio della modernità, è la storia stessa del mondo, fin dal principio; lo
diceva anche De Vitoria nella sua sua “relectio
de Indis”: “all’inizio del mondo, quando tutto era comune era
lecito a ognuno trasferirsi e muoversi in qualunque regione volesse; ora non
pare che la divisione dei territori abbia annullato questo diritto, dal momento
che l’intenzione dei popoli non è mai stata di abolire, con quella divisione,
la comunicazione reciproca fra gli uomini. Non sarebbe lecito ai francesi
proibire agli spagnoli di muoversi in Francia o anche di vivervi, né viceversa,
purché questo non rechi loro danno e tanto meno faccia loro torto”, e questo
perché “totus orbis aliquo modo est
una respublica”, tutto il mondo in qualche modo è una repubblica. E
chi può dimenticare che in gran parte dell'Europa, al di sopra di Roma e
dell'Italia, il cristianesimo stesso sia stato portato dai Goti ariani (nel
senso di seguaci di Ario) del vescovo Ulfila?
Raniero La
Valle
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