giovedì 14 febbraio 2019

LO SGABELLO



Ancora una volta si sta sbagliando diagnosi e prognosi rispetto a ciò che è avvenuto domenica con le elezioni in Abruzzo. Sembra che il tema sia quello della competizione in atto tra Lega e 5 Stelle, e che tutta la domanda riguardi il futuro, su come continuerà la gara, se i 5 Stelle riusciranno a rimontare lo svantaggio in vista delle elezioni europee, o saranno le opposizioni a trarne vantaggio.
Invece l’Abruzzo ha dimostrato ciò che è già successo e ciò che certamente avverrà se non sarà interrotto il corso delle cose.
      Ciò che sta per accadere è quanto segue:
      1)       Le autonomie differenziate che si stanno per concedere alle regioni del Nord esacerberanno lo squilibrio tra Regioni e Stato, divideranno il Paese rompendo l’eguaglianza in base al censo, renderanno più povero ed emarginato il Sud, creeranno disparità di diritti e di tutele tra chi abita in un luogo o in un altro del nostro Stato unitario;
      2)       Le riforme costituzionali in corso trivialmente motivate dal rapporto costi-benefici, come se fossero la TAV, e dalla lotta contro “la casta”, revocheranno la centralità del Parlamento, svuoteranno la rappresentanza, guasteranno il processo legislativo e se approvate con la probabile maggioranza dei due terzi, saranno sottratte al vaglio del referendum popolare; 
      3)       La riforma del Codice penale trasformando da eccezione a regola la violenza esercitata per “legittima difesa” armerà i cittadini, potenzierà le lobby dei fabbricanti d’armi e indurrà una sempre più diffusa cultura da Far West;
     4)       Il passaggio alla fase esecutiva del “decreto sicurezza”creerà folle di stranieri vaganti per l’Italia senza controlli, negherà loro il nome all’anagrafe e il diritto a un’esistenza legittima e renderà precaria la stessa cittadinanza, che ai non meritevoli potrà essere revocata a discrezione del governo;  
     5)       La perdita di credibilità sul piano internazionale finirà per paralizzare la politica estera dell’Italia e la speranza stessa di un suo ruolo nel mondo. Sta già accadendo con la rinunzia alla neutralità nella crisi venezuelana, che avrebbe dovuto indurre le parti al dialogo, non a qualunque dialogo ma a quello, come ha scritto il papa a Maduro, “che si intavola quando le diverse parti in conflitto mettono il bene comune al di sopra di qualsiasi altro interesse e lavorano per l’unità e la pace”. Invece l’Italia si è rapidamente riallineata all’ideologia occidentalistica  sempre pronta a interventi violenti nelle sovranità altrui, con le conseguenze ben note dal Cile di Pinochet al Brasile dei generali, da Saddam Hussein a Gheddafi, dall’Afghanistan alla Siria, per ricordare le recenti grandi devastazioni della politica mondiale.
Ciò che è già successo domenica in Abruzzo, non parla dell’Abruzzo, ma parla dell’Italia. E proprio perché Salvini non c’entra niente con l’Abruzzo,  dovrebbe essere chiaro che la questione è l’Italia.
Ciò che è successo è che si sta compiendo il processo per cui una minoranza prende il potere, ma non per virtù propria, bensì perché il sovrano glielo consegna, e si fa sgabello di tale alienato potere.
È accaduto quando il sovrano consegnò il potere a Mussolini, venuto in vagone letto da Milano mentre le sue comparse facevano la marcia su Roma; era a capo di una minoranza residuale, reduce dall’interventismo, e con le idee confuse, ma il sovrano lo mise sul piedistallo e gli lasciò la scena, senza avvedersi di segnare così la sua fine, il suicidio del regno.
La Lega era una minoranza in declino, il più vecchio partito tra quelli esistenti, come è stato ricordato in questi giorni, e mai era stata capace di egemonia e di dominio: fino a quando il sovrano, ossia il popolo sovrano, mediante le due forze uscite vittoriose dalle elezioni del 4 marzo, 5 Stelle e Partito democratico, l’ha messa al potere, le ha consegnato l’interno, e non solo l’interno, del Paese, le ha dato lo sgabello di una base parlamentare e di massa e ha portato tutta l’informazione a farsene eco. 
Le elezioni in Abruzzo (non c’è bisogno di aspettare le europee) sono forse l’ultimo avviso per fermare in tempo la resistibile ascesa. Prima che le cose più gravi, già annunziate, accadano. Non c’è nessuna rivoluzione da fare: della mente, certamente sì, ma dal punto di vista istituzionale basta una crisi di governo. Per molto meno nella precedente fase della Repubblica la forza di maggioranza, la DC, faceva le crisi di governo, e fu così che quel partito non si suicidò anzitempo, e governò per quarant’anni, e fece sì che reggesse l’impianto democratico e costituzionale, con vantaggio di tutti.  Così dovrebbe fare, oggi non domani,  la forza di maggioranza; se è movimento si muova, faccia politica, rivendichi grandi valori democratici e nazionali, acquisendo il merito storico di interdire la restaurazione impietosa della nuova destra.
Il Paese è solido, i sindacati sono di nuovo uniti. Basta togliere lo sgabello, e comincerà una transizione in vista di costruire poi, finalmente, il nuovo.

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