mercoledì 3 giugno 2020

PENTECOSTE

Chi l’avrebbe detto al giovane  Hegel, a Marx, al Bloch di “Ateismo nel cristianesimo” che “i tesori sperperati nel cielo” non sarebbero stati più quelli da loro denunciati dell’alienazione religiosa, ma quelli ben più concreti della corsa nello spazio in cui ormai anche i privati ricchi  investono le enormi ricchezze rubate alla metà più povera del mondo? È successo nel giorno di Pentecoste, inizio della Chiesa, inizio della seconda fase della pandemia, inizio della colonizzazione privata dello spazio grazie alla navetta “Crew Dragon” per il trasporto di persone (in preventivo 20 milioni di dollari a passeggero) che ha raggiunto gli astronauti russi  nella stazione internazionale orbitante intorno alla terra.
Dunque c’è inizio e inizio. Da un lato c’è da curare le persone, che escono straziate dalla pandemia. Dall’altro c’è da continuare la corsa, da ipotecare profitti, finanziare l’economia; ma le persone, dice lapidariamente il papa al Regina Coeli, “sono più importanti dell’economia. Noi persone siamo tempio dello Spirito Santo, l’economia no”.
Per la Chiesa questa Pentecoste può essere davvero un nuovo  inizio. Non solo per i simboli: la basilica di san Pietro di nuovo abitata da un po’ di fedeli, la finestra dell’Angelus che finalmente si affaccia su una piazza riaperta, riavviata  a popolarsi di nuovo. Ma anche perché essa è giunta dopo una Pasqua che è sembrata riportare  la Chiesa alla nudità del sepolcro vuoto, come se tutto dovesse ricominciare da capo. L’ha detto il papa nell’omelia della Messa di Pentecoste: “Andiamo dunque all’inizio della Chiesa”.
Ebbene, all’inizio della Chiesa l’annuncio delle “grandi opere di Dio” partito dal Cenacolo non andò dal popolo d’Israele a gente divisa “in gruppi secondo i vari popoli”,  ha sottolineato Francesco, non andò prima ai vicini e poi ai lontani, non andò prima ai credenti e poi ai pagani, secondo un ben architettato piano pastorale, ma andò direttamente, sotto il vento unificante dello Spirito, dai circoncisi alla totalità dei figli di Dio, a questa unica umanità, l’”Unigenita”; e l’annuncio fu quello della pace, e la missione fu quella del perdono, e non doveva esserci altro che pace e perdono.
Tanto più ciò vale in questa crisi che stiamo attraversando. E anche per la Chiesa, come per la società, vale ciò che ha detto il papa a Pentecoste, che “peggio di questa crisi c’è solo il dramma di sprecarla”. Il dramma sarebbe quello di tornare ad interpretare le crisi, anche nella Chiesa, dentro i vecchi schemi, le vecchie dietrologie, le letture dei fatti condizionate da un clericalismo latente,  spesso presente anche in casa progressista.
E proprio il giorno di Pentecoste è venuta l’occasione di pensare in grande alla Chiesa di domani. Giusto sette mesi fa, come ha ricordato papa Francesco dopo il Regina Coeli, si era concluso il Sinodo per l’Amazzonia, una terra che doveva poi essere duramente provata dalla pandemia: “Tanti sono i contagiati e i defunti, anche tra i popoli indigeni, particolarmente vulnerabili”  ha detto il papa, che ha invitato a pregare “per i più poveri e i più indifesi di quella cara Regione, ma anche per quelli di tutto il mondo”. Così l’Amazzonia, caduta in oblio dopo il Sinodo perché si era giudicato che esso non avesse dato i frutti sperati per la riforma della Chiesa, per colpa del papa che non ne aveva raccolto e avallato le istanze, è tornata al centro dell’attenzione della Chiesa.
Ma chi ha detto che non aveva dato frutti? Anzi il Sinodo  aveva preconizzato una Chiesa dalla cultura “marcatamente laicale”. Un’analisi non emotiva, ma finalmente condotta anche con sapienza giuridica dall’ecclesiasticista Nicola Colaianni, dimostra che l’Esortazione “Querida Amazonia” di papa Francesco ha recepito “per relationem” il documento conclusivo sinodale, dandogli forza di esortazione pastoralmente vincolante, anche se non obbligante per fede; questa ricezione papale non ha escluso pertanto le ipotesi, suscettibili di entrare in un futuro decreto, del sacerdozio uxorato e del diaconato femminile; solo che questo lo fa non all’interno del consueto apparato clericale e gerarchico, ma nel quadro di una visione dinamica della Chiesa permeata da una cultura “marcatamente laicale”.
Allo stesso modo dinamica dovrà essere la visione  della società umana, nella sua versione laicale, come umanità ricomposta e costituzionalmente fondata.
       

Nessun commento:

Posta un commento