di Raniero La Valle
Gli risposero
(Marco 8,28; Luca 24,19)
.
E’ una novità.
Fu Pio XII
che per primo fece un timidissimo accenno a un’opinione pubblica nella Chiesa,
alludendo a una qualche voce in capitolo dei fedeli, ma la cosa non ebbe alcun
seguito. Arrivò poi il Concilio, e la parola la diede ai vescovi, ma poi fu
tolta anche a loro: Paolo VI decise da solo sulla contraccezione e ne blindò il
divieto nella “Humanae vitae”, e poi
si inventò un Sinodo dei vescovi senza alcun potere, senza collegialità e con i
dibattiti tenuti segreti, e riservati al buon uso del papa. Così per cinquant’anni
la grande idea riformatrice del Concilio di una Chiesa identificata col popolo
di Dio e governata dal papa e dai vescovi in comunione con lui è rimasta
lettera morta, e non a caso la compagine cattolica è giunta alla crisi
devastante che ha portato alle dimissioni di Benedetto XVI.
Ed ecco che
ora riappare il popolo di Dio nella sua identificazione con la Chiesa, a lui
sono rivolte le 38 domande e si innesca un grandioso processo sinodale e
collegiale che dalla attuale
consultazione dei fedeli (ma anche, se vogliono, dei non credenti) giungerà
fino al Sinodo straordinario del 2014, dedicato ai problemi più urgenti, e a
quello ordinario del 2015,
in cui si prenderanno determinazioni pastorali ed
evangeliche più mature e a lungo termine riguardanti i temi antropologici su
cui oggi la Chiesa torna a riflettere.
È la svolta
che ci si aspettava da papa Francesco, dopo le grandi parole da lui dette nei
primi sette mesi di pontificato, da cui già si poteva capire quale sarebbe
stato il cammino. Come il Concilio, evento altrettanto innovatore, il processo
sinodale e collegiale oggi avviato ha la finalità di un annuncio della fede in
quei modi “che la nostra età esige” (un’età in cui è mutata l’autocomprensione degli
esseri umani), ma ora il papa ha esteso la platea dei chiamati a prendere la
parola per dire quali sono le esigenze che la nostra età pone alla fede.
Durante il Concilio i moderatori proposero ai vescovi quattro domande
per sapere cosa ne pensassero della collegialità, dell’episcopato, del
diaconato e di altri problemi interni alla Chiesa, e sulle risposte impostare i
documenti. Successe un putiferio, ma così il Concilio prese la sua strada. Oggi
le domande sono 38, perché le questioni da dirimere sulla terra sono ancora di
più di quelle da dirimere nella Chiesa, e le domande sono rivolte a tutti. Non è populismo, né demagogia, né democrazia;
è che la salvezza, come canta la liturgia del Natale, scende dall’alto ma anche
germina dalla terra, è che il popolo di Dio, come diceva la Lumen
Gentium , nell’aderire alla fede trasmessa ai santi una
volta per tutte “con retto giudizio penetra in essa più a fondo e più
pienamente l'applica nella vita”. Per questo ad essere interpellati sono i
membri del gregge, perché il gregge non ha solo il fiuto ma ha la parola, cioè
il gregge è diventato un popolo, e anche il pastore ora se n’è accorto.
Ma funzionerà la consultazione, davvero
chiunque è abilitato a mandare le sue risposte al Sinodo, oppure varranno solo
i documenti che perverranno attraverso le gerarchie delle diocesi e delle
conferenze episcopali? Certo non tutti nella Chiesa sono contenti: forse si è
osato troppo, può darsi che la cosa sia sfuggita di mano, può darsi che
qualcuno nelle Sacre Logge ora vorrebbe tornare indietro. Tuttavia il fatto è
che il papa ha fatto pubblicare le domande, gli uffici della Santa Sede le
hanno fatte mettere su Internet (basta un clic per conoscerle!) e il nuovo
segretario del Sinodo, mons. Baldisseri in diretta alla Radio Vaticana ha detto
che la consultazione è canalizzata attraverso i vescovi, "però liberamente
ciascuno potrà inviare un testo", e poi lo ha confermato rispondendo a un
quesito del National Catholic Reporter.
Dal punto di vista teologico sono chiari i fondamenti di questa
svolta: la fede trasmessa dagli apostoli è anche la fede degli uomini della
“cerchia degli apostoli”, di cui parla il Concilio, ovvero la fede dei
discepoli che attraverso una ininterrotta successione di secoli, tramandata e
arricchita dalla universalità dei fedeli, è giunta fino a noi. E’ la successione
discepolare che viene dalle donne del sepolcro, dai discepoli di Betania e di
Cana, dal "discepolo che Gesù amava", e dagli altri come loro. È
giusto quindi che ad essere interrogati sui problemi della sopravvivenza della
fede nel nostro tempo non siano solo i successori degli apostoli ma anche i
discepoli. Se se ne vuole trovare una ragione nelle precedenti esternazioni di
papa Francesco, si può trovare nell’osservazione da lui fatta nelle omelie a
Santa Marta, riguardo a quelle comunità cristiane del
Giappone che nel XVII secolo, dopo la cacciata dei missionari stranieri, erano
rimaste senza sacerdoti per più di duecento anni. “Ma quando dopo questo
tempo sono tornati di nuovo altri missionari, hanno trovato tutte le comunità a
posto: tutti battezzati, tutti catechizzati, tutti sposati in chiesa, e quelli
che erano morti, tutti sepolti cristianamente. Non c’erano preti. E chi aveva
fatto tutto questo? I semplici battezzati!”.
Nell’intervista
alla Civiltà Cattolica, ricordando il
“sentire cum Ecclesia” di S. Ignazio,
Francesco ha spiegato che «il popolo è soggetto. E la Chiesa è il popolo di Dio
in cammino nella storia, con gioie e dolori.
E l’insieme dei fedeli è infallibile nel credere… Non è dunque un sentire
riferito ai teologi». Poi ha chiarito che questo non significa dimenticare “la
santa madre Chiesa gerarchica”, ma ha sottolineato: «Io vedo la santità nel
popolo di Dio paziente: una donna che fa crescere i figli, un uomo che lavora
per portare a casa il pane, gli ammalati, le suore che lavorano tanto e che
vivono una santità nascosta. Questa per me è la santità comune”. Ed è per
questo che Francesco ha detto più volte che i vescovi non devono stare soltanto
davanti o in mezzo al gregge, ma anche dietro al gregge, perché c’è “un fiuto
del gregge” e spesso è lui ad aprire il cammino e a indicare nuove strade.
Ma, ancora, non c'è solo la successione
degli apostoli e dei discepoli; c'è la successione di quella porzione del
popolo di Dio in mezzo a cui si è dato l’evento dell’incarnazione; sono le
folle, di cui Gesù chiedeva: "chi dice la gente che io sia?" Dunque
figure cruciali del Vangelo non sono solo gli apostoli, non solo i discepoli e
le discepole, ma anche le folle che seguivano Gesù e che, interrogate,
rispondevano magari sul divorzio e la legge di Mosè. Perché Gesù non chiedeva
solo di seguirlo, ma di rispondergli, e questa richiesta era naturalmente
rivolta a tutti. Domandava di chi fossero l'immagine e l'iscrizione sulle
monete di Cesare, domandava che pensassero del Messia, domandava che cosa era
successo a Gerusalemme in quei giorni di Pasqua, e anche i ciechi gli
rispondevano, e Pietro, e i discepoli di Emmaus; sicché oggi chiamati a rispondere,
come destinatari delle domande, sono anche tutti gli uomini e le donne di buona
volontà.
Così nella Chiesa c'è un compito di
annuncio, di testimonianza ma c'è anche un compito di interrogare e un compito
di rispondere. Ma se la novità sta nelle domande, la rivoluzione sta nelle
risposte. Se si apre la strada delle risposte, e se l'interrogazione del papa e
dei vescovi sarà fatta con verità così che essi prendano a cuore le risposte, pur ciascuno
mantenendo la sua autorità e il suo ruolo, allora non sarà più il cambiamento
di papa Francesco, ma sarà il cambiamento della Chiesa, e poi forse ne verranno
molte altre cose; e addirittura, in prospettiva più lontana, “alla fine dei
giorni verranno i popoli al monte santo del Signore”, “ognuno con il suo Dio”
(Michea) portando con sé le loro risposte sulla loro lunga traversata nella
storia.
Però quelle da inviare al Sinodo non
dovrebbero essere solo risposte solitarie e improvvisate. Perché il rispondere
incrementi la comunione ecclesiale dovrebbero esserci risposte date in comune;
bisognerebbe che si creassero in innumerevoli modi, in città e in campagne,
nelle parrocchie e in ogni altro mondo vitale dei Gruppi di risposta
permanente alle domande che la
Chiesa via via si fa e si farà sulle grandi ed evolutive questioni
dell'antropologia del mondo di questo tempo. E per rispondere ognuno dovrebbe
pensare e studiare, e anche pregare, e ogni anche piccolo gruppo potrebbe avere
la sua spiritualità la sua caratteristica e il suo nome; e potrebbero essere
gruppi vecchi e nuovi, gruppi di risposta cattolici ed ecumenici, cristiani e
interreligiosi e interculturali, ognuno con i suoi attrezzi di lavoro, con le
sue risorse di cultura e di esperienza.
E
se questi gruppi si dissemineranno e saranno in comunione tra loro, allora non
sarà più solo qualche zelante religioso o laico che risponde a questionari
inattesi, ma saranno pezzi di una umanità che risponde a un Dio che la
interroga, che le chiede: “che cos’è l’uomo? Tu chi dici che io sia?”.
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