di Raniero La Valle
Le ostilità contro il papa sono
cominciate ufficialmente la vigilia di Natale, quando il Corriere della Sera ha pubblicato in prima pagina un articolo di
Vittorio Messori dal titolo “I dubbi sulla svolta di papa Francesco”, nel quale
si chiamava in causa un preteso “cattolico medio” che sarebbe sconcertato per
la “imprevedibilità” delle scelte del pontefice.
Il monito del papa era stato in
effetti pesante. Si trattava di quindici ravvedimenti da altrettante malattie
curiali che papa Francesco aveva diagnosticato prima di Natale. Esse tuttavia
sembrano materia più di un confronto interno all’establishment ecclesiastico
che di un dibattito pubblico sui giornali della Repubblica.
Le malattie indicate dal papa ai
cardinali e agli altri dignitari erano queste: la malattia narcisista,
derivante da una patologia del potere, di trasformarsi in padroni e sentirsi
superiori a tutti; l’attivismo che trascura la contemplazione e il riposo; la
malattia del cuore di pietra e della testa dura, che trasforma uomini di Dio in
“macchine di pratiche”; l’eccessiva pianificazione che pretende rinchiudere e
pilotare la libertà dello Spirito Santo; la mancata collaborazione e comunione
che genera “un’orchestra che produce chiasso”; l’alzheimer spirituale, cioè il
declino progressivo delle facoltà spirituali di “coloro che hanno perso la
memoria del loro incontro col Signore”; la rivalità e la vanagloria; la
“schizofrenia esistenziale” di chi vive una seconda vita nascosta e sovente
dissoluta; la malattia delle chiacchiere e della maldicenza, che diventa spesso
“omicida a sangue freddo” della fama dei propri colleghi e confratelli;
l’adulazione per ottenere la benevolenza dei Superiori; l’indifferenza verso
gli altri per pensare solo a se stessi; la severità teatrale e il pessimismo
sterile con la faccia funerea delle persone burbere e arcigne; l’accumulazione
di beni materiali, incurante del fatto che “il sudario non ha tasche”, con quel
volere portarsi dietro tutti i propri averi, malattia di cui “i nostri
traslochi sono un segno”; il cancro dei circoli chiusi e delle lobby in lotta tra loro, quando sta
scritto che “ogni regno diviso in se stesso va in rovina”(Lc. 11, 17) e infine la malattia del profitto mondano, degli
esibizionismi, della ricerca del potere, per la quale si è “capaci di
calunniare, di diffamare e di screditare gli altri, perfino sui giornali e
sulle riviste. Una malattia che porta le persone a giustificare l’uso di
qualsiasi mezzo pur di raggiungere lo scopo, spesso in nome della giustizia e
della trasparenza”.
Non è affatto detto che sia stata la Curia
La Curia, naturalmente non aveva
gradito, e può darsi che qualche “fuoco
amico” (come il papa l’aveva chiamato nel suo discorso) possa essere venuto
anche da lì.
C’era già stata del resto, prima del Sinodo, e alla luce del sole,
una specie di avvertimento al papa di cinque cardinali guidati dallo stesso
prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, Müller (gli altri
erano Burke, Braundmuller, Caffarra e De Paolis) che in un libro di
compilazione, a proposito dei divorziati risposati, avevano ammonito a
“permanere nella verità di Cristo”; né si poteva dimenticare che ai tempi del
Concilio qualcuno della Curia aveva spinto il Corriere della Sera a scatenare contro papa Giovanni Indro
Montanelli (che poi se ne pentì dicendo di essere stato ingannato). Tuttavia
l’attacco portato ora a papa Bergoglio era troppo grave e troppo scopertamente
diretto a delegittimarlo perché si potesse ritenere che fosse un’iniziativa
della Curia, che in tal modo del resto avrebbe delegittimato se stessa insieme
a tutta
L’operazione sembra eccedere
perciò un rancore curiale. Né d’altronde se ne può attribuire l’iniziativa allo
stesso Messori, che anzi ha detto che non avrebbe voluto scrivere, ma che ne
era stato richiesto dal giornale. Pertanto a questo punto sono irrilevanti le
espressioni da lui usate e la solidità delle sue argomentazioni, né è di
particolare interesse la successiva polemica tra il “teologo della liberazione”
Leonardo Boff, il cui intervento il Corriere
ha pubblicato in ritardo e a fatica il 4 gennaio, e lo stesso Messori che gli
ha replicato il giorno seguente. Le contestazioni a papa Francesco non erano
del resto particolarmente profonde; intanto c’era una singolare disistima per
“il cattolico medio”, che secondo l’articolista
sarebbe “abituato a fare a meno
di pensare in proprio, quanto a fede e costumi”, per “seguire” il papa, e che sarebbe
ora turbato per la “imprevedibilità” di papa Francesco; c’erano poi le
allusioni malevoli al papa che telefona a Pannella, uomo del divorzio, dell’aborto
e dell’eutanasia, che dice a Scalfari che “Dio non è cattolico”, e che va a
trovare il suo amico pentecostale mentre le Chiese pentecostali svuotano la
Chiesa cattolica in America Latina. Però i “cattolici medi” non hanno gradito,
e hanno reagito con una raccolta di firme sotto un appello di “appoggio a papa
Francesco” in cui si rivendica la sua fedeltà al Vangelo, che prevede proprio papi
così.
La vera domanda
Tolti dunque i diversivi, la vera
domanda è perché l’ammiraglia della borghesia italiana abbia aperto il
conflitto col papa e per difendere che cosa; domanda tanto più intrigante
perché si tratta di un papa amatissimo dagli stessi lettori del Corriere (qualcuno di loro ha scritto
sul sito web del giornale un “grazie
per l ’articolo” perché gli aveva “chiarito di non essere un
cattolico medio”); né del resto è plausibile che il massimo organo di
informazione della cultura liberale fosse davvero interessato alle virtù che
mancherebbero alla Curia, e a cui il papa l’aveva esortata a ritornare.
Resta dunque da vedere il vero
significato dell’attacco al papa del quotidiano milanese, anche per capire in
quale sfida è oggi impegnata la Chiesa e che cosa debba fare il popolo dei
discepoli, il “cattolico medio”.
Non c’è bisogno di dietrologia
per capire quali sono le cose via via proposte dal ministero petrino di
Francesco nei cui confronti il mondo interpretato dal giornale lombardo – cioè
la sua cultura globale, le classi, gli interessi, i poteri di riferimento –
senta il bisogno di schierarsi, di prendere posizione, e magari di alzare un
muro – o di censura o di critica – perché queste cose non diventino patrimonio
di tutta la Chiesa, o peggio dell’opinione pubblica nel suo complesso.
Certo non è piaciuto che papa Francesco
abbia preso di petto la questione del lavoro, a cominciare dal suo discorso
agli operai a Cagliari fino al suo incontro con i movimenti popolari in
Vaticano, facendo del lavoro il contrassegno della dignità umana e rivendicando
per esso stabilità e sicurezza, e ciò proprio quando la spoliazione del lavoro
di ogni suo diritto è il
massimo impegno dell’attuale dirigenza politica ed economica.
Che cosa davvero si rimprovera al papa
Non è piaciuto che fin
dall’inizio il papa abbia messo sotto accusa l’attuale sistema
economico-sociale, qualificandolo come un sistema di esclusione che va perfino
oltre lo sfruttamento e l’oppressione già denunciati dal pensiero
rivoluzionario dell’Ottocento (ma anche dalla “Quadragesimo Anno” di Pio XI);
non è piaciuta la diagnosi pontificia che nella cultura e nella prassi
dell’attuale economia globale identifica un sistema omicida e condanna una
“dittatura dell’economia senza volto né scopo realmente umano”.
Non è piaciuto che nel messaggio
per la giornata della pace del 2015 si sia denunciato che la schiavitù, benché
ripudiata dal diritto, non sia finita, ma anzi oggi si riproduca e si
moltiplichi in inedite forme, dal lavoro schiavo alla schiavitù dei migranti,
al traffico degli organi, alla tratta delle persone, alla schiavitù sessuale, e
non solo in lidi barbari, ma anche in civilissimi Paesi.
Non è piaciuto che il papa non si
sia limitato a dei discorsi deprecatorii, ma abbia messo in moto le strutture
di carità (e nella visione cristiana, come fu ricordato da Paolo VI, anche la
politica è carità) e abbia esortato i poveri, i rifiutati, gli esclusi, gli
asserviti a lottare per la loro liberazione: “sigan con su lucha”, continuate a lottare ha detto papa Francesco
ai rappresentanti dei movimenti popolari di tutto il mondo da lui ricevuti
nell’aula del “vecchio Sinodo” nell’ottobre scorso.
Non è piaciuto che il papa abbia
indotto l’Italia a salvare i naufraghi in fuga dalle loro terre con l’operazione
“Mare nostrum”, e abbia difeso il diritto alla vita dei migranti con tanta
forza che la Marina continua a salvarli anche dopo che la missione “Mare
nostrum” è stata chiusa dal governo.
Non piace che con il suo semplice
invito a non discriminare, quanto al diritto alla vita, tra cittadini e
profughi, costringa i governi a non far finta di niente e a misurarsi con la
imponente nuova realtà di mobilità mondiale, che riguarda ormai più di
cinquanta milioni di persone in fuga nel mondo come rifugiati, sfollati,
sradicati dalle loro case e dalle loro terre, a cui bisognerà prima o poi
restituire i diritti.
Non piace che il papa cerchi di
fermare le guerre, che si tratti di guerre contro la Siria o contro la Russia o
contro l’Islam, non piace che deprechi e voglia fermare il commercio delle
armi, non piace che sia contro i bombardamenti con i droni, che non sposi la
causa di Israele contro i Palestinesi, che metta sotto accusa l’Europa come
“una nonna sterile” dimentica dei suoi valori e che presenti la sua Chiesa agli altri
continenti, alle altre religioni, alle altre Chiese, ai popoli emergenti e fino
agli estremi confini della terra come una Chiesa non europea, non occidentale,
non proselitistica e non dominatrice “sopra re e regni” in forza della sua
divina autorità. Perché, e questo è vero, gli uomini medi e mediocri erano
abituati a una Chiesa diversa.
Si può capire che il mondo
cominci ad allarmarsi. Perché se i fedeli di questa Chiesa fossero già sulle
frontiere che il papa sta indicando, la rivoluzione già ci sarebbe. E resta
allora l’appello perché tutti gli uomini e le donne che leggono lo stesso
Vangelo escano dal loro torpore, e si mettano in cammino. Perché allora, forse,
la rivoluzione si farà.
Nell’ “Angelus” dell’Epifania, che è stato un vero gioiello, Francesco ha
ripetuto tre volte che per camminare verso la meta bisogna stare attenti alla
stella, cioè saper vedere i segni, bisogna essere instancabili e bisogna avere
coraggio. Un papa attento e instancabile piace a tutti, fa parte dell’idea che
il mondo si è abituato ad avere dei papi moderni. Ma un Papa Coraggio sono in
molti che vorrebbero fermarlo.
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