Radio Vaticana 19 gennaio 2016: rassegna stampa condotta da Fabio Colagrande che
intervista Raniero La
Valle
Fabio Colagrande (passim) - Siamo
all’indomani della visita del papa alla Sinagoga di Roma.
Ma vorrei cominciare con una lettera che si trova a pag.2 del
quotidiano Avvenire, in cui l’ex
direttore dell’Unità Peppino
Caldarola chiede al direttore di Avvenire Marco Tarquini se Francesco può essere anche “il mio papa”, cioè il
papa di chi non è cattolico. E aggiunge:“che mi sta succedendo? Sono stato a
lungo un comunista italiano, e ho sempre avvertito, soprattutto con Enrico
Berlinguer, un’inclinazione rispettosa e curiosa verso la fede, i credenti e
gli uomini di fede. Ho amato Giovanni XXIII, la figura di Paolo VI mi ha sempre
colpito. Non parlo degli altri papi per non esagerare e per tenermi a quelli
che mi hanno più interrogato la coscienza. Con Francesco
avverto, invece, un passaggio in cui la domanda interiore scava più in
profondità. Il Dio che Francesco racconta, la vicenda umana e divina di Gesù
sono un messaggio di comprensione del mondo che non avevo mai letto in modo
così esplicito, accogliente, generoso, in grado di diventare il pensiero forte
(oltre che per chi ha fede) per questo nostro mondo pieno di cose brutte e di
ingiustizie. Ho capito finalmente che cosa vuol dire “misericordia”, cioè
quell’atteggiamento divino, ma anche degli umani, che spinge alla comprensione,
alla solidarietà, alla non esclusione”.
Che cosa ne pensi? Può essere Francesco il papa anche di chi non è
cattolico?
Raniero
La Valle - Mi sembra molto rivelativo di quello che sta
accadendo con questo pontificato, perché
una cosa va rilevata: Caldarola dice di non
essere credente, però racconta il suo passato in cui ha sempre avuto un atteggiamento di
grande stima, di grande attenzione, di grande disponibilità nei confronti dei
papi precedenti; ricorda Togliatti, il dialogo con i cattolici, quindi non è uno che
viene da una frontiera di anti clericalismo, da una posizione pregiudizialmente
contraria alla religione, è una persona aperta, seria, serena. Però c'è
qualcosa che è successo di nuovo, perché dice: “invece con Francesco” è una cosa diversa. Allora io credo che ci
dovremmo interrogare su che cos'è questa cosa diversa, che cosa ha di diverso e
di nuovo papa Francesco, così da colpire anche coloro che già erano su una
certa linea di attenzione alle cose della Chiesa. E questo è molto importante
che noi ce lo chiediamo, perché certamente questa è una cosa che riguarda
Francesco ma non ancora la
Chiesa. Non tutti quelli che oggi sentono questa vicinanza
con Francesco sarebbero disposti a
dire che sono ugualmente messi in causa dalla Chiesa e quindi
ciò vuol dire che quello che Francesco propone alla Chiesa è qualche cosa di
vitale perché riguarda la missione della Chiesa nel mondo. Che cos’è questo
“invece”? Secondo me è il fatto
che questo papa – cosa che sembrerebbe ovvia per un papa, per un pastore, per
un vescovo, per un cristiano - ha riaperto di fronte al mondo la questione di
Dio. Chi è Dio, che cosa abbiamo a che fare con lui, qual è l'atteggiamento di
Dio verso di noi? Questa è la domanda ultima, la domanda radicale perché non
c'è discussione sulle religioni, sulle Chiese, sul sacro, su tutto quello che
appartiene all'universo religioso, che non abbia il suo fulcro, il suo punto di
caduta, il suo punto di verità nella domanda: chi è Dio, che cosa abbiamo a che
fare con lui? Calderola ha capito questo. Papa Francesco parla di Dio, parla di
un Dio diverso, o meglio ne parla diversamente da come finora è stato
annunciato, e si rivela questo Dio straordinario, questo Dio della
misericordia, questo Dio che perdona sempre, questo Dio che non si vendica,
questo Dio che non conduce nessuna schiera contro nessun altro, questo Dio non
violento, questo Dio che ama tutti, questo Dio che arriva prima di qualsiasi
cosa gli si possa chiedere. Papa Francesco ha perfino inventato un neologismo “primerear”, cioè questo Dio che arriva
prima, quando tu lo cerchi lui è già lì che ti aspetta. Questo è un Dio che il
mondo non aveva ancora conosciuto o perlomeno non gli era stato raccontato in
questo modo. Allora se la Chiesa sarà capace di raccontare Dio in questo modo e
non solo nel periodo di papa Francesco ma anche dopo, anche nel futuro, io
credo che cambierà il mondo.
Fabio
Colagrande - Questa
tua tesi secondo la quale papa Francesco presenta Dio al mondo in modo da
coinvolgere anche i non credenti è confermata da due articoli usciti oggi sul Foglio, che è solito prestare attenzione a questi
temi. Il suo ex direttore
Giuliano Ferrara è critico nei confronti di questo
pontificato, ma spesso il giornale ospita articoli che lo presentano in modo
positivo. In questo caso abbiamo due articoli in prima pagina, uno, di Ferrara,
“Quanto è luterano papa Francesco”, in cui recensisce il libro di papa
Francesco scritto con il giornalista Andrea Tornielli, l’altro di Maurizio
Crippa, “Il cristianesimo plausibile” in cui si spiega “perché la misericordia
è l’unico programma del pontificato”, articolo che in quarta pagina continua
con il titolo “né comandamenti né dottrina, il programma semplice del
pontificato”. Secondo te l’atteggiamento che questo giornale ha nei confronti
del papa non dimostra una certa evoluzione come se si fosse aperto un dialogo
tra questi intellettuali non credenti e questo pontefice?
Raniero
La Valle - Sì questo è un pontificato che apre discorsi
con tutti, non soltanto con i non credenti, ma apre discorsi con i luterani, è
andato a Caserta a incontrare il suo amico pentecostale, apre il discorso e lo
porta avanti con gli ebrei, apre il discorso con l'Islam, è un papa che
veramente si rivolge a tutti; anche qui c'è una novità straordinaria. Se si
pensa a quello che è stato l'atteggiamento di maggiore apertura della Chiesa
cattolica e dei papi finora, si risale a papa Giovanni XXIII che indirizza la
sua enciclica “Pacem in terris” a
tutti gli uomini di buona volontà, e quindi non c'è più distinzione tra
credenti e non credenti, cattolici e non; però c'è ancora questa riserva della
“buona volontà”, come se non tutti fossero degni di essere destinatari della
parola della Chiesa. C'è ancora un piccolissimo residuo, se si vuole, di distinzione,
di discriminazione. Papa Francesco rivolge la sua enciclica “Laudato sì” ad ogni persona che abita su
questa terra, che abita il pianeta e quindi è veramente un'apertura
incondizionata a tutti; e questa è una novità straordinaria perché non implica
solamente una cortesia di rapporti con tutti, ma implica un'idea della
salvezza, la salvezza è veramente per tutti gli uomini; certamente Cristo Gesù
è l'unico nome in cui ci possiamo salvare, ma il modo in cui questa salvezza
arriva a tutti è misterioso anche al di fuori di quelli che lo confessano. Ora
per tornare alla domanda specifica sul Foglio,
io non ho letto questi due articoli stamattina, però a me pare che c'è un punto
un po' discriminante, che riguarda l'atteggiamento non dico solo del Foglio, ma di quel tipo di cultura che siamo
stati abituati a definire come quella degli “atei devoti”, cioè di quanti sono
atei ma hanno un certo atteggiamento di interesse verso la Chiesa, verso le
cose della religione, verso le cose sacre. Questa secondo me è proprio la cosa
che non ha nulla a che fare con papa Francesco, perché se c'è una cosa che gli
interessa e su cui ha chiamato a un confronto è proprio il discorso su Dio,
cioè l'interrogarsi su Dio; non interessa la devozione, non interessa che essi siano
più o meno disponibili alle categorie culturali o politiche della Chiesa, della
religione; quello che interessa è che si interroghino su questa cosa cruciale,
centrale, sul rapporto degli uomini con Dio e di Dio con l'uomo; quindi non c’è
nessun ateo devoto, nessuna devozione che surroga la fede, quello che conta è la fede. E quello che papa
Francesco dice è: badate quello che più conta è la fede; non conta la
religione, non conta la Chiesa, non contano le strutture, non contano neanche
tutte le cose di cui sono pieni i dibattiti mediatici sulla religione, conta
l'atteggiamento nei confronti della fede.
Fabio
Colagrande - Poco
fa il nostro ospite Raniero
La Valle ricordava la capacità di papa Francesco di dialogare
con il mondo ebraico. Il rabbino capo di Roma ha detto che un fatto che si
ripete per tre volte per gli ebrei rappresenta una consuetudine. Ed è infatti
la terza volta di una visita di un papa alla sinagoga. Il punto di partenza dei
nuovi rapporti tra i cattolici e gli ebrei, come sottolinea l’Osservatore
Romano, è stata la dichiarazione “Nostra
Aetate” del Concilio. E io non posso non chiedere a Raniero La Valle che
cosa ricorda di quei giorni storici in cui il Concilio arrivò ad elaborare una
dichiarazione così rivoluzionaria sul rapporto tra la Chiesa e le altre
religioni, e prima di tutto l’ebraismo.
Raniero
La Valle – Sì, fu una scelta molto travagliata perché in
realtà il problema che si poneva non riguardava solamente l'ebraismo, ma
riguardava il rapporto del cristianesimo e della salvezza in Cristo con tutte
le religioni e anche con gli uomini senza religione, quindi si poneva la
questione dell'universalità della salvezza. E nella “Nostra Aetate” c'è questo punto specifico sugli ebrei che
naturalmente riconosce la specificità del rapporto con gli ebrei, riconosce il fatto che il cristianesimo
trova le sue radici, nella missione, nella chiamata del popolo ebraico, ci sono
le Scritture in comune, e così via. Ma certamente lì c'era già questa apertura
universale, cioè gli ebrei, ma anche i musulmani, gli indù, i buddisti, i non
credenti; la grande questione è: Dio vuole che tutti siano salvi. Ama tutti e
tutti chiama e tutti accoglie. Ma in che modo? Attraverso quali vie? Fino al
Concilio Vaticano II era un assioma della Chiesa cattolica che l'unica via era
quella di passare attraverso la Chiesa visibile, la Chiesa istituzionale, la
Chiesa cattolica romana; perfino le altre confessioni cristiane non erano atte
a veicolare questa salvezza. Dal Concilio in poi comincia questa grande
rivoluzione, non si parla più della Chiesa come unica arca di salvezza, si
parla di una Chiesa di Cristo che sussiste
nella Chiesa cattolica, certamente c'è nella Chiesa cattolica la Chiesa di
Cristo e lì c'è la salvezza, però non si esaurisce nella Chiesa cattolica; e
questa è la grande sfida anche per il futuro, perché è chiaro che si andrà
molto avanti su questa linea. Con gli ebrei siamo arrivati già in qualche modo
a un compimento, perché quando si dice che tre volte fa una consuetudine, vuol
dire che in qualche modo tutto il periodo del risanamento delle ferite, delle
tragedie del passato è stato compiuto; adesso direi che quello che si doveva
fare si è fatto: quest'ultimo documento del dicembre, della commissione
sull'ebraismo, è molto avanzato, nel senso che appunto riconosce che questa
salvezza arriva agli ebrei anche senza la confessione esplicita di Cristo e c’è
perfino una dichiarazione secondo cui non ci sarebbe una missione istituzionale
della Chiesa verso gli ebrei. Però è chiaro che questo apre il problema del
rapporto con tutte le religioni, perché allora questa salvezza è per tutti e le
promesse di Dio, i doni di Dio, certo sono stati rivolti al popolo di Israele
ma sono stati rivolti a tutti gli uomini, ancora prima, con l’alleanza di Noè,
con la creazione, con il rapporto di Dio con i progenitori, con la promessa di
salvezza, con il Cristo che non è nato a un certo punto della storia a Nazaret
sotto Augusto ma che è presente fin dalla creazione del mondo. Il Cristo
salvatore, il Cristo redentore precede Adamo, la salvezza è da sempre ed è per tutti
gli uomini; poi storicamente certamente ha avuto i suoi canali privilegiati, il
popolo di Israele e poi naturalmente il popolo dei credenti in Cristo, però la
promessa di Dio e i doni di Dio irrevocabili sono a tutta l’umanità e a tutti
gli uomini e mi pare che questo è quello che papa Francesco ci sta dicendo.
Fabio
Colagrande – Su
questi temi che ha sollevato La Valle vi segnalo l’articolo uscito oggi sull’Osservatore
Romano di Anna Foa, intellettuale del
mondo ebraico dal titolo “Punto di incontro”, articolo che è uscito anche su “Pagine
Ebraiche”.
Raniero
La Valle - Quello che io direi e quello che io mi
aspetto, desidero con tutto il cuore è questo: la Chiesa ha fatto un grande
passo anche teologicamente, di revisione di se stessa nei confronti degli
ebrei, questo ormai è fatto ma io spero
e desidero che anche gli ebrei cerchino di fare qualche passo in questo senso,
perché anche per loro c’è un problema di rilettura della Bibbia, di ricomprensione
della loro vocazione e mi pare che un dialogo, se veramente non c’è uno sforzo
di mettere in qualche modo in discussione le proprie premesse, non può arrivare
davvero a un esito felice. Il papa nella sinagoga ha espresso una grande
mitezza, e io vorrei che anche i suoi interlocutori esprimessero questa stessa
mitezza.
Fabio
Colagrande – Anna
Foa si fa domande simili proprio da parte ebraica nel suo articolo. Sull’Avvenire, insieme ai resoconti sulla visita del papa
alla sinagoga, c’è una notizia che vorrei commentare con Raniero La Valle.
E’ probabile un invito al papa a visitare la moschea
di Roma. Francesco è già stato in due moschee, a Istanbul nel 2014 e a Bangui,
nel corso del suo viaggio in Centro Africa nel dicembre scorso. La Valle,
sarebbe un gesto storico ma che avrebbe una luce particolare perché viviamo nei
mesi funestati dal terrorismo islamista con il marchio Daesh o ISIS che sta
terrorizzando ormai non solo il Medio Oriente ma anche l’Occidente e l’Africa,
per gli attentati che si susseguono. Dopo l’incontro realizzatosi a Bangui
questa visita a Roma, se si verificasse, avrebbe un significato veramente
particolare.
Raniero
La Valle - Sarebbe normale; sarebbe normale perché anche
nei confronti degli islamici, anche nei confronti delle moschee questo gesto è
stato già ripetuto almeno due volte anche da papa Benedetto XVI, anche lui è
andato in una moschea a Istanbul e allora una terza volta diventa una
consuetudine anche con i musulmani, anche con le moschee, è normale. Qui il
papa non deve dare nessuna spiegazione perché è talmente forte e costante la
sua predicazione di un Dio nel cui nome non si da nessuna violenza possibile,
un Dio nel cui nome non si può uccidere nessuno, il Dio che ha dato il V
comandamento “non ammazzare” e questo lo ripete a tutti, lo ha ripetuto con gli
Ebrei, lo ha ripetuto con i musulmani, lo ha ripetuto con gli stessi cristiani:
non si ammazza in nome di Dio, la persona umana è sacra, bisogna togliersi i
sandali quando si incontra l’altro, non solo il povero, ma qualunque altro
perché figlio di Dio. Allora questo rapporto con i musulmani è del tutto
normale e certamente questo dovrà servire a ribadire che c’è una grave
contraffazione dell’immagine del Dio amato e adorato nell’Islam quando viene
presentato nelle forme in cui lo presentano i sicari, lo presentano i
tagliagole, lo presentano i terroristi; quello non è Dio, non c’entra nulla,
quel Dio va demitizzato, non è Dio, è un’altra cosa ma questo non ci impedisce
di continuare questo rapporto fraterno e di appartenenti a un comune destino
che ci lega anche ai musulmani.
Vorrei aggiungere: non so se si
ricorda il discorso che papa Francesco ha fatto al corpo diplomatico
quest’anno, lì è una cosa straordinaria perché parla solamente dei popoli
migranti e lì c’è un modo anche di leggere la Bibbia. Gli Ebrei
leggono la Bibbia soprattutto come proiettata sulla terra cioè una terra dove
abitare, il papa vede la Bibbia come la Bibbia che parla dei popoli in cammino,
compreso il popolo ebraico. Il popolo palestinese anche lui è un popolo in
cammino, un popolo profugo, allora qui c’è questo discorso che fa papa
Francesco: il tempo è superiore allo spazio, è più importante il processo in
cui ci si mette - appunto deve essere un processo di misericordia e di
accoglienza reciproca, di solidarietà - piuttosto che occupare degli spazi e
difenderli come dei bastioni inespugnabili. E questo vale nei confronti degli
uni come degli altri.
Fabio
Colagrande - Sulle
migrazioni ieri c’è stata una conferenza stampa in Vaticano del cardinale
Schönborn, arcivescovo di Vienna, in cui ha detto che non bisogna dimenticare
che l’Europa è stata teatro di gravi conflitti tra i cristiani, e oggi c’è il
rischio che ognuno si ritiri nei suoi confini, ritornano le frontiere, le
barriere, i muri, la cortina di ferro di nuovo esiste, in altro modo ma esiste:
è una sfida enorme, ci troviamo davanti a una nuova onda di nazionalismo in
Europa. Io spero, ha detto il cardinale austriaco, che i vescovi europei
trovino una parola comune, un incoraggiamento, per arrivare a un atteggiamento
di accoglienza. Non siamo ancora arrivati a questo. La Valle un tuo commento su
questo.
Raniero
La Valle - Questo è il più grande dolore di questo
periodo, vedere un’Europa che veramente tradisce quelle che sono state
proclamate come le sue radici cristiane, non si è cristiani se si respingono i
profughi, se si respingono gli ospiti, se si respingono i viaggiatori, se si respingono i perseguitati, questa non è
l’Europa e questo è molto grave, non è questione dei vescovi che devono dire
questo, i vescovi lo dicono, ma è l’Europa con le sue istituzioni, le sue
politiche, i suoi capi di governo che devono realizzare questa accoglienza. Il
mondo è cambiato, il mondo non è più un mondo di nazioni separate, il mondo è
un mondo di popoli che si integrano, che si mischiano, abbiamo fatto la
globalizzazione, il denaro circola dappertutto ma gli uomini no, i bambini
no, le donne no, questo è veramente un
tradimento di tutto quello che per secoli si è costruito sulla strada
dell’incivilimento, l’Europa non può essere questo, questa Europa va
contestata, va combattuta, bisogna sostituire un’altra prospettiva, un’altra
politica.
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